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di Federico Corrado Christian Arnoldi

T R I S T I M O N T A G N E GUIDA AI MALESSERI ALPINI

pp. 288, € 16,50,

Priuli & Verlucca, Scamagno 2009

Follie e drammi di coloro

Follie e drammi di coloro

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Boule de neige

viltà industriale e quella tradi-zionale legata più che altro al mito di Heidi. Introdurre que-sto riferimento mitologico esprime bene il fatto che que-st'idea di purezza, bontà, tran-quillità e sicurezza, libertà e av-ventura veicolata attraverso l'immagine stessa della monta-gna, e alla quale l'autore riman-da come elemento di disorienta-mento per gli abitanti, è qualco-sa che ci viene proposto fin dai primi anni di vita e, in tal senso, trova facile radicamento in cia-scuno di noi. Quanto però sia desiderio/interesse di chi vive nelle metropoli continuare a credere in questo mito oppure quanto sia desiderio/interesse di chi vive in montagna far per-durare questo mito, è una do-manda aperta.

Comunque, è in questa distan-za tra le due diverse realtà della montagna, e delle Alpi in parti-colare, che si generano i proble-mi descritti da Arnoldi:

un'inter-mittenza esistenziale tra il fuori stagione delle tristi montagne e i periodi di grande af-flusso turistico, in cui si alternano rispèt, si-lenzio, solitudine, ra-refazione sociale, chiu-sura delle strutture ri-cettive e atteggiamenti che si conformano agli stili di vita urbani por-tati dai turisti. Il testo di Arnoldi ha l'indub-bio merito di portare all'atten-zione del pubblico un tema dif-ficile e per certi versi sconvol-genti. Il suo lavoro acquista però un significato ancora più forte se inserito in un quadro di riflessione sulla montagna, e sul-le Alpi nello specifico, che tiene conto della necessità di superare la dicotomia urbano-rurale. Di-cotomia che, da un lato, si sta traducendo già nei fatti in un'in-tegrazione dell'urbanità con l'al-pinità (si pensi ai centri di Tren-to, Bolzano, Innsbruck, Greno-ble, Gap, per citarne alcuni), dall'altro lato, si può esaurire se si abbandonano vecchi e falsi stereotipi sugli abitanti della montagna. Gli abitanti delle Al-pi non differiscono sostanzial-mente dal resto della società ur-banizzata per reddito, livelli di istruzione, abitudini di vita, si-stemi di valori e aspirazioni. Tuttavia essi soffrono ancor og-gi di alcune limitazioni, come quelle relative all'accesso a mol-ti servizi, al minor numero di opportunità di interazione so-ciale culturale derivante dal re-lativo isolamento e dalla bassa densità demografica e, in gene-re, dalla difficoltà di fruire local-mente dell'"effetto città". In questo senso, bisogna risponde-re alle esigenze di socialità, di aggregazione, di supporto e di incontro, di formazione anche altamente qualificata in area pina non diversamente dagli al-tri territori attraverso la creazio-ne di adeguati spazi di welfare

opportunamente pianificati. •

federìco.corradogdislivelli.eu

F. Corrado lavora per l'Associazione Dislivelli

di Roberto Dini

Luciano Bolzoni

A B I T A R E M O L T O IN A L T O LE ALPI E L'ARCHITETTURA

pp. 208, € 14,50, Priuli & Verlucca, Scarmagno 2009

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olte parole si sono già spese

sull'ar-chitettura e le Alpi. Una riflessione sul tema è interessante quando diventa oc-casione per ragionare sulle opportunità di vita alternative a quelle della città e della pianura urbanizzata, sulle possibilità abitative diversificate che la montagna è in grado di offri-re. È interessante quando l'architettura alpina viene utilizzata come strumento per saggiare ed esplorare più in generale le grandi sfide che po-ne la cultura dell'abitare del XXI secolo.

In questo senso allora, come giustamente ci tie-ne a specificare l'autore, Abitare molto in alto non è solo un libro di architettura, e non potrebbe es-serlo. Trattare in modo autoreferenziale l'architet-tura che è cresciuta tra i monti sarebbe infatti un'o-perazione poco corretta che non darebbe conto dei profondi legami che tengono assieme ciò che siamo e ciò che costruiamo, l'idea che abbiamo della montagna e le pratiche dell'abitare. Parlare di architettura alpina è dunque per Bolzoni parlare necessariamente anche di altro: degli sguardi che hanno di volta in volta reinventato questo territo-rio, delle diverse culture che convivono sulle mon-tagne, delle identità di chi sulle alpi vive e lavora e di chi vi trascorre solo il fine settimana. C'è di più. H paesaggio edificato alpino, più che altrove, non è solo lo specchio del nostro modo di vivere, ma soprattutto la trasposizione dei nostri sogni, la ne-cessità di ricreare tra le montagne il nostro piccolo

mondo ideale che ci è negato dalla città. L'imma-gine della tanto citata houle de neige non è altro che il "sogno del territorio su se stesso", la sola rappresentazione condivisa del paesaggio alpino che tutti abbiamo in mente e di cui tutti ci sentia-mo parte. Sulle Alpi gli effetti della jolisation ci parlano del profondo bisogno di un mondo pitto-resco da usare come rifugio. Nell'affannosa ricerca di un altrove le carte si mischiano, l'autentico è di volta in volta manipolato, dal repertorio della tra-dizione si attinge con assoluta libertà e si riattua-lizzano i ritmi e i valori del passato, idealizzato o meno. È da qui che è necessario ripartire.

Come lo sono state per la modernità, le Alpi possono tornare a essere un laboratorio in cui -a p-artire proprio d-alle gr-andi contr-addizioni del nostro tempo - possiamo cominciare a immagi-nare percorsi di vita e di edificazione più artico-lati e più "intelligenti". In primis dando vita a modelli insediativi più complessi, in cui le iden-tità locali possano realizzarsi secondo modelli di integrazione tra forme dell'insediamento e pra-tiche dell'abitare, e non più solo attraverso logi-che a-topilogi-che di crescita maslogi-cherate da stilemi pseudo-tradizionali o ancora guardando all'ar-chitettura come parte di una filiera produttiva che tra i monti cresce e si sviluppa.

Se le pratiche dell'abitare la montagna costitui-scono un'alternativa all'obsolescenza dei modi e degli stili di vita urbani, allora lo studio del terri-torio alpino permette di esplorare la contempo-raneità molto di più di quanto non ci aspettiamo. Se gli stessi valori del passato sono stati ricaricati di significato, nell'architettura ma non solo, allo-ra questi diventano un riferimento più che mai at-tuale se guardati non con la nostalgia della tradi-zione, ma con la dirompenza dell'avanguardia.

Tra presente e futuro

di Alessandra Ottenga

Daniele Gorret

ed Enrico Martinet

A O S T A C I T T À N E C E S S A R I A pp. 85, € 12, Liaison, Courmayeur 2009

C

' è un giovane fotografo

italiano, Andrea Botto, che seguo con particolare in-teresse perché è capace di far emergere quello che ritengo sia uno dei "caratteri" più coinvolgenti della fotografia, ovvero l'essere strumento pri-vilegiato di analisi e riflessione sulle cose. Per Botto la fotografia, in particolare quella di paesaggio, rappresenta "una sezione, uno spaccato in un preciso punto del-la storia, in grado di mettere a nu-do le stratificazioni di un territo-rio"; i suoi paesaggi mostrano i luoghi non solo per quello che sono, bensì per quello che po-trebbero o avrebbero potuto es-sere, sia in positivo che in negati-vo; le sue immagini non esprimo certezze, sollevano dubbi.

Da questo punto di vista, Aosta

città necessaria ha tutte le

caratteri-stiche di un'immagine interessante e ben riuscita, a partire dalla sua "cornice": la Liaison, piccolo edi-tore valdostano ai piedi del Monte Bianco, ci invita a "sentire" tra le mani un prodotto di qualità, ricer-cato nella sua fattura "artigianale"

e nella grammatura della carta, bello da sfogliare e da conservare. Sulla copertina il titolo è accompa-gnato da La cité des promesses di Alberto Savinio, pittore e letterato che nel 1948 ha raccontato Aosta in diversi articoli apparsi per il "Corriere della Sera" nella rubrica "Finestra in Val d'Aosta". Il pic-colo libro ha una copertina evoca-tiva di grandi temi, messi a nudo da un abbinamento riuscito di sguardi, capaci di indagare una complessa sovrapposizione di strati storici ed emotivi.

Si parte dal rapporto intimo ed entusiasta di Savinio con la città costruita in mezzo alle montagne: Aosta è la "città-madre che sta nel mezzo", capoluogo da cui si dira-mano le valli laterali della regione e "grembo" a cui i valdostani so-no tutti intimamente legati. Dallo spunto storico di Savinio, presen-za costante ma un po' disincanta-ta, segue la riflessione più attuale di due scrittori autoctoni e con-temporanei, Daniele Gorret ed Enrico Martinet, i quali, attraver-so percorsi nettamente distinti, re-stituiscono la loro immagine di Aosta, più socio-antropologica la prima, più visionario-letteraria la seconda. Il saggio di Gorret, La

nostalgia è necessaria, sembra un

reportage fotografico; diretto, og-gettivo, non lascia troppo spazio all'interpretazione dei fatti: Aosta, dopo aver subito tre "mutazioni genetiche" (urbanistica,

economi-co-sociale e geopolitica), "vive og-gi la sua età di crisi", vittima di una "maledizione che le impedi-sce di coordinare passato presen-te e futuro in un seguito dotato di senso". Martinet, per contro, ci mostra un'istantanea sbiadita, "con i bordi bianchi seghettati", raffigurante un pezzo di un Cielo

di mezzo riflesso in una

pozzan-ghera: un racconto a metà strada tra il nostalgico e il disincantato, in cui l'autore e il suo alter ego sembrano invitarci a recuperare un passato autentico e a guardare di nuovo "in alto".

C

ome le fotografie dei grandi

maestri, la lettura di questo libro ci lascia con una sensazione di sospensione. Le "immagini" di Gorret e di Martinet ci restitui-scono una città in forte crisi di identità e sollevano più di un dubbio sul "perché" Aosta debba essere considerata (davvero) una città necessaria. Al contempo, Aosta rappresenta per gli autori e per i lettori uno spunto per riflet-tere sul nostro presente, su un mondo contemporaneo anch'esso in crisi, dove i modelli della quan-tità e dell'omologazione si sono dimostrati incapaci di garantire un futuro sostenibile per le gene-razioni future. Un libro, quindi, che pone dubbi seri e che scuote, come un'eco proveniente da un "altrove"; un libro per tutti colo-ro che si sentono in cerca di una ragione necessaria per guardare

in alto, e "non arrendersi". •

A. Ottenga è presidente dell'Associazione culturale Moutain Photo Festival

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