• Non ci sono risultati.

FUIT CAPELLA ISTA P[ER] R[EVEREN]DU[M] D[OMI]N[UM] DE/

CRETOR[UM] DOCTORE[M] D[OMINUM] SPINELLUM/

DE GLUSIANO DE MEDIOLANO PR/

OTHONOTARIU[M] AP[OSTO]LICUM: QUI EAM/

FUNDAVIT ET SIC ORDINAVIT: O[MN]IBUS/

MAGISTRIS QUAR[UM]CU[M]QUE ARTIU[M]/

A LIGNAMINE P[ER] EOS MANUTENENDA[M]/

ET GUBERNANDA[M] FRANCISCO DE/

SCHIVENOLIA ROGATO DIE X/

SEPTEMBRIS 1486

Mantova, S. Barnaba, controfacciata. Lapide murata a destra dell’ingresso princi-pale, in pietra, cm 128x82,5x17.

Traduzione:

Cappella di san Giuseppe, al quale devono essere recitate ogni giorno l’orazione del santo e l’orazione comune per i vivi e per i morti, cioè «Onnipotente eterno Iddio che dei vivi, ecc.»; mentre ogni anno devono essere celebrati il 2 maggio l’anniversario dei defunti e nel giorno a lui dedicato, e precisamente il 19 marzo, la festa del santo. Affinché tali disposizioni vengano osservate è stata fatta a que-sto monastero elemosina perpetua, per rogito del notaio Giovanni Battista Gra-nelli del 22 febbraio 1486. E fu donata codesta cappella dal reverendo dottore di decreti signor Spinello de Glusiano (da Giussano) milanese, protonotario aposto-lico, il quale la fondò e dispose che tutti i maestri di qualunque delle arti del legno la reggessero e ne curassero la manutenzione. Per rogito del notaio Francesco da Schivenoglia de 10 settembre 1486.

APPENDICE II

Documento s.d. [1770], allegato a doc. del 16 gennaio (ASMn, ACC, Af, b. 87, 8).

Occorrenze

n. 1 Privileggi, ordini e gride.

n. 2 Requisiti per l’admissione nell’Arte e admissione de’ confratelli.

n. 3 Officiali, loro numero, loro soldo, loro emolumenti, loro privileggi, deno-minazione e numero rispettivo degli officiali.

n. 4 Ellezioni. Metodo delle ellezioni. Circa il ritenere alcuni Officiali vecchij ed eleggerne de’ nuovi, in qual numero rispettivamente. Se l’elezioni se-guano a voti segreti o come.

n. 5 Luogo ove si tengono le convocazioni; se pubblico o privato, se dinanzi il Ministro o come, se per consuetudine o per privilegio. Distinguere tra le convocazioni private e le convocazioni legali e ordinarie con quale meto-do.

n. 6 Diramazioni, osia quali siano i diversi corpi colla loro denominazione, che formano il corpo intero dell’Arte. Se l’Arte sia aggregata ad altri corpi.

Quali siano i corpi aggregati all’Arte. E d’onde abbiano origine detta ag-gregazione e con quale metodo.

n. 7 Numero delle persone descritte nell’Arte.

n. 8 Pallio. Se abbiano pallio o stendardo e loro ordine di precedenza.

n. 9 Crediti: se oltre al contributo de’ Confratelli abbiano o no altri redditi, e se abbiano fondi o capitali attivi.

n. 10 Metodo e distribuzione per regolare il contributo de’ confratelli.

n. 11 Tasse e pesi ordinarij, e se abbiano capitali passivi.

n. 12 Pesi e spese straordinarie, che però possano calcolarsi.

n. 13 Cassa e conti: da chi si tenghino i conti e se vi sia prescritto metodo per tenerli, e se questo metodo sia o no fondato su ordini.

n. 14 Presso chi e in qual luogo restino ordinariamente i libri e le filze.

APPENDICE III

Supplica (minuta) dell’Arte dei Falegnami al Regio Subeconomato 1 (ASMn, ACC, AF, b. 8, 14: 14 luglio 1786)

(c. 1r) Tra le soppressioni delle Confraternite di questa città comandate dall’augu-stissimo nostro sovrano, si è creduto da questo R. Subeconomato di dover com-prendere la Compagnia di San Giuseppe, quantunque per verità in giusto senso sembra ch’essa annoverar non si possa tra le Confraternite e Pie unioni, ma bensì tra le Arti che riconoscono il loro protettore senza contravenire alle sovrane deter-minazioni. Non v’ha certamente alcun titolo per cui si possa dubitare che l’Arte de’ Falegnami non sia quella stessa che denominata viene anche Compagnia di San Giuseppe. Difatti in essa admesse non sono mai state estranee persone e di professione. Ed è quindi incontrastabile una simile divozione nei rispettivi Fale-gnami componenti l’Arte e (c.1v) che non può essere impedita nel modo massime praticato dall’Arte stessa, alla quale non corre l’obbligo di convocarsi giammai né in pubbliche, né in private unioni, come far solevano le Confraternite nelle lor rispettive chiese.

L’Arte e Compagnia de’ Falegnami che non interveniva a processioni ed a funzio-ni pubbliche come intervefunzio-nivano le vere Confraterfunzio-nite, denominarsi non poteva pia unione di confratelli, giacché obbligo non aveva né di uffici, né d’alcuna os-servanza di regole statutarie, né di alcun’altra prescrizione che per tale la distin-guesse.

L’Arte de’ Falegnami divota del suo santo protettore era ed è sempre stata quella stessa Compagnia di S. Giuseppe che in oggi si pretenderebbe soppressa e che abolir non potrebbesi se non sopprimendo l’Arte medesima non compresa nelle mille abolizioni.

(c. 2r) L’Arte suddetta sussistendo pure ab origine della di lei istituzione come Compagnia amministrava il proprio e lo impiegava come meglio convenire cre-devasi dagli individui dell’Arte medesima. Tanto è vero che se si ricorre a’ libri, a documenti ed a tutti recapiti dell’Arte e Compagnia non vedonsi intervenuti e firmati che falegnami. Dirassi di più ancora, che propriamente l’Arte è quella che riconoscer si deve per assoluta posseditrice di quanto viene supposto possedersi dalla Compagnia. Un tale rilievo egli è agevole se si ricorre all’istrumento di donazione fatta precisamente all’Arte de’ Marangoni dal protonotario apostolico don Spinello Glusiano fino sotto gli 11 settembre 1486, per rogito del notaio Fran-cesco Schivenoglia, della Cappella di San Giuseppe esistente (c. 2v) nella chiesa

1 Si tratta, in realtà della minuta della supplica, scritta a mano, in inchiostro bruno, in tre fogli non numerati. Per la calligrafia e la precisione del linguaggio è stata presumibilmente stesa di persona di legge su richiesta dei capi dell’Arte e in base alle loro indicazioni.

di S. Barnaba senza ivi comprendere la Compagnia riconosciuta sin d’allora in-divisibile dall’Arte, il che sarebbe stato superfluo giacché veramente apparisce che i due diversi titoli vengono in un solo raccolti. Aggiungendo di più che questa medesima Arte a proprie spese eriger fece in marmo nel 1751 l’altare della detta Cappella, il di cui importo ascese a l. 15270. Quegli individui insomma e soltanto dell’Arte avevano diritto, ingerenza ed interesse in ogni spesa, in ogni stipulazio-ne di contratto e in ogni disposiziostipulazio-ne che si credeva utile e stipulazio-necessaria all’Arte e Compagnia. Se ogni carta ed ogni recapito della Compagnia, che sempre hanno sortito il loro pieno effetto colla firma di falegnami come individui dell’Arte sia quella che ha speciale diritto in tutto ciò che dicesi di ragione (c. 3r) della Com-pagni, maggiormente si dedurrà in favor dell’Arte la iscrizione Arte e Compagnia che si rileva fino sulla lampa[da] d’argento, apparente in chiare note che dinotano apertamente un corpo solo sotto due denominazioni bensì, ma che coincidono e concorrono a confermare che l’Arte de’ Falegnami propriamente prevale come quella che nel 1758 commise e pagò col mezzo del lei massaro Pietro Furli a Giuseppe Bolognini orefice la lampada accennata.

Sembra pertanto bastantemente comprovato che l’Arte è ella soltanto la possedi-trice di quanto corre anche sotto l’unita denominazione di Compagnia, giacché ad altro non servendo il titolo di Compagnia che a differenziare l’Arte nella divozio-ne del loro protettore, non essendo in sostanza che un solo oggetto rappresentato dall’Arte e non dalla Compagnia, la quale non ha che la semplice denominazione colla quale non può che essere in alcun caso parificata a quelle pie unioni che sono rimaste soppresse.

Ferma dunque stante la soppressione delle formali Compagnie e Confraternite, sembra che non si possa (c. 3v) togliere a questa stessa ciò che non è di sua ragio-ne, ma bensì di ragione dell’Arte, che non ha mai formata quella unione in oggi proibita dal principe e che progredendo secondo l’inveterata consuetudine non può trasgredire ai sovrani voleri.

L’Arte de’ Falegnami in fine, che crederebbesi aggravata se restar dovesse imme-ritevolmente spogliata di quanto havesse finora posseduto sotto il nome di Arte e Compagnia, umilmente supplica il R. Subeconomato a degnarsi di procedere ad esaminare il sopra esposto affinché riconosciuta la ragione, che assiste l’Arte stessa, possa questa essere confermata nel possesso non solo di ogni arredo che è ad uso della sua Compagnia, ma di qualunque altro valore mobile e immobile che si ritrova in esser presentemente.

APPENDICE IV I de la Mola

Paolo de la Mola e il fratello Antonio devono la loro no-torietà fin da tempi remoti quasi sicuramente all’aver lavorato per una prestigiosa committente quale la mar-chesa Isabella d’Este. Car-lo d’Arco ci offre persino il loro albero genealogico, insieme alla trascrizione di due documenti e a varie ipotesi sulle opere da essi eseguite, raccolte attraverso le attestazioni di altri studio-si locali, anche se, per parte sua, con ampio margine di dubbio. Riprendiamo per sommi capi le notizie più si-gnificative: la loro famiglia era di Reggiolo; il padre, Vincenzo, ‘fabbro legnaio’, si era trasferito a Mantova solo nel 1517, quando ormai i figli si erano affermati; i due abitavano nella contrada dei Monticelli Bianchi; Paolo, intarsiatore, fu iscritto al paratico nel 1542 ed ebbe un figlio, Ercole; pure Antonio ebbe un figlio, Anteo, che abitò nella casa del padre e dello zio; la scelta dei nomi dei figli, se si ricorda l’antica leggenda greca, è per lo meno curiosa!

Già negli anni ’80 del 1400, Paolo e Antonio collaborarono a Pavia con Bartolo-meo della Polla alla decorazione degli stalli della Certosa.1 Del 1485 è il portale di marmo, assegnato a loro per tradizione, della soppressa chiesa di Santa Maria del Carmine a Mantova (trasferito nel 1785 a quello che è oggi il n. 13 di via Pietro Pomponazzi; sull’assegnazione non mancano i dubbi, già avanzati da Chiara Pe-rina, dato il materiale usato, il marmo), nel 14962 eseguirono e firmarono le tarsie poste alle spalliere dei bancali della sagrestia vecchia della basilica marciana, che raffigurano Prospettive e fatti della vita di san Marco. Si tratterebbe di quelle del lato sinistro e di quelle del lato destro del complesso che, anche se apparentemen-te omogeneo, risulta costituito di parti diverse. Due di esse, la seconda e la apparentemen-terza

1 S. l’occASo, Santa Maria del Carmine, in Chiese carmelitane, Quaderni di S. Lorenzo, n.9, a cura di R. Golinelli Berto Mantova, Publi Paolini, 2011, p. 112.

2 Secondo g. loreNzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia, Ongania 1956, p. 210. La data si ricava da una iscrizione andata perduta.

Fig. 12 - Mantova, Palazzo ducale, Grotta di Isabella d’Este. Antonio e Paolo della Mola, tarsie lignee.

del lato sinistro, recano in basso la scritta: «Antonius et Paulus de Mantua fratres ingenio et labore confecerunt». Una seconda scritta, «Opus Antonii et Pauli fra-trum de Mantua»,3 si trova sempre nella zona inferiore, ma della terza tarsia del lato destro. Agli inizi del 1500 dovevano essere a Mantova: è del 1502 l’iscrizione che si trovava, non ben localizzata, forse sulla loro tomba, nel convento di Santa Maria del Carmine, nella quale essi si autodefinivano «artis emblematariae ac perspectivae peritissimi»: a dimostrazione di quanto fossero coscienti di muover-si in un campo di ricerca arduo e non scevro di difficoltà per il livello raggiunto dall’ambiente artistico cittadino, rinnovato dalla presenza tangibile dei capolavori dell’Alberti e del Mantegna, e per l’eventualità di scomodi confronti tra l’opera loro e quella degli intagliatori contemporanei. A partire dal 1505 e fino al 1508 (i lavori sono documentati da una serie di lettere)4 eseguirono il complesso li-gneo della Grotta e dello Studiolo isabelliani a Castello: dopo varie traversie, otto tarsie, raffiguranti Vedute di città e Strumenti musicali ornano le spalliere della ricostruita Grotta a Corte vecchia.5 Nel 1532 ottennero il pagamento per un’opera a tarsia nell’ambito dei lavori diretti da Giulio Romano a Corte nuova.6 Dopo questa data non si hanno più notizie di Antonio, mentre Paolo risulta implicato nel 1542 nella controversia con l’Arte di cui si è parlato. Durante il recente restauro7 delle porte intagliate della chiesa abbaziale di S. Benedetto in Polirone, in cui già si leggevano le date 1 luglio1547 (in quella di destra) e 1550 (in quella centrale8 oggi scomparsa), è venuta in chiaro la scritta «Paulus Molae emblematum peritis-simus»: dunque il maestro, almeno nel 1547, se non nel 1550, era ancora in vita.

Altre notizie riguardano Anteo e Ercole, figli rispettivamente di Antonio il primo, di Paolo il secondo. I due presero parte come intagliatori tra il 1547 e il 1548 all’esecuzione del modello ligneo della cattedrale, nell’ambito dei lavori di pro-secuzione del progetto di Giulio Romano (il loro compenso per ogni giornata è uguale, ed è piuttosto alto: 22 soldi e rotti;9 Anteo nel 1570 eseguì un crocifisso per l’altar maggiore della basilica di Santa Barbara e nel 1577 lavorò per i Casti-glione.10

3 M.G. GrASSi, Note sulla tarsia e l’intaglio a Mantova tra Quattrocento e Cinquecento: i de Mola, «La Reggia», anno XX, n. 3 (77), ottobre 2011, pp. 7, 8.

4 e. mArANi-c. periNA, Mantova: Le Arti, cit., II, pp. 177-178.

5 m.g. grASSi, Gli arredi, cit., p. 98 e note relative; eAdem, Note sulla tarsia, cit.,

6 c. d’Arco, Delle Arti, II, cit., p.116, doc, n. 51.

7 Dei fratelli Zanini, 2008,

8 e. mArANi-c. periNA, Mantova: Le Arti, III, cit., p. 692.

9 ASDMn, SB, filza XXI, fasc. 1564-1588, 3 luglio. Si ringrazia Marinella Bottoli per la comunicazione. I dati di base si trovano già trscritti nelle schede del Putelli, sempre in ASDMn.

10 c. d’Arco, Delle arti, I, cit., p. 87; m.g. grASSi, Gli arredi, cit., p. 99 e nota 27.

APPENDICE V

Documenti correlati