• Non ci sono risultati.

Il trattamento dell'osteoporosi si avvale prevalentemente di farmaci cosiddetti

"anti-riassorbitivi", in quanto agiscono diminuendo o bloccando l'erosione dell'osso

mediata dagli osteoclasti e con questo meccanismo sono in grado di ridurre considerevolmente il rischio di fratture patologiche. A questa classe di farmaci

appartengono: i bifosfonati, distinti in bifosfonati non azotati (clodronato ed

etidonato) e aminobifosfonati (alendronato, risedronato, ibandronato, pamidronato e acido zoledronico).

Bifosfonati

I bifosfonati (detti anche bis-fosfonati o difosfonati) sono una classe di farmaci in grado di inibire il riassorbimento osseo. Il nome di tale gruppo deriva dai due gruppi fosfonati che li caratterizzano a livello molecolare.I bifosfonati vennero sviluppati nel XIX secolo ma fu solamente negli anni sessanta del Novecento che vennero studiati in relazione alle patologie del metabolismo osseo. La ragione per il loro utilizzo sugli esseri umani si basava sulla loro capacità d’impedire la dissoluzione dei cristalli di idrossiapatite, il principale costituente minerale dell’osso. Negli anni novanta si riscontrò che il meccanismo d’azione di tali farmaci era, in realtà, a livello cellulare.

I bifosfonati sono derivati del pirofosfato a cui il ponte P-O-P è stato sostituito con un ponte P-C-P non idrolizzabile.

A questo ponte sono collegate due catene laterali:

-la catena laterale lunga determina le proprietà chimiche, la modalità d’azione e la potenza del farmaco,

-la catena laterale corta è responsabile delle proprietà chimiche e della farmacocinetica del composto.

Importante è la suddivisione da un punto di vista chimico dei bifosfonati a seconda dell'assenza o della presenza di un atomo di azoto nella formula di struttura rispettivamente in bifosfonati non azotati ed in bifosfonati azotati (Vedi figura n.6). In particolare, tra questi ultimi si ricordano i cosiddetti

aminobifosfonati che hanno l'atomo di azoto in un gruppo amminico.

Figura 6 Struttura chimica di un bifosfonato: si possono notare i due gruppi fosfato e

le due catene laterali

Per i bifosfonati somministrati per via orale meno dell'1% della dose utilizzata è assorbita. Sulla base di ciò, ad esempio la somministrazione di ibandronato alla

dose di 150mg per bocca 1 volta al mese, equivale alla dose di 3mg per via endovenosa ogni tre mesi.

L’assorbimento a livello gastrointestinale dei bifosfonati risente notevolmente dell’assunzione contemporanea di cibo (in particolare di alimenti contenenti calcio), per cui è consigliabile l'assunzione a stomaco vuoto assieme a 1 o 2 bicchieri d’acqua.

Orientativamente, metà della dose assorbita viene escreta in forma immodificata nelle urine. Il rimanente si lega fortemente ai cristalli di idrossiapatite, soprattutto nelle aree di rimodellamento, da cui viene allontanato in un periodo di mesi od anni

(17;18).

Meccanismo d’azione:

L'esatto meccanismo d'azione dei bifosfonati è ancora sotto studio nei laboratori di ricerca, ma alcuni dettagli molecolari sono stati delucidati.

I bifosfonati appaiono in grado di aumentare la densità ossea tramite l'inibizione dell'azione degli osteoclasti, principale bersaglio di tali farmaci. In seguito all'attivazione dell'osteoclasto e alla conseguente dissoluzione dell'idrossiapatite, si determina la liberazione dei bifosfonati precedentemente "seppelliti" nella matrice ossea e legati ai sali di calcio dell'osso. Una volta liberato dalla matrice ossea, il farmaco viene a contatto con gli osteoclasti di cui inibisce l'azione.

I meccanismi dietro ad un tale fenomeno sembrano essere differenti a seconda dei diversi tipi di bifosfonati, contenenti o non contenenti azoto:

i bifosfonati che non contengono azoto vengono metabolizzati, a livello cellulare, in un composto in grado di competere con l'adenosina trifosfato (ATP), responsabile del metabolismo energetico della cellula, presentandosi come analoghi non idrolizzabili (pseudo-pirofosfati). A seguito di ciò l'osteoclasto va incontro ad esaurimento energetico e conseguente apoptosi.

I bifosfonati contenenti azoto sono in grado di bloccare l'enzima farnesilpirofosfato sintasi, facente parte della via metabolica dell'acido mevalonico. Il blocco di tale via fa sì che non vengano sintetizzati alcuni metaboliti (farnesil pirofosfato e geranil pirofosfato) essenziali per consentire la modificazione post-traduzionale (chiamata prenilazione) delle piccole proteine G (small G proteins), come il proto- oncogene H-Ras ed il regolatore citoscheletrico Rho A. Senza "coda" prenilica, Ras e le proteine analoghe non possono ancorarsi alla membrana cellulare per stimolare le chinasi attivate dai mitogeni (Mitogechelln-Activated protein Kinases; MAPKs). Tutto ciò interferisce nella trasmissione dei segnali cellulari richiesti per la proliferazione, comportando alterazioni morfologiche fino alla morte per apoptosi (17;18).

In via collaterale, uno studio sperimentale ha mostrato che tra i geni che vengono soppressi dal trattamento con alendronato vi sono un regolatore della proteina tubulina, la chinasi attivatrice della fase S (ASK) e l'isoforma zeta della chinasi calcio/lipide-dipendente (PKC), tutti geni necessari alla progressione del ciclo cellulare (19).

Un altro studio più recente, però, ha dimostrato che i bifosfonati azotati modulano la funzione degli osteoclasti attraverso un meccanismo diverso dall'interferenza con le proteine G. Essi potrebbero, infatti, inibire il segnale intracellulare mediato dalla tirosina chinasi proto-oncogenica c-Src e la corrispettiva fosfotirosina fosfatasi osteoclastica, PTP-PEST, entrambe richieste per la formazione delle rosette cellulari che aggrediscono la matrice ossea (20).

Indicazioni cliniche:

I bifosfonati vengono utilizzati per il trattamento dell’osteoporosi(6), dell’osteite deformante (malattia ossea di Paget), delle metastasi ossee derivanti da tumori della prostata, della mammella e dal mieloma multiplo. Svolgono inoltre un ruolo importante nella prevenzione dell’osteoporosi indotta dall’uso cronico di corticosteroidi (20).

La modalità di somministrazione dei bifosfonati è solitamente per via orale (alendronato, risedronato e ibandronato), endovenosa (ibandronato, zoledronato e clodronato) o intramuscolare (neridronato e clodronato). L’effetto clinico è evidente entro pochi giorni dalla somministrazione a seconda del tipo di farmaco utilizzato, dal dosaggio e dalla via di somministrazione (22).

Per un'azione ottimale di questi farmaci, è necessaria un' adeguata quantità di calcio e vitamina D nell’organismo in modo che possa essere promosso uno sviluppo osseo normale. Per tale motivo prima di iniziare la terapia dovrebbe essere corretta un’eventuale ipocalcemia.

I quattro bifosfonati approvati dalla US Food and Drug Administration (FDA) sono alendronato, risedronato, ibandronato e zoledronato. Essi differiscono nella loro affinità di legame per l'osso e nelle loro proprietà di riassorbimento osseo (23). Lo zoledronato ha la più alta affinità di legame al tessuto osseo, seguito da alendronato, ibandronato e risedronato. La potenza di ogni agente dipende dalla sua inibizione dell’enzima farnesilpirofosfato sintasi, che è maggiore per zoledronato seguita da risedronato, ibandronato, e alendronato.

Esistono alcune differenze tra i vari farmaci appartenenti alla classe dei bifosfonati. L’alendronato, il risedronato, l’ibandronato, lo zoledronato e il neridronato essendo aminobifosfonati svolgono un’azione inibitoria sugli osteoclasti. Il clodronato, invece è un bifosfonato non azotato e il suo meccanismo d’azione consiste nel portare ad apoptosi e conseguente morte gli osteoclasti.

L’etidronato ed il clodronato nelle donne in menopausa aumentano la densità vertebrale e mantengono stabile quella a livello del collo femorale. Il clodronato si è dimostrato efficace nel ridurre le fratture cliniche alla dose di 800 mg/die per os. Il dosaggio più comunemente utilizzato in Italia è di 100 mg/settimana i.m.. Assumendo un assorbimento intestinale del clodronato pari al 2% questo dosaggio sarebbe equivalente a quello con comprovata attività anti-fratturativa, anche se mancano studi comparativi fra forma orale e intramuscolo rispetto agli incrementi della BMD ed alla riduzione del turnover che confermano tali presupposti farmacocinetici. Il dosaggio utilizzato e raccomandato di etidronato è sempre stato

sub-ottimale per evitare difetti di mineralizzazione ossea. Etidronato e clodronato rappresentano, quindi, farmaci di seconda scelta che hanno trovato utilizzo specie nella prevenzione primaria per il loro minor costo.

L’alendronato e il risedronato sono in grado di aumentare la densità ossea vertebrale in 3 anni rispettivamente del 10% e 6%. Entrambi hanno un’ampia documentazione di efficacia per la prevenzione delle fratture vertebrali e non vertebrali (incluse quelle di femore) ridotte di circa il 40-50% in 3 anni. L’alendronato risulta maggiormente indicato per le fratture vertebrali, mentre il risedronato per quelle femorali. Entrambi, inoltre, si sono confermati efficaci anche nel ridurre le fratture vertebrali nell’osteoporosi cortisonica. L’ibandronato è stato registrato sulla base di studi condotti utilizzando un dosaggio di 2.5 mg/die. A questo dosaggio il farmaco è efficace nel ridurre solo il rischio di fratture vertebrali. L’ibandronato è stato tuttavia successivamente commercializzato ad un dosaggio di 150 mg/mese o 3 mg I.V./ 3 mesi, ovvero a dosaggi cumulativo-biodisponibili doppi rispetto a quelli utilizzati negli studi registrativi. Questo dosaggio si è rivelato in grado di ridurre il rischio di fratture non-vertebrali quando raffrontato a 2.5 mg/die/os. Lo zoledronato (5 mg/i.v./anno) è stato registrato per il trattamento dell’osteoporosi sulla base di uno studio che documenta in maniera chiara un effetto sul rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e di femore. In uno studio ancillare il farmaco si è dimostrato in grado di ridurre il rischio di nuove fratture cliniche quando somministrato due settimane dopo una frattura di femore. Con

zoledronato è stata dimostrata, per la prima volta, una riduzione della mortalità globale. Questo farmaco,inoltre,risulta essere quello maggiormente utilizzato in caso di ipercalcemia da metastasi ossee (TIH,tumor induced Hypercalcemia).

Alendronato, risedronato e zoledronato sono stati registrati per il trattamento dell’osteoporosi maschile.

Il Neridronato è l’unico bisfosfonato indicato per il trattamento dell’Osteogenesi Imperfetta. Appare legittimo assimilare all’Osteogenesi Imperfetta ogni forma di osteoporosi idiopatica ad esordio giovanile senza dover far ricorso a costosissimi e poco accessibili valutazioni genetiche.

Il clodronato possiede una particolare caratteristica utile in alcune circostanze cliniche: presenta infatti un marcato effetto analgesico e anti-infiammatorio. L'efficacia analgesica del Clodronato è dimostrata in uno studio che ha evidenziato effetti anti-infiammatori e analgesici maggiori a 3 grammi al giorno di paracetamolo e, contrariamente agli aminobifosfonati, produce una considerevole riduzione dei marcatori dell'infiammazione come IL-1β, IL- 6, e TNF-alfa (l'effetto anti- infiammatorio è dovuto a questo meccanismo). Inoltre è stato proposto il suo utilizzo nel trattamento di artrite reumatoide, dolore da fratture vertebrali, sindrome algodistrofica e altre patologie caratterizzate da dolore di origine infiammatorio-degenerativo (7).

Effetti collaterali:

- Fratture sub-trocanteriche (o stress-fracture): in pazienti in trattamento da anni con bisfosfonati è stata segnalata la comparsa di fratture atipiche (trasversali) sub- trocanteriche femorali.

- Osteonecrosi delle ossa del cavo orale (ONJ): la terapia con bisfosfonati per malattie maligne (ad esempio per metastasi ossee e ipercalcemia maligne) a dosi decine di volte superiori a quelle utilizzate per la terapia dell’osteoporosi, si associa ad un aumentato rischio (sino al 1%) di sviluppo di una sindrome definita osteonecrosi delle ossa del cavo orale (Osteonecrosis of the jaw: ONJ) (24). In realtà è stato successivamente osservato trattarsi di una osteomielite quasi sempre legata ad una infezione da Actinomiceti. Questo effetto collaterale dei bisfosfonati si verifica molto più raramente in pazienti in trattamento per l’osteoporosi con un rischio aumentato in concomitanza ad interventi sul cavo orale con esposizione del tessuto osseo. Una regolare igiene orale in questi pazienti è una efficace e sufficiente misura di prevenzione dell’ ONJ. Tuttavia, qualora si rendesse necessario un intervento odontoiatrico invasivo di qualsiasi natura, deve essere consigliato l’utilizzo di antisettici locali e antibiotici (es: amoxicillina-ac.clavulanico e metronidazolo) nei giorni antecedenti l’intervento e nei 5-6 giorni successivi. Una breve sospensione del bisfosfonato (per esempio 2 settimane prima e 2 settimane dopo l’intervento) è probabilmente non necessaria, ma comunque ininfluente sull’esito della terapia per l’osteoporosi. La SIOMMMS e l’ANDI (Associazione

Nazionale Dentisti Italiani) hanno definito un documento di consenso “Raccomandazioni relative all’osteonecrosi della mascella/mandibola associata a terapia con bisfosfonati in pazienti con osteoporosi”, che è stato sottoscritto da varie Società Scientifiche.

-Tollerabilità gastro-intestinale: gli amino-bisfosfonati (ma non clodronato ed etidronato) quando assunti per os possono causare erosioni esofagee anche severe. La disponibilità di formulazioni a dosaggio settimanale o mensile, accanto alla stretta osservanza delle norme di assunzione del farmaco,ha ridotto drasticamente l’incidenza di questi effetti collaterali.

-Risposta di fase acuta: la somministrazione di amino-bisfosfonati i.v. (ma anche di bisfosfonati orali a dosi elevate) si può associare ad un quadro clinico simil- influenzale della durata di 1-3 giorni e caratterizzato da febbre e dolori muscolo- scheletrici diffusi. Questi episodi sono più frequenti e severi dopo la prima somministrazione del farmaco. Nei rari casi in cui la sindrome è molto più accentuata e protratta può essere consigliabile per 2-3 giorni la terapia steroidea.

-Raramente i bifosfonati possono determinare la comparsa di disturbi oculari: congiuntivite, uveite, sclerite, episclerite, fotofobia, dolore o anomalie nella visione. In tali casi è bene rivolgersi ad un oftalmologo e valutare la sospensione del farmaco (necessaria in caso di sclerite).

-Neurologici: raramente possono dare disturbi visivi, capogiro e vertigine, disgeusia (alterazioni del senso del gusto), allucinazioni uditive sono state segnalate in corso di trattamento con acido alendronico, così come con altri bifosfonati (7).

-Per via endovenosa, i bifosfonati sono stati associati anche a casi di insufficienza renale, sindrome nefrotica (dovute spesso ad un’infusione troppo rapida), nonché ad alterazioni elettrolitiche (soprattutto ipocalcemia). Zoledronato viene eliminato per via renale, di conseguenza la sua somministrazione non è raccomandata in soggetti con ridotta funzionalità renale o malattie renali. In letteratura medica sono stati segnalati casi di insufficienza renale acuta che ha richiesto la dialisi, talvolta con esito fatale, a seguito dell'utilizzo del farmaco (25). Queste segnalazioni sono state confermate dalla Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), il cui comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) ha introdotto nuove controindicazioni per l'utilizzo del farmaco a partire dal dicembre 2011. Nel novembre 2012 Novartis in ottemperanza a quanto richiesto dall'Ufficio di Farmacovigilanza dell'AIFA ha inviato ai medici del materiale educazionale per il medico e per il paziente contenente il riassunto delle caratteristiche del prodotto di zolendronato, ricordando in particolare la nuova controindicazione rappresentata dalla ipocalcemia e la grave compromissione renale (clearance della creatinina < 35ml/min).

La contemporanea assunzione di antiacidi, di calcio, di ferro, o comunque di farmaci o alimenti ricchi di cationi bivalenti può limitare l’assorbimento dei bifosfonati che si somministrano per via orale. L’associazione con gli antibiotici aminoglicosidici può aumentare il rischio di nefrotossicità.

Fra i farmaci che hanno azione antiriassorbitiva recentemente è stato introdotto un nuovo farmaco con meccanismo d’azione completamente diverso: il Denosumab.

DENOSUMAB

Il Denosumab appartiene alla classe dei farmaci anti-riassorbitivi biotecnologici (anticorpi monoclonali, farmaci "biologici"). Questo è il primo anticorpo monoclonale umano della specie degli inibitori del RANK ligando. Il denosumab agisce complessando il RANKL (RANK Ligand), proteina che agisce come segnale nella promozione della rimozione ossea legandosi al recettore RANK. In numerose condizioni in cui compare perdita di massa ossea, vi è uno squilibrio tra il RANKL (attivatore osteoclastico), che risulta aumentato, e l'OPG, o osteoprotegerina (inibitore osteoclastico). Il denosumab lega il complesso RANKL, impedendo che questo si aggreghi al recettore RANK posto sopra gli osteoclasti, inibendo in tal modo il segnale per attivare l'osteoclasta: questo si traduce in un'inibizione dell'osteoclasta, inibendone il reclutamento, la maturazione e la sopravvivenza. La sua somministrazione sotto-cute comporta l’abbattimento quasi completo prima del riassorbimento osseo osteoclastico e poi dell’ attività

neoformativa. Si tratta, quindi, di un anti-riassorbitivo che si associa a risultati molto simili a quelli osservati con i bisfosfonati.

Le differenze più rilevanti rispetto a questi ultimi sono:

- l’effetto che cessa immediatamente alla scomparsa dal circolo del farmaco;

- l’effetto che è molto più selettivo per cui non sono attesi effetti su altri organi od apparati;

- l’azione uniforme su tutte le strutture scheletriche a prescindere dal turnover osseo che si traduce in una maggior attività farmacologica a carico dell’osso corticale.

Gli studi registrativi sono stati condotti utilizzando 60 mg di denosumab sotto-cute ogni 6 mesi. Questa dose garantisce la soppressione quasi totale del turnover osseo anche se dopo 1-2 anni esso tende a rinormalizzarsi in prossimità del sesto mese. Gli incrementi densitometrici sono superiori a quelli osservati con i più potenti bisfosfonati, specie a carico delle strutture ossee corticali. L’efficacia anti- fratturativa è stata documentata per vertebre (-67%) e femore (-40%) ed in generale per siti non-vertebrali (7). Le controindicazioni all’uso del Denosumab sono l’ipocalcemia e l’ipersensibilità al principio attivo o ai suoi eccipienti. Il farmaco è in generale ben tollerato. Tra gli effetti collaterali riportati in scheda tecnica i più frequenti sono: ipocalcemia, infezioni cutanee, osteonecrosi del mascellare (ONJ) e fratture atipiche (vedi bifosfonati). Inoltre recentemente è stato segnalato anche un possibile rialzo delle transaminasi. Per tali motivi è opportuno monitorizzare il

paziente in trattamento con Denosumab con esami ematici, quali dosaggio di calcio, fosforo, transaminasi, vitamina D e paratormone. Sulla base di uno studio registrativo con evidenza di efficacia anti-fratturativa, denosumab è stato anche registrato per la terapia dell’osteoporosi da deprivazione androgenica per il trattamento del carcinoma prostatico (7). Ad oggi il Denosumab è prescrivibile in nota 79 al pari degli altri farmaci antiriassorbitivi, previa compilazione di piano terapeutico. Nel settembre del 2011 l'FDA ha approvato due nuove indicazioni per il Denosumab:

-È indicato per l'aumentare la massa ossea in donne ad alto rischio di frattura che ricevono terapia adiuvante con inibitori dell’aromatasi per il tumore della mammella;

-È indicato per l'aumentare la massa ossea negli uomini che sono ad alto rischio di frattura e sono sottoposti a terapia di deprivazione androgenica cancro alla prostata non metastatico.

Documenti correlati