• Non ci sono risultati.

Fratture femorali atipiche : studio radiologico retrospettivo su oltre 400 fratture femorali

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Fratture femorali atipiche : studio radiologico retrospettivo su oltre 400 fratture femorali"

Copied!
98
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Direttore Prof. Paolo Miccoli

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Direttore Prof. Giulio Guido

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA

“Fratture Atipiche di femore: studio clinico-radiografico retrospettivo

su oltre 400 fratture femorali”

RELATORE

CHIAR. MO PROF

Giulio Guido

_____________________

CANDIDATO

Barbara Mugellini

___________________

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

(2)
(3)

INDICE

1. Introduzione

pag. 3

2.Osteoporosi e fratture da fragilità

pag. 5

a. Classificazione

b. Epidemiologia

c. Diagnosi

d. Fratture di femore

3.Terapia dell’osteoporosi

pag. 29

a. Farmaci anti-riassorbitivi

b. Denosumab

c. Farmaci metabolici

d. Terapia ormonale sostitutiva

e. Modulatori selettivi dei recettori estrogenici

f. Dual-action bone agent (DABA)

g. Farmaci attualmente in studio

4.Fratture Atipiche

pag. 51

a. Definizione

b. Epidemiologia

c. Patogenesi

(4)

d. Clinica e diagnosi

e. Trattamento

5. Materiali e Metodi

pag. 67

6. Risultati

pag. 69

(5)

Introduzione

Le fratture atipiche di femore, come definite dalla Task Force dell'ASBMR, sono fratture sottotrocanteriche o diafisarie che si verificano per traumi minori o spontaneamente, che possono essere associate ad una prolungata terapia con bifosfonati e che rispettano precise caratteristiche RX. Attualmente risulta difficile definirne la reale incidenza, in quanto i dati vengono estrapolati da studi retrospettivi e non esiste un codice ICD9 identificativo per tale patologia. Sono state analizzate 416 (308 femmine e 108 maschi,età media 83.3) RX di fratture femorali di pazienti che hanno avuto accesso al Pronto Soccorso della Clinica di Ortopedia e Traumatologia II dell’Università di Pisa da gennaio 2011 a febbraio 2013. Le fratture mediali di femore sono state 60 (46 femmine e 14 maschi,età media 86.6), le laterali sono state 316 (237 femmine e 79 maschi,età media 86.6) e le sottotrocanteriche e diafisarie sono state 40 ( 29 femmine e 11 maschi,età media 81.6). Tra tutti questi casi solo tre fratture, tutte in pazienti di sesso femminile, rispettavano i criteri maggiori per la definizione di frattura atipica. In realtà, dalla valutazione anamnestica, una si è rivelata essere una frattura patologica. Nel caso delle due fratture, diagnosticate come fratture atipiche, era presente un'associazione con bifosfonati; entrambe le pazienti sono state indagate da un punto di vista sia clinico, sia ematologico, che densitometrico e radiografico del femore controlaterale e in un caso è stato eseguito anche l'esame SPECT-TC.

(6)

Dalla revisione della Letteratura emerge che l’incidenza delle fratture atipiche è dello 0.4% considerando però tutte le fratture di femore. Tuttavia, dal nostro studio si evince che, prendendo in considerazione solo i siti di frattura che rispettano i criteri della definizione della Task Force dell'ASBMR per le fratture atipiche, la percentuale sale al 5% (2 su 40). Alla luce dei risultati della nostra revisione, emerge che le fratture atipiche, seppur rare, sono verosimilmente più frequenti di quanto riportato in Letteratura. Quindi, data l'alta frequenza di utilizzo dei bifosfonati nella terapia dell'osteoporosi, che sono uno dei fattori di rischio maggiori per l'insorgenza delle fratture atipiche, è necessario che per i pazienti trattati con questo tipo di farmaci venga effettuato un attento follow-up e soprattutto venga valutato il rischio fratturativo al momento della prescrizione di terapia con bifosfonati per lunghi periodi ( ≥ a 5 anni).

(7)

OSTEOPOROSI E FRATTURE DA FRAGILITA’ OSSEA

La fragilità ossea rappresenta una particolare suscettibilità delle ossa alle fratture, anche per traumi lievi, dovuta ad un'alterazione dei processi di formazione dei tessuti ossei, che coinvolge soprattutto la componente proteica. La causa principale è rappresentata dall’osteoporosi.

L’osteoporosi si definisce come “una malattia sistemica dello scheletro, caratterizzata da ridotta massa minerale e deterioramento micro strutturale del tessuto osseo,con conseguente aumento della fragilità dell’osso e maggior rischio di fratture”. (OMS 1994)

La manifestazione più eclatante della malattia osteoporotica è la frattura da fragilità, o “low force fracture “, cioè una frattura che deriva da un evento traumatico a bassa energia (come il cadere dalla posizione eretta) che non danneggerebbe un osso normale. Questo tipo di fratture possono interessare tutto lo scheletro, ma le sedi più frequenti sono il femore, il rachide, il polso e il terzo prossimale dell’omero. I rischi principali di subire una frattura sono rappresentati da una precedente frattura da fragilità, dall’aumentare dell’età, dalla bassa densità minerale ossea, dal basso peso corporeo, da una storia familiare di fratture osteoporotiche, dall’uso di glucocorticoidi e dal fumo.

L’osteoporosi,quindi è una patologia dell’osso, il quale rappresenta un tessuto

(8)

una componente cellulare, che svolge diverse funzioni essenziali: metaboliche, meccanica e di sostegno. La matrice extracellulare del tessuto osseo è formata per il 40% da componenti organiche (collagene, proteoglicani, proteine non collageniche, fattori di crescita e citochine ) e per il 60% da componenti inorganiche (fosfato di calcio). L’osso, quindi, è un tessuto duro per l’elevato contenuto in minerali e nel contempo elastico grazie alla presenza di fibre collagene. La componente cellulare è invece costituita dagli osteoblasti che sono responsabili della formazione della matrice ossea, dagli osteoclasti con azione di riassorbimento e dagli osteociti, cellule mature di derivazione osteoblastica che rappresentano il 90% della quota cellulare ossea. L’osso è formato da uno strato esterno denso e compatto di tessuto calcificato, la corticale che rappresenta l’80% dello scheletro, mentre la restante quota è costituita dalla spongiosa, una struttura costituita da trabecole verticali e orizzontali. Nel soggetto adulto la massa ossea e la sua struttura, nonostante il continuo rimodellamento, si mantengono costanti nel tempo; questo è legato ad un coordinato equilibrio che si instaura fra i processi di riassorbimento e quelli di formazione ed è quindi indispensabile un preciso accoppiamento dei due fenomeni. Infatti, nel caso in cui la demolizione fosse superiore alla neoapposizione, la massa ossea andrebbe progressivamente riducendosi. Lo sviluppo della massa ossea è determinato da una combinazione di fattori genetici, nutrizionali ed ormonali, per questo sono molto importanti per la diagnosi e la prevenzione dell’osteoporosi le considerazioni che riguardano la dieta, lo stile di vita, le abitudini voluttuarie che possono orientare verso l’identificazione di un aumentato rischio di fratture. Inoltre,

(9)

la perdita di massa ossea colpisce principalmente il tessuto trabecolare dello scheletro assiale in quanto è proprio questa la componente metabolicamente più attiva (1)

Figura 1 Rarefazione delle trabecole ossee in caso di osteoporosi (immagine a

(10)

CLASSIFICAZIONE

Una tra le classificazioni più utilizzate dell’osteoporosi generalizzata è quella di RIGGS che le distingue in PRIMITIVE e SECONDARIE, dove la primitiva viene legata all’assenza di malattie associate o trattamenti chirurgici e medici che la possono provocare. L’OSTEOPOROSI PRIMITIVA viene ulteriormente suddivisa in :

_ OSTEOPOROSI IDIOPATICA GIOVANILE;

_ OSTEOPOROSI IDIOPATICA NEI GIOVANI ADULTI;

_ OSTEOPOROSI INVOLUTIVA che comprende l’OSTEOPOROSI POST-MENOPAUSALE(TIPO 1), OSTEOPOROSI SENILE( TIPO 2) e l’OSTEOPOROSI associata ad aumento della funzione paratiroidea (TIPO 3).

L’OSTEOPOROSI SECONDARIA è invece sostenuta più frequentemente da patologie endocrine (ipogonadismo,ipercortisolismo,iperparatiroidismo primitivo, iperprolattinemia,tireotossicosi e acromegalia), gastrointestinali (celiachia ed altre patologie con malassorbimento intestinale, malattie infiammatorie croniche intestinali e intolleranza al lattosio), reumatologiche (artrite reumatoide, LES, sclerodermia, osteoartrite), ematologiche (mieloma multiplo, malattie mielo e linfoproliferative croniche), renali (acidosi renale tubulare, insufficienza renale cronica, ipercalciuria idiopatica), tumorali e farmacologiche(glucocorticoidi, metotrexate).

(11)

L’OSTEOPOROSI IDIOPATICA GIOVANILE va distinta dall’osteogenesi imperfetta e da altre forme di osteoporosi, insorge in bambini tra gli 8 e i 15 anni, i quali

presentano fratture multiple ed un lento accrescimento. Si distingue una forma

lieve che si esprime in una malattia fratturativa ed una forma grave caratterizzata

da un coinvolgimento globale dello scheletro sia assiale che appendicolare fino alla deformità ( cifoscoliosi, fratture della gabbia toracica e nei casi più gravi decesso per insufficienza respiratoria). Nelle forme lievi si ha la remissione spontanea della malattia, mentre nelle forme gravi si riscontrano deformità permanenti.

Probabilmente la causa di tale stato va ritrovata in una crescita assoluta del tasso di riassorbimento.

L’OSTEOPOROSI NEI GIOVANI ADULTI è una forma più frequente della precedente la cui causa è correlata ad un aumento del turnover osseo, probabilmente legato ad un aumento della produzione della IL-1 ( interleuchina 1 ) che è uno stimolatore del riassorbimento osseo, al quale viene anche associata una riduzione della formazione ossea. Nelle forme lievi si manifesta con la frattura di una o due vertebre che in caso di ricorrenza si associa ad una perdita di altezza che può arrivare fino a 15 cm. A queste possono associarsi fratture in altri distretti, ma più frequentemente delle coste e dei metatarsi, in quelle gravi si associano fratture unilaterali o bilaterali delle coxofemorali, creando così forme estremamente invalidanti.

(12)

L’OSTEOPOROSI INVOLUTIVA DEL TIPO 1 O POST-MENOPAUSALE colpisce prevalentemente le donne ( altre forme simili di osteoporosi tendono ad interessare più raramente il sesso maschile ) in un periodo compreso tra i 15 e 20 anni dopo la menopausa. Si manifesta più frequentemente con fratture vertebrali, seguite da fratture meta-epifisarie distali di radio ( generalmente tipo Colles). La porzione ossea interessata è quella trabecolare. La base di questa maggiore perdita, tre volte superiore rispetto ai soggetti normali, non risiederebbe solo in un limitato livello di steroidi sessuali che spesso hanno valori simili ai soggetti normali, ma ad altri fattori che si associano ad esso e tuttora non conosciuti; sicuramente, una ridotta

secrezione di paratormone e quindi l’assorbimento di calcio non compenserebbe la perdita ossea.

Nell’OSTEOPOROSI DEL TIPO 2 O SENILE la perdita ossea coinvolge sia la porzione trabecolare che quella corticale. Si manifesta senza distinzione di sesso in età superiori ai 75 anni. Le manifestazioni cliniche più frequenti sono le fratture del collo femorale, mediali e laterali, somatiche vertebrali con deformità a cuneo, seguite da quelle prossimali di omero, di tibia e di bacino. La sua fisiopatologia

viene attribuita ad una ridotta formazione ossea rispetto a quella assorbita che, associata ad un basso assorbimento di calcio a livello intestinale con conseguente iperparatiroidismo secondario, provoca una maggiore perdita ossea.

L’OSTEOPOROSI DEL TIPO 3 è caratterizzata da un aumento sierico dei livelli di paratormone che compensa una ridotta funzione di 25(OH)-D alfa idrossilasi e

(13)

quindi assorbimento di calcio. Si manifesta entro i 20 anni dalla comparsa della menopausa ed è importante il suo riconoscimento in quanto è potenzialmente trattabile tramite la somministrazione di 25(OH)₂D₃ (1).

(14)

EPIDEMIOLOGIA

L’osteoporosi è una malattia di rilevanza sociale e rappresenta un serio problema di salute pubblica in tutti quei Paesi, tra cui l’Italia , in cui si assiste ad un progressivo e crescente invecchiamento della popolazione. L’avanzare dell’età costituisce un’essenziale condizione di perdita della massa ossea sia nei maschi che nelle femmine, nelle quali le manifestazioni sono più precoci. In particolare, una donna trascorre oggi il 40% della propria esistenza in “postmenopausa” e questo stato di

protratta carenza estrogenica induce cospicue perdite di massa ossea. I risultati

dello studio ESOPO (Epidemiological Study On the Prevalence of Osteoporosis) (figura 2), condotto nel 2001, su 16.000 soggetti, da 83 centri specialistici distribuiti in tutto il territorio nazionale, dimostrano che circa il 22.8% delle donne over 40 ed il 14.5% degli uomini over 60 è affetto da osteoporosi. Inoltre circa il 42.3% delle donne ed il 34.3% degli uomini in queste fasce di età presenta osteopenia e quindi un maggiore rischio di incorrere nell’osteoporosi e nelle sue complicanze. E’ stata inoltre osservata in ambedue i sessi una significativa associazione tra osteoporosi e presenza di fratture nella storia clinica individuale. Lo sviluppo di questi dati porta a stimare che attualmente nel nostro Paese circa 3,5 milioni di donne e 1 milione di uomini siano affetti da osteoporosi, mentre oltre 6,5 milioni di femmine e 2 milioni di maschi siano affetti da osteopenia (2).

(15)

Poichè, come i dati epidemiologici dimostrano, le femmine sono colpite dall’osteoporosi circa quattro volte di più dei maschi, anche i rischi e le complicanze fratturative sono diverse.

Figura 2 Prevalenza di osteopenia ed osteoporosi, Studio E.S.O.P.O.

Una ogni 2 donne e uno ogni 8 uomini over 50 avrà nei restanti anni di vita una frattura da fragilità del femore prossimale (F 17,5% ) (M 6% ), della colonna vertebrale ( F15,6% ) (M 5%) e avambraccio distale (F 16% ) (M 2,5%), ed i tassi di incidenza di frattura del femore crescono in modo esponenziale dal 65° anno di età , raddoppiandosi pressappoco ogni 5 anni e superando il valore di oltre 400/10.000 nelle donne over 85 (3). Le conseguenze delle fratture di femore, sia

(16)

sotto l’aspetto della morbilità che sotto quello dell’impatto socio-economico, sono molto pesanti con una mortalità del 15-25% ed una disabilità motoria che colpisce più della metà dei pazienti nel corso dell’anno successivo all’intervento (4). Tra gli

anziani le fratture osteoporotiche costituiscono una delle maggiori cause di morte, con un’incidenza pressoché sovrapponibile a quella degli ictus, del carcinoma mammario e quattro volte superiore a quella del carcinoma dell’endometrio. Inoltre si calcola che nel nostro Paese si verifichino, ogni anno, circa 80.000 fratture di

femore,con un onere economico di oltre 800.000.OOO euro per la sola assistenza

ospedaliera (5;6). Le fratture da fragilità rappresentano,quindi, un serio problema sociale in termini di incidenza, invalidità, mortalità e costi (vedi Figura 3).

(17)

DIAGNOSI

La diagnosi di osteoporosi e del rischio di frattura da fragilità include l’anamnesi, l’esame obiettivo, gli esami di laboratorio, l’esame densitometrico per valutare la densità minerale ossea (BMD) e l’esame radiografico dello scheletro. L’anamnesi prevede la raccolta di informazioni sulla storia clinica del paziente e sulle sue abitudini, soffermandosi soprattutto su quello che può rappresentare un fattore di rischio, come fratture precedenti, storia familiare di osteoporosi o di fratture da fragilità, presenza di patologie o assunzione di farmaci che possono interferire con il metabolismo osseo, alterazione dei valori di calcio e di vitamina D, attività fisica, fumo e nel caso del sesso femminile, la storia mestruale.

Gli esami di laboratorio sono un utile complemento nella diagnostica dell’osteoporosi in quanto consentono la diagnosi differenziale con altre malattie che possono determinare un quadro clinico o densitometrico simile a quello dell’osteoporosi e di individuare possibili fattori causali, consentendo una diagnosi di osteoporosi secondaria (malattie ematologiche, endocrine, gastrointestinali, reumatologiche, renali, tumorali e anche farmaci) e quindi dove possibile un trattamento eziologico (7). Le analisi del sangue si possono distinguere in esami di laboratorio di primo e di secondo livello. Quelli di primo livello sono: l’emocromo completo, la VES, la protidemia frazionata, la calcemia, la fosforemia, la fosfatasi alcalina totale, la creatinemia e la calciuria nelle 24 ore. Gli esami di secondo livello sono: il calcio ionizzato, il TSH per il sospetto di ipertiroidismo, il paratormone

(18)

sierico per l’iperparatiroidismo primario, la 25-OH-vitamina D sierica per l’osteomalacia, la cortisoluria delle 24 ore per il Morbo/Sindrome di Cushing, il testosterone per l’ipogonadismo, anticorpi anti-transglutaminasi per la celiachia e l’immunofissazione sierica ed urinaria per il mieloma multiplo (1).

I segni clinici dell’osteoporosi riguardano principalmente le sue complicanze, cioè le fratture, che possono essere clinicamente evidenti come quella di femore, caratterizzata da un forte dolore e da impotenza funzionale oppure quelli legati alle fratture vertebrali da compressione che decorrono spesso misconosciute, perché il dolore è modesto o attribuito a rachialgia di altra natura. Queste fratture comportano una progressiva cifotizzazione ed una riduzione in altezza ( se di oltre 4 mm è alta la probabilità di trovare una frattura vertebrale), che sono da considerare i segni clinici tipici dell’osteoporosi. La presenza di dolore persistente e focalizzata nelle sedi tipiche di fratture da fragilità è legata al verificarsi di microfratture che possono preludere ad una frattura clinicamente evidente (8).

L’indagine densitometrica consente di misurare in modo abbastanza accurato e preciso la massa ossea ed in particolare la sua densità minerale (Bone Mineral Density o BMD) in g/cm² di superficie ossea proiettata e rimane il miglior predittore del rischio di fratture osteoporotiche. Secondo l’OMS, la diagnosi densitometrica di osteoporosi si basa sulla valutazione con tecnica dual-energy x-ray absorptiometry (DXA) della densità minerale, raffrontata a quella media di soggetti adulti sani dello stesso sesso (picco di massa ossea). L’unità di misura è rappresentata dalla

(19)

deviazione standard dal picco medio di massa ossea (T-score). L’OMS sostiene che nell’interpretare i risultati della BMD bisogna adottare le seguenti definizioni:

1)la BMD normale è definita da un T-score compreso tra +2.5 e -1.0 (la BMD del paziente si colloca cioè tra 2.5DS(deviazione standard) sopra la media e 1DS sotto la media di un giovane adulto sano dello stesso sesso.

2)l’osteopenia (bassa BMD) è definita da un T-score compreso tra -1.0 e -2.5

DS.

3)l’osteoporosi è definita da un T-score inferiore a -2.5 DS.

4)l’osteoporosi conclamata è definita da un T-score inferiore a -2.5 DS e dalla contemporanea presenza di una o più fratture da fragilità.

I siti più frequentemente misurati sono la colonna lombare, il femore prossimale, il radio prossimale e distale, il calcagno e il “total body”. E’ stato osservato che il rischio di frattura inizia ad aumentare in maniera esponenziale con valori densitometrici di T-score <-2.5 DS che, secondo l’OMS, rappresenta la soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi. Per ogni riduzione di una Deviazione Standard (circa il 10% del T-score) il rischio di frattura in ogni sito aumenta di 1,5-3 volte. In generale la misura di un sito stima più accuratamente il rischio di frattura per quello specifico sito anche se sono in grado di predire il rischio di ogni tipo di frattura. Le Linee Guida Internazionali raccomandano l’indagine densitometrica DXA in tutte le donne di età ≥ ai 65 anni. Per le donne di età inferiore, tra i 60 e i 65 anni,

(20)

e per gli uomini l’indagine DXA è raccomandata solo in presenza di determinati fattori di rischio o condizioni come: menopausa precoce (<45 anni), magrezza (<57kg), tabagismo, uso di farmaci osteopenizzanti, e condizioni morbose potenzialmente in grado di provocare osteoporosi ( ad esempio neoplasie) (7).

La radiografia convenzionale è molto utile, perché permette di individuare le fratture, in particolare quelle vertebrali misconosciute clinicamente, ma anche di evidenziare le alterazioni tipiche della struttura scheletrica dovute all’osteoporosi. Queste ultime sono tardive, perché compaiono dopo una riduzione della BMD di circa il 50% e consiste essenzialmente in un assottigliamento delle corticali e in una rarefazione della trama trabecolare(8).

Altre tecniche di diagnostica per immagini possono fornire indicazioni utili per rilevare la presenza di frattura anche se non vi è deformità evidente e per indicare se recenti o meno.

La TC fornisce sia un’immagine ad alta risoluzione della corticale (per es. assottigliamento), sia variazioni della componente trabecolare (per es. rarefazione e distribuzione del volume), quindi permette di scoprire la presenza o meno di frattura, inoltre nel caso di fratture vertebrali ci dà informazioni sulla eventuale dislocazione di frammenti ossei nel canale midollare o sulla presenza di lesioni osteolitiche (metastasi) che abbiano favorito il cedimento strutturale (7).

La RM è l’indagine più accurata per potersi accertare del grado di deformità susseguente al trauma ed inoltre permette di valutare se una lesione è recente o

(21)

pregressa. Risulta molto importante nelle fratture vertebrali da fragilità ossea, quando le fratture interessano più vertebre, in quanto consente di distinguere, attraverso la presenza di alterazioni del segnale in T2 e STIR dovuto all’edema osseo, le fratture recenti da quelle pregresse ed individuare quelle vertebre, ancora non deformate, ma nelle quali può essere imminente il cedimento strutturale(7). Inoltre è in grado di differenziare un crollo benigno da uno maligno (metastasi).

La scintigrafia ossea total body eseguita dopo somministrazione di difosfonati marcati con Tecnezio 99 metastabile è in grado di riconoscere fratture risultate negative all’esame radiografico,alla TC o alla RM in quanto lontane dal campo esplorato; tali fratture saranno apprezzabili come aree ipercaptanti(1). La scintigrafia è importante anche per la diagnosi differenziale tra fratture ossee benigne e patologiche di origine neoplastica ( carcinoma della prostata, mammella, polmone, stomaco, rene e vescica) e anche per identificare la causa di dolore osseo non spiegato con altre indagini.

(22)

FRATTURE DI FEMORE

Tra le fratture da fragilità ossea una delle più frequenti è la frattura di femore. Il femore è l'osso più lungo, resistente e voluminoso dell'apparato scheletrico. Situato nella coscia, esso si unisce in alto all'osso iliaco tramite l'articolazione dell'anca, in basso, invece, si unisce alla tibia e alla patella nell'articolazione del ginocchio. La sua parte intermedia viene detta diafisi (o corpo), la sua estremità superiore, detta anche epifisi prossimale, è formata dalla testa che è collegata all'acetabolo dal cosiddetto legamento rotondo e la sua estremità inferiore è rappresentata

dall’epifisi distale(9).

Le fratture di femore si distinguono in:

- fratture dell’estremo prossimale;

-fratture della diafisi;

-fratture dell’estremo distale;

Fratture dell’estremo prossimale

Le fratture dell’estremo prossimale o fratture del collo di femore sono frequenti nelle persone anziane per caduta sul grande trocantere in osso osteoporotico e sono causate da traumi spesso modesti.

Il paziente affetto da tale frattura accusa vivo dolore all’anca traumatizzata, anche a riposo, ed insufficienza funzionale completa dell’articolazione coxo-femorale. Dal

(23)

lato ispettivo si nota un’alterazione del profilo anatomico della regione trocanterica che appare risalita e più sporgente. L’arto è accorciato ed atteggiato in extrarotazione ed adduzione. La radiografia nelle due proiezioni antero-posteriore ed inguinale chiarirà il tipo di frattura ed orienterà verso il trattamento.

Queste lesioni possono essere divise rispetto alla sede anatomica della rima di frattura in due grandi gruppi: fratture mediali o intracapsulari e fratture laterali o extra-capsulari (vedi figura n.4). Le fratture mediali rispetto al livello anatomico della rima di frattura si dividono in:

1)sottocapitate;

2)trans cervicali o medio cervicali;

3)basi cervicali (cioè alla base del collo);

Le fratture laterali (vedi figura n.4), sempre rispetto al livello anatomico della rima di frattura si dividono in:

1)pertrocanteriche o intertrocanteriche, con rima che decorre dal piccolo al grande trocantere;

(24)

Figura 4 Fratture mediali o intracapsulari e fratture laterali o extracapsulari

Le fratture mediali presentano difficoltà nella guarigione, perché nel trauma possono essere lesi i vasi arteriosi che irrorano la testa femorale o il frammento prossimale può essere irrorato solo dai vasi metafisari, per cui la frattura crea le condizioni per la necrosi ischemica dell’epifisi prossimale. La testa femorale, infatti, è irrorata nella sua porzione intracapsulare dall’arteria arciforme anteriore e dall’arteria arciforme posteriore nettamente più grande e più importante, e dall’arteria del ligamento rotondo che molto spesso dopo i 45 anni, spontaneamente si oblitera. L’irrorazione della testa femorale pertanto è di tipo terminale, perciò la frattura interrompe anche il flusso vascolare dell’epifisi prossimale dai vasi metafisari (10).

(25)

Le fratture mediali, inoltre, per quanto riguarda l’orientamento della rima di frattura vengono divise in :

1)fratture per abduzione ;

2)fratture per adduzione ;

Nelle fratture per abduzione, il prolungamento della rima di frattura forma con la tangente tracciata sull’apice della testa parallela al suolo un angolo inferiore a 50° e ciò rende stabile la riduzione della frattura e facilita la guarigione perché l’asse di carico non forma delle forze di taglio di frattura. Nelle fratture per adduzione, invece, l’angolo è compreso tra 50° e 70° ed inoltre sono estremamente instabili per le forze di taglio che agiscono sui monconi di frattura (Pauwels 1935) (Vedi figura n.5).

(26)

Figura 5 classificazione di Pauwels

Il più recente sistema di classificazione delle fratture del femore è rappresentato dalla classificazione universale AO che suddivide le fratture mediali in 3 gruppi.

Nella classificazione AO le fratture mediali del collo sono catalogate con la sigla 31-B e vengono suddivise in B1, B2, e B3 (11).

- Le fratture 31-B1 comprendono le sottocapitate con nessuno o minimo spostamento, e si dividono in fratture ingranate in valgo >15°, fratture ingranate in valgo < 15° e fratture non ingranate;

- le fratture 31-B2 comprendono le transcervicali e si suddividono in basi cervicali, medio cervicale con adduzione e medio cervicale da taglio;

(27)

- le fratture 31-B3 sono quelle sottocapitate con spostamento e ne fanno parte le fratture scomposte in varo, le fratture scomposte con traslazione dei frammenti, e quelle con grave scomposizione dei frammenti.

Per le fratture laterali il sistema di classificazione AO distingue tre varietà (12):

- 31-A1 che rappresenta le fratture pertrocanteriche semplici;

- 31-A2 cioè le fratture pertrocanteriche pluriframmentarie;

- 31-A3 le fratture pertrocanteriche complesse altamente instabili.

Fratture diafisarie

Le fratture diafisarie di femore sono quelle la cui rima di frattura interessa la

porzione centrale del femore che va dalla zona sottotrocanterica fino alla metafisi inferiore. Queste fratture possono essere causate da trauma diretto o indiretto. I traumi diretti fratturano normalmente il femore al 3° medio con rima più o meno trasversale. I traumi indiretti invece provocano fratture con rima obliqua o spiroide a seconda che essi abbiano agito in flessione o in rotazione. Le fratture da schiacciamento sono invece pluriframmentate (10). Il moncone prossimale per la contrazione tonica dei muscoli glutei e dell’ileo-psoas è atteggiato in extrarotazione, flessione e lieve abduzione; il moncone distale, per l’azione dei muscoli quadricipite, bicipite, flessori mediali ed adduttori, è risalito, medializzato e addotto. Tutto questo si verifica nelle fratture diafisarie del 3° superiore, perché, man mano che la rima di frattura si sposta verso la metafisi inferiore, il moncone prossimale è sempre

(28)

meno extrarotato ed abdotto fino ad arrivare al 3° inferiore in cui il moncone è lateralizzato, risalito e varo.

La classificazione AO delle fratture diafisarie di femore include tre gruppi principali con tre gradi di complessità all’interno di ciascun gruppo. I tre gruppi principali sono i seguenti: 32-A (frattura semplice), 32-B (frattura a cuneo), 32-C (frattura complessa). La sigla 32-A include (13):

- le fratture 32-A1 che comprendono le frattura spiroidi;

- le fratture 32-A2 che comprendono le fratture oblique ≥30°;

- le fratture 32-A3 che comprendono le fratture trasverse <30°.

La sigla 32-B include :

- le fratture 32-B1 che comprendono le fratture a cuneo spiroidi;

- le fratture 32-B2 che comprendono le fratture a cuneo da flessione;

- le fratture 32-B3 che comprendono le fratture a cuneo pluriframmentate.

Infine la sigla 32-C include:

- le fatture 32-C1 che comprendono le fratture spiroidi;

- le fratture 32-C2 che comprendono le fratture segmentali;

(29)

Fratture dell’estremo distale

Le fratture dell’estremo distale del femore possono essere divise in extrarticolari ed

intrarticolari . Le extrarticolari, metafisarie, hanno una rima spesso trasversale ed il moncone distale è risalito, retroposto, procurvato e varizzato; risalito per l’azione di tutti i muscoli della coscia ed inserzione sul moncone distale e sulla tibia, procurvato e retroposto per l’azione dei gemelli e varizzato per l’azione del muscolo adduttore lungo(10). Le intrarticolari invece possono essere a seconda della sede di frattura classificate in: monocondiloidee, intercondiloidee, sovra condiloidee.

La classificazione AO delle fratture dell’estremo distale del femore include tre gruppi principali con tre gradi di complessità all’interno di ciascun gruppo. I tre gruppi principali sono i seguenti : 33-A ( fratture extrarticolari), 33-B (fratture monocondiloidee), 33-C ( fratture sovra condiloidee).

La sigla 33-A include (14):

- le fratture 33-A1 che comprendono le fratture sovra condiloidee parziali;

- le fratture 33-A2 che comprendono le fratture sovracondiloidee semplici scomposte con lieve frammentazione;

- le fratture 33-A3 che comprendono le fratture sovracondiloidee comminute.

(30)

- le fratture 33-B1 che comprendono le fratture con separazione marginale sagittale articolare di un condilo;

- le fratture 33-B2 che comprendono le fratture con separazione verticale sagittale di tutto un condilo ;

- le fratture 33-B3 che comprendono le fratture tangenziali con frattura coronale di Hoffa di un condilo;

La sigla 33-C include:

- le fratture 33-C1 che comprendono le fratture semplici ad y con estensione alla gola intercondiloidea;

- le fratture 33-C2 che comprendono le fratture con comminuzione intercondiloidea e sovracondiloidea;

- le fratture 33-C3 che comprendono le fratture con comminuzione sovracondiloidea ed intrarticolare.

(31)

TERAPIA DELL’OSTEOPOROSI

Il trattamento dell’osteoporosi deve essere finalizzato alla riduzione del rischio di frattura. I provvedimenti non farmacologici ( dietà, attività fisica) o l’eliminazione di fattori di rischio modificabili ( ad esempio il fumo) devono essere raccomandati a tutti e rappresenta la profilassi primaria per l’osteoporosi.

L’utilizzo di farmaci specifici appare giustificato quando il rischio di frattura a 10 anni è particolarmente elevato e per quantificarlo vengono utilizzate delle specifiche scale come la DeFRA e la FRAX (15;16). Ad esempio in pazienti con anamnesi familiare positiva per fratture osteoporotiche o in terapia cortisonica (almeno per dosi >5 mg/die, prednisone equivalenti assunti cronicamente) il rischio sale notevolmente indicando spesso la prescrizione di terapia medica. In questi ultimi due casi il rischio di frattura è così elevato che la decisione di avviare una terapia farmacologica può essere presa a prescindere dai valori densitometrici.

I principali farmaci che vengono utilizzati sono i farmaci antiriassorbitivi, gli anticorpi monoclonali, i DABA( dual action bone agents),gli anabolizzanti e i SERM (Selective Estrogen Receptor Modulators).

(32)

FARMACI ANTI-RIASSORBITIVI

Il trattamento dell'osteoporosi si avvale prevalentemente di farmaci cosiddetti

"anti-riassorbitivi", in quanto agiscono diminuendo o bloccando l'erosione dell'osso

mediata dagli osteoclasti e con questo meccanismo sono in grado di ridurre considerevolmente il rischio di fratture patologiche. A questa classe di farmaci

appartengono: i bifosfonati, distinti in bifosfonati non azotati (clodronato ed

etidonato) e aminobifosfonati (alendronato, risedronato, ibandronato, pamidronato e acido zoledronico).

Bifosfonati

I bifosfonati (detti anche bis-fosfonati o difosfonati) sono una classe di farmaci in grado di inibire il riassorbimento osseo. Il nome di tale gruppo deriva dai due gruppi fosfonati che li caratterizzano a livello molecolare.I bifosfonati vennero sviluppati nel XIX secolo ma fu solamente negli anni sessanta del Novecento che vennero studiati in relazione alle patologie del metabolismo osseo. La ragione per il loro utilizzo sugli esseri umani si basava sulla loro capacità d’impedire la dissoluzione dei cristalli di idrossiapatite, il principale costituente minerale dell’osso. Negli anni novanta si riscontrò che il meccanismo d’azione di tali farmaci era, in realtà, a livello cellulare.

(33)

I bifosfonati sono derivati del pirofosfato a cui il ponte P-O-P è stato sostituito con un ponte P-C-P non idrolizzabile.

A questo ponte sono collegate due catene laterali:

-la catena laterale lunga determina le proprietà chimiche, la modalità d’azione e la potenza del farmaco,

-la catena laterale corta è responsabile delle proprietà chimiche e della farmacocinetica del composto.

Importante è la suddivisione da un punto di vista chimico dei bifosfonati a seconda dell'assenza o della presenza di un atomo di azoto nella formula di struttura rispettivamente in bifosfonati non azotati ed in bifosfonati azotati (Vedi figura n.6). In particolare, tra questi ultimi si ricordano i cosiddetti

aminobifosfonati che hanno l'atomo di azoto in un gruppo amminico.

Figura 6 Struttura chimica di un bifosfonato: si possono notare i due gruppi fosfato e

le due catene laterali

Per i bifosfonati somministrati per via orale meno dell'1% della dose utilizzata è assorbita. Sulla base di ciò, ad esempio la somministrazione di ibandronato alla

(34)

dose di 150mg per bocca 1 volta al mese, equivale alla dose di 3mg per via endovenosa ogni tre mesi.

L’assorbimento a livello gastrointestinale dei bifosfonati risente notevolmente dell’assunzione contemporanea di cibo (in particolare di alimenti contenenti calcio), per cui è consigliabile l'assunzione a stomaco vuoto assieme a 1 o 2 bicchieri d’acqua.

Orientativamente, metà della dose assorbita viene escreta in forma immodificata nelle urine. Il rimanente si lega fortemente ai cristalli di idrossiapatite, soprattutto nelle aree di rimodellamento, da cui viene allontanato in un periodo di mesi od anni

(17;18).

Meccanismo d’azione:

L'esatto meccanismo d'azione dei bifosfonati è ancora sotto studio nei laboratori di ricerca, ma alcuni dettagli molecolari sono stati delucidati.

I bifosfonati appaiono in grado di aumentare la densità ossea tramite l'inibizione dell'azione degli osteoclasti, principale bersaglio di tali farmaci. In seguito all'attivazione dell'osteoclasto e alla conseguente dissoluzione dell'idrossiapatite, si determina la liberazione dei bifosfonati precedentemente "seppelliti" nella matrice ossea e legati ai sali di calcio dell'osso. Una volta liberato dalla matrice ossea, il farmaco viene a contatto con gli osteoclasti di cui inibisce l'azione.

I meccanismi dietro ad un tale fenomeno sembrano essere differenti a seconda dei diversi tipi di bifosfonati, contenenti o non contenenti azoto:

(35)

i bifosfonati che non contengono azoto vengono metabolizzati, a livello cellulare, in un composto in grado di competere con l'adenosina trifosfato (ATP), responsabile del metabolismo energetico della cellula, presentandosi come analoghi non idrolizzabili (pseudo-pirofosfati). A seguito di ciò l'osteoclasto va incontro ad esaurimento energetico e conseguente apoptosi.

I bifosfonati contenenti azoto sono in grado di bloccare l'enzima farnesilpirofosfato sintasi, facente parte della via metabolica dell'acido mevalonico. Il blocco di tale via fa sì che non vengano sintetizzati alcuni metaboliti (farnesil pirofosfato e geranil pirofosfato) essenziali per consentire la modificazione post-traduzionale (chiamata prenilazione) delle piccole proteine G (small G proteins), come il proto-oncogene H-Ras ed il regolatore citoscheletrico Rho A. Senza "coda" prenilica, Ras e le proteine analoghe non possono ancorarsi alla membrana cellulare per stimolare le chinasi attivate dai mitogeni (Mitogechelln-Activated protein Kinases; MAPKs). Tutto ciò interferisce nella trasmissione dei segnali cellulari richiesti per la proliferazione, comportando alterazioni morfologiche fino alla morte per apoptosi (17;18).

In via collaterale, uno studio sperimentale ha mostrato che tra i geni che vengono soppressi dal trattamento con alendronato vi sono un regolatore della proteina tubulina, la chinasi attivatrice della fase S (ASK) e l'isoforma zeta della chinasi calcio/lipide-dipendente (PKC), tutti geni necessari alla progressione del ciclo cellulare (19).

(36)

Un altro studio più recente, però, ha dimostrato che i bifosfonati azotati modulano la funzione degli osteoclasti attraverso un meccanismo diverso dall'interferenza con le proteine G. Essi potrebbero, infatti, inibire il segnale intracellulare mediato dalla tirosina chinasi proto-oncogenica c-Src e la corrispettiva fosfotirosina fosfatasi osteoclastica, PTP-PEST, entrambe richieste per la formazione delle rosette cellulari che aggrediscono la matrice ossea (20).

Indicazioni cliniche:

I bifosfonati vengono utilizzati per il trattamento dell’osteoporosi(6), dell’osteite deformante (malattia ossea di Paget), delle metastasi ossee derivanti da tumori della prostata, della mammella e dal mieloma multiplo. Svolgono inoltre un ruolo importante nella prevenzione dell’osteoporosi indotta dall’uso cronico di corticosteroidi (20).

La modalità di somministrazione dei bifosfonati è solitamente per via orale (alendronato, risedronato e ibandronato), endovenosa (ibandronato, zoledronato e clodronato) o intramuscolare (neridronato e clodronato). L’effetto clinico è evidente entro pochi giorni dalla somministrazione a seconda del tipo di farmaco utilizzato, dal dosaggio e dalla via di somministrazione (22).

Per un'azione ottimale di questi farmaci, è necessaria un' adeguata quantità di calcio e vitamina D nell’organismo in modo che possa essere promosso uno sviluppo osseo normale. Per tale motivo prima di iniziare la terapia dovrebbe essere corretta un’eventuale ipocalcemia.

(37)

I quattro bifosfonati approvati dalla US Food and Drug Administration (FDA) sono alendronato, risedronato, ibandronato e zoledronato. Essi differiscono nella loro affinità di legame per l'osso e nelle loro proprietà di riassorbimento osseo (23). Lo zoledronato ha la più alta affinità di legame al tessuto osseo, seguito da alendronato, ibandronato e risedronato. La potenza di ogni agente dipende dalla sua inibizione dell’enzima farnesilpirofosfato sintasi, che è maggiore per zoledronato seguita da risedronato, ibandronato, e alendronato.

Esistono alcune differenze tra i vari farmaci appartenenti alla classe dei bifosfonati. L’alendronato, il risedronato, l’ibandronato, lo zoledronato e il neridronato essendo aminobifosfonati svolgono un’azione inibitoria sugli osteoclasti. Il clodronato, invece è un bifosfonato non azotato e il suo meccanismo d’azione consiste nel portare ad apoptosi e conseguente morte gli osteoclasti.

L’etidronato ed il clodronato nelle donne in menopausa aumentano la densità vertebrale e mantengono stabile quella a livello del collo femorale. Il clodronato si è dimostrato efficace nel ridurre le fratture cliniche alla dose di 800 mg/die per os. Il dosaggio più comunemente utilizzato in Italia è di 100 mg/settimana i.m.. Assumendo un assorbimento intestinale del clodronato pari al 2% questo dosaggio sarebbe equivalente a quello con comprovata attività anti-fratturativa, anche se mancano studi comparativi fra forma orale e intramuscolo rispetto agli incrementi della BMD ed alla riduzione del turnover che confermano tali presupposti farmacocinetici. Il dosaggio utilizzato e raccomandato di etidronato è sempre stato

(38)

sub-ottimale per evitare difetti di mineralizzazione ossea. Etidronato e clodronato rappresentano, quindi, farmaci di seconda scelta che hanno trovato utilizzo specie nella prevenzione primaria per il loro minor costo.

L’alendronato e il risedronato sono in grado di aumentare la densità ossea vertebrale in 3 anni rispettivamente del 10% e 6%. Entrambi hanno un’ampia documentazione di efficacia per la prevenzione delle fratture vertebrali e non vertebrali (incluse quelle di femore) ridotte di circa il 40-50% in 3 anni. L’alendronato risulta maggiormente indicato per le fratture vertebrali, mentre il risedronato per quelle femorali. Entrambi, inoltre, si sono confermati efficaci anche nel ridurre le fratture vertebrali nell’osteoporosi cortisonica. L’ibandronato è stato registrato sulla base di studi condotti utilizzando un dosaggio di 2.5 mg/die. A questo dosaggio il farmaco è efficace nel ridurre solo il rischio di fratture vertebrali. L’ibandronato è stato tuttavia successivamente commercializzato ad un dosaggio di 150 mg/mese o 3 mg I.V./ 3 mesi, ovvero a dosaggi cumulativo-biodisponibili doppi rispetto a quelli utilizzati negli studi registrativi. Questo dosaggio si è rivelato in grado di ridurre il rischio di fratture non-vertebrali quando raffrontato a 2.5 mg/die/os. Lo zoledronato (5 mg/i.v./anno) è stato registrato per il trattamento dell’osteoporosi sulla base di uno studio che documenta in maniera chiara un effetto sul rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e di femore. In uno studio ancillare il farmaco si è dimostrato in grado di ridurre il rischio di nuove fratture cliniche quando somministrato due settimane dopo una frattura di femore. Con

(39)

zoledronato è stata dimostrata, per la prima volta, una riduzione della mortalità globale. Questo farmaco,inoltre,risulta essere quello maggiormente utilizzato in caso di ipercalcemia da metastasi ossee (TIH,tumor induced Hypercalcemia).

Alendronato, risedronato e zoledronato sono stati registrati per il trattamento dell’osteoporosi maschile.

Il Neridronato è l’unico bisfosfonato indicato per il trattamento dell’Osteogenesi Imperfetta. Appare legittimo assimilare all’Osteogenesi Imperfetta ogni forma di osteoporosi idiopatica ad esordio giovanile senza dover far ricorso a costosissimi e poco accessibili valutazioni genetiche.

Il clodronato possiede una particolare caratteristica utile in alcune circostanze cliniche: presenta infatti un marcato effetto analgesico e anti-infiammatorio. L'efficacia analgesica del Clodronato è dimostrata in uno studio che ha evidenziato effetti anti-infiammatori e analgesici maggiori a 3 grammi al giorno di paracetamolo e, contrariamente agli aminobifosfonati, produce una considerevole riduzione dei marcatori dell'infiammazione come IL-1β, IL- 6, e TNF-alfa (l'effetto anti-infiammatorio è dovuto a questo meccanismo). Inoltre è stato proposto il suo utilizzo nel trattamento di artrite reumatoide, dolore da fratture vertebrali, sindrome algodistrofica e altre patologie caratterizzate da dolore di origine infiammatorio-degenerativo (7).

(40)

Effetti collaterali:

- Fratture sub-trocanteriche (o stress-fracture): in pazienti in trattamento da anni con bisfosfonati è stata segnalata la comparsa di fratture atipiche (trasversali) sub-trocanteriche femorali.

- Osteonecrosi delle ossa del cavo orale (ONJ): la terapia con bisfosfonati per malattie maligne (ad esempio per metastasi ossee e ipercalcemia maligne) a dosi decine di volte superiori a quelle utilizzate per la terapia dell’osteoporosi, si associa ad un aumentato rischio (sino al 1%) di sviluppo di una sindrome definita osteonecrosi delle ossa del cavo orale (Osteonecrosis of the jaw: ONJ) (24). In realtà è stato successivamente osservato trattarsi di una osteomielite quasi sempre legata ad una infezione da Actinomiceti. Questo effetto collaterale dei bisfosfonati si verifica molto più raramente in pazienti in trattamento per l’osteoporosi con un rischio aumentato in concomitanza ad interventi sul cavo orale con esposizione del tessuto osseo. Una regolare igiene orale in questi pazienti è una efficace e sufficiente misura di prevenzione dell’ ONJ. Tuttavia, qualora si rendesse necessario un intervento odontoiatrico invasivo di qualsiasi natura, deve essere consigliato l’utilizzo di antisettici locali e antibiotici (es: amoxicillina-ac.clavulanico e metronidazolo) nei giorni antecedenti l’intervento e nei 5-6 giorni successivi. Una breve sospensione del bisfosfonato (per esempio 2 settimane prima e 2 settimane dopo l’intervento) è probabilmente non necessaria, ma comunque ininfluente sull’esito della terapia per l’osteoporosi. La SIOMMMS e l’ANDI (Associazione

(41)

Nazionale Dentisti Italiani) hanno definito un documento di consenso “Raccomandazioni relative all’osteonecrosi della mascella/mandibola associata a terapia con bisfosfonati in pazienti con osteoporosi”, che è stato sottoscritto da varie Società Scientifiche.

-Tollerabilità gastro-intestinale: gli amino-bisfosfonati (ma non clodronato ed etidronato) quando assunti per os possono causare erosioni esofagee anche severe. La disponibilità di formulazioni a dosaggio settimanale o mensile, accanto alla stretta osservanza delle norme di assunzione del farmaco,ha ridotto drasticamente l’incidenza di questi effetti collaterali.

-Risposta di fase acuta: la somministrazione di amino-bisfosfonati i.v. (ma anche di bisfosfonati orali a dosi elevate) si può associare ad un quadro clinico simil-influenzale della durata di 1-3 giorni e caratterizzato da febbre e dolori muscolo-scheletrici diffusi. Questi episodi sono più frequenti e severi dopo la prima somministrazione del farmaco. Nei rari casi in cui la sindrome è molto più accentuata e protratta può essere consigliabile per 2-3 giorni la terapia steroidea.

-Raramente i bifosfonati possono determinare la comparsa di disturbi oculari: congiuntivite, uveite, sclerite, episclerite, fotofobia, dolore o anomalie nella visione. In tali casi è bene rivolgersi ad un oftalmologo e valutare la sospensione del farmaco (necessaria in caso di sclerite).

(42)

-Neurologici: raramente possono dare disturbi visivi, capogiro e vertigine, disgeusia (alterazioni del senso del gusto), allucinazioni uditive sono state segnalate in corso di trattamento con acido alendronico, così come con altri bifosfonati (7).

-Per via endovenosa, i bifosfonati sono stati associati anche a casi di insufficienza renale, sindrome nefrotica (dovute spesso ad un’infusione troppo rapida), nonché ad alterazioni elettrolitiche (soprattutto ipocalcemia). Zoledronato viene eliminato per via renale, di conseguenza la sua somministrazione non è raccomandata in soggetti con ridotta funzionalità renale o malattie renali. In letteratura medica sono stati segnalati casi di insufficienza renale acuta che ha richiesto la dialisi, talvolta con esito fatale, a seguito dell'utilizzo del farmaco (25). Queste segnalazioni sono state confermate dalla Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), il cui comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) ha introdotto nuove controindicazioni per l'utilizzo del farmaco a partire dal dicembre 2011. Nel novembre 2012 Novartis in ottemperanza a quanto richiesto dall'Ufficio di Farmacovigilanza dell'AIFA ha inviato ai medici del materiale educazionale per il medico e per il paziente contenente il riassunto delle caratteristiche del prodotto di zolendronato, ricordando in particolare la nuova controindicazione rappresentata dalla ipocalcemia e la grave compromissione renale (clearance della creatinina < 35ml/min).

(43)

La contemporanea assunzione di antiacidi, di calcio, di ferro, o comunque di farmaci o alimenti ricchi di cationi bivalenti può limitare l’assorbimento dei bifosfonati che si somministrano per via orale. L’associazione con gli antibiotici aminoglicosidici può aumentare il rischio di nefrotossicità.

Fra i farmaci che hanno azione antiriassorbitiva recentemente è stato introdotto un nuovo farmaco con meccanismo d’azione completamente diverso: il Denosumab.

DENOSUMAB

Il Denosumab appartiene alla classe dei farmaci anti-riassorbitivi biotecnologici (anticorpi monoclonali, farmaci "biologici"). Questo è il primo anticorpo monoclonale umano della specie degli inibitori del RANK ligando. Il denosumab agisce complessando il RANKL (RANK Ligand), proteina che agisce come segnale nella promozione della rimozione ossea legandosi al recettore RANK. In numerose condizioni in cui compare perdita di massa ossea, vi è uno squilibrio tra il RANKL (attivatore osteoclastico), che risulta aumentato, e l'OPG, o osteoprotegerina (inibitore osteoclastico). Il denosumab lega il complesso RANKL, impedendo che questo si aggreghi al recettore RANK posto sopra gli osteoclasti, inibendo in tal modo il segnale per attivare l'osteoclasta: questo si traduce in un'inibizione dell'osteoclasta, inibendone il reclutamento, la maturazione e la sopravvivenza. La sua somministrazione sotto-cute comporta l’abbattimento quasi completo prima del riassorbimento osseo osteoclastico e poi dell’ attività

(44)

neoformativa. Si tratta, quindi, di un anti-riassorbitivo che si associa a risultati molto simili a quelli osservati con i bisfosfonati.

Le differenze più rilevanti rispetto a questi ultimi sono:

- l’effetto che cessa immediatamente alla scomparsa dal circolo del farmaco;

- l’effetto che è molto più selettivo per cui non sono attesi effetti su altri organi od apparati;

- l’azione uniforme su tutte le strutture scheletriche a prescindere dal turnover osseo che si traduce in una maggior attività farmacologica a carico dell’osso corticale.

Gli studi registrativi sono stati condotti utilizzando 60 mg di denosumab sotto-cute ogni 6 mesi. Questa dose garantisce la soppressione quasi totale del turnover osseo anche se dopo 1-2 anni esso tende a rinormalizzarsi in prossimità del sesto mese. Gli incrementi densitometrici sono superiori a quelli osservati con i più potenti bisfosfonati, specie a carico delle strutture ossee corticali. L’efficacia anti-fratturativa è stata documentata per vertebre (-67%) e femore (-40%) ed in generale per siti non-vertebrali (7). Le controindicazioni all’uso del Denosumab sono l’ipocalcemia e l’ipersensibilità al principio attivo o ai suoi eccipienti. Il farmaco è in generale ben tollerato. Tra gli effetti collaterali riportati in scheda tecnica i più frequenti sono: ipocalcemia, infezioni cutanee, osteonecrosi del mascellare (ONJ) e fratture atipiche (vedi bifosfonati). Inoltre recentemente è stato segnalato anche un possibile rialzo delle transaminasi. Per tali motivi è opportuno monitorizzare il

(45)

paziente in trattamento con Denosumab con esami ematici, quali dosaggio di calcio, fosforo, transaminasi, vitamina D e paratormone. Sulla base di uno studio registrativo con evidenza di efficacia anti-fratturativa, denosumab è stato anche registrato per la terapia dell’osteoporosi da deprivazione androgenica per il trattamento del carcinoma prostatico (7). Ad oggi il Denosumab è prescrivibile in nota 79 al pari degli altri farmaci antiriassorbitivi, previa compilazione di piano terapeutico. Nel settembre del 2011 l'FDA ha approvato due nuove indicazioni per il Denosumab:

-È indicato per l'aumentare la massa ossea in donne ad alto rischio di frattura che ricevono terapia adiuvante con inibitori dell’aromatasi per il tumore della mammella;

-È indicato per l'aumentare la massa ossea negli uomini che sono ad alto rischio di frattura e sono sottoposti a terapia di deprivazione androgenica cancro alla prostata non metastatico.

FARMACI METABOLICI

Paratormone

La somministrazione sotto-cute di ormone paratiroideo stimola l’attività osteoblastica con un effetto anabolizzante sull’osso. Sono stati registrati alla EMA

(46)

per la terapia dell’osteoporosi postmenopausale severa due farmaci: il frammento 1-34 (teriparatide) e la molecola intatta 1-84 .

Teriparatide è un polipeptide sintetico, ricombinante, dell'ormone umano

paratiroideo. Il composto è costituito dal frammento aminoacidico 1-34 dell'ormone umano paratiroideo (hPTH 1-34), che rappresenta la porzione N-terminale e biologicamente attiva. Teriparatide acetato può essere utilizzato come farmaco nel trattamento di alcune forme di osteoporosi (26). In Italia viene prodotto nella forma farmacologica di soluzione per iniezione sottocutanea, in una penna preriempita con 20 mcg (μg) di principio attivo. Il PTH fisiologicamente aumenta la calcemia: in parte realizza questo effetto aumentando l’assorbimento intestinale di calcio ed incrementando il riassorbimento tubulare dello stesso ione (aumentando invece l’eliminazione renale di fosfato). Ma buona parte dell'aumento della calcemia si realizza incrementando il riassorbimento osseo (l'osso è molto ricco di calcio). Così, dosaggi cronicamente elevati di PTH comportano una riduzione dei depositi ossei. Tuttavia si è visto che un'esposizione intermittente a PTH attiva gli osteoblasti più di quanto non agisca sugli osteoclasti. Ecco che un’esposizione intermittente a PTH viene così a stimolare l’osteogenesi, per effetto dell'azione sugli osteoblasti, le cellule deputate alla formazione di osso, con un effetto netto di aumento della densità minerale ossea (27). La somministrazione di teriparatide aumenta l’ossificazione sulle superfici trabecolari e corticali dell’osso, in quanto stimola preferenzialmente l’attività osteoblastica rispetto a quella degli osteoclasti. Gli incrementi osservati sui valori di BMD sono nettamente superiori a quelli ottenuti

(47)

con i bisfosfonati solo sull’osso trabecolare. La BMD della colonna aumenta dopo 18 mesi rispettivamente di 9.7% con teriparatide e 6.5% con PTH 1-84. Entrambi i farmaci riducono drasticamente il rischio di fratture vertebrali.

L’associazione PTH–bisfosfonati orali determina variazioni densitometriche inferiori a quelle ottenute con il solo ormone. L’associazione teriparatide-zoledronato 5 mg/anno, invece, sembra dare effetti aggiuntivi. Per il loro elevato costo queste terapie sono riservate ai pazienti a più elevato rischio (3 fratture vertebrali o di femore) o “non-responsivi” ai farmaci anti-riassorbitivi (estrogeni, SERM o bisfosfonati).

Teriparatide è prescrivibile a carico del SSN per pazienti con due fratture vertebrali moderate o una severa in pazienti in terapia cortisonica cronica. La terapia con entrambe le formulazioni si associa frequentemente a disturbi di minor entità (nausea, crampi agli arti inferiori) e ad aumentata incidenza di ipercalcemia, peraltro del tutto asintomatica. Secondo la Scheda Tecnica il trattamento con entrambi i farmaci non deve superare i 24 mesi e non può essere ripetuto nell’arco della vita (7).

TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA

La somministrazione di estrogeni, soli o in combinazione con progestinici (Terapia Ormonale Sostitutiva o TOS) o il tibolone sono in grado di aumentare la massa ossea. Lo studio WHI ha dimostrato che la terapia con estrogeni coniugati riduce il

(48)

rischio di ogni tipo di frattura osteoporotica. L’effetto positivo sulle fratture, a cui si aggiunge la riduzione del rischio di carcinoma colon-rettale, è controbilanciato dall’aumentato rischio di carcinoma della mammella, ictus, cardiopatia ischemica ed eventi trombo-embombolici, con un rapporto rischio/beneficio sfavorevole specie per trattamenti di lunga durata e dove sussista la necessità della terapia combinata con progestinico (donne non-isterectomizzate). Per questi dati la terapia estrogenica o estro-progestinica non ha più l’indicazione per la terapia o la prevenzione dell’osteoporosi. Per donne sofferenti di sindrome climaterica, soprattutto se ancora entro i 50-55 anni di età, la somministrazione temporanea (uno- tre anni) di estrogeni o di estro-progestinici (a seconda che siano isterectomizzate o meno), può essere considerata in qualche modo fisiologica e quindi ancora proponibile, anche per la prevenzione dell’osteoporosi (7).

MODULATORI SELETTIVI DEL RECETTORE ESTROGENICO

- I modulatori selettivi del recettore estrogenico (SERMs) sono composti sintetici in grado di legarsi al recettore per gli estrogeni e produrre effetti agonistici a livello osseo ed epatico ed antagonistici a livello di mammella ed apparato genito-urinario. In commercio sono disponibili tre SERM, il tamoxifene, il raloxifene ed il bazedoxifene; vari SERM sono inoltre in fase di studio. Il tamoxifene ha effetti ossei, ma non è stato studiato adeguatamente per il trattamento dell’osteoporosi. I SERM

(49)

attualmente approvati in Italia per la prevenzione ed il trattamento dell’osteoporosi sono il raloxifene ed il bazedoxifene.

Il raloxifene è un legante del recettore estrogenico in grado di produrre effetti agonistici a livello osseo ed epatico ed antagonistici per mammella ed apparato genito-urinario. L’efficacia antifratturativa del raloxifene è stata documentata per le fratture vertebrali, mentre manca la documentazione di efficacia per quelle non vertebrali. Esso,infatti, previene la perdita ossea dei primi anni dopo la menopausa e determina un incremento del 2-3% della densità ossea in donne con osteoporosi. L’efficacia antifratturativa del raloxifene è stata valutata in un solo studio di grandi dimensioni (MORE). Il raloxifene alla dose di 60 mg/die ha ridotto dopo 3 anni di terapia, l’incidenza di nuove fratture vertebrali sia nelle donne con fratture vertebrali preesistenti (30%) sia in quelle senza precedenti fratture (50%). Nel corso dello studio MORE si è osservata una riduzione significativa dell’incidenza di carcinoma della mammella invasivo mentre incerto appare l’effetto sul rischio cardio-vascolare. Il raloxifene non migliora i fenomeni vasomotori postmenopausali e può addirittura accentuarne l’incidenza. Gli effetti collaterali più comuni sono rappresentati da aumento dei fenomeni vasomotori e crampi agli arti inferiori. Il raloxifene, al pari della TOS, si associa ad aumentato rischio di eventi tromboembolici, per cui non è consigliabile in pazienti che hanno già avuto o sono a rischio di trombosi venosa (28). Il bazedoxifene, SERM di terza generazione, si è dimostrato in grado di prevenire la perdita di massa ossea alla dose di 20 mg/die in

(50)

donne normali o osteopeniche. In donne con osteoporosi, il rischio di fratture vertebrali è risultato ridotto in maniera statisticamente significativa in misura del 42 %. Il prolungamento dello studio a cinque anni, ha dimostrato la persistenza dell’effetto sulle fratture vertebrali (riduzione del rischio del 32 %). La valutazione post hoc in pazienti ad alto rischio ha permesso di dimostrare una significativa riduzione del rischio di fratture non vertebrali sia a tre che a cinque anni. Inoltre, il bazedoxifene ha mostrato un maggior effetto antiestrogenico a livello uterino in assenza di significativi effetti collaterali. In una popolazione particolarmente a rischio, il farmaco ha ridotto anche l’incidenza delle fratture non vertebrali (7).

DUAL-ACTION BONE AGENTS (DABA)

Ranelato di stronzio

Lo stronzio ranelato (un sale dello stronzio) è il capostipite della classe di farmaci chiamati DABA (Dual Action Bone Agents) in quanto possiedono una doppia azione. Il ranelato di stronzio agisce sia come anti-riassorbitivo sia come anabolico. Il farmaco aumenta la produzione di osteoprotegerina (OPG) sopprimendo gli osteoclasti e stimola contemporaneamente la produzione numerica e l'attività degli osteoblasti, con un incremento della densità minerale ossea (DMO) a livello vertebrale del 4% circa entro il primo anno e del 14,4% entro 3 anni. La terapia con ranelato di stronzio è efficace per ridurre il rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e di femore in donne con osteoporosi postemenopausale. La componente attiva del farmaco è rappresentata dallo stronzio che si adsorbe in maniera labile ai

(51)

cristalli di idrossiapatite dell’osso. Il meccanismo d’azione del ranelato di stronzio è legato all’interazione con il Calcium Sensing Receptor (CaSR), con la partecipazione del sistema OPG-RANKL. Il ranelato di stronzio è stato valutato in due trials clinici della durata di 5 anni, con analisi principale a 3 anni, che hanno coinvolto più di 7000 donne. I risultati a 3 anni hanno dimostrato che il farmaco ha ridotto rispettivamente del 41%, del 16% e del 36% il rischio di fratture vertebrali, non-vertebrali e di femore (in un sottogruppo ad alto rischio). I risultati a 5 anni hanno confermato i risultati osservati nei primi tre anni. Il farmaco incrementa modestamente i marker di neoformazione ossea (circa 15%) e riduce nel contempo quelli di riassorbimento osseo (10-15%). Gli incrementi densitometrici osservabili in corso di terapia sono legati per circa il 50% al maggior peso dello stronzio(29). Recentemente è stata dimostrata una correlazione diretta tra BMD e riduzione del rischio di frattura vertebrale e dell’anca. La terapia con ranelato di stronzio provoca una modesta alterazione dell’alvo e si associa ad un lieve aumento del rischio trombo-embolico, in particolare in pazienti anziani: il farmaco è controindicato in pazienti con tromboembolismo venoso (TEV) in corso o pregresso, in caso di immobilizzazione temporanea o permanente e va rivalutata la necessità di continuare il trattamento in pazienti di oltre 80 anni e a rischio di TEV. Sono stati segnalati rarissimi casi di gravi reazioni allergiche cutanee, talora associate a sintomi sistemici potenzialmente fatali (DRESS, Drug Rash with Eosinophilia and Systemic Symptoms; Sindrome di Stevens-Johnson; Necrolisi epidermica tossica): in tali casi il farmaco va immediatamente sospeso e mai più ripreso (EMA/185175/2012) .

(52)

FARMACI ATTUALMENE IN STUDIO

-La catepsina K è un enzima chiave dell’attività osteoclastica e rappresenta pertanto un potenziale bersaglio terapeutico. L’odanacatib, un inibitore selettivo della catepsina K ben tollerato, ha mostrato di essere in grado di ridurre del 50% il riassorbimento osseo senza peraltro compromettere in maniera rilevante la neoformazione ossea, determinando così significativi incrementi della BMD; è in corso uno studio internazionale di fase III per valutarne gli effetti sulle fratture.

-Saracatinib: inibitore della tirosin-chinasi Src che è in studio come anti-riassorbitivo nell'osteoporosi e in altre condizioni patologiche ossee.

-Romosozumab: anticorpo monoclonale umano anti-sclerostina(noto inibitore fisiologico del sistema Wnt ), la proteina prodotta dagli osteociti che inibisce l’attività degli osteoblasti. Bloccando la sclerostina il romosozumab "libera" gli osteoblasti, favorendo quindi la deposizione di nuovo tessuto osseo. L'anticorpo monoclonale ha dato risultati molto promettenti nell'aumentare la densità ossea, dopo 12 mesi ha dimostrato un incremento dell'11,3% a livello vertebrale e del 4,1% a livello dell'anca. I seguenti studi hanno come obiettivo principale la riduzione delle fratture vertebrali, i risultati sono attesi entro l'autunno 2015.

(53)

FRATTURE ATIPICHE

DEFINIZIONE

Dal 2005 un numero crescente di segnalazioni ha descritto casi di fratture femorali localizzate distalmente al piccolo trocantere (sottotrocanteriche o diafisarie) in pazienti in terapia con bisfosfonati (30), farmaci molto usati nella terapia dell’osteoporosi specialmente in pazienti trattati con corticosteroidi (31;32). Queste fratture sono state denominate da Lenart e colleghi “atipiche” in relazione alla loro localizzazione distale rispetto al piccolo trocantere (sottotrocanteriche o diafisarie) e da altre caratteristiche, che le distinguono dalle tipiche fratture femorali dei pazienti anziani osteoporotici (33).

La segnalazione di questi casi di fratture atipiche ha suscitato nella comunità scientifica largo interesse,tanto che l’ASBMR (American Society for Bone and Mineral Research ) ha nominato una task force multidisciplinare nel tentativo di comprendere appieno il problema (34). La task force, composta da 28 esperti in discipline diverse, ha provveduto ad una revisione della letteratura da gennaio 1990 ad aprile 2010, focalizzando alcuni punti essenziali. Per identificare oggettivamente le fratture atipiche è stata stilata una lista di criteri maggiori e di criteri minori a cui fare riferimento. I cinque criteri maggiori sono i seguenti: la frattura è localizzata a livello del femore, da appena sotto il piccolo trocantere a poco al di sopra della linea sovracondilare. La frattura non risulta associata a trauma oppure solo ad un trauma

Riferimenti

Documenti correlati

Abstract: We evaluated the effects of two types of colony cages, in which rabbit does were always in a group (C1), and where they were in combi cages furnished with removable

Nonostante tutto, però, a Firenze il sentimento più diffuso nei confronti dello spostamento della Capitale rimaneva quello manifestato all’indomani della notizia della firma

Its aim is to verify through examples and applications how disciplinary crossbreeding, the holistic approach and the establishment of connective networks (the

The task of the empirical analysis is two-fold: on one hand, it investigates if there is any statistically significant difference in means between actual and synthetic prices

The mechanisms of action of butyrate are different and many of these involve an epigenetic regulation of gene expression through the inhibition of histone deacetylase.. There is

intestazione in tutti i datagrammi IP che lo attraversano Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico

In questo caso tutti i pesi (%) sono investiti positivamente ovvero con posizione d’acquisto. La seconda possibilità s’identifica nella facoltà di compiere anche delle

Altri lavori hanno evidenziato che i livelli plasmatici di PCT sono più elevati nella SIRS a genesi infettiva rispetto alla SIRS a genesi non infettiva e che nella SIRS a