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D ALLA REALTÀ AI VERSI, DAI VERSI ALLA REALTÀ: L’EROE-CAPITANO NEI POEMI EPICO-CAVALLERESCH

L’EROE COME CAPITANO

2. D ALLA REALTÀ AI VERSI, DAI VERSI ALLA REALTÀ: L’EROE-CAPITANO NEI POEMI EPICO-CAVALLERESCH

a) I commenti all'Orlando Furioso

I commenti cinquecenteschi all’Orlando Furioso sono un campo di studio privilegiato per comprendere come gli eroi del poema ariostesco diventino modelli per i capitani della realtà storica contemporanea. Dalle loro gesta, non si ricava solo diletto, ma in vari casi – diligentemente segnalati dai commentatori – pure insegnamenti utili per gli uomini di guerra che aspirino alla perfezione.

I commentatori, però, non si limitano a connettere gli eroi ariosteschi ai capitani della realtà storica, bensì orientano in misura notevole il lettore anche nella valutazione della capacità effettiva dei vari Orlando, Rinaldo, Ruggiero etc. di incidere sul corso degli eventi. Occorrerà soffermarsi preliminarmente su questo punto. I paratesti esegetici nelle edizioni medio- e secondo-

cinquecentesche del Furioso tendono con insistenza a ricondurre le azioni degli eroi ad un più ampio piano divino. Di conseguenza, il lettore è costantemente invitato a relativizzare i meriti degli eroi ariosteschi: spesso, si ha come la sensazione che i personaggi ariosteschi diventino null’altro che pedine mosse da una sapiente strategia divina. È un dato che emerge con particolare evidenza nelle edizioni a cura di Clemente Valvassori (1553) e di Orazio Toscanella (1574), ma è ben riscontrabile pure negli altri commenti.411

In varie occasioni, i commentatori pongono in particolare risalto quanto sia determinante l’intervento divino nel felice esito delle imprese narrate nel

Furioso. È la grazia divina a consentire che Ruggiero recuperi la ragione, dopo

il traviamento nell’isola di Alcina (Porcacchi la definisce «grazia preveniente del divino amore»).412 Dietro il salvataggio di Olimpia, si cela innanzitutto il

volere di Dio, del quale Orlando diventa un semplice esecutore: «La fortuna, che sospinge Orlando alla terra della misera Olimpia, contiene la miracolosa maniera con la quale Iddio manda soccorso a’ bisognosi».413 L’insperato

accorrere di Bradamante e di Marfisa in soccorso di re Carlo insegna che

411Le mie citazioni dai commenti ariosteschi saranno tratte, salvo esplicita segnalazione contraria, dall’edizione Orlandini (Venezia, 1730). Con la sigla ‘a.’, intendo ‘allegoria al canto’. Sul commento del Toscanella, vedi L. BOLZONI, Tra parole e immagini: per una tipologia cinquecentesca del lettore creativo, in EADEM, Il lettore creativo: percorsi cinquecenteschi fra memoria, gioco, scrittura, Napoli, Guida, 2012, p. 45 sgg.

412Cfr. PORCACCHI, a. V; cfr. anche VALVASSORI, a. V («inspirazione divina») ed a. VIII («divina grazia»).

413VALVASSORI, a. IX; in merito allo stesso luogo, cfr. anche TOSCANELLA: «Orlando, che per fortuna di mare arriva in Fiandra e non può andare dove avea deliberato, significa i pensieri e le deliberazioni umane non essere in poter dell’uomo ma di Dio, e che (come s’usa di dir nelle popolaresche favelle) l’uomo pensa e Dio dispone».

«sebben Cristo permette che i suoi credenti siano travagliati dagl’inimici suoi, nientedimeno, se perseverano in viva fede e fanno ogni possibile resistenza ai travagli, vengono da sua divina Maestà aiutati con mezzi non sperati e quando anco meno si spera: laonde fa mestiero e di creder fermamente sempre e di resister sempre e combatter sempre la forza inimica».414 Particolarmente

importante per i commentatori è il passo in cui la spada Balisarda, senza la quale non si sarebbe potuto ferire Gradasso nel duello di Lipadusa, giunge in mano di Orlando, grazie ad una nave sospinta solamente dai venti. Secondo Valvassori, da ciò «si vede manifestamente come la provvidenza di Dio governi noi e le cose nostre».415

Dio interviene spesso nel poema anche per mezzo di punizioni. Oltre alla celebre follia di Orlando, i commentatori evidenziano i vari casi in cui la giustizia di Dio si manifesta ora per punire un tradimento,416 ora – come nel

caso della strage perpetrata da Rodomonte a Parigi – per via dei «gravissimi peccati» del popolo cristiano.417 La morte del re Cimosco insegna «che la divina

414Cfr. TOSCANELLA, a. XXXVIII.

415VALVASSORI, a. XLI. Cfr. anche BONOMONE, c. C3v: « La spada Balisarda, senza cui non si saria potuto ferir Gradasso, la quale a tempo sì opportuno, e necessario venne portata nella nave da' venti, e capitò in mano d'Orlando, ci fa avvisati della divina providenza, e ci significa che le occasioni nelle cose importanti sono doni di Dio, il quale con la presenza sua favorisce simili imprese».

416TOSCANELLA, a. XV: «Il Gigante, che prende se medesimo con la sua rete, dinota quale sia il debito premio del tradimento; cioè come la Maestà di Dio paghi i traditori».

417VALVASSORI, a. XV: «Nella ruina che fa Rodomonte in Parigi, ammazzando il popolo, ardendo i palazzi e ruinando i tempi, comprendesi che ’l giusto Iddio talora consente che i popoli cristiani, per li gravissimi peccati loro, siano danneggiati dagli infedeli». Analogamente in TOSCANELLA: «Rodomonte, il quale arde Parigi e fa quasi infiniti danni, è figurato per il flagello di Dio, con cui castiga i malvagi. L’angelo, che conduce

giustizia, quanto più tarda a venire, tanto cade poi con maggior ruina».418 La

stessa distruzione finale di Biserta «è posta dal poeta, acciocché le città potenti non si fidino nella loro potenza ma, considerando che non possono sempre essere felici, attendano al giusto e all’onesto, sperando per questa via di poter più lungamente godere la felicità che Dio solo può mantenere, malgrado della volubile fortuna».419

Proprio per questi reiterati e decisivi interventi divini, gli uomini di guerra non devono trascurare di invocare e di pregare Dio. I commentatori sono concordi nel sottolineare l’esemplarità dell’orazione di re Carlo a Dio in occasione dell’assedio di Parigi.420 Nel soffermarsi sulle orazioni e sui digiuni voluti da

Astolfo e Orlando per l’esercito impegnato nell’assedio di Biserta, Porcacchi si rivolge ai capitani, a riprova del fatto che l’Orlando Furioso è considerato anche un manuale di condotta per i capitani del presente: «Per Astolfo e per Orlando, i quali prima che si dia l’assalto a Biserta fanno far nell’esercito orazioni e digiuni, sono avvisati i capitani di guerra a dovere aver sempre nelle loro espedizioni Iddio innanzi agli occhi, senza l’aiuto del quale niuna impresa

l’esercito in aiuto dei cristiani, dà ad intendere che Dio non abbandona coloro che si pentono d’averlo offeso».

418VALVASSORI, a. IX; cfr. anche TOSCANELLA: «La perdita della vita dei figliuoli e dello stato di Cimosco traditore mostra quanto dispiaccia alla Maestà di Dio il tradimento e come alla fin fine il frutto che se ne raccoglie è una estrema ruina». Sull’immancabile punizione dei colpevoli nel Furioso, vedi A. CASADEI, Nuove prospettive su Ariosto e sul “Furioso”, in «Italianistica», 2008, 3, pp. 167-192.

419Cfr. TOSCANELLA, a. XL.

420Cfr. le allegorie di VALVASSORI, RUSCELLI, PORCACCHI e TOSCANELLA al canto XIV.

può esser condotta a buon fine».421 In modo molto controriformistico, Porcacchi

insiste anche sull’imprescindibile ruolo mediatore della Chiesa, senza il quale «non si può condurre a lieto fine alcuna azione».422

Perfino quando i personaggi positivi del poema subiscono una sorte che appare immeritata, i commentatori trovano curiose giustificazioni per ribadire il principio dell’intervento divino. Così, il Lavezzuola, dopo essersi anch’egli soffermato sull’utilità delle preghiere a Dio, spiega come il santo eremita che aiuta Isabella sia ucciso da Rodomonte «per occulta provvidenza di Dio, il qual permise che per salvezza dell’anima sua quell’Eremita in quell’ora affogasse nell’acque, potendo di leggiero, se più vivuto fosse, divenir tristo e scellerato, essendo solita S.D.M., come dicono le sacre lettere, spesse fiate levar dal mondo innanzi tempo gli uomini da bene, acciocché non sieno sedutti dagli empi».423

La costante enfasi dei commentatori sul ruolo divino nelle imprese dei guerrieri ariosteschi contribuisce certo a smorzare l’accento sulla valenza eroica delle loro gesta. Al tempo stesso, però, i commentatori richiamano l’attenzione sull’esemplarità delle azioni degli eroi ariosteschi, proponendole all’imitazione dei capitani del presente. Toscanella, nell’Allegoria dei nomi proprii principali

dell’opera, spiega che Orlando «significa il furore in questa opera», ma, una 421PORCACCHI, a. XL.

422Cfr. PORCACCHI, a. XLIV: ««Per li paladini, che dimorati prima co ’l Santo Eremita arrivarono poi felicemente, e con prospero vento a Marsilia, si considera, che chi vuole far con prosperità alcun cammino, o alcuna impresa, deve prima dimorar co’ sacerdoti e da loro essere instrutti nelle dottrine sante, e nella via di Dio, ricevendo tutti i debiti sacramenti della Chiesa cattolica, senza i quali non si può condurre a lieto fine alcuna azione [...]». 423A. LAVEZZUOLA, Osservazioni, vol. II, XXIX 7.

volta risanato, «è l’esempio d’un perfetto Capitano».424 Anche Astolfo è

associato da Toscanella alla figura del capitano: «Astolfo, che col tremendo suono del corno mette in ispavento, e fuga ciascuno, significa la fama del forte capitano, che spaventa e fa fuggire tutti coloro che di vera fortezza armati non sono».425 Il canto del poema che appare più prezioso ai commentatori per

additare esempi di comportamento esemplare per un capitano è certo il XVI, ove viene narrato l’assedio di Parigi. È soprattutto Rinaldo ad attrarre l’attenzione dei commentatori, i quali – come osserviamo nei casi di Valvassori e di Fornari – enucleano le azioni per cui il paladino appare degno di imitazione:

In Rinaldo, che con bel parlar accende gli animi de’ soldati, ordina le schiere, commette a ciascuno il suo ufficio, toglie al nimico la difesa del fiume ed innanzi agli altri va ad incontrarlo, si descrive a pieno l’ordine che tener dee un prudente e ottimo Capitano.426

In Rinaldo che, dopo l’avere confortato con parole i baroni e capitani, ben divide le squadre e a ciascuna assegna il suo particolare ufficio, e che usa rimedio che ’l nimico non possa prendere il fiume per iscudo, si conosce l’ordine che tener dee un prudente ed ottimo capitano, acciocché gli avversari non abbino contra lui qualche ragion di vantaggio, e come le parole saggiamente e con grazia dette sono di gran momento ad

424TOSCANELLA, c. C4r-v. 425TOSCANELLA, a. XV. 426VALVASSORI, a. XVI.

accender gli animi de’ capi e soldati.427

Porcacchi, invece, evidenzia in Rinaldo soprattutto la virtù fondamentale della prudenza: Ariosto, nella figura di Rinaldo «che ordina le schiere, comparte gli uffici, discorre e conforta i suoi, ci rappresenta che il vero Capitano di guerra deve esser prudente e circospetto da tutte le parti».428 Rinaldo diventa il

contraltare al modello negativo di Rodomonte, il cui assalto dimostra per converso «quanto sia dannoso l’ardimento temerario e senza considerazione».429 Nello stesso canto, anche i provvedimenti bellici dei due re

in lotta, Carlo e Agramante, appaiono esemplarmente istruttivi. Ruscelli sostiene che «in Carlo […] e in Agramante s’ha un rarissimo esempio di due valorosissimi re, l’uno in combattere, l’altro in valorosamente difendere una città».430 Porcacchi sottolinea invece che il poeta, «nel descriver l’oppugnazion

di Parigi, mostra sotto la persona di Carlo e d’Agramante quanto importi nell’imprese di guerra la persona del Principe».431 Meno interesse suscita invece

l’abilità di Ruggiero quale capitano dei Bulgari nel canto XLIV: si può ricordare tutt’al più che, secondo Valvassori, dai successi di Ruggiero

427S. FORNARI, La spositione [...] sopra l'Orlando Furioso di m. Ludovico Ariosto, Firenze, Torrentino, 1549-1550, p. 340.

428PORCACCHI, a. XVI.

429Ibidem. Cfr. anche VALVASSORI, a. XIV: «L’audace Rodomonte, il quale estinse tutti i suoi soldati, fa chiaro quanto sia dannoso ad uno esercito l’aver capitano temerario». L’importanza della prudenza militare è sottolineata dall’Orologi in relazione all’esordio dell’ultimo dei Cinque Canti.

430RUSCELLI, a. XVI. 431PORCACCHI, a. XVI.

«comprendesi di quanta importanza sia un buon capitano».432

Ampia attenzione viene dedicata alla prudenza militare, coerentemente al ruolo centrale rivestito da questa virtù, come abbiamo potuto constatare dall’esame dei trattati. Modelli negativi per eccellenza sono Mandricardo e Rodomonte. Bonomone scrive di loro che «per un non so che di superstizione di carico e d’ombra vengono a battaglia (il che fu proprio dei gladiatori nella milizia romana)», di modo tale che «sebbene riesce loro la cosa una e due volte prosperamente, non prima s’avvederanno della lor bestialità, che intopperanno e precipiteranno».433 In Rodomonte, in particolare, «è grande la forza, ma retta

da niuna ragione, così senza deliberazione e senza consiglio piglia ed abbandona l’imprese, come l’impeto e il furor gli detta, onde avviene che con le sue smisurate forze riesce a se stesso e ad altri nocivo».434 Fornari indica

espressamente Rodomonte quale esempio da rifuggire per il buon capitano: «Su ’l principio del quintodecimo canto, il poeta raccoglie per l’esempio di Rodomonte di quanto danno sia a uno esercito l’aver capitano audace e temerario».435 Ma anche Ruggiero viene accusato di mancanza di prudenza (da

intendersi come cautela), allorché tenta con un’azione individuale di assassinare Leone. Valvassori spiega: «Nella presura di Ruggiero, che solo e senza altro aiuto si era messo in via per uccider il figliuolo del greco

432VALVASSORI, a. XLIV. 433Cfr. BONOMONE, c. C3v. 434Ibidem.

435FORNARI, op. cit., p. 299. Più oltre (p. 340), a proposito del canto XVI, FORNARI scrive: «In Rodomonte si dimostra la bravura e audacia temeraria a sé e a suoi essere dannosa e lagrimevole molto e a nemici apportar piuttosto spavento che vero danno e rovina» (analogo è il commento di Lavezzuola al proposito).

imperatore, comprendesi che chi troppo si confida nelle proprie forze incautamente rimane preso».436 L’esempio negativo di Agramante e di Marsilio

offre un caso concreto da cui si possono ricavare utili insegnamenti. A proposito dell’inizio del canto XXXII, Fornari dichiara che Ariosto «c’insegna con l’esempio d’Agramante e di Marsilio i capitani, se pur dalla inimica fortuna si trovassero per alcun tempo mal conci, non dovere così disperatamente abbandonar l’impresa ma, ricovrandosi in un sicuro e comodo luogo, attendere di riparar gli eserciti e cercar con frequenti consigli e provvedimenti tutti i vantaggi per poter di nuovo venire al pari co ’l nimico e vincerlo».437

Altri episodi propongono invece esempi positivi di prudenza. Secondo Ruscelli, l’impresa con cui Orlando uccide l’orca marina dimostra «quanto le più volte fia superiore la prudenzia e l’ingegno alla forza».438 Contrariamente a quanto si

potrebbe pensare, i commentatori prendono molto sul serio il personaggio di Astolfo e gli episodi che lo riguardano (egli viene addirittura incaricato di raffigurare la superiorità della vita contemplativa su quella attiva). Valvassori ritiene che il libro donato da Logistilla al paladino stia per la prudenza, della quale fornisce una delle definizioni più ricorrenti: «Il libretto donato da Logistilla ad Astolfo, che insegna a riparare agl’incanti e con l’indice dimostra dove ne tratti più indietro o più innanzi, importa la prudenza, la quale non è altro che la memoria delle cose passate, intelligenza delle presenti e providenzia delle future».439 Astolfo fa buon uso del libretto: quando affronta 436Cfr. VALVASSORI, a. XLV.

437FORNARI, op. cit., p. 489. 438RUSCELLI, a. XI.

Orrilo, prima «prende ammaestramento dal suo libretto, e poi l’uccide con la spada», dal che si comprende «che in ogni impresa si dee prima consigliarsi prudentemente e poi adoperar le forze».440 Sebbene in altre occasioni – come

abbiamo già osservato – gli venga rimproverata la mancanza di prudenza, in riferimento al canto XVIII re Marsilio è additato a modello di «capitano accorto». Fornari scrive infatti: «In Marsilio, che dà di piglio a quel che gli resta in mano e non vuol così ostinatamente combattere che alla fine il tutto ne venga a perdere, si dipinge la temperanza d’un capitano accorto che non si lascia dall’impeto dell’animo e dalla furia scioccamente menare».441 Lo stesso

Fornari, soffermandosi sul celebre episodio della rocca di Tristano, sottolinea la prudenza dei capitani italiani cinquecenteschi di contro alla condotta «furibonda» e «temeraria» dei francesi.442

I commentatori tendono però a rintracciare nel Furioso casi esemplari di prudenza anche al di là del piano strettamente militare, prestando attenzione agli importanti collegamenti con l’ambito politico. Del resto, già Machiavelli – tramite il noto aneddoto della conversazione con il cardinale di Rouen – insegnava che arte dello stato e arte della guerra sono strettamente congiunte, per cui chi non si intende delle «cose dello stato» è destinato alla sconfitta in

440Ibidem. Analogamente in PORCACCHI: «Il consiglio che prende dal libro per ammazzare Orrilo, denota che contra la fraude si deve prima usar la sapienzia, e poi la forza».

441FORNARI, op. cit., p. 373.

442Cfr. FORNARI, op. cit., p. 503: «Nel 33. Canto, con leggiadra invenzione fa raccontare il poeta le guerre da Francesi fatte in Italia: e questo tutto per prendere occasione di far lodevole menzione de’ Davali, e massimamente del Vasto. Dove egli, ingegnosamente avvertendo alla sempiterna perdita di quella gente nel detto paese quando viene per insignorirsene, ci dà a conoscere i furibondi et temerarii principii de’ Franchi riuscire ultimamente vani per la tolleranzia ed avvedimento de' prudenti capitani italici».

guerra.443 Giuseppe Bonomone prende le mosse dalla contrapposizione tra i

«furori» del giovane re Agramante e la saggia prudenza del vecchio re Carlo per lodare il dedicatario della sua Allegoria universale, il bergamasco Bonifacio Agliardi. Questi, secondo l’autore, è stato per la propria patria «un Sobrino, un Nestore, un saggio senatore».444 Il Bonomone accosta il colpevole «furore» di

Agramante a quello dimostrato da altri personaggi della storia e del mito, quali Agamennone (in Omero), Turno (in Virgilio), Annibale (in Livio), Pericle, Demostene (quando provocò l’intervento della Macedonia) e Cicerone (quando appoggiò Ottaviano, contribuendo così alla fine della Repubblica). Modelli esemplari sono invece il Nestore omerico e il Sobrino boiardesco e ariostesco, per cui Bonomone dichiara che giustamente Agamennone brama dieci Nestori, mentre «licenzia» Achille. Analogamente, Agramante avrebbe potuto desiderare dieci Sobrini, invece dei «contumaci e feroci» guerrieri che l’hanno esortato a intraprendere una guerra sconsiderata, salvo poi non essere di alcun aiuto in un momento critico come quello dell’assedio: in tale occasione, infatti, i più forti guerrieri del campo infedele si sfidano a vicenda per futili motivi anziché accorrere in aiuto del loro re in difficoltà. Dalle parole di Bonomone risulta evidenziata la figura del ‘prudente’ Sobrino, un personaggio la cui importanza è stata giustamente rivalutata nella più recente critica ariostesca.445 Né il parallelo 443Cfr. MACHIAVELLI, Il Principe, cap. 3.

444BONOMONE, c. C3r. Le doti di saggio politico e diplomatico dell’Agliardi risultano chiaramente dal profilo di lui stilato da DONATO CALVI nel suo Campidaglio de’ guerrieri et altri illustri personaggi di Bergamo, Milano, Francesco Vigone, 1668, pp. 93- 95.

445Cfr. MARCO DORIGATTI, Sobrino ariostesco e misconosciuto, in «Belfagor», LXV, 2010, 4, pp. 401-414 (apparso precedentemente in francese con il titolo Sobrino: sagesse et

con la contemporaneità è esclusivo del Bonomone. Pure Fornari sfrutta la contrapposizione fra la «cauta prudenzia» del «vecchio Carlo» e i furori del «giovene Agramante» per lodare il dedicatario del proprio commento, Cosimo I de’ Medici.446

Sono interessanti gli spunti che i commentatori traggono da Ariosto in merito alla questione dell’astuzia in campo militare, aspetto che si ricollega alla tanto celebrata ‘prudenza’. Da una parte c’è chi, come Ruscelli, sembra ricusare le astuzie e gli opportunismi che permettono di ottenere un vantaggio sull’avversario. In sintonia con il più puro spirito cavalleresco, egli evidenzia l’esemplarità del gesto con cui Orlando getta in mare la bombarda di Cimosco: episodio che «ci insegna come un veramente magnanimo e generoso cuore dee sdegnare e fuggir sempre ogni sorte di vantaggio fraudolente».447 Non a caso,

Ruscelli è anche il commentatore più attento a sottolineare l’immancabile punizione che si abbatte sui personaggi malvagi del poema,448 come pure la éloquence d’un conseiller sarrasin, in L’Arioste: discours des personnages, sources et influences, éd. par Gian Paolo Giudicetti, «Les Lettres romanes», numéro hors série, 2008, pp. 77-89).

446Cfr. FORNARI, op. cit., pp. 4-5. Rivolgendosi direttamente a Cosimo, Fornari aggiunge: «a chi può esser più che a V. E. simil soggetto conosciuto e noto? La quale in età acerba e giovenile, avendo il petto ripieno di maturo e senile consiglio, non solo abbatté ogni temerario ardire ed affrenò e spense ogni odioso pensamento de’ suoi nemici, ma gli occhi di quelli illustrando co ’l lume della sua integrità e giustizia e di tutte quelle virtù, che a un ottimo e singular prencipe s’acconvengono, converse l’odio in amore, l’insidie in securezza, le faville dell’ira e dello sdegno in sedata mansuetudine e quieta pace».

447RUSCELLI, a. XI.

448Si vedano le sue parole a proposito di Caligorante e di Orrilo: «In questo quintodecimo canto, per Caligorante che finalmente prende se stesso nella sua rete, si vede come quasi sempre le scelleratezze e gli inganni altrui ritornano in ultimo a danno e ruina di chi l’adopra. Per Orrilo, che tagliato in pezzi si risaldava da se stesso e teneva vivo, si dimostra

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