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Gli accordi di ristrutturazione del debito rappresentarono una delle novità apportate dalla riforma della legge fallimentare attuata a metà del primo decennio del nuovo secolo. Essi furono introdotti dal d. l. n. 35 del 14 marzo 2005, successivamente convertito in legge con la Legge del 14 maggio 2005, n. 80, e inseriti nell’impianto della legge fallimentare con l’articolo 182-bis, presentandosi nel panorama normativo italiano in sordina per svilupparsi solo successivamente come istituto autonomo. La grande novità, conseguente alla loro introduzione, si sostanzia per l’obiettivo volto a conservare l’impresa in stato di crisi attraverso il risanamento, ricercando una soluzione negoziale con i creditori33 in luogo della liquidazione della stessa. Sarà proprio questo riconoscimento di una “tendenza espansiva dell’autonomia privata” che ne costituirà un istituto diverso dalle procedure concorsuali, come verrà spiegato meglio in seguito. Ricorrendo allo strumento degli accordi l’imprenditore è in grado di incidere sulla configurazione dei debiti sia finanziari che commerciali dell’impresa in stato di crisi, gli viene riconosciuta così la possibilità di conseguire il risanamento della stessa andando a modificare autonomamente la struttura debitoria o, meglio, a rimodulare i rapporti di debito-credito dell’impresa avendo la garanzia della tutela della legge in sede di attuazione.

La forza innovativa di questo istituto, come vedremo, risiede proprio nella carica autonomistica che esso porta in sé, infatti l’imprenditore - o gli organi amministrativi in caso di società - non solo può perseguire e conseguire un accordo con i creditori senza necessariamente richiedere e sottostare all’intervento dell’autorità giudiziaria nella fase preliminare alla formazione vera e propria dell’accordo, ma, e questo forse è l’incentivo più significativo riconosciuto dal legislatore, egli mantiene il controllo e la direzione dell’impresa: non è prevista infatti alcun ingerenza di un terzo, intesa a spossessare

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V.d. I. Libero Nocera che in Architettura strutturale degli accordi di ristrutturazione: un’analisi di

diritto civile, estratto da Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Anno LXV, Fasc. 4, Giuffrè,

2011, il quale nell’incipit del lavoro ne parla come di un “istituto fortemente caratterizzato da un profilo

privatistico e al contempo munito di garanzie e tutele che ne assicurano una miglior efficacia, ribaltando la prospettiva officiosa della legge del ’42 in base all’assunto che le parti private della crisi siano i migliori tutori dei loro interessi”, pag. 1129.

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l’imprenditore esautorandolo dal controllo e dalla gestione dell’impresa ed impendendogli così la libera disposizione dei beni aziendali.

Vengono poi garantiti ulteriori incentivi che nel presente lavoro verranno indicati (volendo formare macro-categorie) in due fattori principali e che rispondono positivamente a quelle criticità presentate in precedenza per gli accordi stragiudiziali che ne inficiavano la reale efficacia, ciò dimostra come gli accordi di ristrutturazione rappresentino una positiva prosecuzione nella strada della negozialità della crisi:

- Nel primo caso si riconosce una protezione degli accordi in sé, declinabile anch’esso in ulteriori due casistiche predefinite: una protezione che è possibile intendere come di tipo indiretto nei confronti della cosiddetta “nuova finanza”; una protezione di tipo diretto invece che, in gergo giuridico, è il cosiddetto “ombrello protettivo”. Si vedrà che tale ombrello garantisce sia l’esclusione dal rischio di revocatoria in caso di successiva dichiarazione di fallimento degli atti di disposizione del patrimonio dell’impresa che l’imprenditore-debitore ha compiuto per l’esecuzione degli accordi; sia un periodo di moratoria e di blocco delle azioni esecutive dei creditori34 prima (nella fase delle trattative), durante la formazione dell’accordo, e dopo la conclusione e omologazione dello stesso, al fine di permettere all’imprenditore in stato di crisi di recuperare, attraverso l’autofinanziamento, le risorse necessarie per il soddisfacimento successivo dei creditori esclusi dall’accordo, e di prevenire, se non evitare, il possibile incorrere successivamente nello stato d’insolvenza.

- Il secondo fattore incentivante invece è riferito alla protezione che viene garantita all’imprenditore-debitore che ricorre all’istituto degli accordi attraverso l’esenzione dalle ipotesi di responsabilità penale riconosciute nel reato di bancarotta semplice in caso di successivo fallimento.

Tuttavia prima di procedere con l’analisi del funzionamento degli accordi è importante definire l’ambito di applicabilità degli stessi, che inizialmente si presentava in concorrenza con un altro istituto da tempo presente nell’ambito delle soluzioni negoziate della crisi d’impresa: il Concordato Preventivo.

34 Si vedrà in seguito che questa protezione (che in letteratura viene indicata anche con il termine recepito dalla normativa statunitense di automatic stay) risulta essere quella più significativa e motivo di reale efficacia operativa dell’istituto.

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Con questa riforma il legislatore si proponeva di dotare la realtà economica di uno strumento che desse la possibilità agli operatori del sistema di affrontare tempestivamente le situazioni di crisi dell’impresa affinché non sfociassero in definitivi fallimenti. Tuttavia l’istituto proposto in quell’occasione (anche se all’epoca erano forti i dubbi circa il riconoscere lo status di istituto agli accordi) era ben lungi dall’avere il carattere dell’autonomia e completezza che lo stesso ha – faticosamente - acquisito con le riforme apportate nei tempi successivi.

Infatti il legislatore del 2005 aveva inserito gli accordi nell’impianto procedurale del concordato preventivo, affidando ad essi l’esclusivo ruolo di sostenere il risanamento dell’esposizione debitoria di un’impresa in crisi e favorendo l’accesso a tale procedura concorsuale, l’obiettivo era quello di rendere più veloce e più semplice il ricorso da parte del debitore proprio perché prevedeva per lo stesso la possibilità di intraprendere autonomamente e liberamente le consultazioni con i creditori35.

Da questo sorse spontaneamente una difficoltà iniziale in tema di applicabilità degli accordi che è possibile racchiudere in due motivazioni principali: la prima legata alla “invasione della autonomia privata nell’area di insolvenza”36

, precedentemente di competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria, attraverso l’esercizio delle procedure concorsuali come strumenti di gestione della crisi d’impresa; la seconda dovuta al confronto diretto con altri due istituti già presenti nel nostro ordinamento, quali il concordato preventivo e il piano attestato di risanamento ex art 67, comma terzo, lett d), legge fallimentare.

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V.d. Relazione Illustrata al d.l. 35/2005: “il concordato diviene lo strumento attraverso il quale la crisi

dell’impresa può essere risolta anche attraverso stragiudiziali che abbiano ad oggetto la ristrutturazione dell’impresa”.

36 V.d. I. Libero Nocera in “Gli accordi di ristrutturazione come contratto privatistico: il diritto della

crisi d’impresa oltre le procedure concorsuali”, riv. Il diritto fallimentare, maggio-agosto 2012; nel quale

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1.4 L’assenza del carattere di procedura concorsuale, il ruolo riconosciuto