• Non ci sono risultati.

Chevalier au lion

C. Sogni premonitori

5. La bestialità del cavaliere

5.2 La ferocia del cavaliere

Nella letteratura cavalleresca romanza la figura del cavaliere sprigiona tutta la sua forza brutale e la sua ferocia. Immagini crude di violenza inaudita costellano i racconti cavallereschi, mostrando come talvolta il cavaliere sia molto meno mansueto degli animali che lo circondano

Infatti, come sottolinea ancora una volta la Sciancalepore, «i cavalieri non consideravano l’animale solo come avversario o compagno, ma lo prendevano come modello soprattutto per le sue qualità aggressive e lo elevavano a simbolo di potere e violenza». 125

Le basi dell’ideologia cavalleresca vengono gettate solo tra IX e XI secolo, in origine i guerrieri a cavallo costituivano il braccio armato dei signori feudali ed erano esenti da quella codificazione morale propugnata dalla Chiesa la quale, costituirà in un secondo momento, il fondamento dell’etica cavalleresca.

Questo gruppo sociale, originariamente disomogeneo, compiva ogni tipo di depredazione e violenza contro i più deboli: incendi, stupri e saccheggi tanto ai danni della Chiesa quanto a quelli della comunità circostante. A partire dall’ XI e XII secolo i cavalieri divengono guerrieri d’élite al servizio del principe-cavaliere, dotandosi di un’etica e di una morale ben riconoscibili.

Tuttavia la violenza che li contraddistingueva in origine, non cessa improvvisamente, ma viene mitigata dalla reale possibilità di essere esercitata in nome di un bene universale. L’epica e il romanzo, sebbene declinino in modo differente la contesa, sembrano autorizzare ogni tipo di efferatezza, celebrando la grandiosità delle gesta violente: il romanzo, costruito su un

90

tracciato di tipo avventuroso predilige gli scontri individuali, mentre l’epica prevede grandi eccidi di massa.

Avendo già approfondito a sufficienza la connessione che si instaura tra l’animale e la prassi bellica, ci limiteremo in questa sede ad analizzare sinteticamente alcuni brevi frammenti che evocano la ferocia bestiale del cavaliere durante gli scontri.

Un grandissimo atto di crudeltà apre La Chevalerie Vivien 126 (vv. 103-110):

Car desos Cordes est venue une neif Que li anvoie Vivïens l'alosés. .VII. paiens i a si conraez:

Copeit lor ont et balievres et neis; N'i ot .I. sol qui n'ait les iolz crevés, Qui n'ait les pons et les .II. pies copés; .IIII. en i out tout itant délivrés: Par ceus sera li presans presantés.

Vivien al fine di inviare un atroce messaggio al re saraceno Desramé, rapisce sette soldati pagani e li deturpa brutalmente: «copeit lor ont et balievres et neis/ n'i ot .I. sol qui n'ait les iolz crevés/ qui n'ait les pons et les .II. pies copés»; con grande ferocia, al pari di una belva che sbrana la sua preda, il cavaliere taglia loro labbra e naso, cava loro gli occhi e gli mutila mani e piedi.

126 La Chevalerie Vivien, Paris, Librairie ancienne Honoré Champion Éditeur, 1909, p. 12.

91

Nel Raoul de Cambrai 127 il protagonista eponimo, in preda alla collera e allo sdegno, sembra smarrire ogni briciolo di umanità (vv. 1468-1490):

Ardent ces sales et fondent cil planchier; Li effant ardent a duel et a pechié […] Li quens Raouls, qui le coraige ot fier, A fair le feu par les rues fichier […]

Les nonains ardent: trop grand i ot grant braiser.

Nella prima età feudale l’ereditarietà dei feudi era una consuetudine ma non ancora un obbligo, pertanto il giovane Raoul, rimasto orfano, vede cedere il suo feudo ad altri, con la promessa di riceverne un altro non appena si renderà disponibile. Alla morte del conte Herbert de Vermadois, un feudo rimane vacante e i suoi quattro figli ne rivendicano il diritto; Bernier, il figlio bastardo di uno dei quattro (di cui è scudiero Raoul) cerca mettere pace fra loro e Raoul, ma quest’ultimo decide di scatenare una guerra spietata.

In preda al furor, il cavaliere smarrisce il senno e incendia un intero monastero, uccidendo la madre di Bernier. L’immagine di Raoul è bestiale e a tratti infernale: mentre le monache e «li effant ardent a duel et a pechié», il protagonista, «qui le coraige ot fier», appare impassibile di fronte al rogo immane.

L’aggettivo fier (feroce), generalmente utilizzato nella descrizione delle bestie, non a caso viene associato al conte; Raoul, infatti, non dimostra alcuna moralità e la sua empietà va ben oltre l’umano agire.

Anche i personaggi cortesi di Chrétien de Troyes non sono esenti dalla furia animalesca; i suoi romanzi sono disseminati di sanguinari duelli che, descritti con grande realismo, rendono manifesta la vera natura del cavaliere.

92

Esaminiamo lo scontro tra Perceval e il Cavaliere Vermiglio contenuto nel Perceval ou le conte du Graal 128(vv. 1110-1117):

Au mialz qu'il puet an l'uel l'avise et lesse aler .i. javelot;

si qu'il n'antrant ne voit ne ot, li fiert parmi l'uel del cervel, que d'autre part del haterel le sanc et le cervel espant. De la dolor li cuers li mant, si verse et chiet toz estanduz.

Il giovane Perceval non ci pensa due volte e guidato da una rabbia cieca, «au mialz qu'il puet an l'uel l'avise / et lesse aler .i. javelot». Il protagonista, che aveva da poco abbracciato la vita cavalleresca, non possiede alcuna morale tant’è che l’avversario viene ucciso brutalmente prima ancora di capire, vedere o sentire alcunché. Il giavellotto, scagliato con violenza, li fiert parmi l'uel del cervel / que d'autre part del haterel / le sanc et le cervel espant.

Il furor di Perceval non ammette alcuna possibilità di graziare il nemico risparmiandogli la vita e la macabra morte del Cavaliere Vermiglio è il risultato di una risposta istintuale dettata dalla natura ferina del protagonista.

I casi analizzati e la furia omicida in essi rappresentata, non solo si discosta dalla pubblica immagine del cavaliere cortese, ma si avvicina paradossalmente a quella del berserkr norreno; in alcuni casi l’efferatezza del cavaliere sembra addirittura superare quella dei temibili guerrieri pagani.

93

È lecito ritenere, pertanto, che gli antichi racconti nordici siano pervenuti ai compilatori medievali, destando un insieme di paura e fascino; non a caso temi ricorrenti e personaggi stereotipati della letteratura cavalleresca sono alla base delle più importanti saghe norrene. Il paragrafo che segue illustra perfettamente quanto postulato sino ad ora.