trama lasciata in sospeso da Boiardo.68 Non era infatti una scelta scontata.
Sappiamo per esempio che, all'inizio, Ariosto aveva preso una strada differente, quella del poema epico-storico, prendendo a raccontare le vicende di Obizzo d'Este: un avo di Alfonso ed Ippolito che combatté nell'esercito del re di Francia Filippo IV il Bello contro gli Inglesi di Edoardo I durante la guerra del 1294-1298. Il poeta ferrarese cominciò a lavorare all'Obizzeide fra il 1503 e il 1504, ma la lasciò incompiuta dopo 211 versi.69 Oppure, Ariosto poteva
scrivere un'opera epico-encomiastica ambientata nel presente: una soluzione praticata qualche decennio prima dal grande poeta neolatino Tito Vespasiano Strozzi, con la Borsias dedicata alle vicende di Borso d'Este.
Egli, tuttavia, preferisce riprendere la grande tela lasciata incompiuta da Boiardo. Segno che, con una celebrazione imperniata principalmente sulle gesta di due 'eroi fondatori' della dinastia – Ruggiero e Bradamante – appartenenti a un passato remoto, leggendario e romanzesco, Ariosto riteneva di poter comunque ben soddisfare le pretese encomiastiche degli Estensi (senza trascurare, ovviamente, di inserire quando possibile celebrazioni più dirette dei suoi protettori tramite qualche episodio a sfondo magico-profetico). Il convincimento ariostesco appare ben legittimato dall'importanza che il ceto nobiliare dell'epoca annetteva al momento fondativo della propria stirpe, come
68 Cfr. A. CASADEI, Una premessa necessaria: a proposito dell'Obizzeide, in ID., Il percorso del Furioso. Ricerche intorno alle redazioni del 1516 e del 1521, Bologna, il Mulino, 1993, pp. 23-60 (con rimandi anche alla bibliografia precedente).
69 Sull'Obizzeide, oltre alle pagine di Casadei citate alla nota precedente, cfr. almeno A. TISSONI BENVENUTI, La tradizione della terza rima e l’Ariosto, i n Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione, Atti del congresso organizzato dai comuni di Reggio Emilia e Ferrara, 12-16 ottobre 1974, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 303-313: 309-310.
abbiamo visto nelle pagine precedenti.
Il soggetto del Furioso permette così di conciliare due esigenze entrambe fortemente avvertite dall'autore. Ambientando il poema nella favolosa epoca di Carlo Magno, Ariosto – tramite le figure di Ruggiero e Bradamante – può ottemperare alla necessità della celebrazione encomiastica, e al tempo stesso vagheggiare con nostalgia un mondo perduto in cui cortesia ed eroismo rifulgevano in tutto il loro splendore (anche se il poeta si affida alla sua proverbiale ironia per evitare i toni troppo astratti e idealizzanti).
In effetti, è si vero che Ariosto si preoccupa di immettere nel Furioso una spessa trama di riferimenti al presente storico, attraverso accenni espliciti ma anche, in modo più velato, attraverso il particolare modo di rappresentare le battaglie della 'favola' (come abbiamo notato a proposito della battaglia navale di Biserta). Tuttavia, nel poema è non meno presente una tendenza alla 'fuga dalla storia'. Si tratta di un aspetto che non va esasperato (come talvolta è stato fatto), ma non va neppure sottovalutato.70
Ariosto è ben consapevole di vivere tempi difficili. Anche nel Furioso del 1532, pubblicato quando ormai il turbine della guerra si sta allontanando dall'Italia e subentra un'atmosfera generalizzata di sollievo,71 Ariosto non dimentica lo 70Sull''esorcizzazione' del presente nel Furioso, cfr. SCARANO, Guerra favolosa e guerra storica cit.; BOLZONI, op. cit., pp. 222 sgg.. Nel pur suggestivo e interessante intervento di Giuseppe Sangirardi, mi sembra che invece venga evidenziata in modo troppo unilaterale l''evasione' ariostesca dalla storia (cfr. G. SANGIRARDI, Diavoleria, menzogna, monumento: apparizioni della storia nel Furioso, in L'histoire mise en œuvres ... dans les arts et la littérature italienne, actes du colloque (2000), ed. A. Morini, CERCLI. Saint-Étienne, Université de Saint-Étienne, 2001, pp. 25-43).
71 Cfr. C. DIONISOTTI, Appunti sui Cinque canti e sugli studi ariosteschi, in ID., Boiardo e altri studi cavallereschi, a cura di G. Anceschi, A. Tissoni Benvenuti, Novara,
“scandalo” che ha avuto per vittima re Francesco I: per il poeta è difficile accettare che proprio il magnanimo sovrano francese, il più compitamente cavalleresco degli 'eroi' contemporanei, sia andato incontro ad una ignominiosa sconfitta, patendo persino l'onta della cattura e della prigionia in seguito alla disastrosa battaglia di Pavia. La vicenda di Francesco I appare come una dimostrazione dell'ormai sopraggiunta impasse dell'eroismo. Il Furioso del 1532 può certo esaltare la gloria di Carlo V e dei suoi valorosi capitani, ma non dimentica Francesco I, eroe grande anche nella sconfitta: il suo caso diventa un esempio emblematico dell'ingiustizia dei tempi. Del resto, anche nei vari altri riferimenti più o meno espliciti alle Guerre d'Italia Ariosto fa emergere il volto oscuro della Storia, la sua prosaica crudeltà. Di qui, la volontà dell'autore di posare lo sguardo anche su un mondo almeno in parte diverso, quello della 'favola' del poema. Se è vero che le ombre del presente si allungano non di rado fino a tale dimensione fittizia, è vero anche che, in numerose altre occasioni, nella 'favola' del poema è dato cogliere un' atmosfera diversa, alternativa rispetto a quella del presente storico: come in sospirate oasi dove è bello riposare. È il mondo in cui si dispiega la «gran bontà» dei «cavalieri antiqui». Come è stato osservato, la 'fuga' ariostesca dalla storia sembra concretizzarsi talvolta in una vera e propria 'esorcizzazione' del presente. Ad esempio, con l'episodio di Cimosco e l'archibugio il poeta si sofferma sul problema delle armi da fuoco, gli strumenti 'diabolici' che funestano le guerre contemporanee: sia perché provocano orrendi massacri, sia perché (aspetto particolarmente evidente nei versi di Ariosto) ostacolano seriamente la manifestazione del vero
'valore' militare, permettendo che anche il più vile e spregevole dei soldati possa abbattere agevolmente un fortissimo eroe. Ariosto 'esorcizza' questa grave minaccia immaginando che Cimosco non riesca a colpire Orlando e che quest'ultimo, avuta la meglio sul perfido tiranno, getti in fondo al mare il malefico ordigno, perché se ne perda la memoria. Analogo è il caso dell'episodio delle Arpie. Nel Furioso, questi terribili mostri mitologici alludono alle invasioni dei 'barbari' stranieri durante le Guerre d'Italia. Anche in questa occasione, il poeta 'esorcizza' il trauma immaginando che l'eroe di turno, Astolfo, debelli le Arpie. Sia nell'episodio di Cimosco sia in quello delle Arpie, tuttavia, rimane la consapevolezza che le soluzioni sono state effimere, limitate al piano della 'favola'. L'archibugio, buttato in fondo al mare da Orlando, è stato ripescato, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di Ariosto e dei suoi contemporanei. Allo stesso modo, le Arpie, cacciate nel fondo dell'Inferno, sono state di nuovo liberate: i 'barbari' continuano a straziare la penisola, come facevano al tramonto dell'Impero Romano. In fin dei conti, la stridente dissonanza fra gli happy endings negli episodi del Furioso e la realtà storica coeva non fa che acuire l'amarezza per i drammi del presente. L'evasione dalla storia mostra tutti i suoi limiti: in ultima analisi, la sua impraticabilità.72
Ma non solo la fuga nel passato mitico degli eroi fondatori si rivela illusoria, poiché gli inquietanti spettri del presente non possono essere sottaciuti: è la costruzione stessa del modello ariostesco di ‘eroe fondatore’ ad essere attraversata irreversibilmente dall’ambiguità, per cui la rassicurante tipologia tradizionale di tale figura viene sì in parte ripresa, ma per altri versi è messa in
crisi con effetti spiazzanti.
Otto Rank, in un saggio famoso,73 ha analizzato bene i tratti ricorrenti negli eroi
protagonisti dei miti di fondazione. L'eroe fondatore è spesso un trovatello, figlio però di genitori di alto lignaggio. Egli viene abbandonato dai suoi a causa di una grave situazione di pericolo e viene salvato da animali o da gente umile (tipicamente pastori). Quando è cresciuto, trova i suoi genitori e, da una parte, ottiene vendetta, dall'altra ottiene il riconoscimento della sua identità e del suo rango, cogliendo infine gloria e onori. Non è difficile scorgere in questo schema notevoli affinità con le vite di esemplari eroi fondatori quali Mosè e Romolo; ma si pensi anche, ad esempio, all'Edipo sofocleo.
Un discorso analogo si può fare per il Ruggiero di Boiardo e di Ariosto. Ruggiero è orfano fin dalla nascita, ma può vantare illustri genitori quali Ruggiero di Risa e Galaciella. Allevato dal mago Atlante in foreste sperdute, «tra bestie orrende e varie», Ruggiero si riaffaccia alfine sul palcoscenico della Storia, partecipando alla guerra tra Cristiani e Saraceni e acquistando onore e gloria grazie alla propria eccezionale virtù guerriera. Il ruolo di 'fondatore' della dinastia da parte di Ruggiero viene sancito dalla sua conversione al cristianesimo e dal suo passaggio al servizio di Carlo Magno: sarà proprio Carlo Magno ad attribuire agli Estensi il loro feudo, come ricompensa per il fedele operato di Ruggiero, Bradamante e loro figlio, omonimo del padre. Il punto fondamentale sta nel fatto che Ruggiero è orfano fin dalla nascita e, al
73 Cfr. O. RANK, The Myth of the Birth of the Hero, New York, Vintage Books, 1959. Per un'interpretazione psicanalitica dei miti degli eroi fondatori, vedi anche una celebre opera dello stesso maestro di Rank, Sigmund Freud: S. FREUD, L'uomo Mosè e la religione monoteistica, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.
contempo, appartiene ad un lignaggio quantomai illustre. Proprio questi due elementi vengono messi in particolare risalto dai miti di fondazione. La condizione di trovatello o di orfano fin dalla più tenera età permette di conferire il dovuto spicco al ruolo più propriamente 'fondativo', primigenio dell'eroe. Egli è un self made man, fonda qualcosa di importante semplicemente avvalendosi della propria 'virtù' e sfruttando l'occasione favorevole: viene ridotto al minimo l'apporto esterno. Al tempo stesso, però, i miti fondativi rivelano tutto il loro carattere 'conservatore' sottolineando la nobilissima ascendenza dell'eroe (magari per lungo tempo sconosciuta all'eroe stesso). L'eroe fondatore si è fatto da sé, ha fatto risplendere la propria 'virtù' senza che i propri meriti fossero diminuiti da una posizione privilegiata, dagli aiuti di una famiglia ricca e potente. Non è tuttavia di sangue vile, non è un plebeo: discende a sua volta da una famiglia della più alta nobiltà. Questa logica è certo cara ad una casata quale quella estense: poeti organici al potere quali Boiardo e Ariosto badano bene di attenersi ad essa.
È un tratto che si coglie bene se pensiamo alla differenza con Machiavelli. Questi non esita a demistificare le presunte origini divine degli eroi fondatori sul tipo di Romolo, spiegandole in senso evemeristico. Dichiara infatti che «tutti [coloro che hanno in questo mondo operato grandissime cose] o ei sono stati esposti alle fiere, o egli hanno avuto sì vil padre che, vergognatisi di quello, si sono fatti figliuoli di Giove o di qualche altro Dio».74
74 N. MACHIAVELLI, La vita di Castruccio Castracani da Lucca, in ID., Tutte le opere storiche, politiche e letterarie, a cura di A. Capata, con un saggio di N. Borsellino, Roma, Newton, 1998, p. 451.
Nella Vita di Castruccio Castracani, Machiavelli si distingue nettamente dal precedente biografo del condottiero lucchese, Niccolò Tegrimi. Quest'ultimo aveva tentato di nobilitare il Castracani, riconducendolo – con una “genealogia incredibile” ad hoc – alla nobile famiglia degli Antelminelli (famiglia della quale scriverebbero già gli scrittori della latinità). Tegrimi trasforma quindi Castruccio in un emblema di nobiltà e di continuità: non stupisce che, in accordo con questo presupposto, Tegrimi si preoccupi di rappresentare Castruccio come un severo moralista, uomo di lettere, padre pio e coscienzioso, insomma un degno emulo degli antichi Catone e Cicerone. Assai differente il discorso per il Castruccio di Machiavelli. Lo scrittore fiorentino presenta Castruccio come un uomo di umili origini: gli nega una “genealogia incredibile” risalente alla romanità e stabilisce un legame genealogico assolutamente artificiale con la più tarda dinastia lucchese dei Guinigi. Non vi sono legami di sangue fra Francesco de' Guinigi e Castruccio (come non ve ne sono fra Castruccio e la coppia che lo adotta ancora in fasce, da trovatello). Semplicemente, prima di morire, Francesco de' Guinigi stabilisce che al giovane Castruccio – di cui ha imparato ad apprezzare le notevoli qualità – siano affidate l'amministrazione delle sue proprietà e la tutela del suo figlio primogenito. È così che il talentuoso Castruccio si ritrova “patriarca adottivo” dell'illustre famiglia Guinigi.75
Del resto, anche nel Principe76 – sebbene affermi che «la sua efferata crudeltà e 75 Sull'aspetto genealogico nella vita di Castruccio Castracani, cfr. J.T. SCHNAPP, Machiavellian Foundlings: Castruccio Castracani and the Aphorism, in «Renaissance Quarterly», XLV, 4, 1992, pp. 653-676.
inumanità con infinite sceleratezze non consentono ch'e' sia in fra gli eccellentissimi uomini celebrato» – Machiavelli non nasconde la sua simpatia per un personaggio come Agatocle di Siracusa, uomo «non solo di privata ma d'infima e abietta fortuna», in quanto «nato di uno figulo». Machiavelli sembra trovare un profondo motivo di ammirazione nelle umili origini di Agatocle, perché egli seppe far fronte alla propria condizione di svantaggio, ottenendo e conservando il potere di Siracusa pressoché unicamente grazie alle proprie doti: infatti, «chi considerassi […] le azioni e vita di costui, non vedrà cose, o poche, le quali possa attribuire alla fortuna». A differenza di Boiardo e Ariosto, aristocratici e portavoce culturali di una dinastia signorile quale quella estense, il borghese Machiavelli non si perita di mettere in luce le umili origini dei suoi eroi fondatori: tanto più meritori proprio per aver raggiunto e conservato il potere senza contare su privilegi di nascita e attinenze influenti.
La rupture del Ruggiero ariostesco nei confronti del modello di 'eroe fondatore' caro all'ideologia nobiliare sta altrove. Innanzitutto, a livello più generale, è utile soffermarsi sui riverberi che dal celebre episodio lunare (OF XXXIV- XXXV) si diffondono inevitabilmente nella lettura del resto dell'opera (sia pure con gli opportuni distinguo a cui accennerò tra breve). Il discorso di San Giovanni Evangelista ad Astolfo insinua il tarlo del dubbio riguardo alle “verità” tramandate dagli scrittori. Indirettamente, il discorso del Santo invita allo scetticismo verso la stessa genealogia estense illustrata ed esaltata nel
Governare a Firenze, éds. J.-L. Fournel, P. Grossi, Paris, Quaderni dell’Hôtel de Gallifet,
Institut culturel italien de Paris, 2007, pp. 125-139. Su questo capitolo ha riflettuto lungamente anche V. KAHN: Virtù and the Example of Agathocles in Machiavelli's Prince, in «Representations», XIII, 1986, pp. 63-83.
Furioso: anche riguardo alla linea che da Ruggiero e Bradamante porta a
Ippolito ed Alfonso. D'altronde, abbiamo già ricordato sopra che la storia di Ettore – il progenitore di Ruggiero e degli Estensi secondo le narrazioni boiardesca e ariostesca – viene esposta in OF XXXV in una versione clamorosamente differente da quella tramandata da Omero e data per buona in altri luoghi del Furioso.
Come è stato giustamente osservato,77 è indebito annettere troppa importanza
all'episodio lunare sul piano ideologico. Con tale episodio, ci troviamo nell'ambito di un 'genere' ben preciso, quello della letteratura paradossale: pertanto, «la dissacrazione resta circoscritta al punto di vista lunare, ovvero al suo carattere, per definizione relativo e provvisorio, di momento 'carnevalesco'».78 È anche vero, però, che «ciò non toglie che sia vero pure il
contrario, ovvero che la ragione può dire le sue verità proprio perché esiliata in un altrove e soltanto nella forma straniante del paradosso. Ariosto mostra la natura equivoca della verità letteraria, verità sempre compromessa con l''errore', sempre condizionata dalla contingenza storica che ne relativizza la pretesa di proporsi come Parola assoluta».79 In definitiva, anche se da un punto di vista
ermeneutico è necessario tenere nella dovuta considerazione la specificità sui
generis dell'episodio lunare, in quanto ascrivibile all'ambito della letteratura
paradossale, resta il fatto che il lettore del Furioso, imbattendosi nei canti
77 Cfr. ZATTI, Poesia, verità e potere cit., p. 278. Sul nodo verità-menzogna nell'episodio lunare e nel Furioso in generale, cfr. anche A. CASADEI, Nuove prospettive su Ariosto e sul Furioso, in «Italianistica», XXXVII, 2008, 3, pp. 167-192.
78 ZATTI, Poesia, verità e potere cit., p. 278. 79 Ibidem.
XXXIV-XXXV del poema, sarà facilmente portato a pensare che gli insegnamenti demistificanti di San Giovanni si possono applicare anche alle celebrazioni genealogico-encomiastiche che abbondano nell'opera ariostesca. È un rischio che probabilmente Ippolito ed Alfonso avrebbero preferito evitare e che sembra comunque rivelare una certa audacia nell'autore.
Ma a non sembrare scontata è soprattutto la caratterizzazione del comportamento di Ruggiero per gran parte del poema. Troppo poco 'esemplare', per trattarsi dell''eroe fondatore' della dinastia estense. A differenza di Bradamante, che è costantemente dedita alla sua trepida quête dell'amato, Ruggiero appare nel complesso assai meno ansioso di riunirsi alla sua futura sposa. Si fa invece adescare più volte dalle lusinghe della lascivia e sembra spesso mosso da “mera curiosità turistica”. Ariosto non lesina l'ironia verso di lui: il caso più clamoroso è certo quando Ruggiero, subito dopo essersi liberato dalla colpevole passione per Alcina e aver faticosamente raggiunto la rocca di Logistilla (ossia la Ragione), risprofonda ancora nel vizio tentando affannosamente di violentare la bellissima Angelica.
Solo verso la conclusione del poema Ruggiero assurge ad una statura degna del suo ruolo. Nel proporlo quale sfidante di Rinaldo nel duello decisivo con cui si vorrebbe porre fine alla guerra tra Mori e Cristiani, Sobrino dichiara Ruggiero eroe di valore pari a Rinaldo e Orlando.80 Il progenitore estense acquista un'aura
da autentico eroe carolingio nella guerra tra Bulgari e Greci, in cui i Bulgari
80 Cfr. OF XXXVIII 62, vv. 1-4: «Io 'l so, e tu 'l sai che Ruggier nostro è tale, / che già da solo a sol con l'arme in mano / non men d'Orlando o di Rinaldo vale, / né d'alcun altro cavallier cristiano».
giungono a proclamarlo loro re. Infine, la raggiunta maturità di Ruggiero è sancita dalle nozze con Bradamante e dal duello finale con Rodomonte, sulla falsariga del duello tra Enea e Turno.81
È un po' poco, secondo numerosi letterati cinquecenteschi. Una delle più gravi e ricorrenti accuse che essi muovono ad Ariosto è proprio quella di aver rappresentato Ruggiero in modo poco 'esemplare' per gran parte del poema. Basti pensare alle aspre parole di Giason Denores nel suo Discorso.82 Altri
giudizi sono ben più indulgenti, come si ricava da questo passo dell'Allegoria
sopra il Furioso di Gioseffo Bonomone:
Ruggiero è l'idea d'un ottimo cavaliero, poiché il furor di Amore non è bastante a trasportarlo fuor de' termini ed impedirlo che non soddisfaccia alla fede ed al sacramento di cui si trovava legato con Agramante per ragion di milizia. In lui si scopre una gran gentilezza e grandezza d'animo, mentre che, per non essere scortese verso Leone Augusto, vuol con l'arme levare a sé la sua Bradamante e guadagnarla ad altri e più tosto morire, che in lui si scopra minimo segno di scortesia e di viltà. E se bene è occupato dalle comuni imperfezioni appresso d'Alcina, come anche Enea appresso Didone, nondimeno si risveglia dal sonno de' vizI.83
81 Sulla caratterizzazione troppo poco 'esemplare' della figura di Ruggiero, cfr. F. SBERLATI, Magnanimi guerrieri. Modelli epici nel Furioso, in Boiardo, Ariosto e i libri di battaglia, Atti del convegno, Scandiano-Reggio Emilia-Bologna, 3-6 ottobre 2005, a cura di A. Canova, P. Vecchi Galli, Novara, Interlinea, 2007, pp. 453-473.
82 Cfr. G. DENORES, Discorso intorno a que' principii, cause, et accrescimenti che la comedia, la tragedia et il poema eroico ricevono dalla filosofia morale e civile e da' governatori delle Repubbliche, in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, III, a cura di B. Weinberg, Bari, Laterza, 1972, pp. 373-419.
83 Allegoria di Gioseffo Bonomone sopra il Furioso, in Orlando furioso di M. Lodovico Ariosto, delle annotazioni de' più celebri autori che sopra esso hanno scritto [...] adornato,
L'apologia del Bonomone punta molto sul carattere 'in divenire' della Bildung di Ruggiero: ciò che conta veramente è che alla fine l'eroe «si risveglia dal sonno de' vizi». L'allegorista sfrutta anche i precedenti in ambito epico in chiave legittimante, tentando di equiparare gli errori di Ruggiero al 'traviamento passionale' di Enea per Didone. L'impressione finale, comunque, è che giustificazioni di questo tipo mostrino facilmente la corda. Rimane la