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CAPITOLO 2 L’ENEL E LE AZIENDE MUNICIPALIZZATE DAL 1962 AL 1992

5. LA QUESTIONE NUCLEARE

grandi centrali geotermiche del mondo, con una potenza di 769 MW e fornisce elettricità a circa 8 milioni di italiani.

Rispettosa dell’ambiente è l’energia ottenuta da biomasse. Essa sfrutta la combustione di scarti agricoli o urbani, nonché le deiezioni di animali. L’energia luminosa, attraverso la fotosintesi clorofilliana viene trasformata in energia chimica ed immagazzinata nelle molecole organiche. L’anidride carbonica prodotta da tale combustione è nuovamente assorbita dalle piante con una nuova fotosintesi.

L’ENEL avviò la costruzione di una centrale a biomasse in provincia di Cosenza nel 1962. La centrale del Mercure, così chiamata, sfruttava inizialmente lignite, per una potenza complessiva di 150 MW. Successivamente venne adibita all’uso di olio combustibile, chiusa nel 1997 per ragioni tecnico-economiche e riaperta dopo un iter legislativo iniziato nel 2000, è oggi una moderna centrale a biomasse che utilizza il legno prodotto dalla manutenzione del Parco del Pollino ed altri sottoprodotti agricoli. La sua potenza è adesso di 35 MW, poiché la ristrutturazione interessò solo un’unità operativa su due, a sua volta depotenziata da un’iniziale 75 MW.

5. LA QUESTIONE NUCLEARE

Nella notte del 26 aprile 1986, la centrale nucleare Lenin, situata in Ucraina settentrionale, a 18 km dalla cittadina di Cernobyl', fu protagonista del più famoso disastro nucleare della storia. La nube radioattiva, sprigionatasi dal reattore 4, ricadde su un’area enorme, dall’Europa Orientale alla Scandinavia, dall’Europa occidentale alla costa orientale americana. Era già avvenuto un incidente atomico prima di questa data, il 28 marzo 1978, a Three Mile Island, in Pennsylvania, ma la portata della catastrofe non fu nemmeno paragonabile. Un anno e mezzo più tardi, fra l’8 ed il 9 novembre 1987, si tenne in Italia il cosiddetto referendum per il “nucleare”, composto di tre quesiti. I primi due riguardavano propriamente la localizzazione delle centrali nucleari, in base a quanto enunciato dalla legge n.8 del 10 gennaio 1983. In particolare, si definiva la possibilità per il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) di decidere sulla localizzazione degli impianti elettronucleari nel caso in cui gli enti locali non fossero riusciti ad esprimere un proprio parere entro un tempo stabilito. Inoltre, nella medesima legge, si concedevano contributi a favore di Comuni o Regioni sedi di centrali atomiche.83 Il terzo quesito faceva riferimento alla legge n.856 del 18 dicembre 1973, che modificava il comma settimo dell’articolo 1 della legge 1643 del 6 dicembre

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1962 con cui si sanciva la nascita dell’ENEL. In base alla legge n.856, l’ENEL poteva partecipare alla costruzione di centrali elettronucleari all’estero nonché ricevere energia elettrica da impianti atomici presenti in territorio non italiano. I tre quesiti del referendum del 1987 chiedevano l’abrogazione, quindi, delle due norme sul nucleare della legge n.8 e della possibilità dell’ENEL di contribuire all’edificazione di centrali nucleari estere. Non, cosa importante, di importare energia elettrica prodotta da centrali nucleari all’estero. Ma quale era stato il percorso dell’Italia lungo il cammino che l’aveva portata ad abbracciare il nucleare?

Mentre il primo grande progetto per estendere la tecnologia civile del nucleare iniziò con il Congresso

Atoms for Peace tenutosi a Ginevra nel 1955 per volere del presidente americano Eisenhower84, la storia del nucleare italiano può essere fatta risalire al 1946 quando aveva visto la luce, nel dicembre, il CISE (Centro Informazioni Studi Esperienze), primo vero istituto per la ricerca nucleare, il quale era nato per volontà di gruppi privati, in primo luogo l’Edison che, in seguito, promosse la collaborazione con Fiat, SADE, Montecatini e Cogne, e al cui vertice vi era il professor Giuseppe Bolla ed altri elementi di spicco della fisica nucleare italiana.

Solo nel 1952 il Governo iniziò ad occuparsi di energia nucleare, quando, il 26 giugno, fu istituito il Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN). Il CNRN aveva rapporti con il Ministero dell’Industria ma poteva pure essere definito come un comitato di consulenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

I rapporti fra CISE e CNRN furono fin da subito assai conflittuali, poiché l’organo pubblico tendeva a voler allungare la sua longa manus pure su quello privato, visto come una sorta di braccio operativo. Il CISE fu alla fine costretto a cedere la metà delle sue azioni ad aziende pubbliche. Altro punto di conflitto fu l’approccio verso la materia nucleare. Il CISE avrebbe preferito arrivare in modo progressivo ed autonomo ai risultati, mentre il CNRN era più ansioso di acquisire la tecnologia americana, bruciando le tappe. Alla fine a prevalere fu la seconda opzione. Ciò ebbe ricadute notevoli sulla preparazione tecnica: gli scienziati italiani, con i loro continui balzi in avanti, non avrebbero interiorizzato quel cammino di ricerca che era stato proprio del primi Paesi nucleari.

Nel 1955 l’ingegnere Vittorio De Biasi, nella rivista “L’Energia Elettrica”, sosteneva che, dati i costi dell’acquisto di impianti nucleari stranieri, insostenibili per il Paese, le aziende manifatturiere locali

84 Atomi per la pace si svolse nell’agosto del 1955 nella città svizzera. Per tale occasione venne realizzato un mini-reattore

nucleare che suscitò l’interesse dello stesso Eisenhower e di altre 65.000 persone. Atomi per la pace fu un vero successo e il primo tentativo di rendere pacifico ed aperto a tutti i Paesi l’impiego dell’energia atomica.

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dovessero contribuire alla costruzione delle centrali85. L’ingegnere Giorgio Valerio, invece, sullo stesso numero della medesima rivista, sosteneva la necessità che l’Italia avviasse un programma pianificato nucleare, in primo luogo con l’avvio, tramite il CNRN, di un reattore nucleare di prova che sarebbe dovuto essere gestito dal CISE, e di alcuni impianti nucleotermoelettrici86 Il 21 settembre 1959 il CNRN cambiò il suo nome in Comitato nazionale per l’energia nucleare (CNEN). Nel luglio dello stesso anno era stato realizzato il primo laboratorio per la ricerca sul nucleare ad Ispra, in provincia di Varese, il quale tuttavia era stato ceduto prima ancora di entrare in funzione, all’EURATOM (Comunità europea dell’energia atomica)87, con una decisione che fece molto discutere. Il centro del CNEN fu quindi trasferito e costruito ex novo in una fattoria a nord-ovest di Roma, la Casaccia. Il CNEN, nel quadriennio 1959-1963 passò da qualche decina a oltre tremila dipendenti.

Inizialmente la ricerca italiana si sviluppò ad ampio raggio, basando i suoi studi sui più svariati tipi di reattore, anche i più stravaganti, con un conseguente consumo enorme di risorse e denaro. Con il tempo, tuttavia, i tecnici del Bel Paese divennero più competenti ed acquisirono una certa esperienza. La politica nucleare governativa fu, quindi, chiaramente svincolata da quella industriale.

Per l’approvvigionamento della materia prima, cioè l’uranio, ci si affidò a due istituzioni pubbliche, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi). Ciò comportò, prevedibilmente, a conflitti fra tali organi che spesso agivano senza coordinamento fra di loro, a volte addirittura in conflitto. I primi anni del CNEN furono anche segnati da turbolenze interne, in particolare, nel 1963, il professore Felice Ippolito, suo segretario, nonché promotore, venne processato per piccoli illeciti amministrativi. La vicenda ebbe origine quando Ippolito fu nominato anche membro del Consiglio di Amministrazione dell’appena costituito ENEL. Invitato alle dimissioni dal suo incarico nel CNEN, rifiutò, scatenando una violenta campagna di stampa contro di lui e la stessa energia nucleare. Incriminato, come abbiamo visto, per reati minori, fu giudicato colpevole e condannato a sette anni, perdendo entrambe le cariche. Il CNEN uscì parecchio provato da tale vicenda ed il suo ruolo nella ricerca nucleare diminuì di importanza, tanto che non partecipò attivamente al programma nucleare nel frattempo ideato dall’ENEL88.

85 De Biasi, Situazione italiana nei riguardi della disponibilità di energia nucleare, p.930.

86 Valerio, La situazione italiana nel campo dell’energia, p.925.

87 L’EURATOM o CEEA era nata nel marzo 1957 in seguito al Trattato di Roma, lo stesso che aveva segnato la nascita

della CEE. Scopo dell’EURATOM era coordinare i programmi nucleari dei singoli Paesi membri.

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Se, come abbiamo visto, la ricerca nucleare, per iniziativa del CNEN, fu raggiunta bruciando le tappe, affidandosi a tecnologie straniere, la scelta di edificare fin da subito centrali nucleari, che comunque non potevano dare nell’immediato una potenza pari a quella degli impianti termoelettrici, fu saggia, poiché consentì ai tecnici di acquisire una certa preparazione sul campo e sulle tipologie migliori di reattori.

La prima centrale elettronucleare fu realizzata a Latina, in collaborazione con il gruppo inglese Nuclear Power Plant Company (NPPC). Iniziata nel 1958 per volontà della Società Italiana Meridionale per l’Energia Atomica (SIMEA), emanazione dell’AGIP (Azienda Generale Itaiana Petroli) Nucleare, a sua volta parte dell’ENI, fu completata nel maggio 1963 e passò alla gestione dell’ENEL nel dicembre 1964. I suoi reattori erano a gas-grafite a uranio naturale. La potenza era di “appena” 200 MW, in seguito ridotti a 160. La fine della centrale di Latina avvenne in seguito al referendum del 1987. Nel dicembre dello stesso anno, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica decretò la sua chiusura, mettendo in atto la risoluzione approvata dalla Camera dei Deputati.

La seconda centrale nucleare fu realizzata fra il novembre 1959 ed il gennaio 1964, a Garigliano, più precisamente a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta. Tale iniziativa fu, stavolta, opera dell’IRI o, per essere più puntuali, della Società Elettronucleare Nazionale (SENN), costituita nel 1957 da un gruppo di società elettriche e meccaniche controllate dall’IRI medesimo. La tecnologia, di provenienza americana (General Electric) usata per l’impianto era ad acqua bollente e la potenza complessiva erogata raggiungeva i 160 MW. Dal gennaio 1966 la centrale fu guidata dall’ENEL, fino al marzo 1982, quando esso stesso ne decretò la fine. Alla base di tale decisione vi fu il terremoto del Belice del 196889, che avvenne in una zona fino ad allora considerata a bassa sismicità. Il CNEN arrivò ad aumentare il grado di sismicità del Garigliano, anch’esso considerato a basso rischio fino a tale anno. In seguito a vari studi, l’ENEL concluse che realizzare modifiche alla centrale per renderla anti-sismica sarebbe stato troppo costoso, di qui la decisione di chiuderla.

Il terzo impianto nucleare venne edificato fra il luglio del 1961 e l’ottobre del 1965, su impulso della Edisonvolta con la partecipazione di altre società elettriche del Nord Italia e della francese Électricité de France (EdF), a Trino Vercellese, in Piemonte. La centrale disponeva di un reattore ad acqua in pressione ad uranio arricchito, su progettazione della società americana Westinghouse Electric Co.

89 Il terremoto del Belice ebbe luogo nella notte del 15 gennaio 1968, in Sicilia occidentale. La magnitudo fu di magnitudo

6.1 e provocò 268 vittime. Sciami sismici si ebbero fino al febbraio 1969. Fonte http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/terremoto_belice.wp.

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La potenza dell’ “Enrico Fermi”, come venne nominata, raggiungeva i 260 MW. L’ENEL ne acquisì il controllo nel febbraio 1966. Fu anch’essa chiusa su decisione del CIPE nel luglio 1990.

La legge italiana (1860) che regolamentava gli usi pacifici dell’energia nucleare fu promulgata solo nel dicembre 1962, quando le tre centrali erano già in avanzato stato di costruzione.

Queste tre centrali non incontrarono particolare resistenza della popolazione locale.

Come detto, le prime tre centrali nucleari italiane appartenevano alla prima generazione. Già negli anni ’60 la potenza degli impianti iniziò a crescere, soprattutto negli USA, per far fronte ad una sempre maggiore domanda di energia elettrica. Fra il 9 e il 10 novembre del 1965, la notte calò sulla Grande Mela. New York venne colpita da un black out, esattamente alle 17.1790. La vicenda terrorizzò l’opinione pubblica americana ma pure il governo che iniziò una vera e propria escalation nelle ordinazioni di centrali elettriche, fra cui alcune nucleari.

In Italia si ebbe un risultato analogo. Infatti, nel marzo 1964 venne istituita una Commissione Consultiva per l’Energia, la quale presentò il suo primo rapporto nel gennaio 1966 per bocca dell’allora Ministro dell’Industria e del Commercio Lami Starnuti. Ad avviso della Commissione, per sopperire alle domande di energia fra il 1970 ed il 1975, sarebbe stato necessario aumentare la potenza complessiva delle centrali italiane fra gli 8,5 e i 17,5 milioni di kW. Inutile dire che il nucleare poteva contribuire pienamente ad assolvere tale obiettivo. Il direttore dell’ENEL Angelini accolse la proposta ed affermò che entro il 1970 sarebbero stati realizzati impianti atomici per una potenza complessiva di 2.600 MW. Una centrale da 650 MW era già in fase di ordinazione. Il professor Angelini era poi quasi certo che fra il decennio 1970-1980 la potenza nucleare italiana sarebbe aumentata della ragguardevole cifra di 6.500 MW, toccando globalmente fra i 10.620 ed i 13.730 MW. Negli anni ’70 la spinta entusiastica verso il nucleare crebbe ulteriormente, tanto che fra il 1975 ed il 1977 CIPE, ENEL, CNEN ed ENI arrivarono a cooperare nella previsione di commissionare ben venti centrali nucleari, cosa che invece non ebbe seguito, un progetto che naufragò miseramente, sia per un motivo economico che organizzativo: preparare un piano di evacuazione in caso di esplosione di una centrale è estremamente complicato, a causa della perfetta sincronia e sinergia fra i diversi organi dello Stato, fra cui la Prefettura, i Vigili del Fuoco, le USL, ecc..

Le ragioni di tale entusiasmo, aumentarono anche a causa dei due shock petroliferi che interessarono il mercato petrolifero negli anni ’70. Il primo shock iniziò negli ultimi mesi del 1973, a seguito della

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Guerra dello Yom Kippur91, e crebbe in misura ancora maggiore nel 1974. L’aumento del costo dell’olio combustibile ebbe dirette conseguenze in primo luogo sui costi di produzione e, successivamente, innescò una spirale inflazionistica. L’ENEL, le cui tariffe non erano state aggiornate con puntualità dagli organismi governativi come il CIPE, ne risentì pesantemente e cercò di far fronte alla crisi indebitandosi sia a breve termine, generalmente verso istituti bancari (passando da 681 miliardi di debito nel 1973 a 1.044 al termine del 1974) che verso l’estero. Come estrema ratio l’Ente utilizzò una dilatazione nei tempi di pagamento ai fornitori92. Va ricordato, comunque, che l’indebitamento era già iniziato nel 1971, a causa di una politica di massicci investimenti93.

Solo nel 1976, dopo due anni in cui vennero emessi prestiti obbligazionari per oltre 600 miliardi, l’ENEL riuscì a ridurre il deficit finanziario a breve termine di 142 miliardi di lire. Un’ulteriore boccata d’ossigeno venne nel quadriennio 1978-1981, quando, tramite il CIPE, vennero apportati 3.000 miliardi al fondo di dotazione oltre ad un aumento delle tariffe.

Il nucleare apparve, soprattutto nella prima metà degli anni Settanta, un possibile antidoto al dominio dei combustibili fossili. Così Arnaldo Maria Angelini, direttore e presidente dell’ENEL dal 1973 al 1979 si esprimeva nel 1975:

“[…] appare oggi scontato che nella maggior parte dei Paesi industrializzati le nuove centrali da mettere in cantiere saranno nella quasi totalità nucleari.”

E ancora:

“è convinzione degli esperti che dal punto di vista ambientale le centrali nucleari rappresentano un sostanziale passo in avanti rispetto alle centrali a combustibili fossili.”

Angelini, che era apertamente fautore del nucleare, manifestava però qualche dubbio sull’affidabilità delle centrali, non utilizzate nel pieno della loro potenza. L’ingegnere era dell’idea, comunque, che “il miglioramento dell’affidabilità […] dovrebbe portare negli anni prossimi al raggiungimento di utilizzazioni più elevate e quindi di prestazioni economiche ancora migliori.”94

91 La Guerra dello Yom Kippur fu un conflitto che scoppiò nell’ottobre 1973 fra Israeliani e Siro-egiziani. Altri Stati

Arabi non parteciparono di persona allo scontro, ma per ritorsione alzarono il prezzo del greggio.

92 Sembenelli, Investimenti, strategie e vincoli finanziari, p.746, 747.

93 Zanetti-Fraquelli, Ivi, p.43.

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Tuttavia, se nel 1963 l’Italia appariva all’avanguardia nella realizzazione di impianti nucleari in Europa, nel 1973 essa era al sedicesimo posto al mondo, preceduta da Paesi come Bulgaria e Taiwan. Felice Ippolito, in un suo volume scritto insieme a Folco Simen, individuò tale frenata proprio dal momento in cui venne scatenato il processo ai suoi danni nei primi anni ’60 e dal cui momento il CNEN venne abbandonato al suo destino, perdendo molte delle competenze e del potere che inizialmente aveva. Questo e, ad avviso di Ippolito, scarsa propensione dei dirigenti ENEL ad avviare un serio programma nucleare, aveva portato ad un mancato sviluppo energetico italiano95. Inoltre, secondo l’ingegnere, l’avere uno strumento governativo potente come l’ENEL avrebbe potuto essere un volano per l’industrializzazione del Mezzogiorno, cosa che non vi fu, a causa dello spreco di risorse per la costruzione di infrastrutture non sempre utili, come la galleria Paola-Cosenza, che invece avrebbero potuto essere utilizzate per l’edificazione di centrali elettriche. Furono proprio le industrie meridionali a soffrire maggiormente la carenza di elettricità in concomitanza alla crisi energetica nei primi anni ’7096.

Mentre l’Italia proseguiva nell’avanzamento sulla strada del nucleare, nel maggio 1974 l’India fece esplodere il suo primo ordigno nucleare, utilizzando del plutonio prodotto in una centrale posta sotto osservazione dalla IAEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Tale vicenda allarmò soprattutto i vertici dell’amministrazione americana e dimostrò come il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, promulgato nel 1968, fosse in realtà vano, vista la facilità di diffusione della tecnologia atomica. Il giro di vite avvenne con la presidenza Carter, che fin dalla primavera 1977 enunciò la sua volontà di limitare la diffusione del nucleare. Ulteriore argomento a favore degliavversari del nucleare, oltre al nuovo orientamento del Governo americano, fu il già citato incidente a Three Mile Island, nel marzo del 1979. Se gli anni ’70 erano iniziati con una generale fiducia internazionale verso il nucleare, terminarono invece con un progressivo declino nell’interesse verso tale tecnologia, sia a causa di fattori politici che tecnici, per questo il decennio 1977-1987 può essere visto come il periodo di rallentamento dei programmi nucleari.

Nel 1971 fu iniziata la costruzione a Caorso, nei pressi di Piacenza, di una quarta centrale nucleare, di nuova generazione, ad acqua bollente. Tale impianto sarebbe entrato in funzione solo nel 1981, con una potenza di 860 MW, assai maggiore di quella delle prime tre centrali. Tuttavia ebbe vita assai breve, poiché nell’ottobre del 1986, in seguito all’incidente di Cernobyl’, la centrale fu sottoposta a

95 Ippolito-Simen, La questione energetica, dieci anni perduti, p.194.

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delle verifiche straordinarie. Nonostante essa avesse superato tutti i controlli, non venne più riavviata e nel luglio 1990 se ne decretò la chiusura definitiva.

Nel 1979 venne deliberato il progetto per la realizzazione di due reattori ad acqua bollente da 1.000 MW ciascuno a Montalto di Castro, in provincia di Viterbo. Affidato il lavoro all’Ansaldo, la costruzione subì notevoli ritardi, dovuti per lo più al diffuso malcontento antinucleare che si stava iniziando ad affermare in tali anni. Al momento del referendum nel 1987, gli impianti erano pronti per oltre il 50%. Ciononostante nell’agosto 1988, con un decreto legge del Consiglio dei Ministri, si decretava la sospensione della costruzione della centrale e la conversione a combustibile tradizionale. La centrale elettronucleare dell’Alto Lazio, come era stata denominata, venne rimpiazzata dalla centrale termoelettrica Alessandro Volta, realizzata fra il 1992 ed il 1998, che ne utilizzò una parte del sito, dalla potenza di 3.600 MW.

Nel dicembre 1981 venne approvato dal Parlamento, dopo passaggio al CIPE, il Piano Energetico Nazionale (PEN). Questo prevedeva tre nuove centrali nucleari da 2.000 MW da ubicare in Piemonte, Lombardia e Puglia. Il PUN (Piano Unificato Nucleare) prevedeva per ogni unità il sistema PWR (reattore ad acqua pressurizzata). Inoltre si definiva il ruolo di vari operatori: l’ENEL fungeva da supervisore nonché architetto, l’ENEA (Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie) da autorità di controllo, le industrie costruttrici fornivano componenti e sistemi, l’AGIP Nucleare si occupava dei combustibili. All’interno dell’ENEL venne creato un comitato proprio di coordinamento.

Il 20 marzo 1986 il PEN venne ulteriormente aggiornato, prevedendo altre centrali per un’ulteriore potenza di 4.000 MW, esattamente un mese prima del disastro di Chernobyl’.

Tutto questo accadde in concomitanza con un secondo shock petrolifero, alla fine degli anni ‘70. Il