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Volgendo lo sguardo al contesto europeo in merito alle migrazioni, queste hanno sempre avuto una connotazione continentale. Soprattutto successivamente ai trattati di Roma del 1957 che vedevano flussi migratori composti da lavoratori con cittadinanza in un altro paese europeo alla ricerca di altre opportunità lavorative. I flussi maggiori provenivano da Paesi mediterranei, tra i quali l’Italia, verso il Nord Europa. I migranti extracomunitari aumentano a partire dagli anni Settanta e raggiunsero i due terzi negli anni Ottanta anche se la maggior parte di questi migranti proveniva da paesi europei ma fuori dalla Comunità. A dimostrazione di ciò Nunziata (2012/2013:13) riporta il caso dell’Italia che, nei primi anni Novanta, aveva il rapporto tra immigrati comunitari e “extracomunitari” tra i più alti: fino all’80%. Negli anni successivi agli ultimi due allargamenti dell’Unione Europea con l’ingresso di dodici paesi questo rapporto è passato al 54% dovuto all’afflusso notevole di cittadini romeni.

Con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la frantumazione del blocco sovietico il flusso migratorio continentale da Sud a Nord è andato modificandosi verso una traiettoria da Est a Ovest. Intanto i paesi dell’Europa mediterranea si apprestavano a diventare paesi di immigrazione con l’aumento di arrivi extracomunitari dal Nord Africa già dagli anni Settanta. In conseguenza allo spostamento dell’asse migratorio suddetto i paesi dell’Est diventano luogo di transito per chi intendeva raggiungere l’Occidente arrivando dall’Asia e il Medio Oriente e diventando quindi un ponte verso l’Ovest (Nunziata 2013/2014:14).

38 Negli anni Novanta inoltre, in Europa diminuiscono man mano i flussi per lavoro e per asilo, si intensificano gli ingressi per ricongiungimento familiare, per immigrazione temporanea o clandestina a causa di politiche migratorie che hanno fatto sì che aumentassero gli ingressi irregolari.

I paesi europei si possono suddividere in tre gruppi: i paesi d’immigrazione stabile ovvero il Belgio, la Danimarca, la Finlandia, il Lussemburgo, la Norvegia e la Gran Bretagna; i paesi di vecchia immigrazione, la Francia, la Germania e la Svezia; l’ultimo gruppo racchiude i paesi di nuova immigrazione cioè l’Italia, la Spagna e la Grecia (Ortensi 2011:52). La Francia, la Germania, il Regno unito, i Paesi Bassi, il Belgio e il Lussemburgo sono paesi con una forte tradizione migratoria a causa del loro passato coloniale e degli accordi sulla migrazione stipulati nel dopoguerra; come nel caso della Germania con la Turchia, e si caratterizzano dalla presenza alta di seconde generazioni.

Nel dopoguerra diventano paesi di grande emigrazione l’Italia e la Spagna che sono diventate destinazioni per i migranti solo negli ultimi decenni. Tra il 2000 e i 2009 i migranti in Spagna sono passati da 819.886 a 5.663.525 e in Italia da 1.270.553 a 4.235.059. A favorire il cambiamento delle dinamiche migratorie europee è stato soprattutto l’allargamento dell’Unione con dieci nuovi paesi nel 2004 e la Romania e Bulgaria nel 2007. Di conseguenza l’accesso al mercato del lavoro si è aperto a una massiccia quantità di lavoratori e i paesi dell’Est, per scongiurare una migrazione di massa adottarono un approccio graduale secondo il quale la libera circolazione dei lavoratori dell’Unione secondo il quale il periodo di transizione massimo sarebbe stato di sette anni dall’ingresso per ogni nuovo paese.

Dalla caduta del Muro di Berlino in poi i flussi migratori dai paesi dell’Est, che si credeva sarebbero stati più importanti, furono contenuti e graduali; 300.000 nel 1990, 50.000 l’anno nella metà degli anni Novanta dai Balcani. Con il progressivo allineamento ai livelli demografici e di reddito europei dei paesi ex-sovietici, la spinta migratoria lentamente si esauriva, mentre il saldo migratorio cominciava a cambiare a causa dei flussi di ritorno verso l’Ungheria, la Repubblica Ceca la Lituania e la Repubblica Slovacca (Nunziata 2013/2014:16).

39 La natura continentale dell’immigrazione in Europa, con l’allargamento dell’Unione Europea, diventa ancora più evidente costituendo il 60% dei flussi. L’Italia è stata caratterizzata da flussi extracomunitari, con l’allargamento dell’UE la quota di immigrati provenienti da altri paesi dell’Unione Europea è stato attestato al 48,8% e salita al 54% nel 2009 (Ortensi 2011:52). Gli stravolgimenti previsti con l’allargamento dell’Unione Europea sono stati minori del previsto e questo ha comportato il ritiro delle restrizioni alla libera circolazione nel giro di due anni. Dal 2003 al 2005 c’è stato un aumento considerevole di arrivi dai nuovi paesi membri in particolare in Spagna (+142%) seguita da Irlanda +90% e Gran Bretagna con +47%, mentre l’Italia ha visto un forte afflusso dalla polonia.

Per concludere, negli ultimi 50 anni in Europa i movimenti migratori principali sono passati da una dinamica continentale Sud-Nord a una Est-Ovest con i paesi dell’Europa Mediterranea che diventavano nuovi paesi di immigrazione. Nei prossimi anni probabilmente si vedrà una migrazione detta di ritorno verso i paesi dell’Est facenti parte adesso dell’Unione e il loro divenire a loro volta paesi di immigrazione.

3.3.1 La migrazione cinese in Europa

La dinastia Qing (1644-1911) verte, nei suoi ultimi anni, verso uno stato di debolezza e ciò determina il grande numero di emigrati in questo periodo.

Come già accennato, nel Diciannovesimo secolo, i progressi tecnologici e nei trasporti causano una maggiore richiesta di marinai che la marina britannica reclutava sulle coste cinesi. Così nel 1881 si attestano 665 cinesi in Gran Bretagna e nel 1911 se ne attestano 283 in Francia (Campani 1992:16). Dopo il crollo dell’ultima dinastia, la dinastia Qing, si attivano le prime catene migratorie composte da cinesi proveniente dalla madrepatria e soprattutto immigrati di prima o seconda generazione impiegati nelle colonie occidentali. Per questo le prime destinazioni furono Olanda, Francia e Gran Bretagna.

40 Nel corso della Prima Guerra Mondiale la Cina combatte accanto alla Francia e al Regno unito e invia 140.000 operai in Europa non potendo contribuire economicamente (Christiansen 2003:39). Molti di loro decidono di non tornare alla fine del conflitto e vengono a costituirsi le prime comunità composte da cinesi provenienti dallo Zhejiang che si stabiliscono soprattutto in città portuali come Liverpool e Marsiglia aprendo attività per la gestione del viavai dei cinesi da e per l’Europa (Loda 2012/2013:14).

Negli anni Venti e Trenta assistiamo a un numeroso affluire di studenti cinesi che raggiungono l’Europa grazie a vari programmi di studio finanziati chiese, missioni o fondi governativi. Quello più importante è il programma all’istituto franco-cinese di Lione ideato a da Li Zhizeng e Cai Yuanpei, il quale consisteva in un periodo si studio e lavoro in fabbrica. Gli arrivi sono dall’Indocina, dallo Zhejiang, dallo Shandong, da Hong Kong e la maggior parte di questi fa ritorno in madrepatria alla fine del periodo di studio (Loda 2012/2013:14).

Anche durante la Seconda Guerra Mondiale la Cina procura agli alleati forza lavoro e una parte rimarrà in Occidente, il periodo che dà il via a flussi migratori importanti è quello degli anni Cinquanta. Sempre grazie alle relazioni con le ex colonie, le mete principali sono Francia, Olanda e Gran Bretagna. In Gran Bretagna per esempio, si concentrano a Manchester e Liverpool all’inizio lavorando prevalentemente nelle lavanderie e poi nel settore del catering che guadagna sempre più mercato.

Durante questo periodo anche la famiglia raggiunge l’immigrato, contrariamente a quanto succedeva durante le due grandi guerre e questo a fatto accrescere ancora di più il numero dei membri della comunità.

Nel 1949 con la nascita della Repubblica Popolare Cinese la chiusura dei confini fa sì che le migrazioni accusino una battuta d’arresto ad esclusione degli ingressi clandestini in Europa gestiti da trafficanti chiamati shetou “teste di serpente” e quelli per asilo politici.

41 Tra il 1950 e il 1970 i conflitti tra Cambogia, Laos e Vietnam contribuiscono a una nuova e consistente corrente migratoria diretta soprattutto in Francia (Campani 1992:18). In questo periodo le migrazioni si sviluppano verso le ex colonie: dallo Zhejiang verso la Francia e l’Olanda, da Laos, Vietnam e Cambogia verso la Francia; da Hong Kong e Singapore verso l’Inghilterra. Solo in seguito alla crisi economica degli anni Settanta si avranno flussi consistenti verso l’Europa meridionale e dell’est (Campani 1992:1).

Negli anni 1972-1973 la crisi economica provoca restrizioni da parte di alcune nazioni europee che si limitano a consentire gli ingressi per lavoro e per asilo politico. Inoltre, nello stesso periodo, la guerra di Indocina per l’indipendenza e per la creazione di una società comunista portata avanti da Laos, Vietnam e Cambogia, provoca una nuova ondata migratoria. I cinesi che costituiscono una grossa fetta della popolazione nella regione, vengono espulsi perché considerati elementi capitalisti in quanto la Cina aveva preso le distanze dal pensiero comunista russo. Così venne a crearsi una corrente migratoria verso l’Europa meridionale composta da chi era in cerca di lavoro e un’altra verso la Francia e l’Inghilterra formata dai rifugiati politici (Carchedi 1992:45).

Chi cerca lavoro arriva in Italia e Spagna in quanto sono tra i paesi che non limitano gli ingressi per lavoro, così si sviluppa una nuova corrente che esce dagli schemi che legavano, come in passato, le ex colonie includendo nuovi paesi tra le mete migratorie (Baldassar et al 2015:6). L’apice di questo fenomeno si raggiunge dopo i tristemente famosi fatti di piazza Tiananmen del 4 giugno 1989 (Samarani, de Giorgi 2008:506); e la già citata politica di riforma e apertura sostenuta da Deng Xiaoping