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Fin dal primo verso viene espressa la convinzione che all’interno dell’organismo ci sia una

Nel documento La penna e la carne (pagine 44-47)

strada in grado di connettere le varie componenti, in particolare la sede del pensiero al resto dell’organismo. Infatti Magrelli non fa riferimento ad un generale collegamento interno al corpo che gli conferisca unità, bensì a come il cervello controlli le varie membra. Una via, però, ancora da scoprire e per questo dalle molteplici forme, come suggerisce la varietà lessicale adottata da Magrelli per cui la «strada» diventa sentiero, vena, fiume, rete tramviaria e

sotterraneo attraversando il corpo, il paesaggio naturale e antropico.

Alfano 2005, 269.

L’idea paragonata ad un oggetto e abbandonata a conclusione del componimento, in particolare l’ultimo verso ricorda l’identico verso di Natale , in cui, però, era l’io lirico ad 28

essere dimenticato come una «cosa»; le situazioni così simili rimarcano la possibilità che un’unità tra io e pensiero deve esserci, così come la strada interna «deve esserci».

Bisognerebbe fare alla fine d’ogni libro una piantina. Non un indice, piuttosto una planimetria delle sue parti,

descrivendo le fondamenta, 5 i suoi diversi accessi,

le stanze, i servizi e i disimpegni. Bisognerebbe precisarne anche la capienza e i costi, spiegando

l’ammontare della manutenzione nel tempo. 10 Svelare così l’ossatura del cantiere,

le sue membra nascoste dal parametro della pagina. Soprattutto sapere: quale e quanto il materiale

15 (legname, pietre, tubature, cemento)?

OSR 67 «La relazione tra scrittore, foglio e scrittura è primieramente materica e spaziale; la pagina che riceve la scrittura in quanto disegno-paesaggio ha corpo biologico e territorialità geografica» . Abbiamo visto come Magrelli descriva accuratamente il corpo: la sua 29

struttura portante, le varie parti che lo compongono, le loro funzioni, la loro collocazione. Egli fornisce tutti gli elementi che permettono al lettore di esplorare questo mondo corporeo fortemente connesso all’universo del libro. Un collegamento tale che, in questa poesia, per analogia (richiamata dai vv. 10-11 in cui fa riferimento all’ossatura e alle membra della pagina), anche il corpo ha necessità di «tavole d’orientamento» come il libro che ne è 30

protagonista. Le piantine aiutano a seguire il percorso di conoscenza consapevole e ordinata; ordine a cui si fa cenno anche attraverso l’anafora del condizionale «bisognerebbe» ai vv. 1 - 7 che indica gli obiettivi di conoscenza (espressi ai vv. 10 - 13 dai verbi all’infinito «svelare» e «sapere») raggiungibili attraverso queste mappe.


Ungaretti 1992, 46. «Non ho voglia / di tuffarmi / in un gomitolo / di strade / Ho tanta /

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stanchezza / sulle spalle / Lasciatemi così / come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata / Qui /non si sente / altro / che il caldo buono / Sto / con le quattro / capriole / di fumo / del focolare / Napoli il 26 Dicembre 1916».

Alfano 2005, 269.

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Alfano 2005, 269.

4 Patrizia Cavalli. Dal cielo al corpo

Patrizia Cavalli nasce a Todi nel 1947, si laurea in filosofia a Roma dove decide di stabilirsi. Avvia il suo percorso poetico nel 1974 con Le mie poesie non cambieranno il mondo a cui seguono Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio (1992) e Sempre aperto teatro (1999). Tutte le raccolte sono accomunate dalla centralità dell’io e dei suoi sentimenti, riflessioni, vicende quotidiane che danno vita a quella che Stefano Giovanardi valuta «una delle più originali esperienza “diaristiche” della poesia di secondo Novecento» , mentre secondo Enrico Testa 1

siamo di fronte ad «un arguto e feriale canzoniere d’amore» . La produzione della poetessa 2

si arricchisce di Pigre divinità e pigra sorte (2006), Datura (2013), Vita meravigliosa (2020), del poemetto La guardiana (2005) e del romanzo Con passi giapponesi (2019).

Damiano Sinfonico evidenzia come «la distribuzione interna delle poesie non pare dominata da una ratio, ma è animata da una imprevedibile casualità» sottolineando come «nella prima metà del Cielo si concentrano testi rivolti a una seconda persona singolare, di difficile identificazione perchè spesso priva di attributi» . Tale bipartizione è risultata 3

evidente anche dall’analisi delle quarantadue poesie selezionate: da principio si dà maggior spazio alle componenti fisiche del tu mentre proseguendo la lettura la modalità colloquiale si dirada lasciando il palco all’io lirico e alle riflessioni che spesso partono dal suo corpo. La presenza, nella sua carnalità, dell’altro ben si collega a questa frase di Andrea Cortellessa «si restaura, pure, il tu della tradizione: non però il fantasmatico tu montaliano-ermetico, bensì un tu effettivo: appunto in quanto corporeo» . 4

Il cielo , privo di una divisione in sezioni, è composto da sessantasette liriche, in gran parte 5 monostrofiche con una forte escursione nel numero di versi (da un minimo di due ad un massimo di quaranta). Il corpo, il tema della mia esplorazione, appartiene nel maggior numero di casi all’io lirico o al tu, in altri componimenti a persone genericamente intese, in alcuni al padre, alla madre, alla sorella, in un paio di occorrenze alla gatta della poetessa e in

Giovanardi 1996, pp. 842-43. 1 Testa 2005, 297. 2 Sinfonico 2016. 3 Cortellessa 2005. 4 Cavalli 1981. 5

altrettante alla natura antropomorfizzata. Sono quarantadue le poesie in cui esso è presente, indicato attraverso le parti che lo compongono, i suoi processi fisiologici e le sue secrezioni; su questa selezione verterà la mia analisi.

4.1 L’io lirico e il suo corpo

Tra le poesie, in cui compaiono elementi corporei, Addosso al viso cadono le notti (C 34) è la prima in cui l’io lirico è solo ed unico protagonista, libero di volgere lo sguardo al proprio corpo, segnato dallo scorrere del tempo. Si trova all’incirca a metà della raccolta e costituisce un respiro dopo la prima parte del libro in cui prevalgono componimenti rivolti alla seconda persona singolare e al suo corpo; anche i riferimenti al fisico del protagonista 6

poetico, quando presenti, esprimono gli effetti del tu su di esso. Addosso al viso mi cadono le notti

e anche i giorni mi cadono sul viso. Io li vedo come si accavallano formando geografie disordinate: 5 il loro peso non è sempre uguale,

a volte cadono dall’alto e fanno buche, altre volte si appoggiano soltanto

lasciando un ricordo un po’ in penombra. Geometra perito io li misuro

10 li conto e li divido

in anni e stagioni, in mesi e settimane. Ma veramente aspetto

in segretezza di distrarmi

nella confusione perdere i calcoli, 15 uscire di prigione

ricevere la grazia di una nuova faccia.

IC 34

Nel documento La penna e la carne (pagine 44-47)