• Non ci sono risultati.

2.1 Come si realizza un film di animazione?

La nascita del film d’animazione è direttamente legata alla nascita del cinema, infatti le prime proiezioni facevano uso di un certo tipo di animazione. Queste rappresentazioni furono realizzate da Emile Reynaud, che nel 1877 costruì il prassinoscopio, che utilizzando lunghe strisce flessibili di disegni retroproiettava su uno schermo figure animate su una scena di fondo dipinta. Fu Reynaud a realizzare le prime esibizioni in pubblico di immagini in movimento.

Immagine di Reynaud col prassinoscopio

La prima tecnica utilizzata per realizzare disegni animati era chiamata “a fotogramma singolo”, in inglese frame-by-frame, e consisteva nel disegnare ogni fotogramma per intero. Il lavoro era molto lungo perché venivano utilizzati ventiquattro fotogrammi al secondo e generalmente i disegnatori lavoravano da soli o con al massimo un aiuto disegnatore.

Non mancò chi introdusse novità per accelerare sia il lavoro sia i profitti di questa nuova e promettente attività. Uno tra i maggiori innovatori fu Raoul Barrè, pittore e vignettista canadese, che dopo alcuni viaggi di studio in Europa, si stabilì a New York nel 1903. Qui, con William C. Nolan, produsse e diresse film pubblicitari a disegni animati. Nel suo studio introdusse l’uso della perforazione standard nei fogli da disegno, tecnica che permetteva di evitare i “salti” tra un’immagine e quella successiva e lo slash system,

sistema dell’intarsio. Quest’ultimo consisteva nel tracciare l’ambiente, o scenografia, lasciando uno spazio vuoto in cui successivamente veniva inserito il personaggio tramite fogli ritagliati su misura.

La prima persona a impegnarsi a tempo pieno nell’animazione fu Emile Cohl (pseudonimo di Emile Courtet). Il suo primo film d’animazione fu Fantasmagorie (1908) dove, per creare un movimento uniforme, Cohl posizionò i disegni su un piatto di vetro retroilluminato, tracciò poi l’immagine sul successivo foglio di carta, facendo minimi cambiamenti nelle figure.

Altra figura importante nel campo delle innovazioni fu John Randolph Bray, disegnatore, umorista e illustratore con una visione pratica e razionale del lavoro.

Abbandonò il suo ruolo di disegnatore per guidare uno dei primi gruppi organizzati di animatori e assistenti animatori. Rientrano nella logica dell’organizzazione del lavoro e del risparmio della fatica i tre brevetti di Bray.

Questi brevetti, registrati tra il 1914 e il 1915, furono l’uso di scenografie stampate, l’applicazione di sfumature di grigio al disegno e l’uso di scenografie su celluloide trasparente da applicare sopra il disegno da animare. La stampa permetteva di non ridisegnare ogni volta a mano gli sfondi che rimanevano invariati, facendo risparmiare tempo, scopo ottenuto anche dagli altri due brevetti.

La lungimiranza di Bray lo portò ad assicurarsi il brevetto di Earl Hurd, il rodovetro o cel process. Hurd utilizzava fogli di celluloide trasparente per disegnare i personaggi, che in seguito venivano applicati su scenografie dipinte. In genere l’animatore disegnava a matita i personaggi e passava i fogli all’assistente che aveva il compito di inchiostrarli e di aggiungere i particolari mancanti, come tratti fisiognomici ed elementi del vestiario.

Questo fu il secondo passo nella tecnica per la realizzazione dei film d’animazione, la maggior parte dei disegni animati venne da allora in poi realizzata con questo processo.

In realtà il rodovetro non serviva solo a ridurre i tempi di produzione, ma mostrava anche la posizione di primo piano che i disegnatori attribuivano ai personaggi rispetto agli sfondi statici. Non bisogna dimenticare che nel 1913 Bill Nolan utilizzò la tecnica della carrellata che manteneva il personaggio fisso, mentre il panorama scorreva dietro di lui, dando però l’impressione che fosse il personaggio a muoversi, grazie alla ripresa a scatto singolo.

Ultima ma non meno importante innovazione, fu l’uso della pellicola a colori ottenuti grazie al procedimento Brewster Color (bicromico). Fino ad allora erano state utilizzate pellicole tinteggiate a mano da pazienti operaie, oppure pellicole colorate per imbibizione o per viraggio in fase di stampa. Nonostante il successo di The Debut of Thomas Cat (1920), il procedimento fu giudicato troppo costoso, la pellicola si rivelò troppo delicata e passarono altri dieci anni prima che fosse realizzata un’altra pellicola a colori1.

Si giunse così, grazie a innovatori e innovazioni, al metodo più usato, prima dell’utilizzo del computer, per realizzare film d’animazione. Questo implicava l’uso di fogli di cellophane trasparenti sui quali venivano riportati i disegni dei personaggi e dei loro movimenti. I fogli venivano posti su di un piano orizzontale e ripresi da una speciale macchina da presa; il primo foglio posto sul piano era opaco e vi era disegnato lo sfondo, o scenografia; il secondo foglio era trasparente e vi era disegnato il personaggio. A questo punto la macchina da presa scattava una fotografia e il foglio trasparente veniva sostituito con un altro, successivo nel movimento al primo; anche questo veniva fotografato e così via fino a completare l’intera storia. Per rendere l’azione più veritiera si poteva spostare gradatamente il foglio opaco con il fondo.

Questa tecnica fu perfezionata da Walt Disney nei suoi studios di Burbanks durante gli anni ’30. Utilizzò, infatti, la multiplane camera: personaggi e scenografie erano collocate su piani di vetro sovrapposti, cosicché all’obiettivo della macchina da presa, posta in verticale, si offriva una composizione “a tre dimensioni”. Questo congegno venne utilizzato per la prima volta nella Silly Simphony The Old Mill (1937), parzialmente in Snow White (Stati Uniti, 1937) e largamente nei lungometraggi successivi. Grazie alla multiplane camera le immagini divennero più realistiche. Questa tecnica fu ripresa e ulteriormente perfezionata da un gruppo di disegnatori che gravitava attorno al produttore americano Bosustow.

1 Il primo film animato a colori fu la Silly Simphonie Flowers and Trees (1932) di Disney

Immagine della multiplane camera che, coi suoi diversi ripiani su cui alloggiare i disegni, permise effetti di profondità ai film

2.2 Altre tecniche

Esistono altre tecniche utilizzate parallelamente a quelle citate, che furono impiegate soprattutto al di fuori degli Stati Uniti. La scuola cecoslovacca rinnovò il genere dei pupazzi; questi venivano posti davanti a uno scenario e venivano mossi e ripresi fotogramma per fotogramma. I movimenti risultano più rigidi rispetto a quelli realizzati coi disegni, ma i pupazzi hanno il vantaggio di essere integrati in un ambiente a tre dimensioni, in cui, tra l’altro, possono interagire con attori in carne e ossa. Inoltre si possono sfruttare al meglio le possibilità offerte da luci e illuminazione dal vero.

Rappresentanti di questa scuola furono Ptuško, Starevič1 e Zeman.

Altro tipo di animazione tridimensionale è quello che utilizza materiali plastici modellabili, come le plastiline colorate utilizzate dallo scultore René Bertrand, con l’aiuto di Jean Painlevé nel film Barbablu (Francia, 1938).

Immagine di Il nuovo Gulliver di Ptuško (1935)

1 Della cui tecnica scrivo più approfonditamente a pag. 50

Anche Willie O’Brien utilizzò pupazzi, dapprima di creta, poi passò a modellini di caucciù con scheletro di metallo più facilmente malleabili (The Dinosaur and the Missing Link, Stati Uniti,1916).

La tedesca Lotte Reiniger utilizzò, invece, delle ombre cinesi proiettate fotogramma per fotogramma. La tecnica consiste nel ritagliare su cartone o materiale simile, marionette e applicarle a uno schermo trasparente; le ombre vengono mosse come marionette con l’aiuto di fili. La Reiniger realizzò diversi film d’animazione con questa tecnica, il più notevole dei quali è Le avventure del principe Achmad (Germania, 1926). Questo genere di animazione consente l’uso del colore, gli schermi trasparenti possono essere colorati, come succede spesso in Cina e Indonesia.

Immagini di Le avventure del principe Achmad (1926) di Lotte Reiniger

Una tecnica simile a quella delle ombre cinesi è quella delle sagome articolate utilizzata da Cohl e dai francesi soprattutto negli anni ’20. Queste sagome erano opache e venivano mosse in uno scenario, ma il risultato non era all’altezza di quello ottenuto dalla Reiniger, era solo un surrogato economico dei film d’animazione. Tale tecnica fu però riscattata dal cecoslovacco Trnka col film Il circo (1951).

Un tipo particolare di film di animazione venne realizzato da Len Lye e Norman McLaren con il truca, in inglese optical printing. Questo apparecchio è formato da due macchine da presa poste una di fronte all’altra. Una è un proiettore mobile e serve a proiettare le immagini dei film che vengono rifotografate dall’altra, che è fissa e contiene una pellicola vergine. Il truca permette di realizzare i principali trucchi fotografici, come dissolvenze incrociate, mascherine, sovrimpressione, duplice esposizione, tendine, maschere mobili, ecc. di solito utilizzati come segni di punteggiatura.

I due registi hanno fatto passare dei comuni film attraverso il truca ottenendo effetti di distorsione, inversioni di movimento e immobilizzazione di immagini. Len Lye si è servito di questa tecnica per realizzare un cortometraggio antinazista (Hitler Parade, Stati Uniti, 1940), mentre Norman McLaren girò il cortometraggio Ama il prossimo tuo (Neighbours, Canada, 1954).

Len Lye creò anche film senza macchina da presa, disegnandoli direttamente sulla pellicola (Music Box, Stati Uniti, 1936); fu poi imitato da McLaren. Questa tecnica si rifaceva direttamente ai principi utilizzati da Reynaud nelle sue prime proiezioni.

Immagine di disegno animato realizzato da McLaren

Altra tecnica per realizzare film d’animazione è quella di collegare tra loro una serie di disegni non animati, incisi direttamente su pellicola, con sequenze incrociate, che grazie al ritmo e al mutamento, danno l’impressione del movimento. Il risultato non è buono come quello ottenuto con altre tecniche, ma c’è il vantaggio di non dover impressionare un fotogramma per volta. Questa procedura fu utilizzata in diversi paesi: America, Cecoslovacchia, Canada e Francia. Qui Berthold Bartosch usava sagome adagiate su piani paralleli, anticipando la multiplane camera poi utilizzata da Walt Disney.

Luce e ombra combinate con le incisioni sono state sfruttate anche da Alexandre Alexeieff, che grazie ad esse creava un effetto di movimento. Illustrò La notte sul Monte Calvo di Musorgskij configgendo migliaia di spilli in un cartone e inclinandoli o facendo scorrere su di essi la luce di un riflettore per ottenere giochi di luci e ombre.

Immagine di La notte sul Monte Calvo di Alexeieff (1933)

A metà degli anni ’60 si incominciò a realizzare film d’animazione utilizzando il calcolatore elettronico. Questa unione diede luogo agli effetti speciali nei film “dal vero”, a pubblicità e sigle di trasmissioni fantastiche, per arrivare a figure generate elettronicamente, ma del tutto identiche a quelle disegnate a mano. Le reazioni immediate furono due, i disegnatori si divisero tra chi sperava di trovare nuovi spunti e nuove tecniche e chi temeva l’inaridimento del disegno. La mia opinione è che paure e speranze si siano verificate entrambe.

I primi disegni erano realizzati su plotter, strumenti che tracciano l’immagine con l’aiuto del computer, il risultato ottenuto è un disegno lineare e monocolore.

I primi due passi fondamentali per l’animazione computerizzata sono stati compiuti al Lincoln Lab del Massachussetts Institute of Technology, il celebre MIT. Un tecnico, di cui non si sa il nome, collegò un tubo catodico, come quelli utilizzati negli apparecchi televisivi, al computer. Il che permise a un secondo tecnico, Ivan Sutherland, di realizzare il programma Sketchpad, il primo programma interattivo di grafica computerizzata, ritenuto l’origine della computer graphics.

Vi si interessarono sia cineasti d’animazione che scienziati e ricercatori che cercavano di rappresentare oggetti e scene che non potevano essere fotografati.

Negli anni ‘70 alcuni enti governativi americani si interessarono allo Sketchpad pensando di poterlo utilizzare per simulazioni di volo, spaziale e non, e per lo sviluppo delle comunicazioni.

Parallelamente alla NASA altri tecnici svilupparono i loro programmi. Ci fu De Fanti che creò un linguaggio per la programmazione di grafica computerizzata, il GRASS. Ci fu Alvy Ray Smith che elaborò la programmazione per il suo sistema PAINT, esempio basilare per chi ideò programmi dopo di lui. Ci fu Richard Shoup che utilizzò la tecnologia frame-buffer, per avviare il suo sistema Superpaint. Questa tecnologia permette di sovrapporre più immagini in uno stesso quadro. Tutto ciò portò alle prime produzioni di raster graphics (grafica che si basa sui monitor a linee sovrapposte, quelli dei normali televisori domestici) che potevano essere commercializzate2.

La grafica computerizzata ebbe un diverso sviluppo a seconda dei Paesi e della loro ricchezza. Negli Stati Uniti e in Canada le reti televisive spingevano e finanziavano i progetti per realizzare sigle televisive e pubblicità più accattivanti e più facili da ricordare.

In Giappone si ebbero diverse fasi, si passò dall’entusiasmo degli anni ’60 al disinteressamento degli anni ’70, a una nuova spinta negli anni ’80, quando Koichi Omura ideò il sistema Links 1, basato su processori paralleli.

In Europa non ci furono stanziamenti da parte delle televisioni e ci si concentrò sugli aspetti artistici della computer graphics, in particolare sul movimento.

2 Per una informazione più completa: D.Bordwell, K. Thompson, Storia del cinema e dei film, vol. II, Editrice Il Castoro, Milano 1998

I primi usi commerciali si ebbero in America, a Denver, dove la Computer Image Corporation si basò su calcolatori analogici per produrre su base giornaliera animazione computerizzata a due dimensioni. I loro calcolatori lavoravano acquisendo intere immagini da una telecamera opportunamente modificata, invece di immagazzinare i singoli pixel (punti luminosi sullo schermo televisivo) come informazioni separate.

Nonostante gli animatori si mostrassero diffidenti nei confronti di questa nuova tecnica ci fu chi la sperimentò: i Walt Disney Studios promossero alcuni lavori sperimentali, mentre la società Hanna & Barbera tentò di combinare il lavoro col computer e la procedura del disegno animato su rodovetro3.

Uno dei primi disegnatori che sperimentò la nuova metodologia fu John Halas, che nel 1981 creò il cortometraggio Dilemma. La Disney rispose con The Wild Things, in cui i personaggi animati su rodovetro venivano inseriti in una scenografia creata al computer.

Nonostante l’ottimo risultato che aveva unito il meglio delle due tecniche, nei primi anni ’80 il computer era ancora considerato un intralcio, soprattutto perché comportava la presenza di tecnici al fianco dei disegnatori. Inoltre fu difficile comprendere come il computer potesse gestire le immagini e quali opportunità offrisse.

Susan Van Baerle e la Lucasfilm non si fecero fermare da queste difficoltà e produssero rispettivamente Snoot and Muttly e The Adventures of Andre and Wally B, che inaugurarono una nuova epoca.

Dopo i primi anni ’80 i prezzi dei calcolatori diminuirono mentre le prestazioni aumentarono. Il loro utilizzo sempre più facile eliminò il bisogno dei tecnici, i disegnatori si sentirono più liberi e poterono lavorare negli studios, con programmi che prevedevano l’uso di una penna ottica che disegnava su una

tavoletta grafica e successivamente permettevano di intervenire sulle immagini attraverso il computer. Il disegno prodotto veniva poi registrato direttamente su un nastro magnetico o filmato col sistema classico “a fotogramma singolo”.

3 Per la definizione di rodovetro si veda pag. 38

Immagine animata al computer di Snoot and Muttly di Susan Van Baerle (1984)

Documenti correlati