• Non ci sono risultati.

Verso un nuovo approccio al libero arbitrio?

7.1 Fra “certezze” ed “incertezze”: una soluzione impossibile?

Si è più volte avuto modo di ricordare nel percorso fin qui tracciato, che l’utilizzo e l’incremento delle nuove tecnologie sul cervello sono divenute complementari al discorso etico (la neuroetica, ne costituisce un esempio), ma, come in ogni nuovo “giocattolo” a disposizione dello scienziato, in queste tappe iniziali le sue regole di utilizzo sono ancora in fase di messa a punto; su questa scia si colloca la critica di Nahmias e dei tanti come lui che sostengono la medesima posizione, richiamando all’attenzione non tanto la legittimità dei mezzi utilizzati sull’uomo, ma, in sede di dibattito sull’effettiva o sull’illusoria esistenza del libero arbitrio, sul modo in cui i dati forniti dalla stessa Scienza vengono interpretati.

Il problema (e qui si ritorna agli esordi) è la traslitterazione di competenze che ha investito ogni figura professionale della società contemporanea in cui, ahimè, capita (come fosse un diritto) che un neuroscienziato si convinca che possa, anche, essere filosofo, relegando quest’ultimo, come fosse obsoleto, a rimanere “seduto in poltrona”, alla stregua di un vecchio ed arcaico strumento oramai non più utile. Il discorso si aprirebbe a riflessioni diverse e discordanti se si potesse, in questa sede, porre l’accento sulla legittimità del binomio

utilità = valore morale

non, però, sulle riflessioni già condotte da Mill o da Bentham, ma sulla scia di quelle tracciate dalla Scuola di Francoforte (Adorno, Benjamin, Marcuse…) in cui, sostanzialmente, la società

199 del falso bisogno ingloba in un vortice senza fine i tempi del pensiero, perché non a passo con la velocità del finto “progresso”. Il quale corre; corre senza sapere dove voglia giungere. È su questa scia, allora, che oggi – forse più di qualsiasi altra era vissuta dall’uomo – si pone la reale urgenza che la Filosofia debba “restare in poltrona”, interpretando tale espressione non come una diminutio, ma come l’unica ricchezza, unica speranza per l’umanità; affinché ritrovi il lume della ragione.

Non deve stupire che tale discorso investi anche aspetti, forse, più specifici della cultura, quale la presunta o veritiera esistenza del free will, poiché ciò che accade è che in tale confusione di competenze e di ruoli la “Scienza” si arroghi il diritto di capire e non di constatare; in quest’ottica si debbono leggere i numerosi tentativi di fornire una risposta neuroscientifica al problema in oggetto, alimentando posizioni come quella di psicologi come Jonathan Bargh, il quale sostiene che:

The phenomenological feeling of free will is very real [… ] but this strong feeling is an illusion340;

oppure del neuroscienziato John-Dylan Haynes, il quale scrive che dai dati ricavati dalla fMRI,

[t]here’s not very much space for operation of free will. The outcome of a decisions shaped very strongly by brain activity much earlier than the point in time when you feel to be making a decision341.

Uno dei problemi che si pone sulla divulgazione di posizioni come questa è che tali dichiarazioni possono avere un impatto significativo, sia nell’ambito giuridico sia sul singolo aspetto cognitivo –identitario di qualsiasi agente –, poiché il modo in cui i mass-media o la stessa Scienza presentano le loro convinzioni non è adeguato alla comprensione del problema. È, perciò, importante, sostiene Nahmias, preso a simbolo di una corrente di pensiero che rivendica, legittimamente, il ritorno ed il ripristino del rispetto delle proprie competenze, considerare le nuove scoperte in un’ottica mediata dal buon senso, dalla ragionevolezza e, soprattutto, da attente riflessioni. Titoli di giornale del tipo:

340 JONATHAN BARGH, Free will is un-natural in JOHN BAER, JAMES KAUFMANN AND ROY BAUMEINSTER (A CURA DI), Are we free? Psychology and Free Will, in”Internationa Journal of Philosophical Studies”, 20 (5), pp. 725-734.

200 Free will is not the defining features of humaness, modern neuroscience implies, buti s rather an illusion that endures only because biochhemical complexity conceals the mechanisms of decion making342;

oppure

And since all behavior is caused by our brains, wouldn’t this mean all behaviorcould

potentially be excused?343

non fanno che incentivare false convinzioni sull’effettiva illusorietà del libero arbitrio, alimentando scetticismi e discorsi viziati dalle premesse, che non hanno alcuna corrispondenza con ciò che, attualmente, si è appreso, dando luogo (aspetto più pericoloso), oltre che a derive nichiliste, a comportamenti ai limiti della legalità; poiché gli agenti vengono indotti a credere all’inesistenza della libertà e, di conseguenza – per molti – alla propria responsabilità morale.

Da un punto di vista etico, il punctum dolens si attornia sul dilemma se sia possibile compensare e preservare la metafisica della scelta con il determinismo; non a caso sono nate diverse correnti all’interno del determinism, che, come visto, tentano di conciliare la rigida necessitazione causale con il “libero” volere dell’uomo. La critica/constatazione che Nahmias rivolge ad un certo panorama culturale attuale riguardo la Scienza e l’interpretazione che essa offre dei dati da lei stessa ricavati, si concentra su un errore concettuale di fondo; non si tratta, come detto, di una superficialità sistemica nell’affrontare riflessioni “care alla filosofia”, ma dell’impostazione metodologica.

In genere, il problema sull’esistenza del free will è la presunta verità del determinismo per cui gli scienziati (sulla via di Libet, Soon et alii) stanno tentando di “dimostrare al mondo” che se sussiste una causazione sinaptica non può derivarne la “libertà di volere” dell’agente stesso, risultato di cause ed effetti al di fuori del suo controllo; l’Io, in altri termini, si troverebbe a “subire” ciò che “il cervello” (qualsiasi ente o insieme di funzioni denoti tale termine) compie.

È difficile, infatti, trovare un verbo che possa spiegare un’attività indipendente del brain senza rischiare di cadere in posizioni o troppo radicali o troppo “ingenue”; perché è altrettanto

342 Cfr. la Rivista SCIENCENOW, edizione del 12 giugno 2007.

Documenti correlati