2. Sacerdozio femminile in Grecia e a Roma: Sintesi di un problema I cenni che seguono toccano solo superficialmente una realtà multiforme complessa, sulla
2.1 Festa di Venere Verticordia e di Fortuna Virile
Il 1° aprile “ le donne supplicavano in gran numero la Fortuna Virile ed altrettanto facevano le donne di condizione modesta, nei bagni (degli uomini), perché in questo luogo gli uomini denudavano la parte del corpo per la quale desideravano il favore delle donne”175
.
La descrizione di Ovidio aggiunge una seconda divinità, la Venere Verticordia. Il primo rito consisteva in una lavatio, ovvero la statua di Venere Verticordia veniva lavata e purificata dalle donne, si pensava che Venere avesse il compito di volgere i loro cuori alla castità, verso il compimento fedele dei loro doveri matronali176; la statua veniva successivamente adornata nuovamente con i suoi gioielli e fiori177. In seguito anche le donne, con il capo abbellito da corone di mirto, si bagnavano nelle terme e durante questo bagno glorificavano con un’offerta d’incenso la Fortuna Virile, e per ultimo consumavano un beveraggio composto di latte, miele e papavero (il cocetum), un sedativo tradizionalmente destinato alla giovane sposa. Mimando certi gesti prenuziali esse chiedevano alle dee unioni coniugali o sessuali coronate dal successo178.
Fortuna muliebris
In alcuni riti però le matrone praticavano con certezza il sacrificio: il primo di questi riti è oscuro e le nostre conoscenze si basano soltanto su di un racconto eziologico179. Il 6 luglio le matrone si recavano al quarto miglio della via Latina, in prossimità dei confini del territorio arcaico (e ideale) di Roma, per sacrificare a Fortuna muliebris. Secondo le leggende la sacerdotessa di questo culto, era una matrona maritata in prime nozze, cioè né una vergine, né una donna rimaritata, e nemmeno una vedova non rimaritata180. In base a quanto tramandatoci dalle fonti, esse potevano sacrificare per un privilegio accordato dal senato in ricordo del gesto eroico femminile avvenuto ai tempi della guerra contro Coriolano: in questo caso infatti, davanti all’impotenza degli uomini, le donne guidate dalla madre e dalla sorella di Coriolano, si recano in processione al suo campo, al quarto miglio della va Latina e riescono a fargli togliere l’assedio181
. Pudicitia 175 Ov. Fast. 4, 135-156. 176 SCHEID 1990, pag. 436. 177 Ov. Fast. 4, 135-156. 178 SCHEID 1990, pag. 436. 179
Liv., 2, 40; Val. Max., 5, 2, 1; Plut. Cor., 37; D.H., 8, 39-56.
180 SCHEID 1990, pag. 438.
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Il culto di Pudicitia legato alla castità matronale è ancora più oscuro, tant’è che spesso si è dubitato della sua esistenza. In questo rito le matrone avevano la possibilità di prendere decisioni, accordare diritti o sottrarli.
Secondo la tradizione al principio del III sec. a.C., una patrizia, che aveva sposato un plebeo e quindi era decaduta, dopo essere stata esclusa dal culto di Pudicitia nel contesto delle lotte tra patrizi e plebei per i sacerdozi pubblici, decise di fondare per protesta un nuovo culto dedicato a Pudicitia plebeia e riservato alle donne della plebe.
il rito accordava alle matrone in prime nozze e caste (fedeli allo sposo) il diritto di sacrificare182. Tuttavia questo rito avveniva a porte chiuse, una volta all’anno e senza la presenza di uomini183.
Bona Dea
Festa famosa per lo scandalo politico avvenuto nel 62 a.C. . Per alcuni le origini andrebbero ricercate in Magna Grecia e da questo luogo venne importata a Roma e onorata con culto di tipo greco; per altri si tratta invece di un culto arcaico romano, del quale solo le eziologie hanno veste greca184.
Il culto era doppio. Il 1° maggio veniva offerto un sacrificio nel tempio di Bona dea, situato sotto una roccia ai piedi dell’Aventino185
. Sappiamo poco se non che non erano ammessi gli uomini, il vino e il mirto; un racconto eziologico sembra implicare che delle fanciulle, sotto la presidenza di una dama attempata, vi celebrassero giochi e da altre fonti si sa che il santuario ospitava serpenti, i quali sono anche associati alle rappresentazioni di Bona dea186.
Si hanno più notizie rispetto al secondo servizio. Nella notte fra il 3 ed il 4 dicembre le matrone d’alto rango e le Vestali celebravano, aiutate dalle loro schiave, un culto a porte chiuse nella casa di un magistrato cum imperio , cioè investito del potere militare e civile superiore. Per questo motivo è possibile ipotizzare che le Vestali esercitassero per le Matrone la stessa parte di garanti e di depositari del diritto sacro che i sacerdoti svolgevano per i magistrati187. 182 Liv., 10, 23, 3-10. 183 SCHEID 1990, pag. 439. 184 SCHEID 1990, pag. 440. 185 Ov., Fast, 5, 148-158. 186
Plut. Cic. 28-29; Caes. 9-10; Vell. 2, 45, 1; Suet. Iul. 6, 2; App. B. C. 2, 14; D. Cass. 37, 45; Liv. per. 103; Schol. Bob. 85-91;SCHEID 1990, pag. 440.
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Le matrone portavano tra i capelli le bande sacerdotali di porpora188. Sacrificavano una scrofa su un fuoco sacro, le cui viscere apparteneva di diritto alla dea189; esse offrivano anche una libagione di vino190; danze e canti facevano parte della cerimonia191. Gli uomini non erano ammessi e l’assenza del mirto fa supporre a Plutarco il carattere asessuale della cerimonia192.
Risulta straordinaria la presenza del vino che a quell’epoca era proibito alle donne e lo stesso santuario di Bona dea non poteva entrare in contatto col vino puro : lo si poteva usare solo col nome di latte e in un recipiente chiamato “brocca per il miele193”.
È importante sottolineare che tutte le fonti lo presentino come culto di un mondo a rovescio, in cui le donne assumono ruoli maschili. Esse si dedicano a quest’attività in segreto, di notte, in una casa privata in cui non si trovano uomini e sotto travestimenti studiati, mentre i rituali sacrificali celebrati dagli uomini sono pubblici194.
Anche nel caso del mondo romano tratto l’argomento particolare dei Baccanali195.
Nel 186 a. C. vi fu il famoso scandalo che coinvolse questi riti che vennero visti come la degenerazione di culti femminili, i riti campani di Cerere e quelli antichi di Stimula196. Venivano svolti nel quartiere romano che poteva essere considerato “marginale”, ovvero il versante nord ovest dell’Aventino che scendeva verso il Tevere ed il Foro Boario197
. Annia Pacula aveva riformato il culto matronale e, secondo Tito Livio198, è Duronia ad avere una parte importante nello scandalo. La riforma della prima consisteva nell’iniziazione di uomini, molto giovani, a questo culto di donne.
Annia iniziò i suo figli che divennero grandi sacerdoti del culto e anche Duronia iniziò il figlio Ebuzio199.
188 Prop., 4, 9, 51; Iuv., 2, 84 sgg.
189 Prop., 4, 9, 28; Plut., Cic, 20, 1; caes, 10. 190
Iuv., 2, 86, sgg.; Macr, 1, 12, 23 sgg.
191 Plut., Caes, 9, 9; Iuv, 6, 314.
192 Plut., Questionae romanes, 20; SCHEID 1990, pag. 441. 193
Macr. 1, 12, 25; SCHEID 1990, pag. 442.
194 SCHEID 1990, pag. 443. 195 BRUHL 1953.
196 Liv., 34, 15-11; SCHEID 1990, pag. 447. Per un approfondimento sulla repressione del 186 a.C. si veda
PAILLER 1988.
197
SCHEID 1990, pag. 448.
198 Liv., 39, 8 sgg.
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Il problema per le autorità era legato all’iniziazione di giovani ragazzi da parte di donne che, così facendo, si ponevano in sostituzione al padre e perciò. Tale gesto era visto come un tentativo di rovesciamento soprattutto dei valori tradizionali romani200.
Già nel 195, la manifestazione in cui le matrone invasero Roma per chiedere ai magistrati l’abolizione della legge Oppia che impediva loro di vestirsi lussuosamente venne sentita dai conservatori come un attacco al monopolio maschile della vita pubblica201.
Da tutti questi riti si può capire come la donna, essendo allontanata dai riti pubblici, venisse ricacciata in culti minori e specifici. Come sostiene Scheid: “La marginalizzazione religiosa della donna era giustificata dall’opinione comune che la donna fosse incapace di una pratica ragionata e ragionevole della religione”202
.
Risulta quindi difficile parlare di culti femminili, o matronali, dal momento che venivano sempre presentati come marginali o comunque come semplici eccezioni, e talvolta anche come istituzioni intollerabili da debellare. La vera religione pubblica rimaneva del tutto in mano agli uomini.
Anche nel mondo romano ritroviamo l’importanza della profezia che si riscontra soprattutto nel caso della Sibilla, le cui profezie risultavano indispensabili per l’intero svolgimento della vita pubblica della città, perché aiutavano i magistrati ed il senato a risolvere le crisi più gravi e a rinnovare la pace con gli dei203.
Nonostante tutto ciò, come abbiamo visto in precedenza, nessun sacrificio pubblico poteva essere celebrato senza la collaborazione delle Vestali, poiché solo attraverso la mola salsa venivano autenticate e resi possibili tutti i sacrifici pubblici e quando, per una qualunque ragione, il fuoco di Vesta si spegneva, la vita pubblica di Roma, privata del fuoco sacro del suo Focolare, si fermava204.
Al contempo però rimane innegabile che la donna non avesse alcun diritto, a parte le eccezioni esaminate prima, a celebrare sacrifici. D’altra parte, se guardiamo più da vicino i momenti di un sacrificio possiamo anche comprenderne meglio il perchè. Il sacrificio infatti era costituito da tre momenti fondamentali: la praefatio, ovvero l’introduzione al rito, durante la quale il sacrificante saluta gli dei e li invita con un’ offerta di vino ed incenso. Poi l’immolazione, che trasla la vittima di proprietà umana a possesso della divinità, e infine l’abbattimento della bestia che è seguito dallo scalco e la spartizione delle
200 SCHEID 1990, pag. 449.
201 Liv., 34, 1; SCHEID 1990, pag. 449. 202
SCHEID 1990, pag. 450.
203 SCHEID 1990, pag. 451. 204 SCHEID 1990, pag. 451.
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carni, il momento culminante. La donna, stando anche alle informazioni esaminate, era esclusa perché incapace di manipolare il vino e di procedere alla macelleria rituale. L’officiante inoltre è sempre il rappresentante della comunità per cui viene celebrato il rito, e da qui si intuisce il motivo per cui le donne non potevano rappresentare altri205.
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