L’aspetto cognitivo dell’empatia
3.2.1. La folk-empathy nella Theory Theory
La “Teoria della Teoria” o Theory Theory (d’ora in poi “TT”) è quella spiegazione del comportamento umano che si propone di comprenderlo non attraverso il ricorso a particolari o speciali capacità cognitive, ma utilizzando un insieme di leggi “comuni” (folk) attraverso le quali attribuire credenze, desideri e volizioni all’agente altro da sé. Gli psicologi della TT
[…] tendono a considerare le strutture concettuali sottostanti alle nostre capacità di psicologia del senso comune come identiche o assai simili alla struttura concettuale del discorso ordinario della psicologia del senso comune. Inoltre e di pari importanza, il paradigma della teoria della teoria attrae in quanto fornisce un paradigma che ci permette di
osservare lo sviluppo cognitivo e l’accrescimento della complessità di concettualizzazione del
bambino in modo unificato in diversi campi di indagine. Ciò ci permette di considerare la maturazione della nostra comprensione degli aspetti fisici, biologici e psicologici del mondo
come dipendente dall’acquisizione di strutture conoscitive sempre più complesse riguardanti le diverse aree di interesse dell’uomo […]130.
129 KARSTEN R. STUEBER, L’empatia, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 69. 130 IDEM, p. 160.
87 La prima significativa distinzione da fare, all’interno di questo quadro teorico, è quella relativa al modo in cui intendere la comprensione degli stati mentali altrui. Secondo David Lewis, ad esempio, la psicologia di senso comune sarebbe niente più che una raccolta di
[…] tutte le ovvietà che puoi pensare riguardo la relazione causale degli stati mentali, gli stimoli sensori e le risposte motorie […].
Aggiungi anche le ovvietà all’effetto che uno stato mentale cade sotto un altro […]. Forse ci
sono anche banalità di altre forme. Includi solo le ovvietà che sono comune conoscenza tra noi: ciascuno le conosce e ognuno sa che ciascun altro le conosce, e così via […]131.
Secondo Lewis, infatti, la psicologia di senso comune altro non sarebbe che la sommatoria di un insieme di ovvietà, organizzate concettualmente per l’attribuzione intenzionale di credenze e volizioni, che farebbero parte di un insieme integrato di concetti generali per la “lettura della mente” altrui. In questo senso, quindi, il quadro teorico della TT esterna, cioè, sarebbe fornito solo da quell’insieme di ovvietà del contesto di riferimento cui appellarsi per la comprensione del comportamento altrui; la spiegazione dell’empatia – si potrebbe sostenere, forse, con una certa forzatura – si troverebbe “al di fuori di sé”, quale strumento concettuale, quindi cognitivo, cui appellarsi per rendere possibile l’intersoggettività propriamente detta.
Se per ogni teoria scientifica si accetta unanimemente che l’uso di un termine derivi dall’insieme di credenze che costituiscono il paradigma dominante allora anche nel caso della psicologia di senso comune, in accordo a quanto sostenuto da Sellars sul Mito di Jones, si dovrà concedere che l’uso funzionale dei termini intenzionali derivino il loro significato dall’insieme delle ovvietà concettualmente organizzate per capire la mente altrui. In questo modo qualsiasi mindreading sarà supportata da altrettante “credenze teoricamente organizzate” sul concetto di mente, costituito, a sua volta, da un corpo di conoscenze, “leggi comuni”, in grado di connettere stati mentali con risposte corporee, comportamentali con altri stati mentali e così via.
L’ulteriore differenziazione all’interno della TT esterna concerne il modo in cui la Theory of Mind sarebbe acquisita e, di contro, anche da che cosa o da chi discenderebbe: da innate capacità cognitive o dalla stessa folk psychology?
Diversi autori, non condividendo quanto Lewis sostiene sulla natura della psicologia di senso comune, propongono una versione innatista della folk psychology sulla scia delle
131 DAVID LEWIS, Psychological and theoretical identification, in “Australian Journal of Philosophy”, n. 50, 1972, p. 256.
88 considerazioni di Fodor, potendo, addirittura, parlare di una “psicologia di senso comune funzionalista”: essendo i concetti integrati in una rete integrata, l’uso dell’attribuzione intenzionale all’altro dipenderebbe dal mero uso funzionale del ruolo causale assegnatoli per il raggiungimento dello scopo finale, ossia capire l’altro.
A tal proposito, Davies Stone sostiene:
[…] Si può dire che i concetti mentali che comprendono la nostra psicologia quotidiana o del senso comune – come credenze, desideri, speranze, provare dolore ecc –
sono parte di una rete integrata di concetti, così che comprendere uno di questi concetti richiede la comprensione di qualcuno o tutti gli altri […]132.
I Child-Scientist Theory-Theory133, ad esempio, sostengono che gli studi sullo sviluppo
cognitivo dei bambini può essere illuminante per gettar luce sul modo in cui spiegare il mentalizing: basandosi sull’analogia fra un bambino stesso ed uno scienziato, essi sostengono che la psicologia di senso comune, così come qualsiasi teoria scientifica non permette solo un mero immagazzinamento di informazioni, ma mette nella condizione, chi ne fruisce, di elaborare, a sua volta, spiegazioni generali dei macrofenomeni osservati. Tale passaggio, però, sarebbe possibile solo grazie alla postulazione di regolarità non direttamente osservabili, ma ipotizzabili proprio grazie alle generalizzazioni teoriche condivise dalla teoria scientifica o, in questo caso, dalla folk psychology adottata; tenendo ben presente che le stesse teorie scientifiche sono sottoposte a cambiamenti per integrare quelle anomalie altrimenti ignorate, gli stessi paradigmi concettuali vanno incontro a parziali mutamenti, integrazioni o, come ci dice Kuhn, ad abbandoni progressivi.
Per descrivere, allora, lo sviluppo psico-motorio osservabile nei bambini, secondo i Child- Scientist della TT, lo scienziato dovrà, necessariamente, ricorrere ad un incremento di osservazioni via via sempre più complesso per il fine propostosi; in tal caso, nello studio dello sviluppo cognitivo dei bambini dai tre ai cinque anni, egli, necessariamente, ricorrerà a fasi prestabilite, postulate come tali dall’insieme di conoscenze acquisite dalla teoria e dall’osservazione. Succederà, allora, ad una fase di “psicologia del desiderio”, una “psicologia intermedia del desiderio-credenza” ed una “psicologia
132 DAVIES STONE, The mental simulation debate: a progress report, in PETER CARRUTHERS E PETER K. SMITH (A CURA DI), “Theories of Theories of Mind”, Cambridge University Press, Cambridge, 1996, p. 121.
133 Cfr. ALISON GOPNIK E ANDREW N. MELTZOFF, Words, Thoughts and Theories, Mit Press, Massachusetts, 1997.
89 del desiderio-credenza”134, in cui la forza motrice del cambiamento in questo modello sarà
data dalla forza dell’apprendimento progressivo che il bambino compie durante gli anni considerati. Secondo i teorici modulari della TT135, i cambiamenti concettuali protagonisti di
queste tappe non deriverebbero da un continuo sviluppo delle capacità cognitive, ma dall’acquisizione sempre più ricca del mondo che circonda il minore; essi mettono in evidenza l’esistenza di un progressivo sviluppo del bambino più o meno sempre uguale, poiché standard sarebbero le modalità di accrescimento delle conoscenze teoriche della folk psychology in cui si relazionerebbe il bambino stesso. In questo contesto, perciò, il passaggio ad una fase successiva deriverebbe, secondo la TT esterna, da una rivisitazione del corpus acquisito in maniera più profonda e più sofisticata, mentre per i teorici modulari alla base del cambiamento vi sarebbe un’interazione fra diversi moduli cognitivi, coinvolti nel processo di mentalizing. Per usare l’impianto teorico di Baron-Cohen, ad esempio, un bambino riuscirebbe ad attribuire desideri e volizioni ai suoi simili attraverso la funzionalità del modulo ID e SAM, responsabili degli stadi epistemici della mente. Stando alla sua posizione, infatti, le capacità di “lettura della mente” dipenderebbero da quattro distinti sottosistemi modulari: il riconoscimento dell’intenzionalità (ID, Intentionlity Detector); il riconoscimento della direzione dello sguardo (EDD, Eye Detection Detector); il meccanismo dell’attenzione condivisa (SAM, Shared Attention Mechanism); il modulo della teoria della mente (ToMM, Theory of Mind Model)136.
Secondo gli ultimi scritti di Leslie, il modulo ToMM avrebbe, principalmente, la funzione di accumulare una molteplicità di concetti sugli stati mentali che contribuirebbero, poi, alla formazione delle “metarappresentazioni sull’agente”, ossia su possibili spiegazioni del “mondo vissuto” dall’altro137. Sebbene Leslie sia riconosciuto come un teorico della TT,
sembrerebbe, a detta di molti, che negli ultimi anni abbia in parte rimodulato le sue convinzioni; poiché, ad esempio, la specificazione che il modulo ToMM non abbia ruoli causali nella formazione dell’attribuzione intenzionale all’altro significherebbe già un distacco dalla concezione modulare funzionalista della TT. Al di là delle differenze interpretative all’interno dello status della natura esterna della TT, con le parole stesse di Ian M. Ravenscroft se ne potrebbe dare una generica definizione come segue:
134 Cfr. KEIN BARTSCH E HENRY M. WELLMAN, Children Talk about the Mind, Oxford University Press, Oxford, 1995.
135 Cfr. SIMON BARON-COHEN, Mindblindness: An Assay on Autism and Theory on Mind, MIT Press, Massachusetts, 1995.
136 IDEM.
137 ALAN M. LESLIE, How to acquire a representational theory of mind, in DAN SPERBER (A CURA DI), “Metarepresentations: A Multidisciplinary Perspective”, Oxford university Press, Oxford, 2000, pp. 197-224.
90 [The “external” concept of folk psychology is, n.d.r.] a theory of mind implicit in our everyday talk about mental states. In the every day traffic of our lives we make remarks linking sensory experiences to mental states; mental states to other mental states; and mental states to behavior. Thus we remark that the smell of freshly baked bread made Sally feel hungry; that Sally wanted to go on diet because she thought that she was overweight; and that Sally went to the fridge because she desired a piece of chocolate cake […]138.
Se, quindi, quanto appena detto si riferisce alla versione “esternalista” della TT, altro discorso lo si deve ai teorici interni della TT, secondo i quali la capacità di “mentalizzazione” deriverebbe da capacità cognitive proprie dell’agente, che, coadiuvate dal corpus conoscitivo della folk psychology, conferirebbe uno stato volitivo all’altro da sé.
Le linee di ricerca di questa particolare versione della TT si potrebbero schematizzare in quattro generici punti che forniscono il senso della differenza interpretativa tra i due approcci; essi, seppur con delle differenze, condividono il nucleo centrale dell’impianto teorico; ossia l’uso di concetti della folk psychology per riuscire nella risoluzione del problema dell’attribuzione.
Per una maggiore esplicitazione del problema si è ritenuto di riassumerli come segue:
a. I teorici della TT interni, a differenza della variante esterna, non sono interessati a fornire una particolare rappresentazione mentale (si ricordi, ad esempio, lo stesso Baron-Cohen), poiché centrale diviene il modo in cui la folk psychology è “rappresentata” nel linguaggio del pensiero o da una rete di connessioni concettuali che, attraverso l’ausilio delle capacità cognitive dell’agente, conferisce un senso ed un significato all’altro da sé139.
Come è facile intuire, tale posizione solleva il classico problema di come sia possibile una teoria “interna” di tali rappresentazioni mentali: si torna, cioè, all’interrogativo cartesiano su come sia possibile, per una materia, pensare, considerando, inoltre, che i recenti sviluppi neuroscientifici pongono ulteriori problemi sul modo in cui un neurone (per semplificare) possa rispondere concettualmente ad uno stimolo esterno attraverso una rete sinaptica.
138 IAN M. RAVENSCROFT, Folk Psychology as a Theory, in “Standford Encyclopedia of Philosophy”, consultabile al seguente indirizzo internet:
https://stanford.library.sydney.edu.au/archives/spr2010/entries/folkpsych-theory/ .
139 STEPHEN STITCH E SHAUN NICHOLS, Folk Psychology: simulation or tacit theory?, in “Mind and Language”, n. 7, pp. 35-71;
91 Gareth Evans, a tal proposito, ha suggerito che posti di fronte ad un sistema cognitivo S che emette X ogni qualvolta ha un certo input “X&Y”, il cui problema è quello di stabilire in quali condizioni il sistema risponda come output “&-eliminazione” per cui rimarrebbe solo X; una possibilità sarebbe quella di ipotizzare che il sistema S possieda una rappresentazione dell’output; in tal modo, tutte le volte che fosse sollecitato da “X&Y”, applicando la regola “&-eliminazione” si avrebbe X140. Tale proposta, però, genera non poche perplessità quando
si parla di “concetti mentali.
Ad oggi, è ancora inimmaginabile riuscire a catalogare con determinati input e relativi output la materia cerebrale: dove si troverebbe, infatti, il “ricordo” o la “rappresentazione” di cui Evans parla? È vero sì che la moderna farmaceutica è in grado, grazie a dei beta-bloccanti, di inibire la formazione del ricordo se ingeriti entro sei ore dall’evento (pratica tuttora in uso negli ospedali statunitensi per pazienti ricoverati per gravi, gravissimi traumi vissuti o subiti141), ma è pur vero che progressi sulla “localizzazione cerebrale” per ciò che concerne il
pensiero astratto, è ancora in itinere (confidando che, un giorno, il cervello riuscirà a capire se stesso).
b. I teorici della TT interna non rifuggono all’idea che la folk psychology possa essere appresa quale contenuto concettuale che solo da quel momento in poi potrà coadiuvare le capacità cognitive per la relativa “lettura della mente”.
Il problema centrale per ciò che concerne questo aspetto è proprio la natura stessa della folk psychology: alcuni autori, infatti, sostengono che essa sia in gran parte innata e che, seguendo Fodor, l’uomo abbia un particolare modulo cerebrale predisposto alla sua acquisizione. Data la particolare assonanza del tema con quello relativo al nativismo della psicolinguistica, non sono mancati confronti e parallelismi sul tema: tanto i primi quanto i secondi, infatti, ricorrendo alla teoria darwiniana, sostengono che sia la “mentalizzazione” sia il “linguaggio” siano predisposizioni evolutive frutto della selezione naturale. Esulando dalle critiche avanzate alla possibile eredità ambientale e genetica della psicolinguistica, un dubbio sollevato ai teorici della TT interna è stato quello della “povertà di argomentazione”: come è possibile, si chiede, che un bambino nella prima infanzia (0-3 anni) possa essere esposto ad un ambiente talmente ricco di varietà comportamentali tale che possa acquisire parte dei concetti della folk psychology? Sembrerebbe, cioè, poco plausibile sostenere che, data la giovanissima età, un minore possa avere già una teoria morale nel senso di comportamentale completa
140 Cfr. GARETH EVANS, Semantic Theory and Tacit Knowedge, in SAM HOLTZMAN E CHRISTOPHER M.. LEICH (a cura di), “Wittgenstein: To Follow a Rule”, Routledge & Kegan Paul, Londra, 1981.
92 dell’uomo. Alvin Gopnik, Henry Wellman, Andrew Meltzoff e molti altri hanno tentato di fornire una risposta, ipotizzando il modello in termini di “sviluppo della teoria” nello stesso modo in cui Fodor ha sostenuto che il modulo predisposto all’acquisizione della folk psychology rifletterebbe le classiche fasi di sviluppo delle capacità cognitive142.
c. Un aspetto problematico cui incorrono i teorici della TT interna è come spiegare l’autismo.
Se fosse vero che la folk psychology avesse una natura innata, si dovrebbe spiegare il motivo per cui bambini autistici, sottoposti a test per la capacità di mentalizzazione, non risponderebbero con dei risultati più o meno soddisfacenti in linea con le predizioni (viste le difficoltà stesse che l’autismo comporta). Stando ai dati raccolti, secondo i teorici della TT interna, a tali bambini mancherebbe la capacità stessa di utilizzare la folk psychology143 o, di
contro, potrebbero essere l’evidenza che il costrutto teorico su cui si basano le medesime ricerche sia sbagliato. In un caso o in un altro, gli studi in questo filone stanno proseguendo anche grazie alle continue scoperte neuroscientifiche che, ricordiamo, sono ancora ben lontano dal “presentare al mondo” l’organo più complesso senza più segreti.
d. I nuovi sviluppi della TT interna sembra stiano giungendo dall’incontro di due discipline: la filosofia e la psicologia sociale.
Barbara von Eckard, psicologa sociale, sostiene, ad esempio, che l’ambito di questo particolare indirizzo psicologico non si esaurisca al solo studio “dell’uomo in società”, ma inerisca anche particolari aspetti della stessa filosofia nelle sue tematiche della folk psychology, TT interna. Secondo la studiosa, il giudicare gli altri, quindi farne oggetto prima di mentalizzazione e dopo di oggetto di valutazioni proprie, potrebbe essere il sintomo di poca astuzia intellettiva da parte del giudicante e di relativa poca stima da attribuire a se stesso. Ciò comporterebbe, per i teorici della TT interna, che esempi del genere (con sofisticazioni e peculiarità che lasceremo scoprire al lettore) potrebbero essere un segno che qualcosa nella folk psychology innata “non abbia funzionato”144.
Il filone intrapreso è solo all’inizio, ma promette per il futuro allettanti dati di indagine.
142 Se tali risposte siano convincenti, persuasive o manchevoli non spetta a noi, in questa sede, dirlo, ma ciò che, invece, ci è doveroso segnalare è la loro stessa esistenza per l’ipotetico lettore.
143 SIMON BARON-COHEN, ALAN LESLIE ED UTA FRITH, Does the Autistic Child have a ‘Theory of Mind, in “ Cognition”, n. 21, 1985, pp. 37-46.
144 Cfr. BARBARA VON ECKARD, (1997) The Empirical Naivete of the Current Philosophical Conception of Folk Psychology, in MARTIN CARRIER E PETER MACHAMER (A CURA DI), “Mindscapes”, University of Pittsburgh Press). Pittsburgh, 1997.
93 Da come si evince e da quanto era stato predetto, il quadro teorico della TT è decisamente controverso e multisfaccettato, ma non lo è di meno quello opposto: la Simulation Theory (d’ora in poi “ST”); il quale, riportando il discorso ad un piano prettamente storico, si potrebbe far risalire a Lipps ed al suo famosissimo esempio della visione del funambolo. Una considerazione, però, prima di passare ad illustrare l’altro complesso mondo della ST, sembrerebbe d’obbligo. Si è aperta questa sezione, cercando di illustrare, brevemente, ma (speriamo) con efficacia argomentativa, il modo in cui il concetto di empatia si è “trasformato” negli ultimi cinquanta anni per spiegare i motivi, le ragioni per cui, oggi, nel dibattito attuale si parla di empatia cognitiva. È stata definita co-cognition, empatia ricostruttiva…ma il punto su cui vorremmo soffermarci è il seguente: nel discorso in itinere, dalla TT alla ST, dalla folk psychology al mindreading, che fine ha fatto l’empatia?
Nella TT in generale essa diviene uno “strumento” prima esterno all’agente per attribuire stati intenzionali all’altro, poi, in qualche modo, interno all’osservatore che, coadiuvato dall’insieme di conoscenze o di ovvietà della folk psychology, torna all’interno del soggetto per svolgere il suo ruolo canonico. È, certamente, una esemplificazione, ma è stato un passaggio esplicativo necessario per non perdere di vista quel filo rosso che si sta cercando di tracciare con questo studio. Considerazioni, che si promette di approfondire nelle Conclusioni, in cui si cercherà di sollevare un dubbio sulla natura stessa dell’empatia nella sua accezione cognitiva.
Se, allora, il passaggio dell’empathy nella TT è stato dall’esterno all’interno, seppur, in quest’ultimo caso, mediata in primis da concetti e rappresentazioni, il quadro teorico che sostiene che essa sia solo ed esclusivamente derivante da specifici meccanismi cerebrali è quello relativo alla ST.