• Non ci sono risultati.

55 flussi: i rifiuti di imballaggio primari, riferendosi a singole unità di vendita nella

disponibilità del consumatore finale, fanno parte del flusso domestico dei rifiuti solidi

urbani e dunque vengono conferiti nel sistema pubblico di raccolta soggetto a privativa

comunale

145

secondo i criteri dell’assimilazione

146

; i rifiuti di imballaggio secondari e

esclusivamente degli imballaggi domestici (ovvero provenienti da abitazioni private o da piccole attività), mentre gli imballaggi secondari e terziari sono recuperati sul mercato: i distributori sono obbligati a rimuoverli o raccoglierli per poi gestirli adeguatamente. Allo stesso modo in Francia, il sistema di gestione facente capo ad Eco-Emballage si occupa prevalentemente dei rifiuti di imballaggio domestici, mentre quelli provenienti dal commercio all’ingrosso e piccole aziende commerciali (secondari e terziari) sono gestiti mediante accordi volontari.

145 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha precisato in più occasioni che la privativa non riguarda le operazioni di recupero, come si legge nella segnalazione AS550 del 1° luglio 2009, e AS696, Gestione dei rifiuti in Provincia di Macerata del 26 maggio 2010, e AS879 Regione Emilia Romagna - Servizio di Gestione dei Rifiuti nella Provincia di Parma del 15 settembre 2011. Come si legge nel provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n. 24098 del 5 dicembre 2012, nel caso Akron (A444), par. 24 «la produzione di rifiuti solidi urbani [di cui fanno parte gli imballaggi primari e

quelli assimilati] è diffusa tra un grande numero di piccole unità produttive (famiglie). Le significative economie di densità risultanti rendono economicamente più efficiente – almeno nei centri di piccole e media dimensione – l’effettuazione della raccolta di RSU da parte di un unico soggetto monopolista a livello comunale. In virtù delle simili caratteristiche economiche del servizio di raccolta, ai RSU sono stati “assimilati” i rifiuti qualitativamente simili a quelli domestici prodotti dalle piccole attività commerciali, artigianali e terziarie al di sotto di una certa soglia dimensionale (…). La raccolta di RSU e assimilati è svolta in regime di privativa comunale dai gestori affidatari del servizio. Il servizio di raccolta è offerto ai produttori domestici (famiglie) e ai produttori di rifiuti speciali assimilati, che in cambio pagano una tariffa proporzionata ai costi sostenuti per il servizio e ripartita in base ad indici convenzionali di produzione dei rifiuti. Da tali costi sono sottratti i contributi ricevuti dai produttori di imballaggi a parziale copertura dei costi della raccolta differenziata nonché i proventi derivanti dalle attività di recupero, inclusa la vendita di rifiuti cellulosici da raccolta differenziata».

146 Il concetto di “assimilazione” nasce di pari passo con l’entrata in vigore, nel nostro ordinamento giuridico, della prima disciplina specificamente dedicata alla materia dei rifiuti, ovvero il d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e consente di sottoporre allo stesso regime dei rifiuti urbani (“assimilarli”) i rifiuti speciali che rispettino determinati criteri, sulla cui definizione però sono sorte alcune criticità. La disciplina del 1982, adottata per dare recepimento alle direttive comunitarie in materia (ovvero la direttiva 75/442/CE sui rifiuti, la direttiva 76/403/CE sullo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e la direttiva 78/319/CE sui rifiuti tossici e nocivi), affrontava, tra gli altri, il problema del riparto di competenze nella gestione dei rifiuti. Tra le competenze generali riconosciute allo Stato, l’art. 4 menzionava anche la definizione dei criteri generali di assimilazione di rifiuti speciali agli urbani. Tali criteri venivano definiti con Deliberazione del 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale per i rifiuti (previsto dall’art. 5 del d.P.R. n. 915/1982), individuando tra i rifiuti assimilabili anche: gli «imballaggi in genere (di carta, cartone, plastica, legno, metallo e simili); contenitori vuoti (fusti, vuoti di vetro, plastica e metallo, latte o lattine e simili); sacchi e sacchetti di carta o plastica; fogli di carta, plastica, cellophane; cassette, pallet» [punto 1.1.1., lettera a)].

In seguito, l’art. 60 del d.lgs. 14 dicembre 1993, n. 507, conferiva ai Comuni il potere di adottare regolamenti mediante i quali integrare, nel rispetto dei criteri tecnici generali stabiliti dallo Stato ed in rapporto alla quantità ed alla qualità dei rifiuti stessi e del relativo costo di smaltimento, il novero dei rifiuti assimilati agli urbani, ai fini dell'ordinario conferimento al servizio pubblico e della connessa applicazione della tassa. Tali disposizioni hanno reso più complessa la definizione del regime giuridico dei rifiuti assimilabili, che, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono stati espressamente ricompresi nell’ambito della privativa comunale da parte dei regolamenti locali, per la carenza di attrezzature adatte a poterli smaltire. Sul punto si è espressa l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AS80 del 28 novembre 1996), ritenendo che «la circostanza che ogni comune si trovi nelle condizioni di potere, in qualunque momento, determinare, sulla base di un potere ampiamente discrezionale, una propria disciplina degli assimilabili conduce di per sé a negare l’esistenza di interessi generali atti a giustificare la limitazione del diritto di iniziativa economica in capo ai soggetti diversi dai riservatari».

Successivamente, con l’art. 39 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, tutti i rifiuti speciali sono stati assimilati

56

precitati. Tale norma è stata però espressamente abrogata (con l’art. 17, comma 3, della legge 24 aprile 1998, n. 128) a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha stabilito un regime di privativa a favore dei Comuni per la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati.

Il d.lgs. n. 152/2006 nella sua versione iniziale prevedeva dei limiti all’assimilabilità dei rifiuti urbani, consistenti nella fissazione di una metratura massima delle aree su cui insistono enti e imprese i cui rifiuti sono assimilabili a quelli provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di abitazione civile. Tali limiti sono venuti meno con l’entrata in vigore della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dal D.L. n. 208/2008 (Finanziaria 2007), che all’articolo 1, comma 184, lettera a) e b) ha disposto che «in materia di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal d.Lgs. n. 152/2006 continuano ad applicarsi le disposizioni del d.lgs. n. 22/1997» ovvero si continuano ad applicare gli indirizzi forniti con la deliberazione del Comitato interministeriale per i rifiuti del 27 luglio 1984. Da ultimo il d.lgs. n. 4/2008 è nuovamente intervenuto sulla materia, da un lato sostituendo l’art. 195 per la parte in cui prevedeva le modalità di determinazione dei criteri di assimilazione, dall’altro abrogando l’art. 221, comma 4, per la parte relativa alle metrature di riferimento nell’assimilazione dei rifiuti da imballaggi secondari e terziari provenienti da superfici private. In base a tale soluzione normativa, la soluzione si rinviene nella competenza statale, demandando ad un apposito decreto ministerile le più specifiche determinazioni al riguardo che dovrebbero fungere da criterio inderogabile per le apposite definizioni adottate dai Comuni a riguardo [art. 198, comma 2, lettera g) che rinvia all’art. 195, comma 2, lettera e)]. Tuttavia la mancata adozione di tali criteri ha lasciato la situazione inalterata.

Molto importanti sono le conseguenze tariffarie derivanti dall’assimilazione, in quanto, ai sensi dell’art. 195, comma 2, lettera e) del codice dell’ambiente, ai rifiuti assimilati la tariffa si applica esclusivamente per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani (e non, come avviene per i rifiuti urbani non assimilati pagando una tariffa rapportata alla superficie), con un’eventuale riduzione in proporzione alle quantità dei rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero tramite soggetto diverso dal gestore dei rifiuti urbani.

La pratica dell’assimilazione non ha mancato di sollevare problematiche di vario genere, dovute sia all’indeterminatezza dei criteri e all’assenza di una specifica regolamentazione omogenea, sia alle conseguenze che tale incertezza può comportare sul piano concorrenziale. Sul punto, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’IC26, par. 48 e ss., ha sottolineato che «la questione dell’assimilazione dei rifiuti speciali provenienti da attività industriali/artigianali/commerciali abbia determinato rilevanti squilibri concorrenziali. Infatti, in assenza di una specifica regolamentazione dei criteri volti a stabilire tale assimilazione, le amministrazioni comunali sono state indotte ad assimilare il più possibile, al fine di ampliare l’imponibilità della tassa/tariffa per la gestione dei rifiuti urbani. Conseguenza di tale processo è stata l’erosione degli spazi operativi lasciati agli operatori privati, attivi nella gestione dei rifiuti speciali sulla base di rapporti bilaterali con i produttori di questi (…). L’assimilazione finisce per determinare un surrettizio carico sulle attività produttive interessate – impossibilitate a scegliere l’offerta più vantaggiosa tra gli operatori privati – dei costi di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, senza responsabilizzare l’utenza domestica verso le raccolte di tipo differenziato».

Nella recente Segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 2 ottobre 2012 al Parlamento e al Governo “Proposte per maggiore concorrenza negli affidamenti del servizio di gestione dei rifiuti”, l’Autorità ha auspicato la definizione da parte del Governo dell’atto per la determinazione dei criteri qualitativi e qualiquantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani, di cui all’art. 195, comma 2, lettera a) del d.lgs. 152/2006.

In dottrina sul punto v. C.VIVANI,In tema di assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, in Riv. giur.

amb., 1996, 5, 673; R.MONTANARO,La gestione dei rifiuti urbani: una difficile svolta, in Dir. economia,

2005, 20, pag. 263 ss.; G. QUADRI, La gestione dei rifiuti tra contrastanti interessi costituzionalmente

tutelati, in F. LUCARELLI,Ambiente, territorio e beni culturali nella giurisprudenza costituzionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006; A. PIEROBON,Rifiuti assimilati agli urbani: gestire lo smaltimento nel passaggio TARSU-TIA, in Amb. e sicur., 2008, 15; A.MURATORI,L’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani

riveduta e corretta dal nuovo “correttivo”, in Amb. e svil., 2008, 4; S. MAGLIA, Ancora in materia di

assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, cit..

Venendo agli imballaggi secondari e terziari, non sempre essi possono essere assimilati agli urbani.

Stando all’art. 195, comma 2 lettera e), ultimo periodo, «non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio di lavoratori o comunque aperti al pubblico; non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle strutture di vendita con superficie ue volte superiore ai limiti di cui all’art. 4, comma 1, lettera d), del d.lgs. 114/1998. Per gli imballaggi secondari e terziari per i quali risulti documentato il conferimento al servizio di gestione dei rifiuti

57