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Fattori extralinguistici: espressioni culturospecifiche

Partendo dal presupposto che i testi di natura letteraria possono risultare pregni di elementi culturali dell’autore che li compone, voglio ora trattare due espressioni del testo dello scrittore della Cina continentale che, contrariamente alle frasi proverbiali e alle espressioni idiomatiche, non trovano un riscontro così ampio al di fuori della comunità presentata all’interno del romanzo.

La prima locuzione che vorrei porre qui all’attenzione del lettore è la seguente: nǐ zhège luàn tī tízi de xiǎo máoniú 你这个乱踢啼仔的小牦牛 reso come “sei un piccolo yak che tira calci a casaccio”.

Prima di passare alle motivazioni che mi hanno portato a questa traduzione, è bene chiarire che, contrariamente alle espressioni idiomatiche esplicitate in precedenza caratterizzate dal principio della fissità 105 , per le espressioni culturospecifiche dal carattere gergale, spesso, l’ambiente geografico influisce particolarmente sulle parlate di ciascun popolo. Partendo dal presupposto che il romanzo verte sulla figura del panda ed è ambientato in una foresta ai piedi di una montagna, è lecito e logico pensare che l’ambientazione geografica “reale” si rifaccia all’area nord-ovest della Cina. Questo andrebbe ampiamente a spiegare l’utilizzo di questo gergalismo vista la reale presenza di yak che popolano quella determinata

105 Secondo il linguista Anders Palm, il criterio della fissità è tipico delle espressioni idiomatiche di un popolo. Sulla base di questo criterio non è possibile per un idiomatismo avere “doppioni territoriali”, non è cioè ammesso che lo stesso modo di dire abbia più varianti all’interno di un unico territorio nazionale.[Tratto da: Emmi, Tiziana, Siculorum Gymnasium. Studi in onore di Nicolò Mineo,Tomo I, Università di Catania, 2008, p.681]

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area geografica. È vero anche, infatti, che molte unità fraseologiche prima di diventare espressioni idiomatiche vere e proprie derivano da parlate dialettali o, comunque, da slang tipici di un popolo dimorante in una determinata area geografica.106 Se questo sia poi il caso o meno di un gergalismo destinato o no a diventare espressione idiomatica non è questa la sede per azzardare ipotesi, non è tuttavia un’espressione che trova spazio a carattere nazionale.

Per quanto riguarda la resa italiana ho voluto tradurlo nel modo più fedele possibile, sia per mantenere il carattere folcloristico di tale espressione sia perché il suo significato risulta, seppur lievemente straniante, tutto sommato facilmente comprensibile anche a un’utenza italofona.

La seconda locuzione che vorrei prendere in esame è più inscrivibile all’interno della categoria dei sostantivi etnologici:

xī'ěr 溪耳 reso come “Xi’Er”

Questa parola indica la tribù di appartenenza dei personaggi del romanzo, ne deriva quindi che ciascuna frase ad essa legata sia strettamente connessa al popolo rappresentato da Liu Xianping nella sua opera costituendo, pertanto, un elemento culturospecifico.

All’atto pratico, un esempio di frase riscontrabile in cui è presente xī'ěr 溪耳 è: wǒmen xī'ěr de cǎowǎ lǎodiē 我们溪耳的草瓦老爹 reso come “il nostro Cao Wa della tribù Xi’er”. Sebbene sia vero che il concetto di “tribù” sia estraneo alla cultura italiana, è però altrettanto vero che, soprattutto grazie al percorso di studi obbligatorio che ciascun nativo italiano deve compiere durante i suoi anni di formazione, il significato di tale termine è largamente conosciuto. Dunque, per ovviare al problema traduttivo, ho semplicemente deciso di translitterare il pinyin dei caratteri cinesi nel metatesto preceduti dalla parola “tribù”; in questo modo il lettore italofono è immediatamente in grado di capire a cosa è riferito il sostantivo Xi’er.

106 Emmi, Tiziana, op. cit., p.683

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Elemento che, sempre riferendomi al romanzo di Liu Xianping, trova però, a differenza dei due precedentemente citati, ampia corrispondenza intellettuale in tutto il popolo cinese è il nome di un famoso personaggio di un altrettanto famoso classico letterario.

Mi riferisco al protagonista di “Viaggio in Occidente”: sūn wú kōng 孙悟空 “Sun Wukong”

In questo caso la resa che ho voluto dare del presente nome è una semplice traslitterazione del pinyin cinese all’interno del testo italiano. La scelta è dovuta al fatto che, sebbene sia presumibile che un’utenza italofona non sia a conoscenza dell’esistenza di questo personaggio parte integrante della cultura cinese, sarebbe risultato ancora più straniante per un ipotetico lettore leggere “scimmiotto” (come viene generalmente reso nella nostra lingua). Il motivo è presto detto, la frase in traduzione è la seguente: “Sarebbe bello se potessimo rifilar loro gli insetti del sonno come con Sun Wukong!” anche se il lettore può non sapere precisamente chi sia Sun Wukong, la presenza delle lettere maiuscole lo aiutano a comprendere che si tratta di un’entità fisica singola; se invece si inserisce la parola “scimmiotto”la frase sarebbe risultata come segue: “Sarebbe bello se potessimo rifilar loro gli insetti del sonno come con lo scimmiotto!”. Questo, oltre a poter risultare eticamente sbagliato agli occhi di un madrelingua italiano (che, per altro, può non essere a conoscenza del fatto che gli insetti di cui si parla non sono reali ma facenti parte della mitologia cinese), non lascia assolutamente trapelare il messaggio che si sta in realtà parlando di un personaggio specifico. In ogni caso, per ulteriore delucidazione con lo scopo di fugare ogni qualsivoglia dubbio, ho voluto anche aggiungere una breve nota mirata a spiegare in breve chi è Sun Wukong e che i suddetti insetti fanno parte del mondo della mitologia cinese.

La scelta traduttiva con la semplice traslitterazione del pinyin cinese deriva, quindi, da questo mio ragionamento.

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Liu Xianping non è però l’unico che fa uso di lessico fortemente collocabile all’interno della sfera culturale nel suo romanzo, anche Liu Kexiang, talvolta, fa chiari ed espliciti riferimenti a una terminologia culturospecifica soprattutto per quanto riguarda il dialetto Min meridionale.

In particolar modo, mi riferisco al seguente termine: qīng tí zǐ 青啼仔 reso come “giovani canterini verdi”

Come appena detto, la sopracitata espressione è un termine puramente dialettale che, come espresso dallo stesso autore, è il modo con cui gli abitanti dell’isola di Taiwan si riferiscono a volte all’occhialino giapponese. Questa espressione nasce dalle sembianze del volatile che, con il suo piumaggio tendente al verde e con il suo melodico cinguettio, si è guadagnato tale soprannome.

Proprio per questo motivo, nella resa traduttiva, ho deciso di mantenere il carattere folcloristico di questa nomenclatura tenendo tuttavia il significato lato di ciascun carattere componente l’espressione. Esaminando ciascun hànzì, si può infatti vedere una chiara correlazione tra l’elemento di significato e il rispettivo carattere culturospecifico:

 qīng 青 è, di fatti, una parola che indica tre diversi colori: verde, blu e nero. Nella frequenza d’uso, però, è utilizzato prevalentemente per indicare il colore verde e, in questo specifico caso, è confermato anche dall’immagine dell’occhialino giapponese il cui piumaggio ha questa evidente colorazione.  tí 啼 indica, tra i suoi vari significati, anche “canto degli uccelli”

 zǐ 仔 si riferisce principalmente ad animali giovani, ma la sua collocazione nel pǔtōnghuà è differente. Infatti, all’interno della lingua standard, tendenzialmente precede l’animale cui si riferisce (esempio: zǐ jī 仔鸡 “pulcino”) mentre in questo caso è l’ultimo componente della parola. Nonostante ciò, ho comunque voluto renderlo con il suo significato aggettivale consapevole che in taluni dialetti cinesi, soprattutto in quelli meridionali (nel cantonese, ad esempio, la parola kè ren 客人 “ospite” si scrive yàhn haak 人客) si tende ad

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invertire i caratteri costituenti di una parola. Premettendo che non sono esperto del dialetto Min ma che ho fatto un puro ragionamento di vicinanza geografica, ho presupposto che vi fosse anche sull’isola di Taiwan un meccanismo analogo; per questo motivo ho voluto renderlo comunque come “giovane”.

In base a quanto appena espresso, ho quindi optato per la resa “giovani canterini verdi” perché a mio avviso meglio si adattava al significato originale dell’espressione dialettale.

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