• Non ci sono risultati.

La scrittura della Carta costituzionale vide contrapposti su alcune tematiche i due schieramenti che erano usciti vittoriosi dalle elezioni del 1946: democristiani (guidati da Moro, La Pira e Dossetti), e social-comunisti (guidati tra gli altri da Basso, Togliatti e Calamandrei).

Tra gli argomenti su cui il dibattito fu più acceso vi fu proprio quello relativo alla stesura degli articoli inerenti la famiglia.

Lo scontro interno alla Commissione dei 75193 concerneva

innanzitutto l'introduzione nella Carta costituzionale del principio di indissolubilità del matrimonio sostenuto, in particolare, dai costituenti democristiani.

Una simile statuizione non solo avrebbe impedito o comunque reso ancor più difficile l'affermarsi, anzi l'introduzione del divorzio, ma, come rilevò Calamandrei, appariva in netta contraddizione con la stessa disciplina dell'annullamento del matrimonio sia civile, sia religioso.

Anch'egli contrario alla costituzionalizzazione del principio dell'indissolubilità, Togliatti affermò che la questione relativa alla definizione del matrimonio andava lasciata all'attività del legislatore ordinario.

Lo scontro si protrasse per diverse sedute della sottocommissione competente per i diritti di famiglia (la Commissione “diritti e doveri dei cittadini”), e vide inizialmente l'approdo ad una formulazione di compromesso in cui emergevano chiaramente la proposta proveniente dalla parte cattolica “ la famiglia è una società naturale, e come tale lo Stato ne riconosce i diritti e la tutela allo scopo di assicurare l'adempimento della sua missione”, e la proposta proveniente dalla parte laica “(ne

193 I 556 eletti nominarono un Comitato composto da 75 membri per redigere la Costituzione in rappresentanza ed in proporzione a tutte le forze politiche presenti nell'Assemblea. Tale Comitato si divideva a sua volta in tre sottocommissioni: diritti e doveri dei cittadini, presieduta da Umberto Tupini; organizzazione costituzionale dello Stato, presieduta da Umberto Terracini; rapporti economici e sociali, presieduta da Gustavo Ghidini.

riconosce i diritti allo scopo di assicurare)...insieme la saldezza morale e la prosperità della Nazione”.

Una formulazione articolata ed appesantita, frutto evidente di un compromesso, ma che ancora lasciava spazio alla famiglia non matrimoniale. Infatti in questo stadio di elaborazione dell'articolo 29, allora articolo 23, non v'era nessun accenno all'istituto matrimoniale.

Ma l'ampio spazio lasciato aperto alle convivenze di fatto era troppo evidente per non destare preoccupazione nell'area cattolica per una sua futura introduzione nell'ordinamento giuridico dello Stato.

Il Comitato giunse così ad una nuova formulazione: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio indissolubile”.

L'Assemblea si spaccò e sembrò dimenticare i punti di contatto già raggiunti.

Fu allora Togliatti194 che propose di dividere la votazione del

nuovo testo: una prima votazione sull'intero articolo, ma sino alla parola matrimonio; una seconda votazione riguardante la sola parola indissolubile. Nell'occasione il segretario del PCI annunciò l'accettazione della sua parte politica dei due principi contenuti nell'ultima formulazione: quello della famiglia naturale e quello che tale famiglia fosse fondata sul matrimonio.

La prima votazione ebbe esito favorevole. Veniva invece respinta con decisione l'introduzione della norma costituzionale del principio dell'indissolubilità.

All'esito di questa intensa battaglia politica circa l'indissolubilità del matrimonio, venne sacrificata la famiglia di

194 Era evidente il compromesso politico tra le forze democristiane e quelle comuniste, e rifletteva una sensibilità sociale e religiosa, diffusa e radicata nella popolazione di fine anni '40 che non intendeva mettere in discussione il concetto di unità familiare.“In questo quadro sembra palese che l'interesse fondamentale della sinistra, il costume sociale dell'epoca e i sentimenti religiosi assai diffusi e radicati nella popolazione, fosse quello di non apparire alla pubblica opinione come la profanatrice dei nuclei familiari italiani. Innalzò, quindi, ben in alto i vessilli della difesa della famiglia legittima, ma è comprensibile che, se tale difesa si svolgeva sulla fronte dell'indissolubilità, su cui poi si arrivò allo scontro, le posizioni della famiglia di fatto restarono sguarnite e furono, in effetti, sacrificate” D'ANGELI, op.cit., pag.290.

fatto, in favore della quale non si prese una posizione195.

Così non si costituzionalizzò l'indissolubilità del matrimonio, ma neppure si prese in considerazione l'istituto della famiglia di fatto ed anzi il favore della Costituzione (favor legitimitatis) fu diretto alla famiglia legittima fondata sul matrimonio.

Lo stesso Togliatti (sebbene la componente comunista e socialista fosse forza di maggioranza di sinistra nell'assemblea) preoccupato di non creare ulteriori esasperazioni, intervenendo prima dell'approvazione definitiva dell'articolo 29196, aveva

dichiarato che la semplice unione dell'uomo e della donna non è condizione sufficiente per la formazione della famiglia: “la famiglia per noi esiste soltanto quando la sua costituzione è regolata dalla legge, quando è fondata sul vincolo matrimoniale”.

La famiglia che gode dei favori della Costituzione non poté quindi, che essere quella matrimoniale, ma tale favore non va inteso in senso esclusivo ed a scapito delle altre formazioni “intermedie” tra le quali vi è anche la famiglia di fatto.

Alla luce, dunque, del tenore dell'art.29 Cost., la dottrina maggioritaria ritiene che la famiglia di fatto trovi tutela costituzionale nella previsione dell'articolo 2 Cost., il quale attribuisce alla coppia non unita in matrimonio la natura di formazione sociale ed alla luce del quale può essere interpretato lo stesso articolo 29: tale articolo riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio non tanto sancendo il principio di esclusività della famiglia legittima, ma semplicemente esprimendo il favor matrimonii del costituente.

La famiglia di fatto è dunque uno di quei gruppi sociali all'interno dei quali alla personalità individuale viene assicurato il suo svolgimento, mentre gli articoli 29 e 30 della Costituzione non devono essere interpretati nel senso esclusivo della tutela della

195 Sul punto, cfr. S.ASPREA, op.cit.: “A conclusione del serrato e contraddittorio dibattito svoltosi in sede costituente, la

vittima rimasta sul terreno fu la famiglia di fatto sacrificata -non si sa quanto sia fondata la supposizione (la votazione sulla definizione dell'indissolubilità avvenne a scrutinio segreto)- forse sull'altare di un compromesso tra le opposte forze in campo”.

famiglia legittima fondata sul matrimonio.

Qualora così venissero intesi ne deriverebbe la negazione di tutte quelle relazioni a carattere familiare non suggellate dal matrimonio, con una conseguente discriminazione e negazione dei diritti fondamentali non solamente dei partners, ma soprattutto dei figli nati da questi rapporti ai quali la Costituzione e le leggi garantiscono invece diritti e dignità pari a quelli dei figli legittimi.

Tale lettura costituzionale è già da alcuni decenni confermata dalla giurisprudenza di legittimità. Si veda in tal senso la sentenza numero 556/77 della Corte di Cassazione la quale sancì che la convivenza more uxorio, “pur non rappresentando i caratteri formali della famiglia legittima, appare pur sempre, secondo il principio fondamentale fissato dall'articolo 2 della Costituzione, stante la sua funzione di gratificazione affettiva e di solidarietà sociale, come una formazione sociale finalizzata alla funzione di ambito che consente il processo di sviluppo e di crescita della persona, propria della famiglia nell'attuale fase di evoluzione della società”.

Sebbene il legislatore non abbia ancora recepito l'esigenza di disciplinare in maniera organica il fenomeno delle coppie di fatto197,

197A tale riguardo appare opportuno ricordare due sentenze della Corte Costituzionale che sembrarono “sollecitare” un tale intervento. La prima è la sentenza del 18 novembre 1986, n. 237, che decise sulla questione di legittimità costituzionale sollevata sugli artt. 307, ultimo comma, e 384 c.p., nella parte in cui non si prevede che la scriminante di cui all'art. 384 c.p. possa estendersi al convivente more uxorio. Dapprima evidenziò l'”inscindibile endiadi” famiglia-matrimonio: “E che gli stessi Costituenti così divisassero doversi intendere la ripetuta norma, fornisce una obiettiva riprova la votazione per divisione, che ne seguì in aula. Fu esplicitamente rifiutato, infatti, un voto inteso a disgiungere, nell'art. 29, primo comma, la locuzione "diritti della famiglia come società naturale" dall'altra "fondata sul matrimonio"; si procedette - all'incontro - dapprima al voto sul riconoscimento dei diritti familiari, accorpandosi, in successiva votazione, la frase "come società naturale fondata sul matrimonio", rimasta avvinta in inscindibile endiadi”. Poi rappresentò l'opportunità di un intervento legislativo riguardo interessi che appaiono meritevoli di tutela: “Va poi ricordato, per completezza, come non avesse mancato la Corte, peraltro, di porre l'accento (sentenza n. 6 del 1977) sulla opportunità di una valutazione legislativa degli interessi dedotti, carenti, allo stato, di tutela positiva. 3b) - In effetti, un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare - anche a sommaria indagine - costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.). Tanto più - in ciò concordando con i giudici remittenti - allorché la presenza di prole comporta il coinvolgimento attuativo d'altri principi, pur costituzionalmente apprezzati: mantenimento, istruzione, educazione. In altre parole, si è in presenza di interessi suscettibili di tutela, in parte positivamente definiti (si vedano ad es. gli artt. 250 e 252 del codice civile nel testo novellato con la legge 19 maggio 1975 n. 151), in parte da definire nei possibili contenuti. Comunque, per le basi di fondata affezione che li saldano e gli aspetti di solidarietà che ne conseguono, siffatti interessi appaiono meritevoli indubbiamente, nel tessuto delle realtà sociali odierne, di compiuta obiettiva valutazione. Ma su di una regolamentazione esaustiva di tal sorta, necessariamente involgente, senz'altro, scelte e soluzioni di natura discrezionale, questa Corte non avrebbe facoltà di pronunciarsi senza invadere quelle competenze che spettano al Parlamento, nel razionale esercizio di un potere che il solo legislatore è chiamato ad esercitare; per il che la Corte rinnova la sollecitazione contenuta nella sentenza n. 6 del 1977”. La seconda sentenza è proprio la n.6/77, resa nel giudizio di legittimità costituzionale

la giurisprudenza ha quindi già dato maggiore rilievo al concreto rapporto di coppia piuttosto che all'aspetto formale del matrimonio.

Proseguendo l'analisi della tutela approntata dall'articolo 2 della Costituzione, ovvero l'analisi della tutela alla famiglia di fatto come entità in cui l'individuo sviluppa la sua personalità, consente di affermare che si tratti non di una famiglia minore poiché la funzione d'essa svolta è identica a quella della famiglia legittima dal momento che entrambe le figure familiari tendono a promuovere la personalità e la solidarietà tra gli individui che vi appartengono.

La famiglia di fatto va quindi considerata non come famiglia minore ma come una species interna ad un genus costituito dalla famiglia intesa come società naturale fondata sul matrimonio198.

Se, dunque, l'articolo 2 rappresenta una sorta di statuto minimo della famiglia, la “disciplina prevista dall'articolo 29 non può escludere dalle ipotesi familiari le ipotesi alternative alla comunità coniugale, se pure privilegi questa intesa come società naturale fondata sul matrimonio199”.

Differente è il discorso per le unioni more uxorio con figli: queste non possono essere considerate semplici coppie, ma famiglie che non hanno legalmente formalizzato il loro legame: la Carta fondamentale, infatti, prevede uguale tutela e uguale dignità sia per le famiglie legittime sia per le famiglie di fatto.

L'articolo 31 ad esempio prevede agevolazioni costituite da misure di natura economica con particolare riguardo proprio alle famiglie numerose. Sempre l'articolo 31, al comma secondo, prevede istituti di generalizzata protezione della maternità, dell'infanzia e della gioventù.

L'articolo 34 prevede borse di studio assegni ed altre

dell'art. 307, ultimo comma, del codice penale e dell'art. 350 del codice di procedura penale. Si legge, infatti, in sentenza che “...De iure condendo, la normale presenza di quegli interessi, però, non dovrebbe rimanere senza una tutela per le dette situazioni omesse ed in particolare per quella che ricorre nella specie. E sarebbe, quindi, compito del legislatore di valutare, per detti interessi, l'importanza e la diffusione”.

198 Così autorevole dottrina: F.D'ANGELI, La famiglia di fatto, Milano, 1989, e D. RICCIO, La famiglia di fatto, Padova,

2007.

provvidenze per le famiglie al fine di favorire l'accesso allo studio da parte dei figli, indipendentemente da ogni differente qualificazione giuridica della coppia.

L'articolo 36 prevede per il lavoratore una retribuzione non solo proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, ma anche sufficiente ad assicurare a sé e dalla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa; anche a tale riguardo indipendentemente da ogni qualificazione giuridica della coppia.

L'articolo 37 garantisce alla donna lavoratrice condizioni di lavoro che le consentano l'adempimento della sua essenziale funzione familiare fornendo così tutela alla madre ed alla prole.

Ognuno di questi interventi previsti dalla Costituzione va, dunque, esteso a tutte le famiglie, non solo a quelle fondate sul vincolo matrimoniale.

La dottrina minoritaria rinviene invece negli articoli 18 e 19 la tutela costituzionale per le coppie di fatto. Quanto all'articolo 18 la tutela troverebbe fondamento nella norma che riconosce ai cittadini il diritto di associarsi liberamente per i fini che non sono vietati dalla legge penale. Il riconoscimento di questa libertà si esplicherebbe anche nella costituzione di una famiglia di fatto quale alternativa alla famiglia legittima.

Quanto, invece, all'articolo 19, la tutela della famiglia di fatto risiederebbe nel diritto di professare liberamente la propria confessione religiosa (fatto salvo il limite del buon costume). Grazie agli epocali mutamenti sociali recentemente vissuti, e dato lo stretto legame esistente tra religione e concezione della famiglia, ecco che tale dottrina rinviene nel testo dell'articolo 19 della Costituzione una norma a favore della famiglia di fatto, nel rispetto di coloro che professano la propria e differente fede, o che tuttavia legati al loro ateismo, non riconoscono nel matrimonio inteso in senso religioso, l'atto fondativo della famiglia. La famiglia di fatto rappresenterebbe espressione della libertà religiosa, di una scelta atea, una scelta, cioè, di non contrarre matrimonio dal fondamento

religioso200.

Indipendentemente dall'articolo, o dagli articoli, all'interno dei quali si vuole rinvenire il fondamento della tutela, la dottrina quasi unanimemente evidenzia come il pluralismo delle figure familiari sia consentito e tutelato nella Carta costituzionale, nonostante la carenza della legislazione ordinaria e di tutele dirette (che il più delle volte provengono da interventi giurisprudenziali), anche se la famiglia fondata sul matrimonio resta ben salda al vertice delle formazioni tutelate201.

Per completezza espositiva si riporta anche quella dottrina contraria (Vilani, Tedeschi, Carbonnier, etc.) a qualsiasi apertura al riconoscimento in favore delle famiglie di fatto: l'articolo 29 costituirebbe un ostacolo insormontabile. Ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, poi, le famiglie di fatto non rientrerebbero nelle formazioni sociali tutelate dalla norma, in quanto l'articolo non garantisce le formazioni sociali in sé considerate quanto i diritti inviolabili dell'individuo: sarà, quindi, al singolo che bisognerà far riferimento quando si valuterà la fattispecie in esame. Anche le agevolazioni previste dalla Costituzione sarebbero esclusivamente destinate in favore della famiglia legittima.

Tale dottrina trovava conforto in un risalente, ed oramai superato, orientamento della Corte costituzionale che sosteneva la legittimità della differenziazione tra regime previsto per la famiglia matrimoniale e per la famiglia di fatto, sulla base del fatto che una equiparazione contraddirebbe la stessa natura della convivenza basata su di un rapporto di fatto, che come tale che quindi rifugge da ogni qualificazione giuridica, e di obblighi reciproci.

In numerose anche se datate pronunce, la Corte costituzionale affermò anche che il principio di uguaglianza è diretto ad impedire che a danno dei cittadini siano disposte discriminazioni arbitrarie, ma non può significare che il legislatore sia obbligato a disporre per tutti un'identica disciplina. Al contrario, 200 Di questa opinione S.FERLITO, Il concordato nel diritto interno, Napoli, 1997.

deve essere consentito di dettare norme diverse per situazioni diverse. Un ordinamento che non distingue situazione da situazione, e che considera tutte le situazioni allo stesso modo non è nemmeno pensabile perché finirebbe in sostanza a non disporre alcuna regola.

La giurisprudenza della Corte costituzionale appare, tuttavia, ancora oggi pronunciarsi in una duplice direzione: quella del riconoscimento dei diritti dei conviventi, e quella dell'indicazione dei confini e dei limiti dello stesso rapporto di convivenza rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio.

L'apertura in favore delle coppie di fatto è iniziata a maturare tra gli anni '60 e '70 e, seppure le pronunce non siano tutte nella medesima direzione, alla fine degli anni '70 la Corte affermava che era necessario attribuire anche alla famiglia non fondata sul matrimonio la funzione di adempimento dei doveri di mantenimento, di educazione ed istruzione della prole, nonché di sviluppo e arricchimento della personalità all'interno di quella famiglia che, seppur non istituzionalizzata, assolve pienamente la funzione che le è propria.

La Corte costituzionale sembrerebbe, dunque, avere attribuito piena rilevanza giuridica alla famiglia sprovvista di vincolo matrimoniale proprio perché presenta, comunque, quei connotati tipici del rapporto matrimoniale.

La rilevanza sociale di questo fenomeno sembra, quindi, essere subordinata alla capacità di assolvere ai valori solidali ed affettivi tipici di una famiglia “coniugale”: appare indispensabile, dunque, distinguere tra un semplice ed occasionale rapporto affettivo e la “vera e propria” famiglia di fatto, a tal fine dovendo tenersi conto “soprattutto del carattere di stabilità che conferisce grado di certezza al rapporto” (così Cass. I sez. civ.,n.3503/1998).

Nell'ampia tipologia delle unioni non matrimoniali si potrà riconoscere rilevanza costituzionale e necessità di disciplina legislativa, sia per quanto concerne la tutela dei minori sia per

quanto riguarda i rapporti patrimoniali tra i partners, a quelle unioni paramatrimoniali, ovverosia caratterizzate da adeguata stabilità (eventualmente accertabile anche attraverso la registrazione), legami affettivi, presenza di prole, interessi patrimoniali comuni.

Detta ricostruzione sarebbe sostenuta dal combinato disposto dell'articolo 317 bis c.c. e dell'articolo 2 della Costituzione che comprenderebbe la famiglia di fatto tra quelle formazioni sociali con funzioni di gratificazione affettiva e solidarietà sociale: un luogo di arricchimento e sviluppo della personalità dei suoi componenti, in via analoga a quanto succede nell'ambito della famiglia coniugale202.

Tale orientamento di apertura verso famiglia di fatto non fu, come detto, manifestato in maniera costante. Deve essere, infatti, evidenziato come con il provvedimento n.310 del 18.05.1989 Corte Costituzionale sostenne che una equiparazione tra il regime previsto per la famiglia matrimoniale e quello previsto per la famiglia di fatto “contraddirebbe la stessa natura della convivenza che è un rapporto di fatto per definizione rifuggente da qualificazioni giuridiche di diritti ed obblighi reciproci, qunando, invece, l'anno precedente, con la sentenza 4.04.1988 n.404 era giunta ad affermare il diritto per il partner convivente more uxorio di succedere nel contratto di locazione poiché:“Nel contesto della legge n. 392 del 1978 l'art. 6 specifica un regime di successione nel contratto di locazione, che supera quello previgente, in quanto destinato a non privare dell'abitazione, immediatamente dopo la morte del conduttore, il più esteso numero di figure soggettive, anche al di fuori della cerchia della famiglia legittima, purché con quello abitualmente conviventi (e dunque, oltre al coniuge, gli eredi estranei, i parenti senza limiti di grado e finanche gli affini); in ciò esprimendosi il dovere di solidarietà sociale, che connota, da un canto, la forma costituzionale dello Stato sociale e, dall'altro, 202 E. FALETTI, op.cit., pag. 33, la quale a sua volta riporta l'opinione di DOGLIOTTI e ZAMBRANO.

riconosce un diritto sociale all'abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 Cost., ma anche artt. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, 11 del Patto internazionale dei diritti economici sociali e culturali). E', di conseguenza, irragionevole e viziata da contraddittorietà logica la previsione di legge che, pur tutelando l'abituale convivenza, non include, tuttavia, tra i successibili nel contratto di locazione, chi era già legato more uxorio al titolare originario del contratto; risultando, in pari tempo, leso il diritto fondamentale all'abitazione. Pertanto, per violazione degli artt. 2 e 3 Cost., è costituzionalmente illegittimo l'art. 6, primo comma, della Legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio”203.

Sembra, comunque, possibile sostenere204 che negli ultimi

vent'anni si sia affermato un orientamento che, pur considerando il