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È fondamentale quindi un corretto uso della finanza, una finanza che rispetti la sua etimologia di “definizione amichevole di una controversia”, che funga quindi da mezzo d’incontro tra debitore e creditore in cui possa avvenire il pagamento dei debiti. Solo se il pagamento può aver luogo è possibile dar luogo ad anticipazioni creditizie in vista del loro pagamento ossia della loro chiusura. La finanza ha a che fare con la chiusura ossia con la fine. Essa quindi avrebbe una

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funzione vitale, dare respiro e slancio all’economia se venisse adoperata in maniera appropriata. Invece oggi impone politiche economiche agli Stati , depongono governi che giudicano inadempienti, abrogano diritti che vedono come intralci, scardinano patti sociali, ridisegnano equilibri e alleanze internazionali. Ormai la finanza egemone controlla ogni ambito della vita associata eccetto quello che realmente le competerebbe cioè finanziare e per di più lo fa nel modo peggiore. Se la finanza non finanzia, le imprese non possono intraprendere e i lavoratori non possono lavorare; si viene quindi a creare una dissimmetria che a causa della crisi viene messa maggiormente in evidenza, mentre la finanza può crescere anche senza corrispondente aumento nella produzione di beni e servizi, l’economia reale non può crescere senza il sostegno della finanza.

Non si può pensare di poter uscire dalla crisi se prima non viene messa in discussione una delle sue cause più profonde, ossia la pretesa della finanza di dettar legge; questa deve tornare a svolgere la funzione sociale, cioè quella di gestire la relazione fra debitore e creditore; uno spazio dove una persona può dar credito a una promessa (pagherò), in quanto chi la fa è tenuto responsabilmente a onorarla (pagando) e dove entrambi affrontano solidalmente il rischio di rinegoziare il pagamento in conseguenza di accadimenti estranei alla volontà di entrambi. Quella fra debitore e creditore è una relazione tanto necessaria quanto pericolosa, necessaria perché non esiste attore dell’economia reale che non abbia bisogno di anticipazioni e dunque di finanza per poter agire, pericolosa perché la promessa di pagare il debito connessa alla concessione del credito è appunto una promessa che nessuno può sapere con certezza se sarà possibile onorare.

La soluzione non sarebbe soltanto quella di limitare le funzioni dell’attuale finanza di mercato, ma anche quella di proporre una finanza nuova, alternativa per fare in modo di passare da una finanza di mercato a una finanza per il mercato. L’ideale sarebbe se finanziasse gli scambi e gli investimenti, rispettivamente tramite sistemi di compensazione improntati all’equilibrio degli scambi e alla compartecipazione alle perdite e ai profitti, in modo tale da tenere

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la finanza strettamente legata all’attività economica reale. Entrambe sono forme di finanza cooperativa.

La riforma della finanza andrebbe fatta su tutti i livelli: internazionale, europeo, nazionale e locale. L’Europa infatti avrebbe bisogno di una finanza reale e cooperativa che l’aiuti a colmare le voragini che si sono create al suo interno fra i vari Stati negli ultimi dieci anni.

Le due condizioni per una sana finanza sono: 1) una fine condivisa ed 2) una possibilità di mediazione in vista del fine del raggiungimento di quella fine.

1) Tutti i debiti sono e devono essere debiti a termine, un debito senza termine è un debito umanamente insostenibile o perche da esso non si finisce mai di sdebitarsi e ci rende schiavi o perche alla fine nessuno ci chiede di pagarlo;

2) La fine quando è assunta responsabilmente è qualcosa che libera.

Occorreva quindi definire un posto dove tutte queste caratteristiche fossero regolamentate ed il cui accesso avvenisse nella maniera più libera possibile, ed ecco che nascono i mercati.

Marc Boch un famoso storico francese di fine ottocento – inizi novecento, parla del credito e del suo ruolo nell’economia capitalistica moderna, considerandolo come una forma sostitutiva della moneta. La comparsa di forme di credito basate sulla moneta – merce e al tempo stesso sostitutive di essa, la nascita dei mercati finanziari ha contribuito a quella che egli stesso chiama l’euforia del XVIII secolo, il secolo della rivoluzione industriale e della nascita del capitalismo. Esso però ha finito per funzionar male, consentendo il ritardo dei pagamenti o dei rimborsi e facendo accavallare perpetuamente gli uni sugli altri tali ritardi, questo sembra essere il segreto del regime capitalistico moderno che potrebbe esser meglio definito come “un regime che morirebbe di una chiusura simultanea di tutti i conti”. Un sistema eccessivamente ottimistico, che va avanti scontando incessantemente i profitti dell’avvenire ossia a rendere costantemente possibile la loro monetizzazione anticipata. Monetizzabili sono i crediti concessi per finanziare l’impresa i quali possono essere resi liquidi prima della loro scadenza.

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Ed è proprio questa possibilità di liquidità come intercambiabilità di moneta e credito a rendere sicuro il mercato del credito e dunque finché dura l’ottimismo, più agevole sarà il finanziamento del capitale fisso di cui l’economia reale abbisogna per poter crescere.

Ma il modo in cui i mercati finanziari di cui si dota il capitalismo sostengono gli altri mercati a rendere non soltanto possibile, ma rischiosamente probabile, la chiusura simultanea di tutti i conti; quando viene data al creditore la facoltà di recedere dal rapporto prima della scadenza pattuita, se un numero cospicuo di creditori cessa di essere ottimista e recede, ossia vende (o anche soltanto teme che altri possano vendere) il proprio titolo di credito preferendogli una riserva certa di valore, si verificherà una corsa a chiudere le posizioni, cioè la crisi. A questo punto non basterà più limitarsi ad accavallare le scadenze, diverrà necessario ritardare i pagamenti fino al punto di togliere ogni scadenza. Per quanto possa procrastinarla indefinitamente esso non può propriamente abolire il tempo, la fine, la morte. Ed è stata proprio questa impossibilità a scatenare la crisi attuale con i mutui subprime, costruita programmaticamente sull’ipotesi che ciò che conta di un debito non è la sua pagabilità ma la sua liquidità.