CAPITOLO 2 L’ENEL E LE AZIENDE MUNICIPALIZZATE DAL 1962 AL 1992
4. FONTI ENERGETICHE E CENTRALI ELETTRICHE
Vediamo ora quali erano le fonti energetiche e come erano utilizzate dall’ENEL.
Sostanzialmente, come ben evidenzia Giuseppe Lanzavecchia in un suo saggio, la storia dell’energia degli ultimi cinquant’anni è riassumibile in una serie di paradigmi, ciascuno dei quali rispecchia la cultura, l’economia e la tecnologia di quel determinato periodo78.
Il primo paradigma coincide con il decennio 1963-1973, in sostanza dalla nascita dell’ENEL fino alla prima crisi petrolifera. Tale paradigma risultò essere la coda di quello nato con la Rivoluzione Industriale, senza grosse variazioni. Infatti ciò a cui si puntava ancora maggiormente, seppur in misura minore rispetto ad altre aree economiche, era la crescita delle dimensioni degli impianti, ciò dovuto anche al basso costo delle materie prime per la produzione di energia.
Il secondo paradigma nacque in seguito alla crisi energetica e durò circa un decennio. In questo periodo di transizione le società occidentali divennero più flessibili, arrivando a privilegiare la qualità rispetto alla quantità nelle loro economie. Tutto ciò ebbe ricadute pure nel settore energetico ed elettrico, in cui alcune scelte del passato vennero consolidate mentre i governi elaborarono delle politiche nazionali ed internazionali più organiche volte ad utilizzare al meglio le nuove tecnologie. Queste dovevano rispondere alle esigenze di efficienza, affidabilità e versatilità richieste dalla nuova congiuntura economica. La sfida risultò complessa ma non impossibile, ciò a causa della straordinaria caratteristica dell’elettricità di essere ottenibile tramite qualsivoglia fonte energetica, dai combustibili fossili alle maree, dall’uranio al Sole.
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Il terzo paradigma corrisponde agli anni Ottanta e i primi anni Novanta e trova pieno compimento ai giorni nostri. In tali decenni le politiche energetiche nazionali hanno sviluppato una coscienza non solo economica ma pure socio-ambientale e ciò ha avuto riflesso anche nell’evoluzione tecnologica. Le nuove fonti energetiche devono risultare sia il meno inquinanti possibili che estremamente produttive. Per questo si ha sempre più una scientifizzazione della tecnologia, cioè quest’ultima è generata sempre più su basi scientifiche.
Quali furono le maggiori fonti energetiche impiegate dall’ENEL per la produzione di elettricità? In primo luogo, la più usata, per lungo tempo, fu l’energia idroelettrica.
Abbiamo già parlato diffusamente nel primo capitolo di tale forma di energia. Se inizialmente gli impianti idroelettrici erano opere rudimentali, spesso utilizzate per l’autoproduzione di energia elettrica, in seguito le installazioni divennero più monumentali, con la costruzione di dighe e di bacini artificiali che, ancora oggi, convogliano l’acqua attraverso delle condotte forzate sulle turbine. L’alternatore collegato ad esse genera corrente elettrica ad alta intensità (calcolata in Watt), abbassata infine da un trasformatore che aumenta viceversa la tensione (calcolata in Volt). Più è la tensione, maggiore è la distanza in cui può essere distribuita l’energia elettrica, disponendo ovviamente di cavi adeguati per la trasmissione.
I primi impianti idroelettrici si trovavano in zone montuose. Tuttavia, con i miglioramenti tecnologici, si è ora in grado di produrre elettricità da piccoli salti d’acqua.
Fra gli anni ’60 e ’80 l’ENEL realizzò vari impianti idroelettrici, i maggiori dei quali furono San Fiorano, dalla potenza di 568 MW, Edolo, dalla potenza di 1000 MW, Luigi Einaudi, che dispone di una potenza di 1065 MW, ed infine la Domenico Cimarosa, centrale idroelettrica che vanta una potenza di 1000 MW79.
La seconda grande fonte di energia per produrre elettricità è costituita dai combustibili fossili. Il problema maggiore nell’impiego di tale tecnologia è costituito dal fabbisogno di materie prime, carenti in Italia, almeno ad inizio Novecento. Fu solo in seguito, con il deprezzamento di carbone e gas, e con l’edificazione di nuove e più ramificate infrastrutture che divenne conveniente pure costruire centrali di tipo termoelettrico.
Fino agli anni ’60 circa, il metodo convenzionale per la produzione di energia elettrica tramite combustibili fossili si basava sulla combustione del carbone. Una centrale di tale tipo sfrutta il gas ad
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alta temperatura generato in tale processo per far evaporare l’acqua contenuta in una caldaia. Il vapore così prodotto aziona una turbina, collegata ad un alternatore, in modo simile a quanto visto negli impianti idroelettrici.
In una centrale termoelettrica convenzionale di questo tipo, solo il 38% dell’energia termica generata viene effettivamente convertita in energia elettrica. Il vapore può essere in parte raffreddato e recuperato come acqua.
Fra anni ’60 e ’70 entrarono in uso delle centrali a cogenerazione, le quali producevano contemporaneamente elettricità e calore, con una conseguente diminuzione della perdita di energia. Già nel 1973, in Italia, la potenza installata di cogenerazione era di 5.500 MW.
Infine, negli anni ’80, si affermarono, per opera dell’ENEL, le nuove centrali a ciclo combinato. Esse agiscono con due tipi di impianti, uno con una turbina a gas ed un altro con turbina a vapore. In tale processo, l’efficienza arriva al 58,5%, con l’uso di gasolio o gas naturale (gli indici sono leggermente minori se si utilizza carbone).
Se si osserva la potenza degli impianti termoelettrici, si può notare come la potenza da essi generata è di gran lunga superiore a quelli idroelettrici. Fra le maggiori centrali costruite o rilevate dall’ENEL fra gli anni ’60 e i primi anni Novanta vi è la Eugenio Montale, a La Spezia, di proprietà inizialmente dell’Edison-Volta, inaugurata nel 1962. Dapprima ad olio combustibile, fu poi trasformata in centrale a carbone e successivamente a ciclo combinato e possiede una potenza di 600 MW. Negli anni ’70 fu realizzata la centrale di Rossano, in Calabria, la quale sfrutta il gas naturale come fonte combustibile. La sua potenza risulta essere di circa 1700 MW. Fra il 1991 ed il 1993 fu costruita l’impressionante centrale Federico II a Brindisi, della potenza di 2.640 MW. Nella classifica uscita nel 2014, il WWF ha classificato la Federico II al poco invidiabile nono posto fra le maggiori centrali inquinanti in Europa (il primo posto spetta alla centrale Belchatow, in Polonia, con una potenza di 5298 MW)80. In Veneto vi sono tre centrali termoelettriche appartenenti all’ENEL: la Andrea Palladio e a Porto Marghera in provincia di Venezia, a Porto Tolle in provincia di Rovigo. Di Porto Marghera abbiamo già analizzato l’ideazione negli anni ’20 per opera del Conte di Misurata, Giuseppe Volpi e della SADE. La centrale come la si conosce oggi è degli anni ’50 e sviluppa una potenza di 140 MW. Negli ultimi anni l’impianto è stato dotato di nuovi e maggiori sistemi anti-inquinamento.
L’ Andrea Palladio fu costruita in diverse fasi fra gli anni ’60 e i primi anni ’90. Anch’essa ha subito opere di restauro in funzione ambientale negli ultimi anni e genera una potenza di 976 MW.
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La centrale termoelettrica di Porto Tolle, edificata fra il 1980 ed il 1984, sviluppa una potenza totale di 2.640 MW ed è una delle più imponenti a livello nazionale, a pari merito con la Federico II e dopo la centrale termoelettrica Alessandro Volta nel Lazio (cfr. par.5).
È interessante notare come già negli anni ’60 fossero previste misure per il rilevamento chimico dei materiali nocivi potenzialmente emessi da una centrale termoelettrica, come anidride solforosa, idrogeno solforato, biossido di azoto, cloro, monossido di carbonio, piombo81.
Nella seconda metà degli anni ’80, poi, si era consapevoli dei rischi connessi ad un uso eccessivo delle centrali termoelettriche, fra cui il rischio d’accumulo di anidride carbonica nel Pianeta, il cosiddetto “effetto serra”. In un questionario del 1987, il primo problema non era particolarmente tenuto in considerazione, mentre come possibile antidoto per la seconda questione non veniva proposta alcuna soluzione nell’immediato, se non l’aumento di centrali ad energia rinnovabile o nucleare con una conseguente diminuzione della “potenza di fuoco” dell’umanità82.
Del 1904 è il primo centro di produzione di energia elettrica geotermica al mondo, costruita a Larderello, in provincia di Pisa, in un’area in cui sono presenti i cosiddetti soffioni, cioè emissioni di vapore ad alta pressione dalle fenditure del suolo. Autore di tale iniziativa fu il politico ed imprenditore Piero Ginori Conti (1865-1939), principe di Trevignano.
L’energia geotermica, al giorno d’oggi, sfrutta sia il flusso termico proveniente dal nucleo terrestre ad altissima temperatura che il decadimento di isotopi radioattivi presenti nel “mantello” della Terra. Il calore prodotto da tali isotopi scalda dei fluidi, generalmente si tratta di acqua, situati ad una profondità varia fra 60 e 3000 metri di profondità, che evaporano. Il vapore viene convogliato tramite vaporodotti verso una turbina, la quale, accoppiata ad un generatore produce energia elettrica (in modo analogo a quanto visto per l’energia idroelettrica e termoelettrica). Il vapore, terminata la sua funzione, viene raccolto in un condensatore, trasformato in acqua e reiniettato nel sottosuolo. Essenziale che il ciclo si ripeta e non permettere che la falda di questo sistema detto idrotermale si prosciughi. In caso contrario si rischierebbero dissesti idrogeologici. In casi normali è la pioggia a garantire il ricambio d’acqua.
L’energia geotermica è da considerare effettivamente inesauribile.
Ereditata la zona dopo la sua costituzione, l’ENEL ampliò e modernizzò ulteriormente le strutture di Larderello, che già negli anni ’30 erano state sviluppate. Al giorno d’oggi, Larderello è una delle più
81 Borgese-Giovanardi-Pagliari, Rilievi della diffusione atmosferica per il progetto delle ciminiere di grandi centrali
termoelettriche, pp.660, 661.