72
Peppo Bianchessi, “Ikehacks: le 20 meilleures minutes“, 2012
Stampa digitale, acquerello e china su carta Fabriano Rosaspina, cm 20x20
co della Ferragni è di giovanissimi è del tutto sbagliato. Quei ragazzini sono gli adulti di do- mani, che idea avranno del design? La vecchia e cara forma-funzione sarà ancora sufficiente a soddisfare la multidimensionalità richiesta dalla Comunicazione?
E il Marketing, che utilizza le diverse modalità della Comunicazione, quando travalica i limiti dell’invenzione di nuovi strumenti di vendita, per spingersi ad affrescare filosofie di vita de- gli altri, diventa del tutto insopportabile e im- probabile. E’ vero, è una disciplina pervasiva che più di altre deve affrontare un’economia globale sempre più smaterializzata, differen- ziata, lontana culturalmente, socialmente e produttivamente dai nostri valori tradizionali, e che in aggiunta, deve avvalersi sempre più della rete, mezzo immateriale per eccellenza che annulla tutte le differenze. Per queste ra- gioni molti “marchettari” affermano che or- mai il prodotto conta sempre meno rispetto il brand, e quindi giù a picchiare sul brand che in effetti è omogeneo sia alla Rete, sia alla Co- municazione.
Però, a mio parere, se il brand non è sorretto da prodotti di design davvero innovativi e di qualità, da strutture distributive efficienti, e da un Marketing operativo altrettanto efficace, non avrà il successo atteso. Il solo brand come religione officiata dal Marketing ha l’effetto di produrre vittorie di breve periodo. Perché alla lunga i fedeli sanno riconoscere le differenze di qualità tra un buon prodotto di design e uno mediocre. E’ sempre più evidente nella pro- duzione del design italiano, una sorta di livello medio piuttosto alto, al quale corrisponde la
mancanza di punte eclatanti, salvo le solite poche aziende che tirano la volata alle altre. Un aspetto questo che permette di mante- nere alta la leadership del design italiano in alcuni settori di nicchia come la casa, ma che, o prima o poi, dovrà affrontare l’impatto delle modalità proprie delle macro aree di mercato. Il design dopo la sua prima fase fondativa, si è storicamente consolidato come cultura delle socialdemocrazie del nord Europa, come cul- tura della classe media.
Anche in Italia la sua ribalta si accende a par- tire tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 con la nuova classe media nata a ridosso del miracolo economico e con l’avvento della de- mocrazia nata dopo la fine della guerra. A distanza di mezzo secolo stiamo assistendo alla progressiva proletarizzazione della classe media. A questo processo economico e socia- le corrispondono nel design due fenomeni in un certo senso complementari: da una parte l’identificazione a livello internazionale del de- sign italiano con il superlusso spesso pacchia- no dei nuovi ricchi, e dall’altra l’espansione di Ikea a livello di massa.
Una morsa nella quale il design italiano rischia di perdersi, e rispetto la quale sembra veritie- ra la considerazione di Mario Bellini, che in un editoriale su Domus di alcuni anni fa scrisse, che molto probabilmente il Design Italiano sarà in futuro ricordato come un fenomeno particolare della cultura italiana, compreso in qualche decennio della seconda metà del no- vecento. Una previsione difficile da condivide- re, ma non liquidabile con la sola speranza che ciò non avvenga
_
75 C ono sc o E nz o Mari da quando , allor a v ent enne , ho imp ar at o a pr og ett ar e la vor
ando nel suo s
tudio . Ci t ene vo ad a ver e un suo c ontribut o per il libr o e mi ha dat o que st o dis egno da pubblic ar e: un uomo c on il p ar aoc chi ed il mor so . AR Enzo Mari Designer
77
I confini del design, nella vita contemporanea, non esistono. Perché la stessa essenza del design è definibile solo come un’intenzione
esplorativa e pervasiva, un tentativo di sovver-
tire (trasformare, adattare, piegare a vantag- gio di chi lo impiega o lo utilizza) lo scenario, le contraddizioni e le condizioni circostanti attraverso idee, tecniche e visioni.
Per tante buone ragioni quando si affronta una riflessione sul design (e io qui mi esprimo dal mio punto di osservazione, cioè quello del visual designer) si prende in considerazione spesso solo l’efficacia nei mondi applicativi dove l’intervento è stato spinto da una “stra- tegia”, cioè da un’intenzione di cambiamento pianificata.
Il Design, pertanto, si configura come un pro- getto-azione per raggiungere un obiettivo che è l’alterazione della realtà precedente, superando il retroterra generale acquisito e le conoscenze consolidate fino a quel punto; un’azione che si manifesta come senso pro- gressivo dell’intelligenza umana e delle rispo- ste ai bisogni, non solo materiali.
Il Design emerge nelle nostre abitudini quo- tidiane e ci accorgiamo di esso quando ci avverte del superamento di una forma prece- dente: dal packaging di un alimento alla scoc- ca di una seduta ergonomica, dall’interfaccia
del nostro nuovo smartphone alla segnaletica di un ospedale, dalla forma di un nuovo farma- co fino alla struttura distributiva delle infor- mazioni.
E se il Design non si afferma come un’inten- zione strategica, corroborata da aspetti com- posti anche da astuzia e intelligenza specula- tiva, non è mai design o, almeno, non lo è mai “abbastanza”: forse è questa la soglia che mi preme qui sottolineare, perché spiega sia il va- lore intrinseco sia quello più esplicito del desi- gn nella nostra vita. Se un artefatto non è utile, l’alterazione non viene portata a compimento; e se il design non è strategico, cioè proiettato in avanti, semplicemente “non è”.
Al debutto del secolo scorso il dibattito tra Arte e Tecnica, tra Invenzione e Meccanica, tra Espressione artistica e Arte applicata, si alimentava dell’inarrestabile oscillazione della società umana, che iniziava a scoprire il richiamo dei consumi di massa: quel dibat- tito teorico ha sentenziato che le separazioni disciplinari e filosofiche erano già state supe- rate, nella vita vissuta, dall’apparizione di una disciplina connettiva tra industria, mercato, arte e tecnica.
Per affrontare il senso delle invenzioni e le ne- cessità produttive il Design si è messo così “al servizio delle trasformazioni economiche e