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Nella terza sezione di La fête de la pensée. Hommage à François Fédier, Maurizio Borghi, uno dei principali allievi italiani, svolge alcune interessanti considerazioni sul problema della comunicazione filosofica, portando il tema del lavoro didattico su un piano più originario. Il contributo, intitolato La communication philosophique(France-Lanord e Midal, 2001, pp. 233-246), interroga la possibilità stessa della comunicazione filosofica. Il testo, scritto originariamente in lingua italiana, è stato tradotto in francese in collaborazione con Ch. Franzoni.

L’interrogazione viene impostata a partire dal riferimento a una puntualizzazione che si trova nella Lettera VII di Platone. Questo il brano originale (Lettera VII, 341 c-d):

< peri; wn ejgw; spoudavzw > rJhto;n ga;r oujdamw' ejstin wJ a[lla maqhvmata, ajll ejk pollh' sunousiva gignomevnh peri; to; pra'gma aujto; kai; tou' suzh'n ejxaivfnh, oion ajpo; puro; phdhvsanto ejxafqe;n fw', ejn th' yuch' genovmenon aujto; eJauto; h[dh trevfei.

Ecco una possibile traduzione italiana, elaborata facendo riferimento alla versione francese di Franzoni e Borghi:

< Ciò intorno a cui dispiego il mio lavoro > non è in nessun modo comunicabile come tutto il resto di ciò che si può imparare, ma può solo, a partire da molta sunousiva [essere-insieme] presso la cosa stessa – vale a dire passando la propria vita con essa –, scaturire a un tratto nell’anima, come del fuoco scintillante scaturisce dalla luce, per non nutrirsi più d’altro che di se stesso.

A che cosa sta pensando Platone? Quale fenomeno sta indicando? Per tentare una lettura attendibile di questo brano, Borghi esclude decisamente la lettura facile, “immediata”, secondo la quale il filosofo greco avrebbe indicato, una volta per tutte, l’essenziale incomunicabilità della filosofia, l’incomunicabilità di un presunto contenuto esoterico, inattingibile per la maggior parte degli esseri umani. Secondo questa interpretazione, sottolinea lo studioso, la filosofia, per essere condivisa al di fuori dell’originaria dimensione esoterica, necessiterebbe dunque di «une opération de vulgarisation» (un’opera di divulgazione). La dimensione della divulgazione è tuttavia estranea all’esperienza greca, poiché trova la sua origine e il suo “senso” unicamente nel bel mezzo del compimento della modernità. A questo proposito, Borghi fa riferimento ad alcuni luoghi della ricerca di Simone Weil, in particolare all’importante testo intitolato L’enracinement(Weil, 1950). La giovane pensatrice francese ha colto, infatti, nell’idea stessa di divulgazione un presupposto non autenticamente greco. Ecco il brano di riferimento (Weil, 1950, p. 47):

Ciò che oggi si chiama ‘istruire le masse’, è prendere questa cultura moderna, elaborata in un ambiente talmente chiuso, talmente corrotto, talmente indifferente alla verità, toglierne tutto ciò che essa può ancora contenere di oro puro, operazione che si chiama ‘divulgazione’, e “infornare” il resto tale quale nella memoria degli sventurati che desiderano apprendere, come si dà l’imbeccata a degli uccelli.

Il presupposto implicito dell’idea di divulgazione è dunque, sottolinea Borghi interpretando Weil, l’appiattimento del sapere, unica “via” percorribile in ordine alla comunicazione. Pensando invece rigorosamente in direzione del vero radicamento di una comunità umana ventura, Weil indica un altro metodo (Weil, 1950, p. 64):

Non prendere le verità, già assai povere, contenute nella cultura degli intellettuali, per degradarle, mutilarle, svuotarle dal loro sapore; ma semplicemente esprimerle, nella loro pienezza, mediante una lingua che, secondo la parola di Pascal, le renda sensibili al cuore, per persone la cui sensibilità si trova modellata dalla condizione operaia.11

La pensatrice francese non indica la via della divulgazione, bensì la piena espressione dei saperi mediante una lingua capace di toccare coloro che siano chiamati ad apprendere. Borghi nota che in tal senso Weil parla di «traduction» (traduzione) e di «art de transposer les vérités» (arte di trasporre le verità). Non si tratta di divulgare, bensì, sottolinea Borghi (France-Lanord e Midal, 2001, p. 236), di

[…] trovare il modo – trovarlo ogni volta di nuovo e non considerarlo mai come dato una volta per tutte – di portare alla parola «le verità».

La traducibilità appare quale tratto costitutivo di qualsiasi verità. La divulgazione, d’altra parte, non coglie il problema della traduzione, poiché si basa sul presupposto di presunte verità già pronte, “trasparenti”, disponibili. Ora, il pensiero filosofico non genera tale «simulacre» (simulacro) di verità, non abita “verità” intraducibili che necessitino di divulgazione. Borghi riassume dunque in questo modo l’accorgimento weiliano (France-Lanord e Midal, 2001, p. 238):

[…] il pensiero è per natura predisposto alla traduzione, esso è pertanto predisposto a essere trans-posto in un elemento diverso da quello nel quale ha visto la luce, a condizione che tale elemento sia capace di accoglierlo e 11 Chi sono, oggi, le «persone la cui sensibilità si trova modellata dalla condizione operaia»? È ancora attendibile la lettura che trova questa figura in una particolare classe sociale? La «condizione operaia» non è piuttosto un modo di essere diffuso, che caratterizza l’Occidente nel compimento della modernità? Che senso ha, proviamo a domandare, l’emergenza della figura del «proletario» nell’interpretazione marxiana della famosa figura fenomenologica della dialettica signore-servo?

di dare a esso il suo appoggio. […] Non c’è prima la “formulazione” del pensiero e poi la sua trasposizione. Questa trasposizione non sarebbe possibile se il pensiero non fosse già in se stesso trans-ponente.

Accorgersi dell’indole traduttiva, trans-ponente del pensiero, significa vedere che «la pensée

humaine» (il pensiero umano) è ab origine, conclude Borghi, «adressée à un autre être humain»

Questa pubblicazione, Lettura e scrittura come elementi della pedagogia filosofica. Sull’esempio di

François Fédier, scritta da Carlo Götz, è rilasciata sotto Creative Commons Attribuzione – Non

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