“Il d.lgs. n. 66 del 2003, attuativo della delega conferita con la l. n. 39 del
2002 (Legge comunitaria 2001) -nonché, per effetto di essa, della direttiva n.
535 DEL PUNTA R., Ragioni economiche, tutela dei lavori, cit., p. 414.
536 GAROFALO M. G., Un profilo ideologico, cit., p. 13, riteneva che “quale che sia la tradizione ispiratrice, appare certo che la diffusa opinione che individua nell’istanza protettiva del lavoratore, nel principio del favor, la ratio ispiratrice unificante di tutte le norme del diritto del lavoro è storicamente, sistematicamente ed esegeticamente perlomeno parziale ed unilaterale; occulta, infatti, la funzione assolta da questo ramo del diritto nella formalizzazione giuridica (e, dunque, nella legittimazione) dei rapporti di potere propri del modo di produzione sorto con la rivoluzione industriale”. Si v. BARBIERI M., Rileggendo Un profilo ideologico del diritto del lavoro di M. G. Garofalo, ora in Studi in memoria di Mario Giovanni Garofalo, I, Cacucci, Bari, 2015, p. 76, che evidenzia l’essenzialità del superamento della teorica del favor per delineare lo statuto teorico della materia e precisa che “Garofalo, lo abbiamo visto, definisce parziale e unilaterale la ricostruzione che individua nella tutela del lavoro la funzione del diritto del lavoro. In effetti potremmo e dovremmo dire che (…) il diritto del lavoro fonda e limita allo stesso tempo un potere, che è il potere dell’imprenditore” (p. 81).
150
93/104/Ce (come modificata dalla direttiva n. 2000/34/Ce) in materia di orario di
lavoro- costituisce senza dubbio un importante tassello del processo, in atto ormai
da alcuni anni, di ridefinizione ed articolazione delle ‘relazioni pericolose’ tra
legge ed autonomia collettiva nel nostro ordinamento”
537.
Considerata la mole dei rinvii alla contrattazione collettiva, è possibile
sostenere che con l’entrata in vigore del d. lgs. 66/2003 sia stato riconosciuto da
parte della legge in favore della contrattazione collettiva un importante ruolo
integrativo del precetto legale.
Prima di addentrarci nell’esame delle varie ipotesi di integrazione del precetto
legale, appare tuttavia opportuno fare un cenno alle coordinate generali del
problema; occorre, cioè, fare una distinzione tra rinvii propri e rinvii impropri
538.
“I primi sono quelli nei quali la norma legale pone una regola e, poi, consente
al contratto collettivo di derogarla od integrarla: se il rinvio al contratto collettivo
non ci fosse, le parti sociali non avrebbero la possibilità di regolare la materia
proprio perché è il rinvio che rende derogabile la norma legale. I rinvii impropri,
invece, ricorrono quando la norma legale richiama il contratto collettivo a regolare
una certa materia, ma senza porre contemporaneamente una norma legale che la
norma collettiva sia autorizzata a derogare od integrare”
539, nel senso che in tale
seconda ipotesi il legislatore si astiene completamente dal disciplinare una
fattispecie, rimettendola alla concreta regolamentazione da parte dei contratti
collettivi.
Il giudizio sui rinvii legislativi non può avere come parametro di riferimento la
quantità bensì la qualità dei rinvii medesimi, ed è per questo che vi è chi ha
sostenuto che ad un’attenta analisi della normativa in materia di orario di lavoro vi
sia stato un ridimensionamento qualitativo del ruolo della contrattazione
collettiva.
Tale ridimensionamento è stato attuato attraverso molteplici strumenti: in
primo luogo, come accennato, il legislatore ha demandato alla contrattazione
537 CARABELLI U., LECCESE V., Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia
collettiva: spunti dalla nuova disciplina dell’orario di lavoro, in WP C.S.D.L.E. Massimo D’Antona, 2004, n. 22, p. 1, cui si rinvia in generale per le considerazioni che seguono.
538 Sui quali si rinvia amplius a PINTO V., Il lavoro part-time e la mediazione sindacale: la
devoluzione di funzioni normative al contratto collettivo nel d. lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 e le prospettive di riforma, in DLRI, 2002, p. 275 ss.
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collettiva il compito di definire specifici vincoli in relazione a standard fissati per
via eteronoma
540, e in seconda battuta vi sono ipotesi nelle quali il legislatore
rinvia alla contrattazione collettiva il compito di introdurre ulteriori margini di
flessibilizzazione alla norma eteronoma
541; il tutto nel contesto di una generale
“minaccia” del legislatore, che prevede espressamente la possibilità di un
intervento integrativo del Governo nel caso di mancata attività delle parti sociali.
È pertanto opportuno esaminare le varie tipologie di rinvii legali alla
contrattazione collettiva per poter comprendere le opzioni di politica del diritto
sottese non solo al decreto in commento, bensì a tutta la legislazione che ha
implementato il modello di derogabilità della disciplina come nuova tecnica
regolativa del diritto del lavoro.
In prima analisi occorre esaminare il rinvio in funzione migliorativa al
contratto collettivo.
Il decreto all’art. 3
542, co. 2, consente alla contrattazione collettiva di ridurre
l’orario normale di lavoro; tale tipo di rinvio è apparso “superfluo” alla
dottrina
543, in considerazione del fatto che non si è mai dubitato che la previsione
contrattuale che preveda clausole migliorative degli standard legali “rientri tra le
competenze ‘geneticamente’ spettanti, in forza dell’art. 39, co. 1, Cost., alla
contrattazione collettiva”
544, e pertanto la possibilità di ridurre le ore di lavoro per
mezzo dell’intervento sindacale si presenta come la tipica manifestazione dei
540CARABELLI U., LECCESE V., Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia
collettiva, cit., p. 7, i quali specificano che tale utilizzo della tecnica del rinvio “lascia intendere come il ruolo dell’autonomia collettiva non sia più quello di amministrare o aumentare il flusso della flessibilità attraverso le ‘chiuse’ create dal legislatore, bensì quello, assai più difficile di costruire tali ‘chiuse’ in un regime di flusso ormai liberalizzato per l’autonomia individuale”. Gli A. utilizzano come esempio di tale modalità di rinvio l’art. 4, co. 1, che in assenza di una definizione legale, affida ai contratti collettivi il compito di fissare la durata massima settimanale dell’orario di lavoro.
541Si prendano a riferimento gli artt. 16 e 17, norme espressamente dedicate alle deroghe.
542 GAROFALO M. G., Per una teoria giuridica del contratto collettivo, cit., pp. 531-532 precisa che la norma contiene sia un rinvio proprio che un rinvio improprio; ed infatti, dopo aver stabilito al primo comma che l’orario di lavoro normale è di 40 ore settimanali, nel secondo comma consente alla contrattazione collettiva tanto di riferire il limite delle 40 ore ad una media plurisettimanale quanto di ridurre tale limite.
543 CARABELLI U., LECCESE V., Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia
collettiva, cit., p. 30.
544 CARABELLI U., LECCESE V., Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia
collettiva, cit., p. 30, i quali però sottolineano che tale principio venga meno nelle ipotesi nelle quali il legislatore prevede tetti massimi alla contrattazione collettiva. Si rinvia pertanto allo scritto per ulteriori approfondimenti.
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miglioramenti salariali e normativi perseguiti dalla contrattazione collettiva
nell’ambito della sua tradizionale funzione normativa
545.
Ben più complesso è invece il discorso relativo ai rinvii in funzione
derogatoria alla contrattazione.
Sempre al co. 2 dell’art. 3, infatti, è possibile leggere che i contratti collettivi
possono “riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in
un periodo non superiore all’anno”; l’accordo che definisce l’organizzazione
multiperiodale dell’orario settimanale ha la funzione di derogare il limite legale
delle 40 ore settimanali, con la conseguenza che il legislatore consente alla
contrattazione collettiva di prevedere una durata settimanale della prestazione
superiore a tale limite di 40 ore, anche se si prevede un recupero in funzione
compensativa nel corso dell’anno.
Vi sono inoltre i rinvii integrativi alla contrattazione collettiva, che hanno la
funzione di meglio definire il precetto legale oppure di colmare lacune
volutamente lasciate alle parti sociali dalla legge.
Tra i tanti rinvii di questo tipo presenti nel decreto, si segnalano quello di cui
all’art. 1, co. 2, lett. e), n. 2, che attribuisce alla contrattazione collettiva una
funzione integrativa della legge ai fini della individuazione della nozione di
lavoro notturno, e quello contenuto all’art. 8, co. 1, che attribuisce ai contratti
collettivi la facoltà di stabilire “modalità” e “durata” del godimento delle pause.
Tale tipo di rinvio si segnala per essere una sorta di delega in bianco alla
contrattazione collettiva, con la conseguenza che questa potrà prevedere limiti sia
migliorativi che peggiorativi del precetto legale, e quindi i contratti collettivi
potrebbero anche prevedere che le pause possano essere fruite a fine turno,
rientrando tale aspetto tra le “modalità” di fruizione della pausa medesima, pur
essendo la contrattazione collettiva vincolata nei fini, ossia quelli di “recupero
delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto”.
Una funzione, insomma, quasi-derogatoria.
Astraendo dai singoli tipi di rinvii e ragionando da un punto di vista generale
si concorda con chi ha sostenuto che anche il singolo rinvio “parrebbe porre in
realtà delicati interrogativi circa la correlazione tra la norma legale e l’autonomia
545 Su cui si v. ampiamente BORTONE R., Il contratto collettivo tra funzione normativa e
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collettiva, sollevando, ancora una volta, sospetti di funzionalizzazione della
seconda al perseguimento degli obiettivi voluti dalla prima e, dunque, di contrasto
della stessa norma di rinvio con il principio di libertà sindacale di cui all’art. 39,
co. 1, Cost.”
546.
In realtà il problema della funzionalizzazione della contrattazione collettiva
pare debba essere esaminata di volta in volta a seconda dell’ampiezza dei poteri
che la norma legale consente alle parti private.
Infatti, come è stato sottolineato dalla dottrina, se è da escludersi il fenomeno
della funzionalizzazione nelle ipotesi in cui il legislatore lascia le parti libere
nell’an di intervento e nei fini dell’intervento stesso, limitandosi semplicemente
ad implementare l’attività svolta dai contratti collettivi, ipotesi ben diversa è
quella dei rinvii integrativi da ultimo esaminati, perché attraverso l’attribuzione
della funzione specificativa il legislatore vincola le parti sociali sia nel quantum
che nei fini della contrattazione stessa, generando la situazione esattamente
contraria a quella descritta in precedenza, ossia in questa seconda ipotesi è la
contrattazione collettiva a far propri i fini della legge, con una inevitabile confusio
di interessi che inevitabilmente genera la predetta funzionalizzazione, nonché un
una violazione della libertà negoziale (essendo il fine precostituito dalla norma di
legge delegante).
È per tale motivo che occorre effettuare sempre una verifica che miri ad
accertare che “una volta che si sia assodato che la legge lascia loro la piena facoltà
di attivare o meno una contrattazione avente ad oggetto la materia di rinvio
(indispensabile postulato primario della libertà sindacale), si deve pure
riconoscere che, in tal caso, non potrà mai negarsi la sussistenza di interessi
negoziali propri delle parti collettive (anche se, di fatto, assai frequentemente essi
potrebbero risultare in tutto o in parte sovrapponibili con i fini perseguiti dalla
legge: si pensi all’interesse all’occupazione)”
547.
È proprio la confusio tra gli interessi protetti dalla legge e quelli versati nella
contrattazione collettiva (e più in generale tra gli interessi lato sensu economici e
quelli che innervano la mediazione legislativa) che ha permesso di inaugurare la
546 CARABELLI U., LECCESE V., Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia
collettiva, cit., p. 68.
547 CARABELLI U., LECCESE V., Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia
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