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La mancata presenza del ceto creditorio e il conteggio dei crediti.

PARTE SECONDA:

1. Il “funzionamento” degli accordi: la Fase Stragiudiziale 1 Presupposto soggettivo.

1.3 La mancata presenza del ceto creditorio e il conteggio dei crediti.

Attraverso una forzatura è possibile individuare due ulteriori presupposti che gli aderenti all’accordo e l’accordo stesso devono rispettare per ottenere l’omologazione, o meglio dei requisiti che l’accordo deve avere perché possa essere considerato valido ai sensi dell’art. 182-bis.

Uno relativo alla percentuale del computo dei crediti rappresentati dai creditori aderenti all’accordo, un altro invece attinente alla verifica di fattibilità del piano attraverso la relazione del professionista.

In questo contesto andremo a sviluppare il primo dei due ulteriori requisiti, quello relativo alla “soglia dimensionale” su cui verterà la verifica del Tribunale fallimentare, ovvero che l'accordo si sia formato con l’adesione dei creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti o, ed è lo stesso, dell'esposizione debitoria dell'imprenditore.

Riprendendo quanto affermato nel primo capitolo l'autonomia preponderante dell'istituto in esame si manifesta anche attraverso il diverso trattamento dei creditori rispetto alle altre procedure concorsuali. Si è ampiamente discusso del fatto che negli accordi non è richiesto il rispetto del principio della par condicio creditorum per la presenza di interessi creditori contrastanti e il cui soddisfacimento non è necessariamente passante attraverso la soddisfazione dell'insieme degli interessi della massa, da questo allora si è palesata un'evidente difficoltà nel riconoscere la formazione di un ceto creditorio, come nella procedura fallimentare, entro i cui termini gravitino tutti gli interessi di rivalsa sul patrimonio aziendale. Si ritiene invece più adeguato parlare di massa creditoria in quanto la genericità esplicita di questo aggettivo si presenta maggiormente adatta a descrivere l'insieme dei soggetti avanzanti pretese di soddisfacimento sull'impresa in crisi, e ad esplicitare il diverso trattamento previsto dall'istituto cui gli stessi sono coinvolti.

Inoltre si evidenzia un ulteriore distacco degli accordi dalle altre procedure concorsuali, la mancata esigenza di rispettare il principio della par condicio creditorum ha portato il legislatore a non richiedere alcuna maggioranza, sia essa qualificata o no, ma di rispettare una mera percentuale alla quale subordinare l’approvazione dell’accordo.

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Significativo è il fatto che non si parli di deroga al principio ma di vera e propria mancanza della necessità di sottostarvi in quanto risulta “logicamente incompatibile con

la struttura convenzionale del negozio”104. Il principio desumibile dall’art. 2741 del codice civile fa riferimento a pretese creditorie che derivano da obbligazioni già contratte dal debitore, ed è sulla totalità di queste che va garantita la parità di trattamento. Con l’accordo di ristrutturazione invece si ha la formazione di un nuovo negozio, quindi di nuove obbligazioni e di nuove posizioni e rapporti di debito-credito. L’obbligo di rispettare la par condicio creditorum tra gli aderenti e firmatari di un contratto è decisamente incompatibile con l’autonomia negoziale e con l’ulteriore principio della sovranità della volontà che, si è visto, è finalizzato a regolare i rapporti contrattuali. Essendo allora l’istituto degli accordi “basato sul consenso” tra le parti non può che ritenersi, a rigor di logica, inapplicabile questo principio105.

Ulteriore segno distintivo è che tale percentuale è da calcolare sulla totalità dei crediti vantati, non considera più il numero dei creditori106, in tal modo (se ne era già parlato) avremo accordi ugualmente validi e quindi omologabili, anche se presentano tra gli aderenti un numero decisamente ridotto di controparti se non addirittura un unico creditore, tutto dipende dalla composizione dell’esposizione debitoria dell’impresa. Non è allora più possibile parlare di maggioranze o di minoranze intese nel senso classico delle procedure concorsuali.

Si aggiunge poi che perché l'accordo possa essere omologato esso deve presentare anche il requisito di idoneità a soddisfare i creditori estranei, tale requisito andrà prima verificato dal professionista attestatore, e in secondo luogo dal Tribunale competente.

104 Citando le parole di F. Di Marzo, Op. cit., pag. 137, il quale poi continua: ”un accordo non è mai

soggetto, né assoggettabile, alla parità di trattamento per come essa è intesa nel diritto concorsuale”.

105 Sempre F. Di Marzo, Op. cit., ribadisce che l’obbligo per il debitore di trattare i creditori in egual maniera è di tipo solamente eventuale in quanto si avrebbe solo se “oggetto dell’accordo” tra gli interessati. Continua poi, in sostegno della tesi che non riconosce carattere di concorsualità agli accordi, ribadendo che “la regola (della parità di trattamento) manca necessariamente: perché la sua presenza

sarebbe incompatibile con la natura stessa dell’accordo essendo teoricamente concepibile e praticamente operativa solamente per fallimento e concordati”.

106 E. Stanuovo-Polacco, Op. cit., pag. 32, ricorda che "la lettera della norma è inequivoca nel senso che

il raggiungimento della percentuale va calcolato non <<per teste>> ma <<per quote>> in quanto il

debitore deve raggiungere un accordo con "i creditori <<rappresentanti almeno il sessanta per cento dei

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Stante allora il requisito da soddisfare della “percentuale qualificata” si profilano ora delle problematiche nell’ambito pratico in quanto risulta necessario stabilire esattamente la totalità dei debiti contratti ed i relativi creditori.

La questione del computo dei crediti non è così agevole come apparentemente presentato dalla norma, infatti rimangono incertezze relative ai crediti contestati, ovvero quei crediti vantati da alcuni soggetti ma non riconosciuti, o non accettati che in parte, dal debitore. Ulteriormente la norma non da alcuna indicazione circa la possibilità di considerare o meno i crediti non scaduti al pari di quelli scaduti. A riguardo non è in alcun modo applicabile il dettato dell’art. 55 l. fall. in base al quale si potrebbe aggirare il problema considerando fittiziamente scaduti tali crediti al momento dell’avvio delle consultazioni. Dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 24330, del 18 novembre 2011, si ritiene ora applicabile al riguardo il dettato dell’art. 1186 del codice civile secondo il quale “il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore

è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie che aveva promesse”.

Medesimi dubbi si manifestano in relazione ai crediti privilegiati, postergati (derivanti da disposizioni di legge o per volontà dei creditori che avevano accettato spontaneamente tale postergazione prima dell’avvio delle consultazioni per gli accordi) e subordinati.

Per tutte le casistiche sopra presentate è possibile giungere ad una soluzione comune che discende proprio dal mancato assoggettamento dell’istituto al principio della par

condicio creditorum, da cui i crediti non scaduti possono essere considerati nel

conteggio al pari di quelli scaduti. Allo stesso modo possono essere considerati senza errore anche i crediti privilegiati (per i quali non vi è alcun obbligo per il debitore di soddisfarli integralmente né di rispettare le cause di prelazione nel soddisfacimento dei crediti)107, e tanto i crediti postergati108 quanto quelli subordinati.

107

V.d. la pronuncia del Tribunale di Brescia che con decreto del 22 febbraio 2009, tratto da

www.ilcaso.it, dove il Tribunale afferma che “Ai fini del computo dei creditori aderenti al piano di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis l. fall., la percentuale del sessanta per cento dei crediti va calcolata, secondo la lettera della norma, sul totale dei crediti, comprendendo quindi non solo i creditori dissenzienti, ma anche i privilegiati e quelli eventualmente rimasti estranei o non avvisati dal debitore”.

108 In senso contrario invece la pronuncia della Corte di Appello di Venezia del 23 febbraio 2012, in Fall., 2012, 673, che invece (pronunciandosi in sede concordataria) afferma che “i creditori postergati per

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Da questo l’unica soluzione che apparirebbe più corretta e che permetterebbe di facilitare e velocizzare la fase delle trattative e di formazione dell’accordo, sembrerebbe quella di considerare tutte le tipologie ai fini della conteggio per il raggiungimento della percentuale, e lasciare al Tribunale (che in tal senso andrebbe solo ad esercitare le sue funzioni) in sede di omologazione la verifica di ogni contestazione sui crediti. Inoltre è evidente che anche per il debitore è conveniente non escludere alcun credito dal conteggio della percentuale richiesta, così facendo si ampliano le possibilità di avere successo nella formazione dell’accordo di ristrutturazione109.

Al creditore che eventualmente fossero state respinte le pretese sul passivo dell’impresa, contestandone così il credito, rimarrebbe comunque la possibilità, garantita dall’art. 182-bis al comma quarto, di “proporre opposizione entro trenta giorni dalla

pubblicazione” dell’accordo nel registro delle imprese.

finanziamenti effettuati a favore di società concordataria vanno considerati creditori extraconcorsuali e come tali sono esclusi dal voto”, quindi in questa sede non andrebbero considerati al momento del

conteggio dei crediti.

109 Sempre E. Stanuovo-Polacco, Op. cit., pag. 33, afferma che “dal punto di vista pratico, risulterà

prudenziale includere i crediti contestati nel computo delle percentuali tutte le volte in cui le pretese fatte valere non appaiono manifestamente infondate e siano come tali suscettibili di essere valutate dal Tribunale”.

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