• Non ci sono risultati.

3. ANALISI DI PALABRA DE PERRO

3.5. Il finale

Vorrei concentrarmi, adesso, sullo scioglimento finale del testo, che è da ritenersi come un momento epifanico. Una volta che la situazione si fa manifesta, è significativa la diversa reazione che si scatena nei due personaggi. Negli interrogativi di Berganza, quando questo sembra finalmente avere compreso come stanno realmente le cose, si celerebbe la chiave di tutto il processo di abbrutimento al quale è stato costretto. Il personaggio si chiede se la domanda riguardante l’origine del loro parlare, che ha scatenato tutto il suo racconto, non sia da considerarsi erronea e non debba essere sostituita, piuttosto, da un altro interrogativo:

Berganza.- ¿Hemos estado buscando respuesta a una pregunta equivocada? La

pregunta no era cuándo empecé a hablar, ¿verdad? La pregunta era cuándo empecé a sentirme como un perro. ¿Es eso, Cipión?, fue la gente la que me convirtió en perro? ¿Me hicieron perro de tanto hacerme perrerías? Dime algo, Cipión. Desde hoy, ¿cómo habré de tratar a los perros que me encuentre? Y a los hombres, ¿cómo?296

Sorprendente è la reazione di Cipión, che in risposta agli interrogativi dell’amico mette in dubbio la veridicità dei ricordi da lui narrati.

295

J. Mayorga, Palabra de perro, cit., p. 54.

Cipión.- Berganza, reparemos en lo que has contado. ¿Podemos dar crédito a

esos recuerdos tuyos? Amigo, grandísimo disparate sería creer que alguna vez fuiste hombre297.

Proprio Cipión, il quale qualche istante prima aveva assicurato a Berganza che non era stata la vecchia Cañizares da sola a fare di lui un cane, sostenendo piuttosto che «Entre todos hicieron de ti un animal»298, e che lo aveva aiutato a risollevarsi quando si era messo a quattro zampe («Berganza se echa sobre el mendrugo como

un perro. Cipión le obliga a erguirse. Berganza y Cipión se miran. Se mueven como hombres.»299), adesso afferma che quelli dell’amico non sono ricordi ma piuttosto

sogni oppure racconti, favole, come quella dell’uomo-lupo, non corrispondenti pertanto alla realtà; il suo parlare canino deve quindi avere un’altra origine e nascondere un altro mistero. Cipión preferisce negare la verità dei fatti, nonostante abbia dimostrato in più di una occasione di avere compreso la situazione, forse ancora prima del suo interlocutore. Le parole di Berganza dovrebbero essere considerate come metaforiche, non corrispondenti al vero, pertanto Cipión consiglia all’amico di rinunciare a parlare e accontentarsi di essere un buon cane:

Cipión.- Por ejemplo, cuando dices: “Fue la gente la que me convirtió en

perro”. Lo que quieres decir es que a veces se te olvidaba tu ser animal, pero la gente se encargaba de recordártelo300.

Anche poco dopo, all’arrivo delle guardie che preparano una iniezione per i due protagonisti, questi reagiscono in modo diverso l’uno dall’altro: Cipión si finge addormentato, manifestando in questo modo la sua sottomissione a chi detiene il potere, Berganza invece reagisce sin da subito mettendosi sulla difensiva, e incita l’amico a fare altrettanto. Se fino a questo momento era stato Cipión a stimolare Berganza sul da farsi, esortandolo a proseguire con il suo racconto ogni volta che

297 Ibid., p. 55. 298 Ibid., p. 47. 299 Ibid., p. 54. 300 Ibid., p. 55.

mostrava di arrendersi, nelle battute finali della pièce per la prima volta è Berganza a dire a Cipión come comportarsi.

Berganza.- No te dejes, Cipión. Defiéndete. Cipión.- ¿Cómo perro o como hombre, Berganza?

Berganza.- Como hombre, Cipión. Como hombre rabioso. Pelea y sígueme. Cipión.- ¿Adónde, amigo?

Berganza.- A un lugar mejor. A un lugar donde ser hombres. (Cipión y Berganza se disponen a luchar.)301

Berganza suppone che possano esserci altri individui nella loro condizione, «perros que hablan»302, e che potrebbero unirsi a questi per ribellarsi. Per quanto l’opera non indichi di che luogo si tratti, è comunque da considerarsi una risoluzione ottimista: ricercare un luogo altro, migliore, significa allontanarsi da quella «valla eléctrica» che li circonda completamente sin dall’inizio, impedendo loro una via di fuga. La didascalia conclusiva mostra come Cipión, persuaso dalle parole del compagno, nonostante poco prima avesse dato segni di cedimento, adesso decida di non rassegnarsi a essere un cane e di cercare, insieme all’amico, un luogo in cui essere uomo: la scoperta della vera identità ha indotto i personaggi a compiere un atto di affermazione della propria umanità. Il gesto finale è da intendersi come segno di emancipazione e di ribellione. Ciò nonostante, in una sorta di paradosso, proprio per riacquistare quella dignità che è stata loro calpestata e per difendere la loro condizione di uomini davanti a chi ha deciso di mantenerli nello stadio animale, Berganza e Cipión fanno uso della brutalità, della forza più elementare: il primo invita il secondo a difendersi come «hombre rabioso», dove l’aggettivo richiama la malattia tipica degli animali. Ritengo, pertanto, che in questo epilogo sia racchiusa anche una visione parzialmente pessimista della realtà: per combattere contro chi detiene il potere, le parole non sono sufficienti e piuttosto è necessario ricorrere alla forza fisica.

301

Ibid., pp. 56-57.

Abbiamo visto che i due uomini-animali di Palabra de perro credono sin dall’inizio di essere cani e niente di più; tuttavia, dal loro incontro la parola prende vita, e proprio conversando alla fine scopriranno la loro origine. La sconfitta e la dominazione cominciano col privare della parola e della memoria: se, ad esempio, accusiamo i paesi sottosviluppati di non essere stati capaci di generare società critiche e autoregolate come la nostra, stiamo loro strappando la memoria, e li stiamo spingendo a rassegnarsi e ad accettare la propria miseria come la giusta ricompensa per i loro errori. Per questo motivo, a mio avviso, l’intero testo, e non soltanto il finale, è interpretabile come un atto di emancipazione: attraverso le parole, Cipión e Berganza ridanno vita alla loro memoria, e così, insieme alle domande e ai dubbi riguardanti la propria condizione, aumenta in loro anche la consapevolezza della propria identità, in una sorta di climax ascendente che si conclude con un atteggiamento di protesta forse efficace. Lo sforzo di riattivazione della memoria, personale e collettiva, diviene fondamentale non come consolazione o adattamento, ma per trovare occasioni per liberarsi dall’assoggettamento.