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La tutela dei minori alla fine della convivenza.

Nella famiglia di fatto, che si sottrae ai vincoli dettati da norme e precetti, l'accordo ed il consenso dei partners rivestono centralità non soltanto nel momento costitutivo del rapporto di convivenza, ma anche nella fase patologica della relazione, quando cioè il rapporto di coppia viene a cessare.

Come evidenziato, la famiglia di fatto può cessare per morte del convivente o per atto di volontà di uno o di entrambi i conviventi ed in questo caso non vi sarà bisogno di alcun provvedimento giurisdizionale: il rapporto cesserà, quindi, per volontà di entrambi o di uno soltanto dei conviventi, consensualmente o unilateralmente senza necessità di alcuna formalità.

Tuttavia non si deve ritenere che nel momento della cessazione della convivenza non sorgano doveri e diritti.

“È evidente...che la libera e consapevole scelta di vivere insieme al di fuori del matrimonio e, quindi, delle regole legali cui lo stesso è soggetto se, da un lato, è meritevole di rispetto da parte del diritto positivo, in quanto espressione dell'esercizio dei diritti fondamentali della persona, dall'altro non può in alcun caso svolgersi in pregiudizio dei principi inderogabili dell'ordinamento e, fra questi, primi fra tutti, dei valori costituzionali di solidarietà sociale, garantiti tanto nella famiglia fondata sul matrimonio, quanto in quella di fatto214”.

Infatti la diffusione della famiglia di fatto ed il diffondersi del convincimento che il vincolo matrimoniale non possa più essere considerato il vincolo di coppia esclusivo, hanno spinto la dottrina e la giurisprudenza verso una estensione degli strumenti previsti dal legislatore in favore della famiglia legittima anche in favore della famiglia di fatto. Tuttavia una totale estensione in via analogica alla convivenza della disciplina prevista per la famiglia legittima parrebbe scontrarsi con la stessa natura della famiglia di fatto.

“Tuttavia l'esigenza di tutelare il convivente debole a cui la cessazione della convivenza potrebbe recare gravi pregiudizi, soprattutto economici, di garantire diritti della prole, laddove vi fosse, hanno subito acceso dibattito tra dottrina e giurisprudenza sulla individuazione di mezzi e strumenti di tutela dei membri della famiglia di fatto, nel rispetto delle peculiarità e specificità che la connotano215”.

La giurisprudenza ha ritenuto che l'articolo 317 bis c.c., possa essere un valido strumento normativo anche per la coppia di fatto.

Tale articolo dispone nel senso che qualora i genitori naturali convivano, l'esercizio della potestà sulla prole è congiunto, mentre qualora i genitori non convivano l'esercizio della potestà è affidato al genitore con il quale il figlio convive.

“È fatto salvo, comunque, l'intervento del giudice in caso di disaccordo tra i genitori sull'affidamento oppure per correggere e rivedere i criteri e le regole che organizzano l'esercizio della potestà in conformità all'interesse del minore216”.

A tale proposito la Corte costituzionale ha ritenuto che spettassero alla competenza del giudice ordinario i provvedimenti riguardanti il mantenimento del figlio ed, invece, al giudice minorile quelli relativi alla potestà genitoriale.

L'intervento, solo eventuale e successivo, del giudice opererà in senso correttivo e migliorativo delle condizioni del minore e potrà giungere sino all'esclusione di entrambi i genitori dall'esercizio della potestà217.

Interpretando quanto previsto dall'articolo 317 bis c.c. si può dedurre sia che i genitori possano accordarsi autonomamente riguardo le modalità di gestione del rapporto al momento della cessazione della convivenza anche in merito all'esercizio della potestà genitoriale, sia che il giudice possa disporre l'affidamento congiunto della prole ad entrambi i conviventi.218

215 C.S.PASTORE , La famiglia di fatto, Torino, 2007, pag.142

216 C.S.PASTORE, op.cit, pag.158

217 Cfr., Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n.5847/1993.

Il genitore non affidatario non è, tuttavia, estromesso dalla vita del figlio e mantiene il dovere di vigilare sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio (oltre ovviamente al dovere di provvedere al mantenimento di questi).

Concludendo è possibile rilevare come, in mancanza di una legislazione specifica in materia di famiglie di fatto, possa trovare applicazione la disciplina prevista in favore dei figli legittimi nel caso della separazione dei genitori219.

Il problema relativo all'assegnazione dell'abitazione nella quale la famiglia di fatto ha abitato va affrontato e risolto attraverso il riferimento al superiore interesse del minore e, quindi, al diritto di questi a conservare le abitudini di vita (e dunque anche la casa nella quale ha vissuto).

La Corte costituzionale, con sentenza numero 166 del 13.05.1998, ha statuito che l'obbligo di mantenimento che grava sui genitori si sostanzia anche nell'assicurare alla prole l'idoneità della dimora, intesa quale luogo di formazione sviluppo della personalità psico-fisica: l'attuazione di tale dovere non può essere in alcun modo condizionata dalla mancanza del vincolo matrimoniale tra i genitori, poiché la fonte dell'obbligo è rappresentata dalla rapporto di filiazione in sé.

È, dunque, compito dei genitori assicurare il mantenimento della prole, a prescindere dallo status filiationis: viene eliminata qualsiasi disparità di trattamento tra lo status di figlio legittimo e quello di figlio naturale relativamente ai provvedimenti in favore della prole nel caso di cessazione del rapporto (matrimoniale o di fatto).

Con specifico riferimento all'assegnazione della casa familiare, l'articolo 155, quarto comma, attribuisce, anche in rapporti a- matrimoniali, tale diritto al genitore affidatario della prole.

prole, disporre l'affidamento congiunto nonostante i genitori si oppongano ed anche nel caso di forte conflittualità tra questi. La pronuncia è stata però, riformata in grado di Appello.

219 Sul punto, cfr. G.FERRANDO, Convivere senza matrimonio, in F.D. 1998:“Anche nel momento della crisi della

famiglia di fatto, la necessità di dare provvedimento nell'interesse dei figli fa sì che la sua disciplina tende sempre più a modellarsi su quella della separazione del divorzio, almeno per quanto concerne i rapporti tra genitori e figli. In assenza di una disciplina specifica, la dottrina la giurisprudenza hanno elaborato regole operative di soluzione del conflitto tra i genitori relative all'affidamento, all'educazione, al mantenimento, dei figli che, come quelle proprie della separazione e del divorzio, tendono a dare a tali rapporti un assetto unitario e complessivo”.

Sulla scia della sopracitata pronuncia della Corte costituzionale si sono poi succedute numerose pronunce della Cassazione tra le quali appare opportuno ricordare la numero 10.102 del 2004: “...in tema di famiglia di fatto e nelle ipotesi di cessazione della convivenza more

uxorio l'attribuzione giudiziale del diritto di (continuare ad) abitare

nella casa familiare, al convivente cui sono affidati i figli minorenni o che conviva con i figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti per motivi indipendenti dalla loro volontà, è da ritenersi possibile per effetto della sentenza numero 166/1998 della Corte costituzionale, che fa leva sul principio di responsabilità genitoriale, immanente nell'ordinamento e ricavabile dal interpretazione sistematica degli articoli 261 (che parifica doveri diritti del genitore nei confronti dei figli legittimi e di quelli naturali riconosciuti), 147 e 148 (comprendenti il dovere di apprestare un'idonea abitazione per la prole, secondo le proprie sostanze e capacità) c.c., in correlazione all'articolo 30 Cost. Tale diritto è attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente), qualora ne sussistano i presupposti di legge, con giudizio di carattere discrezionale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità se logicamente ed adeguatamente motivato, tale da comprimere temporaneamente, fino al raggiungimento della maggiore età o dell'indipendenza economica dei figli, il diritto di proprietà o di godimento di cui si è titolare o contitolare l'altro genitore in vista nell'esclusivo interesse della prole alla conservazione per quanto possibile dell'habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori”.

Il principio di responsabilità genitoriale così come previsto dalla nuova disciplina sull'affido condiviso (art.155 quinquies) non viene, dunque, meno con la maggiore età della prole, ma permane fino al raggiungimento dell'autonomia economica.

La disciplina introdotta dalla legge sull'affido condiviso, la numero 54 dell'8.02.2006, ha quindi disposto nel senso che le norme da adottare nei riguardi della prole in caso di separazione dei genitori siano da estendere anche ai figli nati da una coppia di fatto. La

conseguenza più rilevante è che ora la prole, in via generale, è affidata ad entrambi i genitori, e scompare di conseguenza la vecchia disposizione che prevedeva che l'abitazione fosse assegnata al genitore affidatario e che il godimento della stessa abitazione fosse subordinato alla valutazione prioritaria dell'interesse dei figli.

Quanto al dovere di mantenimento, che grava su entrambi i genitori, trova applicazione “la stessa disciplina prevista per i genitori legittimi dato che, il genitore naturale assume tutti i diritti e i doveri prescritti dagli articoli 147 e 148 c.c., a prescindere dalla sussistenza del rapporto coniugale (Trib.Roma13.12.1993, DFP,1994,1059)220.

La tutela del diritto al mantenimento garantita dall'articolo 155 c.c. si estende alle coppie non coniugate e, così, le controversie riguardanti il mantenimento del figlio nato all'interno di una coppia di fatto spettano alla competenza del giudice ordinario.