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È nuovamente l’organismo del soggetto poetico ad andar incontro al pensiero per potersi

Nel documento La penna e la carne (pagine 40-44)

accorpare ad esso diventando prima «idea» e quindi «parola». È la rappresentazione creata dall’immaginazione onirica, la dimensione in cui le idee prendono corpo «un uomo corre e una donna alza la mano / per salutare il passante d’un sogno».

Il letto, spesso associato al sepolcro (vedi cap. 3), diviene «teatro» richiamando così l’arte della recitazione in cui il corpo è protagonista, anche se qui viene privato della sua dimensione concreta dall’aggettivo «metafisico». Non riuscendo a fare esperienza della totale unione tra mente e corpo nella concreta realtà quotidiana, Magrelli la ricerca in queste dimensioni astratte (sonno e scrittura), i campi del pensiero che, inequivocabilmente, il poeta predilige.

Durante il riposo, in particolare nel sogno, si sperimenta un altro confine: tra conscio ed inconscio, la parte immersa nelle profondità dell’essere e perciò sconosciuta. Quest’aspetto si riflette sulla realtà e gli oggetti di Nature e venature, in cui, per ammissione del poeta stesso, prevale il «senso verticale e oscuro» che rappresenta il disordine sottostante alla compostezza superficiale della realtà. Lo spirito indagatore si volge quindi verso un aspetto diverso dell’esistenza che viene ancora esplorato attraverso la vista a cui si aggiunge l’udito.

Se per chiamarti devo fare un numero tu ti trasformi in numero,

disponi i lineamenti

nella combinazione a cui rispondi. 5 Il tre che si ripete,

il nove al terzo posto,

indicano qualcosa del tuo volto. Quando ti cerco

devo disegnare la tua figura, 10 devo fare nascere le sette cifre

analoghe al tuo nome

finché non si dischiuda la cassa- forte della viva voce.

Di colpo, mentre sto telefonando, 15 l'interferenza altera il dialogo,

lo moltiplica, apre una prospettiva dentro lo spazio buio

dell'udito.

Mi vedo verticale, sonnambolico, 20 in bilico su una fuga di voci

sorprese nel contatto.

Sento la lingua della bestia ctònia, l'orrida treccia di parole, frasi, il mostro 25 policefalo e difforme che chiama me

dalle profondità.

NV 140 Nonostante nella prima strofa l’io lirico si rivolga ad un tu, come ha notato Afribo «c’è il sospetto che nelle «sette cifre / analoghe» al «nome» si nasconda quello del poeta» che «compare nero su bianco («il mio Valerio», p. 175)» . Ritengo che i «lineamenti» ed il 18

«volto» della prima strofa possano attribuirsi al poeta, ma ancor più ad un’altra parte di sé con cui l’io lirico intende mettersi in contatto; potrebbe essere, come sostiene Gatti, che «il telefono, canale di collegamento con la voce amata, nel momento in cui è sopraffatto da un’interferenza viene visto sotto una luce nuova» . E sarebbe proprio essa a portare il 19

protagonista poetico in contatto con un «io sconosciuto che chiama dalle regioni buie e profonde dell’inconscio» . Non così approfondita come in OSR, permane la ricerca di un 20

contatto e un dialogo con sé stessi, favorito qui dall’interferenza (ricordiamo interferenze simili anche in Montale e Fiori) . L’inconscio, in questo caso, e il pensiero, nel precedente 21

libro di poesie, si manifestano attraverso il linguaggio con una differenza nella forma: quella che prima era prevalentemente lingua scritta ora, con l’introduzione del senso dell’udito («sento» v. 23, «dell’udito» che occupa interamente il v. 18), diviene orale. L’ascolto di sé, che in NV 156 veniva trattato in maniera più ilare, qui si rivolge alla parte più profonda, 22

oscura e sconosciuta di sé stessi.

In OSR l’io lirico desiderava trasformarsi da corpo in scrittura, mentre in questa poesia vediamo come il tu venga mutato in numero o, in NV 137, la persona cara in mesi. In entrambi i casi il riferimento è al volto (da notare la sfumatura lessicale elevata che lo differenzia dal più comune viso), parte deputata a definire l’identità che valorizza la presenza del corpo.

È la seconda lirica di Nature e venature ad essere composta da due strofe, in questo caso parisillabe. La lirica esprime bene l’intento di Magrelli di celare il disordine sotto

Afribo 2015, 50. 18 Gatti 2016, 156. 19 Afribo 2015, 50. 20 Afribo 2015, 50. 21

Magrelli 1996, 156: «sentirsi male sembra voler dire / che il dolore impedisce / l'ascolto di se

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un’apparente compostezza . Infatti, come descritto da Afribo, nella prima strofa 23

osserviamo che «la sequenza numerica è poi ordinatissima (due volte lo stesso 3 seguito dal multiplo 9), e il verbo «disporre» al v. 3 è lo stesso di un testo emblematico del primo libro» cioè OSR 43 . Anche la sintassi e la disposizione esprimono ordine attraverso 24 25

l’epifora dei primi versi e l’anafora dei vv. 9-10. La situazione meno rigorosa e più caotica, della seconda strofa, viene annunciata da un repentino cambio di scena «di colpo».

Qual è l’incarnato dell’onda? Sotto il pelo dell’acqua, pellicola, epitelio, regna la trasparenza. 5 Non si intravede nulla,

c’è solo la materia che trascorre con un colore mobile

perpetuo.

NV 164 Il confine tra l’interno e l’esterno del corpo umano è sancito dalla superficie epiteliale qui attribuita all’onda; a differenza della pelle, il cui colore è facilmente riconoscibile, la tinta della superficie liquida è indefinibile. La sua nitidezza concede l’illusione di poterne conoscere le profondità salvo poi disattendere le aspettative, a differenza dell’epidermide umana che nega fin da subito questa possibilità. In entrambi i casi quindi il confine non consente il contatto, non si configura come punto d’incontro, bensì di separazione che non ammette l’ingresso neanche allo sguardo (fondamentale elemento di indagine e di conoscenza) come sottolinea il v. 5 («non si intravede nulla») in antitesi con la «trasparenza» del v. 4. Nonostante ciò si intuisce cosa vi sia sotto: un massa informe ed in «perpetuo» (parola verso) movimento, come il mutevole pensiero, che porta inevitabilmente all’universo interno dell’uomo, all’inconscio del quale Magrelli, nella poesia precedente, prova a mettersi in ascolto.

Anche Cavalli dedica una lirica alla descrizione dell’onda, antropomorfizzandola; la poetessa si sofferma sul suo movimento, considerando la relazione con le onde che l’hanno preceduta e la seguiranno. Ella non indaga la natura del corpo acquatico, ma si sofferma

Magrelli 1991, 144, «così, nelle mie intenzioni, questi testi, dietro ad un’apparenza di

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compostezza, avrebbero dovuto far vedere la presenza del disordine sottostante». Afribo 2015, 49.

24

Magrelli 1996, 43, «questo foglio ha i confini geometrici / di uno stato africano, in cui dispongo /

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sull’eterna ripetitività del moto ondoso e sul rapporto tra i flutti; è inevitabile il rimando alla limitatezza della vita umana e all’individualità che occasionalmente impedisce il contatto con chi ci ha preceduto o ci succederà.

L’ossame dei monti

sembra fatto da costole, mandibole, vertebre, dentro uno spazio tortile, ricurvo come in una colonna 5 o un capitello gremito di figure,

nodi, corpi. Ma l’interno,

l’interno è solo terra colma di sé, massiccia, mole indistinta, massa disarticolata, pura giacenza, 10 pasta dolce, buia, screziata

da pietre, da vene

lungo gli strati lenti, le famiglie di rocce in movimento, miele del midollo, mollica,

15 midolla dei pani.

NV 187 Lo sguardo del poeta passa dalla superficie nitida alla «mole indistinta» dell’interiorità, coerentemente con l’intento di questa seconda raccolta, anche osservando le montagne. Il loro aspetto è scheletrico, duro e spigoloso come un corpo ridotto all’osso, ma avvolgente e solido come una colonna o un capitello arricchito da venature. Al v. 6, tramite l’avversativa introdotta dal ma (quasi consueta in OSR), vi è un cambio di prospettiva per cui, attraverso l’iterazione del lemma «interno» a fine e inizio dei vv. 6-7, il poeta passa ad elencare, seguendo un flusso descrittivo, le caratteristiche interiori della montagna.

L’allitterazione della nasale ai vv 7-8 ritorna nei versi conclusivi, dapprima indicando la materia informe e successivamente focalizza l’attenzione sulla dolcezza (come dolce era il raggiungimento dell’unità tra io e pensiero in OSR 13) e la morbidezza delle profondità inconsce. Prendendo in considerazione apertura e chiusura di quest’unica strofa, l’idea di interno-esterno è data pure da «midollo» e «ossame», l’uno contenuto nell’altro. Prosegue questa ricerca interna al corpo, come con le radiografie , quest’arrivare all’osso e una volta 26

raggiunto, andare oltre anche ad esso; all’interno si trova il sé, il buio dell’inconscio (la poesia è inserita nella sezione Nel buio).

Magrelli 2008, 21. Riferendosi alla genesi di NV 167 sostiene che sia «legata a una notizia di

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cronaca: l’esame radiografico di un violino che si scopre tarlato, scavato da un insetto». La successiva NV 168 descrive la radiografia dell’anca del poeta (che sarà successivamente la copertina di Nel condominio di carne).

«Midolla» nel suo significato figurato e antico indicava l’essenza, il concetto profondo, il significato nascosto.

3.4 Una piantina per ritrovare l’unità

Nonostante, o forse proprio per il carattere indistinto della realtà più profonda, della parte interiore di sé, e per la frammentazione percepita dall’io lirico, egli necessita di una via, una cartina che gli permetta di orientarsi, conoscersi e conoscere. Per questo ha bisogno di tracciare una rete di strade che colleghi tra loro le parti corporee descritte singolarmente e riporti ad un’unità, una chiarezza, un ordine. «Mappe leggibili infatti sono i corpi, nella sua poesia, e mappe i libri» . 27

Ma una strada interna deve esserci, una specie di scorciatoia

tra la testa e le gambe

che attraversi braccia, stomaco 5 e quelle che Omero chiama

nel diciottesimo libro le vergogne. Un sentiero appartato

immerso dentro al corpo, una vena passata inosservata 10 o un fiume navigabile,

una rete tramviaria o un sotterraneo. Un’idea appoggiata come un ombrello e dimenticata.

OSR 74

Nel documento La penna e la carne (pagine 40-44)