1. IL FASCINO DEL CAVALIERE MONTATO E LE CONSEGUENZE
1.2 URTO FRONTALE E PANTOCLASTIA
1.2.1 Fasi della carica a fondo (il ruolo della coesione)
Flori trattando delle tattiche cavalleresche nomina tre elementi46 che dovevano trovarsi alla base di ogni azione di cavalleria:
1. La manovra richiedeva un piano preparato in precedenza; 2. “Rispetto collettivo per le consegne date dal comandante”;
3. Per ottenere una efficace coesione d’insieme era necessaria una ferrea disciplina.
43 Corsivo mio.
44 Traduzione mia basata su quella francese di W. Kibler, Librairie Générale Française, Paris 1996. 45 Corsivi miei.
Anche se chiaramente non sono soltanto questi gli aspetti che vengono messi subito in evidenza dall’incredibile potenza distruttiva e dalla maestosità luminosa della carica frontale a lancia tesa di un’intera schiera di cavalieri. Ma tutti i testi sottolineano la compattezza e la coesione, indispensabili per la buona riuscita dell’attacco. Nel descrivere questa particolare situazione vi sono alcuni termini ricorrenti, verbi, sostantivi, aggettivi, situazioni che si incontrano in opere differenti ed espressioni formulari che rimangono fedeli nel tempo e continuano a essere impiegate nella descrizione della carica e, in particolare, nelle conseguenze materiali dello scontro. Testo base da cui partire per le prime osservazioni e i primi passi all’interno dell’argomento è senza dubbio il classico di Jean Rychner La chanson de geste, essai sur l’art épique des jongleurs (1955) in cui la descrizione dell’attacco viene efficacemente suddivisa in sette fasi, tutte riscontrate nel corso dell’analisi dei romanzi e delle chansons, che rendono più semplice il lavoro di individuazione delle sequenze formulari e delle situazioni in cui esse vengono impiegate. I sette elementi che secondo Rychner vanno a comporre il motivo nella sua interezza sono:
1. Dar di sprone al proprio cavallo. 2. Brandire la lancia.
3. Colpire.
4. Spezzare lo scudo dell’avversario.
5. Rompere il suo usbergo o la sua cotta di maglia.
6. Attraversargli il corpo con la lancia, o nel caso in cui si mancasse il bersaglio, ferirlo di striscio soltanto.
7. Abbatterlo giù dal suo cavallo, spesso morto. 47
Già dalla lettura di questa suddivisione in fasi si può comprendere quali siano gli elementi in gioco nella carica e quale sia la sua potenza d’impatto distruttiva che pervade tutti i testi. Nel caso di un duello tra due cavalieri, questi si posizionavano a una certa distanza uno di fronte all’altro, entrambi a cavallo dei loro veloci destrieri, dopo che entrambi erano in posizione – e solitamente dopo essersi scambiati parole di sfida o ingiurie48, il celebre motivo della vantance precedente l’inizio della battaglia, tipico dei
47 Traduzione (non letterale) mia da RYCHNER J., La chanson de geste, essai sur l’art épique des
jongleurs, Societé de publications romanes et françaises, Geneve/Lille 1955, p. 141.
guerrieri della tradizione germanica49 – i cavalli venivano spronati ad avanzare alla massima velocità uno incontro all’altro senza rallentare minimamente mentre ci si avvicinava all’avversario. È immaginabile a questo punto quale doveva essere la violenza dell’impatto e il fragore del cozzo tra due animali corazzati lanciati a massima velocità e montati da cavalieri armati pesantemente di armi metalliche e dotati di una lunga lancia per tentare di disarcionare, ferire gravemente o uccidere l’avversario. I testi raccontano che ben poco dell’equipaggiamento sopravviveva a questo impatto e nel loro modo di descrivere è rintracciabile una certa ed innegabile fascinazione per l’elenco minuzioso di tutto ciò che rimaneva coinvolto in questa pantoclastia. Lo scontro avveniva preferibilmente in piena visibilità del pubblico del torneo (come nel coperchio del cofanetto in figura 6) o degli altri combattenti, a meno che la battaglia che rappresentata non fosse particolarmente cruenta e caotica.
Figura 650
49 Nella lingua germanica la vanteria e l’insulto prima del combattimento sono rese con il temine gelþ ed altro non sono che una realizzazione dell’archetipica offesa dell’onore da parte di un avversario.
50 Scrigno in avorio dell’inizio del XIV secolo, di proprietà del Musée National du Moyen Age-Thermes de Cluny di Parigi (parzialmente ancora chiuso per restauri, ma il pezzo è visionabile nell’archivio fotografico del sito ufficiale del museo (www.musee-moyenage.fr), consultato il 31 ottobre 2019 h. 20.35). All’interno del cerchio rosso, da me sovraimposto, è ben visibile lo scontro frontale tra due cavalieri, mentre
La visibilità è un’altra delle componenti topiche di questo contesto, anche se storicamente il cavaliere che fosse uscito dai ranghi per andare incontro al nemico in solitaria sarebbe stato con ogni probabilità severamente punito (nel caso in cui fosse sopravvissuto allo scontro contro un’intera schiera), è di nuovo chiaro allora come fosse davvero molto raro per i cavalieri avventurarsi non accompagnati né tantomeno agire in solitaria durante una battaglia. La grande efficacia di questa tecnica risiede tutta nella compattezza della schiera, come in questo celebre passo del Raoul de Cambrai:
Si serré vont li baron chevalchant,
se gatissiés sor les hiaumes un gant ne fust a terre d’une louee grant –
desor les crupes des destriers auferant
gisent li col et deriere et devant.51 (Raoul de Cambrai, vv. 2233-2237)
[I baroni cavalcano in ranghi tanto serrati che se uno avesse gettato un guanto sopra i loro elmi, questo non sarebbe a terra prima che fosse stata percorsa una buona lega: le teste dei destrieri ardenti appoggiate sulle groppe dei cavalli che li precedono.52]
dove i ranghi sono serrati al punto tale da non permettere nemmeno a un guanto, se lanciato al di sopra dello schieramento, di cadere a terra se non dopo diverso tempo. I cavalli sono descritti mentre appoggiano le loro teste sulla cavalcatura che li precede rendendo impossibile persino a un singolo guanto di passare tra loro. Da questo passo è possibile dedurre piuttosto chiaramente quale doveva essere la vicinanza all’interno dello schieramento e quanto questa fosse indispensabile per la riuscita della carica. Qualcosa di simile si trova in molti dei testi presi in esame, come ad esempio in questo estratto dall’Entrée d’Espagne53:
Une riens lor vaili, q’il troverent un prés O il cevaucerent ensamble tut serez:
Ce fu lor gran defanse al povoir, çe saciés.54 (Entrée d’Espagne, vv. 9174-9176) 51 Corsivi miei.
52 Traduzione mia basata sulla traduzione francese di W. Kibler, Librairie Générale, Française, Paris 1996. 53 Cfr. anche Roman de Thebes vv. 2779-2780, vv. 2786-2790 (in entrambi i casi si tratta di cavalli schierati a ranghi serrati per un gioco equestre), vv. 4871-4872; Raoul de Cambrai vv. 3092-3096 (eserciti schierati a ranghi serrati); Roman d’Alexandre vv. 966-997 (Et dist que bien les maint et sagement i aille / Et gart ne se desroit ne nus des rens ne saille,).
[Giovò loro il trovare una distesa erbosa / in cui poterono cavalcare insieme a ranghi serrati: / sappiate che ciò li protesse molto dalla pioggia.55]
in cui la grande compattezza permette ai cavalieri di ripararsi persino dalla pioggia.
Un’immagine di grande efficacia si incontra anche nella canzone di Girart de Roussillon in apertura dell’episodio della battaglia di Vaubeton:
Dunc sorent li baron de son afar Qu’en bataille campau a son pensar. Prent l’ost a sosmover e a levar;
Anc non vis tan menut unde de mar
Com viraz les ensegnes au vent annar. (Girart de Roussillon, vv. 2391-2395)
[I baroni compresero subito che voleva ingaggiare una battaglia fra schiere. L’armata si desta e si mette in movimento. Mai avreste visto onde del mare più serrate degli stendardi che fluttuavano al vento. 56]
Senza questa incredibile vicinanza e compattezza tra i cavalieri molta dell’efficacia della tecnica verrebbe fondamentalmente persa, poiché se al momento dell’impatto il fronte non si fosse presentato unito, ma bensì disomogeneo e poco affiatato, la carica sarebbe risultata fatale per i cavalieri che non si sarebbero trovati nelle condizioni di opporre resistenza. Ecco perché vengono spesso presentati come una schiera unita, compatta e omogenea sia negli istanti di galoppo sfrenato sia nell’istante precedente l’impatto.
Non è una caratteristica che si riscontra soltanto nella letteratura eroica antico- francese, infatti di qualcosa di simile parlavano già alcuni autori latini a proposito dei “cavalieri catafratti”, ossia guerrieri a cavallo armati in maniera pesante. Solitamente si trattava di guerrieri Sarmati, o più precisamente di Alani, appartenenti alla temuta cavalleria persiana. Il modo in cui vengono descritti ad esempio da Eliodoro nelle
Etiopiche può risultare familiare: alcuni tratti sono i medesimi che si incontreranno nei
55 Traduzione di M. Infurna, Carocci, Roma 2011.
56 Traduzione mia basata su quella francese di M. de Combarieu du Grès e G. Gouiran, Librairie Générale Française, Paris 1993. Corsivi miei. Il medesimo messaggio è veicolato nuovamente ai vv. 5302-5303 all’interno dell’episodio che narra la battaglia di Mont-Amele: E set mile chevaus tant enserraç / Nos es
testi medievali, come ad esempio la luminosità dell’esercito schierato e l’istante cruciale dell’impatto con il nemico.
(…) Il sontuoso apparato dei Persiani affascinava gli sguardi; le loro armature argentate e dorate illuminavano la pianura. Il sole si levò appena e i suoi raggi colpirono in faccia i Persiani. Si spanse dappertutto una luce indescrivibile che pareva sprizzare dalle armature stesse. (…) Al momento dello scontro abbandona le redini, dà di sprone e si lancia di gran carriera e con grande frastuono sul nemico, simile a un uomo di ferro o a una statua tagliata
in un sol blocco che si mette in movimento57. Il kontós [lancia lunga da maneggiare a due mani], puntato orizzontalmente, spinge lontano la cuspide; dalla parte del ferro esso è sostenuto da un laccio attaccato al collo del cavallo, mentre l’impugnatura è fissata alla sua groppa. In tal modo esso non cede all’urto, anzi aiuta la mano del cavaliere, che altro non fa se non dirigere il colpo. Egli si piega e s’inarca per procurare una più profonda ferita, e il suo slancio è così impetuoso ch’egli trapassa tutto quel che si trova dinanzi; spesso trapassa con un sol colpo due nemici alla volta.58