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S. Paolo scrive che l’unica cosa che gli interessi davvero è Cristo crocifisso187. Spesso si è interpretato questo passo come

una presa di posizione paolina anti-intellettuale; eppure esso assume, dopo il percorso seguito fin qui, una chiarezza cristallina e una dimensione tutt’altro che anti-intellettuale: si può decostruire ogni tipo di verità mitica, ontologica o ideologica, ma non la croce, non il fatto della morte del Fi- glio di Dio. Questo è il fatto attorno a cui ruota tutta la civiltà occidentale: se quest’avvenimento non avesse aperto gli occhi dell’uomo su una Verità fondamentale, sull’unica Ve- rità dietro cui non c’è interpretazione, sulla Verità della vit- tima che smaschera la menzogna diabolica del sistema mimetico-sacrificale, non ci sarebbe ragione per cui il mon- do avrebbe dovuto e dovrebbe cambiare. “Dio ha fornito il testo, ma anche la chiave ermeneutica attraverso cui leg- gerlo: la croce, che è un fatto. Le due cose non possono essere separate”188. Tuttavia, nonostante la rilevanza filoso-

187 1 Cor. 2, 2.

fica della Bibbia, negli ultimi due secoli la sua lettura è pro- gressivamente diminuita: questa progressiva eclissi può forse essere letta in chiave heideggeriana come un “ritirarsi di Dio”. Con tale espressione Heidegger intendeva certamente che non solo il Dio cristiano, ma tutto il religioso si stia riti- rando, e questo ha senza dubbio riscontro nella storia re- cente. Ma perché? La spiegazione è una ed una sola: perché mediante il cristianesimo il religioso – o meglio, il sacro nel- la sua costitutiva dimensione sacrificale – si sta decompo- nendo, sta mano a mano scomparendo. Paradossalmente, il cristianesimo – nella sua lettura sacrificale – sembra morire con le altre religioni di cui provoca la scomparsa, in quanto è interpretato come una religione mitica come le altre. Ma se tale lettura sacrificale del cristianesimo è destinata a morire come le altre religioni rituali, non lo stesso si può dire del cristianesimo autentico, cioè del messaggio evan- gelico portavoce del sapere della violenza e della verità del- la vittima, e che in quanto tale è il distruttore delle altre religioni. Questa affermazione non va confusa con una sor- ta di ritorno al cristianesimo come religione assoluta di sapo- re hegeliano, la cui affermazione risulterebbe non solo anacronistica ma, quel che è peggio, violenta. Il cristianesi- mo – è bene specificarlo - è il distruttore delle religioni ar- caiche e sacrificali, non delle altre grandi tradizioni monoteiste - giudaismo e islamismo - e orientali - religioni vediche e buddiste. Impegnarsi nello svelamento della men- zogna del sacro significa ritornare alla lettura dei testi fon- damentali di tutte queste confessioni, al fine di indagare la possibilità che anch’essi, come il testo evangelico, conten- gano la denuncia dei sacrifici rituali e si facciano portavoce di un messaggio non-violento189.

189 È lo stesso Girard ad intraprendere questa via in Le sacrifice, Parigi,

La morte di Dio è un fenomeno cristiano. Nonostante le apparenze, il mondo sta diventando sempre più cristia- no, i principi biblici sono sempre più adottabili, a patto che si ignori che sono biblici. Questa è la vera “pietra d’in- ciampo” del nichilismo decostruttore contemporaneo. Oggi molti intellettuali pensano che, dopo la seconda guer- ra mondiale e dopo la caduta del blocco sovietico nell’Eu- ropa dell’Est, ogni assoluto sia scomparso; ebbene, si sba- gliano: il nuovo assoluto, quello che neppure i più nichilisti si sforzano di decostruire, è il principio della difesa delle vittime. Essi negano tutto tranne tale principio: in altre parole, non potrebbero essere più vicini al cristianesimo, e nessuna solenne proclamazione della morte di Dio può recidere questo profondo nesso che lega l’ateismo al mes- saggio evangelico190.

Uscire dall’orizzonte sacrificale significa uscire dalla fi- losofia? Bisogna considerare seriamente “l’idea che la fi- losofia abbia esaurito le sue risorse. In realtà, questo evento, ammesso che sia tale, si è già verificato da tempo. La crisi della filosofia fa tutt’uno con la crisi di tutte le differenze culturali, ma i suoi effetti sono a lungo differiti e i filosofi che parlano della fine della filosofia affermano nello stesso tempo che non si può parlare al di fuori di essa. […] La fine della filosofia significa, finalmente, la possibilità di un pensiero scientifico nell’ambito dell’uo- mo, e nello stesso tempo, per quanto strano possa sem- brare, il ritorno del religioso; ossia il ritorno del testo cri- stiano in una luce nuova, non tramite una scienza che gli sarebbe esteriore, ma per il fatto che è esso stesso questa scienza che sta sopraggiungendo nel nostro mondo”191.

190 Prova ne è che, se da un lato essi difendono l’idea del relativismo

storico, dall’altra sono costretti ad acrobazie intellettuali per salvare,

ad esempio, la verità storica dell’Olocausto.

Uscire dalla filosofia non significa rinunciare ad un’espe- rienza di pensiero e, soprattutto, ad un orizzonte di senso. Demistificare completamente l’aspirazione prometeica del pensiero moderno, diabolicamente proteso verso Dio non per goderne la luce ma per sostituirvisi, significa costruire sulle ceneri della filosofia in quanto sapere sacrificale un sapere nuovo che sappia uscire dal cerchio rituale e proce- dere non secondo la logica del possesso e della violenza, ma secondo il più autentico agape cristiano. Si apre così lo spa- zio per un nuovo orizzonte scientifico che conservi, da un lato, l’istanza antropologica di costituirsi come un sapere sull’uomo, mentre, dall’altro lato, mantenga il carattere di un’esperienza di pensiero, consapevole tuttavia della possi- bilità sempre in agguato di ridestare satanicamente il sacri- ficale e umilmente aperta all’azione salvifica dello Spirito di Verità, del Paracleto, dell’Agnus Dei.

La riflessione sul mimetismo e sull’unicità – epistemo- logica ed etica – del cristianesimo invita ad incamminar- si, entro il nuovo orizzonte scientifico, sulla via di un sape- re non-sacrificale, in cui la ragione e il suo “altrove” si toccano e si fecondano reciprocamente192 ed entro il qua-

le l’uomo, compresa la sua radicale finitezza creaturale, sappia protendere la sua mano verso Dio non più per sostituirvisi ma per accogliere umilmente il dono della sua Parola, rinnovando così anche il rapporto con l’Altro, non più dominato dalla rivalità mimetica ma aperto al dono gratuito di sé.