La famiglia, annoverata dalla storiografia tra le più eminenti casate uscite dall’ambito ligure-genovese, si impone all’attenzione dello studioso non solo per le personalità eccezionali che ha espresso soprattutto in campo ecclesiasti- co, da Innocenzo IV ad Adriano V e Santa Caterina, ma anche per le strategie e le modalità di affermazione che l’avvicinano ai percorsi ed ai comportamenti di altre illustri casate della penisola piuttosto che ad esperienze locali. Nel mondo genovese i Fieschi sono l’unica famiglia di conclamata e certa ascen- denza nobiliare in senso stretto, discendenti dai Lavagna, antichi signori, do-
mini loci, insediati sulla Riviera di Levante, assurti al titolo comitale e preco-
cemente inurbati. Nella lunga durata riescono a conquistare in ambito citta- dino posizioni di rilievo e spazi di potere non con la mera attività mercantile e finanziaria con cui si affermano molti concittadini, ma con l’occupazione di cariche ecclesiastiche, con accorte strategie dinastico-matrimoniali, con appoggi e consensi esterni. Inoltre mostrano di possedere una vocazione ed un’apertura europea, una sensibilità culturale estranea al mondo ligure, una cultura di vita e di governo, maturate non in ambito locale, ma a contatto con le più prestigiose corti del tempo.
È comunque leggendaria, ispirata ad intenti antiquari-prosopografici gra- tificanti, la discendenza da un Cesare Fliscus, conte nell’entourage italico del- l’imperatore Ottone I, attivo a metà del secolo X. Il termine Fliscus, collegato in genere al fisco regio latino, a funzioni fiscali di cui i Lavagna sarebbero stati detentori, potrebbe invece risalire, alla luce di recenti indagini linguistiche condotte sulla documentazione bobbiese-piacentina, non al fisco regio, ma all’etimo longobardo frisk, abbreviatura di friskinga, indicante un tributo in danaro sostitutivo di quello in natura, attestato in area bobbiese-emiliana ove
* Testo pubblicato originariamente come I protagonisti: la famiglia Fieschi, in San Salvatore dei
Fieschi. Un documento di architettura medievale in Liguria, Cinisello Balsamo (Milano) 1999,
pp. 43-55.
Esiste una copiosa bibliografia, spesso ripetitiva, sulla casata, in particolare sui personaggi più eminenti da questa espressi. Solo in tempi recenti si è ricostruita in versione filologicamente cor- retta l’origine della famiglia, liberandola dalle sovrastrutture encomiastiche di cui è stata larga la storiografia fino al Novecento. Nel corso del saggio vengono però ricordati solo i contributi più recenti su singoli problemi, ai quali si può fare riferimento per la letteratura precedente.
Giovanna Petti Balbi, Governare la città : pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale, ISBN 978-88-8453-603-7 (online), ISBN 978-88-8453-604-4 (print), © Firenze University Press
sono attivi i Lavagna. In ogni caso il nome è riconducibile alla sfera economi- co-fiscale, ad una delle prerogative di carattere signorile esercitate nella zona di potere originaria dai conti ed in particolare da Ruffino, che avrebbe con questo termine qualificato e distinto il proprio ramo all’interno del consorzio signorile.
I Lavagna costituiscono già nell’XI secolo la più forte formazione signo- rile attestata nella parte orientale della Liguria con propaggini anche al di là dell’Appennino, nel Parmense, con centro nell’omonima località nella valle di Lavagna e dell’Entella, detentori di una signoria fondiaria costituitasi su terre allodiali e fiscali, su beni della chiesa genovese e del monastero di San Colombano di Bobbio nella Marittima, una costruzione avviata verso la fine del secolo X da Tedisio fu Oberto legato ai marchesi Obertenghi. Alla luce di una documentazione piuttosto esigua, ma coerente, Tedisio è ritenuto un vas- sallo diretto dell’impero e dei marchesi, comunque un rappresentante della classe dei milites, il quale trasmette ai figli il patrimonio personale e la supe- riorità di fatto acquisita in questa regione di confine tra il comitato genovese e quello lunense su affittuari, rustici o domini loci, a seguito della capacità di inquadrare in una forte rete connettiva la titolarità di diritti signorili e di deci- ma con una consistente presenza fondiaria, i forti legami con enti ecclesiastici e monastici, le alleanze e le intese matrimoniali con i marchesi Malaspina o con i signori di Vezzano, altro importante consorzio lunigianese che trae nome dall’omonimo castello fulcro del loro potere.
Approfittando di congiunture ben note, quali l’evoluzione e l’indebolimen- to delle circoscrizioni pubbliche o la disgregazione dei patrimoni monastici, all’inizio dell’XI secolo un altro Tedisio di Lavagna, probabilmente nipote del precedente, qualifica ulteriormente la signoria fondiaria trasferendo sul ter- ritorio controllato il titolo di comes arbitrariamente assunto come titolo di prestigio e di distinzione personale. Nasce così la contea di Lavagna, che non è una circoscrizione pubblica o una distrettuazione di origine regia, come si è a lungo creduto, ma una formazione signorile che prende nome dalla dignità personale del dominus, trasmessa ed ereditata da tutti i discendenti i quali in tempi successivi assumono soprannomi o cognomi diversi, pur senza rinun- ziare al titolo comune di conti di Lavagna.
L’articolazione della famiglia permette l’occupazione di differenti ambi- ti di potere tra il mare e l’Appennino piacentino-parmense; tuttavia gli ap- PIERGIOVANNI 1967, p. 422. La proposta di derivazione del cognome dall’etimo germanico è stata avanzata da PETRACCO SICARDI 1978, pp. 7-11. Il termine friskinga indica nei contratti agrari l’animale giovane e l’abbreviazione frisk il tributo in danaro sostitutivo del tributo in natura dovuto al monastero di Bobbio, sulle cui terre sono insediati appunto anche i Lavagna. Meno at- tendibile pare la proposta di una derivazione toponimica del cognome dalla località Flexo presso Luni, pur recentemente rinverdita: REMEDI 1977, pp. 289-290.
I. Organizzazione familiare
85
partenenti a questa ramificata e complessa discendenza si rivelano incapaci a costruire efficaci strumenti di solidarietà o forti strutture d’inquadramento politico-territoriali in questa zona strategica di confine, impotenti comunque a tenere a freno le vivaci comunità locali e soprattutto ad arrestare la pre- potente avanzata genovese. Genova infatti, una volta costituitasi in comune, mira ad estendere il proprio dominio sul contado e sul territorio circostante, nel tentativo di far coincidere il proprio districtus con quello ecclesiastico e di sostituirsi agli altri detentori di poteri, città, signori, marchesi, visconti, tut- ti costretti a riconoscere la superiorità della civitas mater. Anche la Riviera di Levante viene investita da questa aggressiva politica e a partire dagli anni trenta del secolo XII i conti di Lavagna sono ripetutamenti sconfitti, costretti a giurare la “compagna” e l’abitacolo per due mesi all’anno, a cedere via via i loro possedimenti a partire da quelli lungo la costa, a mettere a disposizione di Genova i loro castelli, a liberare i loro uomini, in cambio di una sorta di rendita annua che il comune versa a titolo di indennizzo, anche se i numerosi e successivi trattati, spesso violati, attestano la loro pericolosità e la volontà di resistere con ogni mezzo.
Nel tentativo di opporre una qualche resistenza, non solo sul piano mili- tare, i conti ricorrono all’imperatore. Federico I nel 1161 li prende sotto la sua protezione, li riconosce suoi feudatari e legittima di fatto il titolo e la contea, concedendo in feudo ai suoi fedeli conti di Lavagna quanto posseggono a titolo ereditario o a qualsiasi altro titolo, assicurando loro il controllo degli uomi- ni, delle acque e dei pedaggi sino al Passo di Centocroci. È un’opportunistico escamotage a cui ricorrono del resto ovunque i domini loci per ottenere il rico- noscimento imperiale in cambio della fedeltà e del sostegno offerto a Federico I contro i comuni. In questo, come in altri casi, il diploma non ottiene gli effetti sperati, perché non pone i Lavagna al riparo da ulteriori e gravose imposizioni da parte di Genova, ormai incuneatasi nei loro antichi domini, ove costruisce castelli e nuovi borghi popolati proprio dai sudditi dei conti. Intorno agli anni settanta del secolo XII, dopo un estremo tentativo di ribellione concertato con i marchesi Malaspina e con altri signori, i Lavagna vengono privati di ogni effettivo potere in ambito extracittadino, trasformati in innocui vassalli del co- mune che patrimonializza i proventi derivanti dall’esercizio di poteri pubblici nell’ambito della contea e li trasforma in una sorta di reddito annuo assegnato e ripartito tra di loro.
Questa politica mira in primo luogo a sradicare i conti dai loro possedi- menti rurali, ad allontanarli dai loro uomini e dal loro territorio, a favorirne Queste vicende sono sviluppate criticamente nei lavori citati alla nota precedente. La documen- tazione relativa è ora disponibile in un’edizione critica recente: Liber Iurium I/ 1-2 1992-96 ad
indicem.
il radicamento in città ove ottengono il titolo di nobili, terreni per edificare le loro case, l’esenzione dalle tasse e la possibilità di accedere alla cariche di go- verno; ma ha anche lo scopo di dividere i consorti, di indebolire la compattezza del lignaggio, di favorire la formazione di posizioni differenziate nei confronti di Genova. Sembra così venire meno la solidarietà attiva tra i membri del consorzio divisi tra quanti paiono più sensibili alle lusinghe cittadine, disposti non solo a risiedere temporaneamente in città, ma a partecipare attivamente a tutte le manifestazioni della vita urbana, e quanti rimangono tenacemente legati alla loro fisonomia originaria, incapaci o non interessati a sfruttare le opportunità offerte dall’inurbamento.
Tra coloro che, pur senza rinunziare al titolo comitale e alla rivendicazione dei propri diritti, optano per la scelta cittadina è Ugo, figlio di Ruffino, che sembra essere stato il primo ad assumere il soprannome di Flisco, un attri- buto particolarmente congeniale e consono alle strategie da lui poste in atto per trasformare i proventi connessi alla sua qualifica comitale in capitale li- quido da investire in operazioni cittadine e nell’attività mercantile. È questa una delle vie con le quali Ugo e i figli riescono ad imporsi nell’ambiente citta- dino controbilanciando in questo modo la momentanea eclissi del prestigio e dell’autorità della famiglia in ambito rurale, una crisi che altri consanguinei cercano di superare creandosi nuovi centri di potere tra la Liguria orientale e l’Appennino lungo le vie di transito, fuori dalla portata e dalle ambizioni ge- novesi. Ugo acquisisce invece la mentalità mercantile-imprenditoriale propria degli esponenti del ceto dirigente cittadino, all’interno del quale riesce ad in- serirsi autorevolmente anche in virtù del matrimonio con una figlia di Amico Grillo, esponente di primo piano della nobiltà consolare locale. Significativa e quasi programmatica alla politica della famiglia si rivela anche la scelta della residenza, in prossimità di San Lorenzo, ove i Fieschi edificano un palazzo che per la posizione e la capienza ospiterà anche l’apparato burocratico comunale, prima che verso la fine del secolo XIII venga acquistato come nucleo del primo palazzo pubblico.
Doti personali, capacità imprenditoriali, parentele gratificanti, carisma del titolo comitale, a cui inizia a guardare con ammirazione e con spirito di emulazione anche la nobiltà cittadina di governo, favoriscono la connotazio- ne urbana e l’ascesa politica della famiglia che non rinunzia comunque alle sue prerogative, come dimostra ad esempio la presenza di Ugo, del padre Ruffino e del fratello Gherardo al giuramento prestato nel 1174 dal marchese Malaspina a Genova o al trattato di alleanza stipulato tra Milano, Piacenza ed In particolare Iurium I/1 1992, doc. 215.
BERNINI 1940, pp. 178-199; SISTO 1979, pp. 43-44; PETTI BALBI 1983, p. 106; MELLONI 1990, pp. 23-26.
I. Organizzazione familiare
87
i Malaspina contro Pavia, atti in cui i nostri sembrano interlocutori privilegiati tra i marchesi e la città e quasi garanti dell’accordo. I Fieschi si affermano a Genova in una congiuntura politica particolarmente propizia, in un momen- to di profondo travaglio socio-istituzionale, quando la competizione e la lotta tra gli esponenti dell’antico ceto comunale suggeriscono dapprima di tentare nuovi assetti politici con la soluzione podestarile e dopo il fallimento di questa esperienza di aprire ad uomini nuovi, estranei alle fazioni ed ai clans da tempo in lotta tra di loro0.
Se Ugo punta sulla città e sul commercio, altri congiunti intraprendono la carriera ecclesiastica seguendo le orme di Manfredo, cugino di Ugo, già canonico di San Lorenzo, dal 1163 cardinale. I Fieschi puntano anche verso l’Oltreappennino, in particolare verso Parma, ove i fratelli di Ugo riescono ad occupare posizioni di rilievo e favoriscono i figli di Ugo. Opizzo, prima ca- nonico, diventa dal 1194 vescovo di Parma; Alberto è arcidiacono almeno dal 1202, Sinibaldo si assicura il vescovato di Brugnato. Anche senza ricordare Ibleto Fieschi vescovo di Albenga, indicato dal Belgrano tra i figli di Ugo, ma oggi non ritenuto tale, sono presenze pesanti che offrono le basi di partenza per l’affermazione della casata ed assicurano spazi di manovra e nuove oppor- tunità a Parma, ove le figlie di Ugo si accasano con San Vitale, Rossi, Fogliano, Bottero, famiglie cittadine eminenti ripetutamente ricordate nella cronaca di fra Salimbene. Non paiono scelte casuali, ma tasselli di un’accorta strategia di organizzazione familiare che cerca di trovare spazi di affermazione alterna- tivi puntando su iniziative mercantili, carriere ecclesiastiche, cariche civili.
Taluni figli di Ugo seguono le orme degli zii e percorrono brillanti carriere ecclesiastiche sia a Parma, sia a Genova ove iniziano la scalata alle istituzio- ni: Rubaldo diventa preposito del capitolo di San Lorenzo, Ruffino abate del monastero di San Fruttuoso di Capodimonte, Sinibaldo, cresciuto presso lo zio Opizzo a Parma ove nel 1216 è già componente del collegio dei canonico, trasferitosi poi per ragioni di studio a Bologna, raggiunge nel ‘27 il cardinalato e nel 1243 la tiara pontificia con il nome di Innocenzo IV. A queste strategie che ancorano i Fieschi alla chiesa genovese si sommano le iniziative mondane, politiche ed economiche di Tedisio, Alberto e Opizzo, gli altri tre figli di Ugo, il quale compare per l’ultima volta nel 1201 ed è sicuramente già morto nel 1214. Tedisio in particolare sembra il maggiore, il capofamiglia, colui che concentra nelle proprie mani il potere, le ricchezze, il carisma del padre. Contrae nozze importanti, sposandosi forse due volte, sicuramente con Simona Camilla, ed PIERGIOVANNI 1967, p. 422.
0 PETTI BALBI 1986, pp. 85-104.
RONZANI 1986, pp. 120-123; REMEDI 1997, pp. 291-316. SALIMBENE DE ADAM, p. 86; BERNINI 1940.
ha una numerosa prole, almeno nove figli. Ampi legami di natura familiare ed economica vengono stretti con esponenti prestigiosi del ceto dirigente cit- tadino, come dimostrano i vari contratti di natura commerciale stipulati con Doria, Spinola, de Mari, Vento, o la partecipazione di Tedisio alla più redditi- zia impresa commerciale del tempo, la maona di Ceuta, della quale nel 1237 è creditore per la somma di 226 bisanti.
Il prestigio ed il peso della famiglia viene incrementato anche dal matrimo- nio che Opizzo, fratello di Tedisio, nel 1230 capitano dei senesi contro Firenze, contrae nella città toscana con Bianca dei Bianchi, appartenente ad una fami- glia locale legata ai celebri banchieri Bonsignori, attivi anche a Genova, i quali diventano, insieme con il piacentino Guglielmo Leccacorvo, gli amministra- tori dei cospicui guadagni che i Fieschi traggono dalle operazioni mercantili, in Ispagna, nel Maghreb, alle fiere di Champagne. Una volta consolidate le loro posizioni cittadine soprattutto a livello socio-economico, anche i Fieschi si inseriscono nel generale processo di riconversione verso la terra avviato dal- l’aristocrazia genovese per assicurarsi altre fonti di reddito e per nobilitarsi. I nostri sono indubbiamente avvantaggiati dalla loro origine, perché rispolve- rano il titolo comitale su cui innestano precise strategie e mentalità impren- ditoriale. Puntano infatti non tanto sulla Riviera orientale o sulla costa ormai controllata da Genova, ma verso l’immeditato entroterra e le insicure valli ap- penniniche, sul controllo delle strade di comunicazione tra la Liguria e l’Emi- lia che possono assicurare cospicui introiti doganali: nel 1226 Tedisio acquista per oltre cento lire di genovini le terre con diritto di decima che taluni Pinelli possiedono nei vescovati di Genova, Piacenza e Bobbio e successivamente si sostituisce ai signori di Celasco e di Lagneto come avvocato del vescovato di Brugnato con la possibilità di gestirne il patrimonio. È questo un tentativo per reinserisi nei giochi politici, per controllare zone strategiche e riaffermare nel contempo la loro presenza nell’area originaria, sostituendosi ad altri con- sorti o signori rimasti in loco, ma privi di ogni potere, avvalendosi del danaro, delle entrature ecclesiastiche e del rinnovato appoggio imperiale.
Nel 1227 infatti l’imperatore Federico II conferma ai figli del fu Rubaldo, Gerardo e Pagano Fieschi il precedente diploma di Federico I. È ovviamente una conferma del tutto platonica e formale, in quanto i Fieschi hanno da tem- po perduto i beni ricordati nel 1162, un diploma da inquadrare, da un lato, nella strategia politica dell’imperatore tesa e favorire forze attestate a vario titolo ai margini del dominio genovese, come Fieschi o del Carretto sull’altra Riviera, in vitali zone di transito in grado di isolare e chiudere in una morsa Genova ora decisamente su posizioni antifedericiane; dall’altro nei tentativi PETTI BALBI 1984, pp. 107-108.
GUERELLO 1959, pp. 293-311; TRAXINO 199, p. 15. BERNABÒ 1997, pp. 45-58.
I. Organizzazione familiare
89
posti in atto dagli stessi Fieschi di proporsi come unici interlocutori dell’impe- ro e titolari della contea. Ed infatti il diploma non è indirizzato genericamente ai conti, ma a tre sole persone, capostipiti di casati riconducibili al solo ramo di Ugo Fieschi. E a coronamento di questa politica di legittimazione dei soli Fieschi, viene nel 1249 da parte di Guglielmo d’Olanda re dei Romani, in favo- re di Opizzo, Alberto, Giacomo, Tedisio e Nicolò figli di Tedisio, la concessione del titolo di conti palatini trasmissibile in via ereditaria ai primogeniti, con la possibilità di battere moneta, nominare giudici e notai, dimorare alla corte imperiale.
Il privilegio deve però essere collocato in una diversa temperie politica rispetto al precedente, in un diverso rapporto di forze tra Genova, i Fieschi e l’impero, conseguente allo scontro in atto con Federico II e all’avvento al soglio pontificio di Sinibaldo. Se in un primo momento Tedisio ed i figli si erano mantenuti estranei o ai margini della lunga querelle tra Genova e l’im- peratore, non schierandosi con nessuna delle fazioni cittadine, pur lasciando trapelare una qualche simpatia filoimperiale, del resto palesata anche dallo stesso Sinibaldo, a partire dagli anni quaranta, e quindi già prima dell’elezione di Innocenzo IV, operano una precisa scelta politica, assecondando la linea ormai largamente condivisa dai genovesi di fiera resistenza alle pressanti mi- nacce ed alle pretese di Federico II.
La famiglia, che controlla direttamente o attraverso congiunti l’elezione dell’arcivescovo e l’intera situazione ecclesiastica ligure, riuscendo a far elegge- re ad arcivescovo nel 1239 Giovanni di Cogorno a cui nel ‘53 succede Gualtieri di Vezzano, entra anche nell’agone politico in posizione di forza, come sem- brano indicare la presenza del loro congiunto Ugolino de’ Rossi di Parma a podestà di Genova nel 1231 o dello stesso Tedisio tra gli ambasciatori inviati nel ‘31 a Ravenna presso l’imperatore, il ruolo di Nicolò nel ‘34 comandante con Pietro Vento delle truppe genovesi inviate a reprimere la rivolta nelle valli di Oneglia e di Arroscia o l’impegno diretto in favore della città soprattutto dopo la scoperta di lettere inviate nel 1241 dall’imperatore ai suoi fautori e di una presunta congiura0. Nel 1242 conquistano i castelli di Savignone e di Costapelata e li consegnano al comune il quale li riassegna ai Fieschi, definiti
fideles amici et districtuales nostri, con l’impegno a difenderli dai nemici e
soprattutto dagli Spinola, antichi proprietari e ora capi della fazione ghibelli- na. È ovvio che l’elezione di Sinibaldo a papa nel giugno 1243 ed il deterio- PETTI BALBI 1996, pp. 72-75.
FEDERICI 1620, pp. 95-97; FIRPO 1997, pp. 352-359. PETTI BALBI 1996, pp. 86-93; PAVONI 1997, pp. 28-31.
0 Su queste vicende, ampiamente sviluppate negli Annali genovesi ad annum, cfr. FIRPO 1997, pp. 348-350.
rarsi dei rapporti tra papa e imperatore avvicini ulteriormente i Fieschi allo schieramento guelfo genovese, di cui assumono la leadership, mostrando però atteggiamenti possibilisti e concilianti con la fazione avversa, con la quale con- tinuano del resto ad intrattenere intese di natura commerciale.
Più risoluti e decisi appaiono nell’offensiva antiimperiale esterna, propo- nendosi come sostenitori della linea dura adottata da Innocenzo IV. Sono loro che appoggiano il piano dell’inviato papale a Genova fra Boiolo nel giugno 1244 per organizzare la fuga del papa su navi genovesi; sono i nipoti Alberto e