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Fides et ratio: la sintesi del Medioevo occidentale e il suo collasso *

4.1 ilCRistianesiMooCCidentale: lafede nellaRagione

Come mostra questo volume, la crisi della morale laica dopo l’illuminismo è il prodotto di aspettative eccessive, anzi decisamen- te false, al riguardo della metafisica e della filosofia morale, non- ché del tramonto della prospettiva dell’occhio di Dio. tali aspetta- tive non garantite, radicate nella sintesi filosofica che ha plasma- to l’emergere del cristianesimo occidentale all’inizio del secondo millennio, hanno fatto maturare una metafisica che prometteva di dimostrare l’esistenza di Dio e di giustificare una filosofia mora- le capace di stabilire una morale canonica mediante la corretta ar- gomentazione razionale. L’occidente ha ereditato dalla storia del cristianesimo occidentale una fede immotivata nella capacità del- la ragione di dimostrare ciò che la fede aveva precedentemente ga- rantito. Il cristianesimo occidentale, infatti, aveva abbracciato una fede nella ragione che l’aveva indotto ad assegnare una posizione centrale nel suo magistero a una complessa struttura di tesi concer-

* Questo capitolo è nato come testo di una conferenza dal titolo «the Deflation of morality: rethinking the secularization of the West», tenuta all’Università del sa- lento, a Lecce, il 1° febbraio 2012. Lontani abbozzi di alcuni materiali che compaio- no qui sono presenti in altre due conferenze: la prima, intitolata «religion, politics, and the state: rethinking morality in modern secularized societies», organizzata da politeia, presso l’Università di milano, si è tenuta il 30 gennaio 2012; la seconda, «religion, politics, and the state in modern secularized societies», si è tenuta pres- so il Comune di napoli il 6 febbraio 2012.

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nenti la legge naturale e le capacità della filosofia. tra l’altro questo progetto di filosofia morale prometteva una visione razionalmente garantita della morale che sarebbe stata in grado di fornire una lin- gua franca morale canonica, un discorso morale accessibile a tutti. senonché, con il fallimento di questo progetto, ci si rivolse allo sta- to nella convinzione che potesse surrogare il potere della ragione. L’aspettativa di riuscire a stabilire una morale canonica sostan- ziale e di poterla garantire mediante la corretta argomentazione ra- zionale è rimasta anche tra gli europei occidentali post-cristiani. La fiducia nella possibilità di costituire una morale canonica lai- ca razionalmente giustificabile, difesa da filosofi come Immanuel Kant (1724-1804), jeremy Bentham (1748-1832), e john stuart mill (1806-1873), è espressione di questa fede nella ragione. se- nonché, come abbiamo visto, questa fede ha incominciato a entra- re in crisi nel xix secolo, quando divennero chiare le inadeguatez-

ze dei tentativi di costituire una morale razionale, e, alla fine del

xx secolo, molti si resero conto che era infondata. La difficoltà di

creare una morale o una bioetica laica canonica è legata al fatto che ormai, chiaramente, c’è un’insuperabile pluralità di razionali- tà morali. Questo fatto rappresenta una sfida sia per la morale lai- ca sia per la morale cristiana occidentale maturata nel cattolicesi- mo romano. per contestualizzare questo stato di cose, sarà bene ri- cordare che il cristianesimo originario non aveva questa fede nella filosofia morale. esso non aveva né sposato la tesi che la corret- ta argomentazione razionale fosse in grado di stabilire una morale canonica, né cercato di sostituire al potere della ragione il potere dello stato, e ciò sebbene usasse consacrare e benedire i responsa- bili dello stato cristiano.

4.2 ConosCeRe diooaVeReConosCenZesu dio? l’inContRoConlatRasCendenZa

Il cristianesimo non è nato tra le braccia della filosofia. Cristo, attraversando la palestina, non ha predicato la legge naturale. La chiesa dei primi tempi non era affatto un seminario di filosofia. e

gli apostoli non hanno abbracciato il legame di fides et ratio. Il cri- stianesimo dei primi cinque secoli ha confinato ai margini la fede filosofica greca nella ragione, sposando non già Atene ma Geru- salemme. e pur mutuando dai filosofi pagani greci termini e di- stinzioni, non ha fondato la propria teologia sulla loro filosofia. Al contrario, come ricorda tertulliano, questa chiesa ha sempre guar- dato la filosofia con un certo distacco critico e anche con sospetto. scrivendo ai Colossesi [paolo] afferma «Badate che non ci sia qualcuno che faccia preda di voi con la filosofia e una vuota fro- de, secondo la tradizione degli uomini, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» [I Col. 2,8]. paolo era stato ad Ate- ne e, avendo parlato con i filosofi, aveva conosciuto la saggezza umana e la sua pretesa di conoscere la verità; ma la saggezza dei filosofi non fa altro che corrompere la verità, dividendosi essa stessa in molteplici eresie e in una varietà di sette tra loro in- conciliabili. Che cosa ha da spartire Gerusalemme con Atene? Che concordia può esservi tra l’Accademia e la chiesa o tra gli eretici e i cristiani? I nostri insegnamenti vengono dal «portico di salomone» [At. 3,5] il quale a sua volta aveva insegnato che «il signore deve essere cercato in semplicità di cuore» [Sap. 1,1]. smettiamola di cercare di dar vita a un cristianesimo impuro ve- nato di stoicismo, platonismo e dialettica! Dopo aver gioito con il Vangelo, non vogliamo dispute curiose! Ci basta la nostra fede e non ne desideriamo altre. poiché questo ci dice la nostra fede, che non abbiamo bisogno di credere in nient’altro1.

È nello stesso spirito che san Giovanni Crisostomo (347 ca- 407) ha formulato le sue celebri osservazioni sui filosofi pagani della Grecia:

platone, che ha composto quella ridicola Repubblica, o zenone, o chiunque altro abbia scritto un trattato di politica o parlato di leggi – tutti costoro, insomma, affrontando questi temi, hanno di- mostrato che a farsi sentire attraverso di loro doveva essere qual- che spirito malvagio o un crudele demone in guerra con la nostra razza, nemico della modestia, ostile all’ordine e pronto a sconvol- gere ogni cosa2.

1 teRtullian 1994, De praescriptione haereticorum, VII, p. 246. 2 ChRysostoM 1994, Homily I on the Gospel of St. Matthew 10, p. 5.

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I cristiani dei primi secoli vivevano secondo una morale cano- nica fondata non sulla filosofia ma sull’esperienza del Dio viven- te che comanda.

Questa epistemologia morale del cristianesimo si rispecchia nel modo in cui la chiesa dei primi secoli intese il primo e il secondo capitolo della Lettera di san paolo ai romani. s. Giovanni Criso- stomo riconobbe che san paolo nel secondo capitolo non abbrac- ciava affatto l’epistemologia morale che sta alla base della filosofia morale greca, e quindi anche alla base della bioetica laica odierna e della teoria cattolica romana della legge naturale. L’epistemolo- gia morale del cristianesimo occidentale, che si è sviluppata nel secondo millennio, ha sostenuto tra l’altro che la ragione naturale è in grado di discernere affidabilmente bene e male anche in man- canza di un orientamento almeno minimamente religioso della pro- pria vita. I cristiani dell’occidente all’inizio del secondo millennio non praticavano più la disciplina ascetica necessaria alla teologia morale e quindi la teologia morale divenne un’impresa intellettua- le anziché liturgica e ascetica. senonché, dopo il peccato, la ragio- ne naturale, come voleva la chiesa dei primi tempi, è una ragione decaduta. non è con la razionalità filosofica, ma con il sapere no- etico, ossia con un sapere che può essere conquistato solo in una condizione di affrancamento dalle passioni, che diventa possibile fare teologia e conoscere Dio mediante una vita ascetico-liturgi- ca3. san Giovanni Crisostomo ha riconosciuto che nel primo capi- tolo della Lettera ai romani, san paolo sottolineava che, se la vi- ta della persona è distorta da un falso culto, se si adora la creatura invece che il creatore, si finisce per percepire in modo sbagliato le norme che devono guidare la condotta4. In tal caso, inoltre, l’indi-

3 «Lo stadio dell’illuminazione costituisce il primo affrancamento dalle passio-

ni. tratti caratteristici di questo livello sono la conoscenza degli esseri, la “teoria” delle cause degli esseri e la partecipazione allo spirito santo. Benefici dell’illumina- zione sono la purificazione del nous mediante la grazia divina, che consuma il cuore come il fuoco; la rivelazione noetica dell’“occhio del cuore” e la nascita della paro- la, nobilmente intesa, nel nous. In altre parole, in questo stato l’uomo acquisisce la conoscenza di Dio e perviene a un’incessante preghiera noetica. Inoltre, arriva a co- noscere le cose umane e divine e sperimenta la rivelazione dei misteri del regno dei cieli» (hieRotheos 1994, p. 50).

4 Come sottolinea san paolo: «per questo Dio li ha abbandonati a turpi passioni.

viduo sarà assediato da passioni fuorvianti destinate a distorcere ulteriormente la sua vita5. In tal modo si innescherà un crescendo di perversione. L’azione della legge nel proprio cuore (to ergon tou nomou) sarà al riparo da ogni distorsione solo se si vive una vita moralmente e liturgicamente ordinata che impedisca il disorienta- mento del conoscere. Data la nostra natura di esseri chiamati a di- ventare dio mediante la grazia (sant’atanasio, De incarnatio-

ne Verbi Dei, 54,3), noi siamo in grado di incominciare a sapere che cosa si deve fare, ma solo mediante il giusto culto e la giusta azione, che mantengono il carattere bene-ordinato di questa natu- ra, giacché noi siamo esseri che per natura sono chiamati a ado- rare Dio e a vivere in unione con Lui. Di nuovo, a questo sapere si giunge solo se ci si orienta correttamente a Dio. perciò, nel suo commento al secondo capitolo della Lettera ai romani6, san Gio- vanni Crisostomo sottolinea:

Quando parla di Greci e di pagani, qui [rom. 2,12-16] [paolo] in- tende non quelli che adoravano gli idoli, ma quelli che adoravano Dio, obbedivano alla legge di natura, e rispettavano rigorosamen- te ogni cosa, salvo le osservanze ebraiche che contribuiscono alla pietà – come avevano fatto melchisedech e i suoi, e come Giobbe, i niniviti e Cornelio7.

La chiesa dei primi secoli non si aspettava affatto che i pagani potessero abbracciare affidabilmente l’equivalente di una morale e di una bioetica cristiane. e soprattutto era ben lungi dal pensare che la filosofia morale laica potesse approdare da sola alle norme

gli uomini pure, abbandonato l’uso naturale della donna, si sono accesi di perversi pensieri gli uni verso gli altri, commettendo turpitudini maschi con maschi, riceven- do in se stessi la mercede meritata dal loro pervertimento. e siccome non si son da- ti pensiero di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati a pensieri perversi di modo che commettono azioni che vanno contro ogni legge» (rom. 1,26-28).

5 Come argomenta san paolo, «pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno glori-

ficato come Dio, né gli hanno reso grazia, ma si sono perduti nelle loro vane elucu- brazioni e la loro mente insensata si è trovata immersa nelle tenebre» (rom. 1,21).

6 «Anzi, se dei pagani che non hanno la legge fanno per natura quello che pre-

scrive la legge, sono legge a se stessi, pur non avendo la legge, dimostrando così che i dettami della legge sono scritti nei loro cuori, come attesta con i suoi giudizi la loro coscienza, la quale volta per volta li accusa e li difende» (rom. 2,14-15).

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del buon agire, perché «Dio ha reso stolta la saggezza del mondo» (I Cor. 1,20). Una conseguenza di questo stato di cose è che per la chiesa dei primi tempi non esiste alcun punto di vista etico-filoso- fico neutrale che possa attutire la collisione tra cristianesimo tradi- zionale, da un lato, e, dall’altro, morale non cristiana o bioetica non cristiana della cultura post-cristiana, anzi laica, del nostro tempo.

tra la posizione del cristianesimo del primo millennio e quella degli ebrei ortodossi c’è una somiglianza importante. I cristiani tra- dizionali, al pari degli ebrei ortodossi, concordano, in particolare, nel riconoscere un Dio pienamente trascendente che comanda, di cui si fa esperienza noeticamente e che dà la precedenza al sacro sul bene, al personale sull’universale. La prospettiva dell’occhio di Dio nell’antica chiesa dei cristiani ortodossi è un punto di os- servazione che, lungi dal dischiudere principi morali generali, idee universali o norme astratte, mette in luce la visione delle persone della trinità. La prospettiva dell’occhio di Dio propria dei cristia- ni ortodossi e degli ebrei ortodossi non è quella di un giudice ano- nimo, ma quella di un padre personale che si rivolge alle perso- ne in quanto persone. Diversamente da ciò che avveniva nella vi- sione universalistica platonica della giustizia, qui tutto è persona- le. nell’esodo, per esempio, Dio dichiara: «Farò grazia a chi farò grazia e avrò misericordia di chi avrò misericordia» (es. 33,19). È questa prospettiva che consente al re Davide, assassino e adulte- ro ma anche antenato di Cristo, di affermare: «Contro di te, con- tro di te solo, ho peccato; ho fatto ciò ch’è male agli occhi tuoi» (sal. 51). Questo paradigma pone al centro il riconoscimento del Dio personale che comanda, che ha misericordia e che perdona, non una morale indipendente e dei valori che essa possa affermare.

poiché le norme morali cristiane ed ebraiche affondano le pro- prie radici nei comandamenti di Dio, per gli ebrei ortodossi e per i cristiani tradizionali, propriamente parlando, non ci sono valori indipendenti e/o visioni della vita virtuosa, non ci sono valori giu- daico-cristiani. ossia: la vita non deve orientarsi in riferimento a cose o stati di cose dotati di valore intrinseco o desiderabili in sé, ma in riferimento a Dio e ai desideri e valori che egli esprime. Di- versamente si finisce per amare la creatura (per esempio, i valori) indipendentemente dal loro orientamento al Creatore, con il risul- tato di esprimere una visione distorta di ciò che si deve apprezzare

e desiderare. Le varie leggi date ai figli di noè e agli ebrei sono co- se completamente diverse dai discorsi sui valori laici che aspirano a offrire una lingua franca morale. I comandamenti di Dio, diver- samente dai valori, creano una relazione personale tra Colui che comanda e colui a cui viene comandato. Con un comando, Dio dà voce a un’ingiunzione personale su come accostarsi a Lui. I valori, al contrario, possono essere oggetto di considerazione spassionata e impersonale. Un comando divino entra nella vita di una persona.

In questo senso importante, cristiani ed ebrei ortodossi non han- no una morale. La morale, cioè, non appare come un quid tertium tra Dio ed essere umano che i filosofi possano definire, elabora- re, contemplare ed esporre. né la morale appare come un tessuto di norme che possa avvantaggiarsi di un radicale ripensamento fi- losofico. C’è invece, nell’ortodossia ebraica e cristiana, il ricono- scimento del Dio che ha dato sette leggi ai figli di noè e 613 leg- gi agli ebrei. naturalmente, tutte queste leggi hanno delle impli- cazioni sulla questione di quali valori debbano essere affermati o respinti e di quali beni debbano essere perseguiti. ma le norme di comportamento abbracciate da ebrei e cristiani ortodossi non han- no una base etico-filosofica, non poggiano su una visione o su una concezione dei valori, bensì sull’incontro con un Dio personale. L’occidente è entrato nel secondo millennio quando il paradigma morale cristiano originario è stato profondamente trasformato e ab- bandonato a favore di una sintesi etico-metafisica di aristotelismo, platonismo, stoicismo e cristianesimo. A creare il cristianesimo oc- cidentale è stata questa svolta nel significato delle norme di com- portamento e nel carattere della teologia, non solo la generazione di nuovi dogmi. Il secondo millennio in occidente è incominciato con l’adozione di un mondo-della-vita radicalmente nuovo.

4.3 laCReaZionedelCRistianesiMooCCidentale Già con Agostino di Ippona (354-430) il cristianesimo occidentale aveva incominciato ad assumere un’identità propria e a costruire una nuova visione del cristianesimo. Agostino esercitò un forte influs- so in occidente in quanto fu il solo dei quattro padri latini (con san

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Gerolamo, sant’Ambrogio e san Gregorio magno) a scrivere ope- re filosofiche e teologiche di grandissimo respiro. soprattutto egli ebbe una sensibilità filosofica e discorsiva molto forte che gli con- sentì di vedere le cose da filosofo. Un ultimo ma importante indice del peso che egli esercitò in occidente sta nel fatto che egli affrontò una vasta gamma di questioni teologiche contribuendo a costruire la visione del cristianesimo occidentale su 1) celibato dei preti; 2) sta- tus morale dell’aborto precoce; 3) natura della trinità; 4) moralità del mentire; e 5) significato della libertà di scelta. Di conseguenza, con Agostino ha iniziato a prendere forma un nuovo cristianesimo.

Una caratteristica molto particolare del cristianesimo occiden- tale è il celibato dei preti. Già nel primo Concilio di nicea nel 325 i vescovi provenienti dall’occidente, probabilmente sotto l’influs- so del neo-platonismo, avevano proposto di imporre il celibato ai preti. socrate scolastico espone in questi termini le discussioni av- venute a nicea su questo tema:

Ai vescovi pareva opportuno introdurre nella chiesa una nuova leg- ge per impedire a tutti coloro che avevano ricevuto i sacri ordini, ossia vescovi, presbiteri e diaconi, di avere rapporti coniugali con le mogli che avevano sposato prima dell’ordinazione. senonché, mentre ferveva questa discussione, pafnuzio, alzandosi nel bel mezzo dell’assemblea dei vescovi, chiese loro calorosamente di non voler imporre un giogo così pesante ai ministri della religio- ne, anche perché «il matrimonio è una condizione onorevole e il talamo è senza macchia». Li invitò altresì, invocando Dio, a non danneggiare la chiesa con restrizioni troppo vincolanti, «giacché non tutti gli uomini», disse, «possono sopportare la pratica di una rigida continenza; né tutti saranno in grado di preservare la castità delle loro mogli»; e terminò qualificando il rapporto di un uomo con la sua legittima moglie come una manifestazione di castità8.

Il racconto di socrate scolastico è confermato da sozomeno9.

8 sCholastiCus 1994, p. 18.

9 Al Concilio di nicea, «[…] pafnuzio, il confessore, si alzò e si pronunciò con-

tro questa proposta; disse che il matrimonio è una condizione onorevole e casta e che la convivenza con la propria moglie è castità. e invitò il sinodo a non approvare que- sta norma, perché sarebbe stato difficile rispettarla. osservò che, anzi, poteva essere occasione di incontinenza per i sacerdoti e per le loro mogli; e ricordò loro che, se- condo l’antica tradizione della chiesa, coloro che al momento in cui prendevano par-

mentre il primo Concilio di nicea respinse la proposta di im- porre il celibato, la chiesa di Cartagine, nel Concilio del 418 o 419, a cui partecipò Agostino, proibì a vescovi, preti e diaconi di avere rapporti sessuali con le proprie mogli. «Fu deciso che ve- scovi, presbiteri e diaconi e tutti coloro che maneggiano le cose sacre, in quanto guardiani della sobrietà, si astengano dalle don- ne» (niCodeMus, agaPius 1983, p. 607). Il sacerdozio fu consi-

derato incompatibile con la sessualità del matrimonio anche se il canone LI degli 85 Canoni apostolici destituisce i preti che non si sposano, a meno che non lo facciano per ragioni di ascetismo o di salute10. ma in occidente stava diffondendosi la convinzione che il sacerdozio fosse incompatibile con il letto matrimoniale, anche se il cristianesimo insegnava che il talamo è senza macchia (ebr. 13,4). Alla fine, l’imposizione del celibato ai preti nel cristianesi- mo occidentale venne condannata da Costantinopoli. In particola- re, il Canone XIII del Concilio Quinisesto (detto anche Concilio di trullo, 692) afferma:

Abbiamo appreso che nella chiesa di roma vige la prassi, consi- derata equivalente a una disposizione canonica, che gli ordinandi al diaconato e al presbiterato devono promettere solennemente di non avere più rapporti con le loro mogli. noi, al contrario, in con- formità con l’antico canone del rigorismo e dell’ordine apostoli- co, desideriamo che d’ora innanzi i legittimi legami matrimonia- li degli uomini consacrati diventino più forti e non vogliamo in nessun modo né vietare loro di avere rapporti con le proprie mo- gli né privarli del reciproco sostegno matrimoniale, ove il tutto si

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