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Tra formazione e teatro: le vicende di alcuni protagonisti della scena fra la Resi stenza e la Ricostruzione

Nel documento La formazione teatrale in Italia (1935-1967) (pagine 140-200)

Gassmann e il Gruppo. Gli anni in Accademia e l’asse Roma-Milano

La formazione del Gruppo e la vita dell’Accademia nei primi anni ‘40

Il 10 giugno del 1940 l’Italia mussoliniana si stava avviando verso la sua fine, dichiarando l’entrata in guerra a fianco della Germania Nazista ed inviando al fronte migliaia di soldati. Mentre il regime andava man mano scoprendo il suo vero volto, l’Accademia, neanche giunta al decennio di vita, si apprestava, della dozzina d’anni seguente, a scrivere alcune delle pagine più significative della sua storia – pagine segnate anche, a tratti, da momenti di turbolenza ed incertezza. Negli anni a cavallo tra il Secondo conflitto mondiale e l’immediato dopoguerra, tra le fila degli allievi si può ritrovare una serie di nomi che assunsero un ruolo assolutamente centrale nella scena culturale italiana della prima repubblica, dal teatro, all’avanspettacolo, alla televisione, al cinema: Marcello Moretti, Alberto Bonucci, Carlo Mazzarella, Vittorio Caprioli, Antonio Pierfederici, il “Gruppo” – Vittorio Gassmann, Luigi Squarzina, Luciano Salce, Adolfo Celi e gli altri –, Mario Landi, Lea Padovani, Giovanni San- tuccio, Giorgio De Lullo, Saturnino Manfredi, Agostino Buazzelli. Questi sono alcuni dei nomi che transitarono, tra il 1939-’40 e il 1945, fra le aule di Piazza della Croce Rossa. All’interno di tale profluvio di artisti, quale caso singolare spicca quello del “Gruppo”, combriccola di compagni con- solidatasi in Accademia che ha il suo nucleo centrale ed originario nel trio Gassmann-Salce-Squar- zina. Al di là delle scorribande tipiche dell’età, raccontate nell’autobiografia del gruppo, quell’Edu-

cazione teatrale redatta a quattro mani da Salce e Gassmann, ciò che risulta particolarmente interes-

sante all’interno delle dinamiche scolastiche è il ruolo che tale nucleo di allievi seppe assumere du- rante gli anni di apprendistato, a scuola e nel corso delle prime esperienze professionali. I compagni di classe del Liceo Classico “T. Tasso” di Roma, Gassmann e Squarzina, già dagli anni dell’adole- scenza si ritrovarono accomunati da una propensione alla letteratura, in ogni sua forma, e da una certa aura poetica che aleggiava intorno ai loro propositi per il futuro355; per tentare di dare una forma a quella pulsione fu Vittorio il primo ad iscriversi all’Accademia e a trascinare l’amico Luigi, l’anno

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scritti da loro stessi, il ricorso a citazioni, alle lingue straniere, il tutto pervaso da un senso di ricerca della strada da imboccare poi, AGR, f. Squarzina).

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successivo, nelle aule di Piazza della Croce Rossa. Questi portò con sé Luciano Salce, l’altro amico di lunga data: i due costituiranno così la classe del primo anno degli allievi registi nel ’42-’43. Fra i corridoi scolastici vi fu l’incontro con gli altri allievi e così il “gruppo” si estese e si consolidò, sotto lo sguardo vigile di Silvio d’Amico: Adolfo Celi, compagno di classe di Gassmann nel ’41-’42, passò alla classe di regia due anni dopo; Nino Dal Fabbro e Carlo Mazzarella, entrambi al secondo anno quando Gassmann entrò in Accademia; Mario Landi, allievo regista al primo anno, sempre nel 1941- ’42. A questo nucleo “accademico”, di cui successivamente fece parte anche Vittorio Caprioli, che nel 1941-’42 frequentava la terza classe, bisogna poi aggiungere tre outsider: «Neri il poeta, Emilio il mondano e Umberto l’evaso»356. La passione teatrale, abilmente stimolata e canalizzata dal Diret- tore e dai docenti, crebbe in tutti, seppur con diverso grado, e si riversò al di fuori delle aule scolasti- che; il legame d’amicizia che univa i compagni, consentì loro di rendere più naturale il ritrovarsi e discutere delle lezioni, degli spettacoli visti, delle scelte estetiche, dei sogni da realizzare e delle strade da percorrere. All’interno di questo confronto collettivo, anche altri parteciparono alle adunate serali e alle bevute, ma per diversità di opinioni, o per altri motivi, non vennero mai assorbiti all’interno della formazione degli undici. E, in effetti quello del “Gruppo”, fu un circolo chiuso, i cui allarga- menti furono sempre cauti e avvennero solamente se sostenuti da qualcuno già interno; finirono così per allontanare anche figure di rilievo come Goliarda Sapienza o Vito Pandolfi, certo non per difetto d’intelligenza:

Ci fu una sensazione di reticenza nei riguardi di Pandolfi e della ragazza, rimasti fino allora in secondo piano. Perché eravamo reticenti? Propongo una spiegazione: nessuna voglia di divulgare la nostra intimità, desiderio di farne mistero con gli altri per assaporare la distanza da loro, distanza abitata da una coscienza della nostra posizione superiore e insieme del fatto che da nessuno essa potrebbe essere riconosciuta357.

L’atmosfera iniziatica, del circolo privato di pochi eletti, determinò sia effetti positivi che negativi sulla crescita dei giovani:

Volere o non volere, la primavera-estate 1942 ha costituito il periodo dell’importanza; l’au- tunno-inverno il periodo del gruppo. Ragazzi miei: l’una e l’altro ci han dato qualcosa, ma molto ci hanno tolto. È ora di rendercene conto. Io parlerò per me; […] in complesso io ci ho rimesso. Tutti ci abbiamo rimesso: tutti tranne uno. Il gruppo è stato nocivo al mio

356 V. Gassmann, L. Salce, , cit., p. 34. 357 s.a. <L. Squarzina?>, foglio ms senza titolo

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sviluppo spirituale; il barocco dell’amicizia produceva assorbimento, inglobamento, livel- lamento358.

A tracciare questo breve bilancio dell’esperienza è, probabilmente, Celi, che sottolineava come limite principale proprio quel chiudersi in circolo degli amici, che assorbì la loro vita durante gli anni d’Ac- cademia. Ma, in realtà, la vera peculiarità del gruppo fu di altra natura, perché dinamiche come quelle appena descritte, in fondo, sono comuni a moltissime esperienze analoghe. La caratteristica diversa, nel caso di Gassmann & Co., fu quella dell’autocoscienza, pratica alimentata anche da questo suo elitarismo: attraverso espedienti anche banali, come la pratica di tenere una sorta di verbali delle loro riunioni o di scrivere programmatiche lettere agli altri, oppure grazie ad altri elementi più significa- tivi, come il dotarsi di certe regole classificatorie per catalogare le rispettive conoscenze, questo gruppo di artisti ebbe la possibilità di percepirsi realmente come tale già nel tempo stesso in cui era attivo, come identità eterogenea ed omogenea al tempo stesso. Tale consapevolezza fu innanzitutto un eccezionale alleato nel processo formativo di tutti i componenti del gruppo, capace di dar loro un terreno di discussione protetto in cui elaborare una propria visione della scena, in cui sperimentare, attraverso il gioco e lo scherzo, attitudini recitative e soluzioni sceniche – come nel caso delle famose scenette. Ma illuminò anche di un senso diverso il loro percorso di studi, che si compì tutto proteso verso un futuro insieme, una compagnia fatta da loro in cui attuare finalmente le condivise riflessioni teoriche. Queste ultime erano quasi totalmente aliene dalla situazione politica di allora, concentrate totalmente su problemi estetici: «Debbo comunque aggiungere che c’era in noi un certo atteggiamento di rivolta, una sorta di antifascismo estetico […] e di generica disposizione alla fronda»359. Fu il loro modo di somatizzare quello che stavano vivendo, estraniandosi dalla realtà storico-politica, per do- tarsi del bagaglio teorico con cui raccontarla. A differenza di un Pandolfi, che partecipò attivamente alla resistenza, piazzando bombe, scrivendo articoli e allestendo saggi “scomodi”, il “Gruppo” rimase sempre al di fuori di tali dinamiche, impegnato com’era ad elaborare la propria riflessione teorica. Ripercorrendo le pagine dell’Educazione teatrale, come alcune lettere conservate da Squarzina, si possono sostanziare maggiormente queste dinamiche. Interessante, ad esempio, è il capitolo relativo agli anni dell’Accademia “1+3”; le cifre stavano ad indicare tre fasi, tre momenti, tre stadi, attraverso cui provare a catalogare ogni fatto, estetico o meno, che suscitasse l’attenzione dei giovani allievi. Ed allora, forti della spavalderia data dall’età, si leggono le perentorie classificazioni, elaborate a suon di tentativi:

358 s.a. <A. Celi?>, foglio ms senza titolo, s.d., p. 1r, AGR, f. Squarzina 359 V. Gassmann, Intervista sul teatro, cit., p. 28.

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«Vittorio: “Wagner è fase 1, Honegger è fase 2, Verdi è fase 3”.

Luciano: “Zacconi è fase 1, Tofano è fase 2, X è fase 3…Già, è strano: non abbiamo l’attore rappresentativo della terza fase…cioè l’attore che prima sia arrivato alla tecnica, alla vio- lenza, alla potenza naturale di Zacconi, poi si sia fatta una cultura raffinata, letteraria, si sia interiorizzato, smorzando toni, respiri, effetti; e finalmente, superando questa seconda fase di ironia e di ipocrisia, sia ritornato, attraverso tale setaccio, dati questi presupposti, a una nuova verginità primigenia. Che sarebbe l’attore di terza fase360.

La regola, individuata, elaborata ed applicata a tutto, permetteva il confronto libero, semplificava il chiarimento ideologico con le sue posizioni nette, aiutava i giovani a muoversi tra le scoperte lettera- rie e teatrali che la formazione stava loro ponendo. Frequenti saranno, negli anni, i consigli di lettura che il Gruppo si scambierà, che confluiranno poi, in dialogo con le riflessioni dei milanesi, a deter- minare alcune delle linee che caratterizzarono il repertorio del secondo dopoguerra.

Allargando lo sguardo al resto dell’Accademia, a dispetto del contesto storico che si stava facendo sempre più precario, la Scuola diretta da d’Amico continuava, durante la guerra, ad essere estremamente attiva. In quegli anni cominciò però un mutamento di rotta dei risultati ottenuti dall’isti- tuto; come segnalato da più parti, se inizialmente i frutti migliori arrivarono dal ramo della scuola di Regia – celebrati nella Compagnia costituita intorno alle figure di Brissoni, Costa e Fabro – a partire dalla generazione di Gassmann, maturarono anche diverse schiere di attori eccellenti. Vi era certo la presenza di Pandolfi, Salce, Squarzina – e, per certi versi, Landi – ma gli allievi di Recitazione che si diplomarono in quegli anni, guardando anche ai risultati ottenuti, fu quantitativamente assai più pro- lifica. Tale spostamento d’asse, può essere dovuto ad alcuni fattori. In primo luogo, poté contribuire una certa normalizzazione dell’insegnamento registico; se nei primi anni d’Amico stesso si fece pro- motore di quell’insegnamento, ritenuto di gran lunga il più necessario in quel momento per risollevare quanto prima le sorti del teatro italiano, una volta diplomatisi Costa, Brissoni e la Fabro – e dimostra- tisi tutti capaci di produrre eccellenti risultati –, potrebbe essersi verificato un mutamento d’attenzione del Direttore: può essere, cioè che, inconsciamente o meno, egli avesse concentrato le sue cure sul comparto attorico, per fornire ai suoi giovani registi le migliori leve con le quali dar vita al futuro teatro d’arte che sognava. Una seconda motivazione, potrebbe essere rappresentata dal gruppo di insegnanti di recitazione che, raggiunta una sua stabilità, si era probabilmente affinata nel mestiere riuscendo ad individuare e far emergere i migliori talenti. Terzo fattore, potrebbe essere dato dal ruolo svolto dall’Accademia e dai suoi diplomati all’interno del mercato teatrale italiano; prima della Com- pagnia di fine anni ’30, la palestra di d’Amico non era forse riuscita ancora a dar sufficiente prova

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del valore del proprio lavoro e, al tempo stesso, l’“attore di scuola” non era ancora accettato piena- mente dai prim’attori e dai capocomici, limitando così la possibilità stessa di affermarsi agli allievi di quegli anni. Ulteriore dato, meramente numerico, può essere stato il maggiore afflusso di candida- ture ai corsi di recitazione – forse mestiere dalla prospettiva più attraente rispetto al regista, anche per una questione di mero divismo –; il totale di iscritti allievi attori, infatti, lievitò letteralmente a partire dall’inizio del conflitto mondiale, mentre calò quello dei “colleghi” registi – nel ’38-’39 non vi fu nessun iscritto tra questi, mentre quindici erano gli aspiranti attori, tra cui un giovane Marcello Mo- retti. Guardando poi agli allievi, non si può non tener conto di questioni generazionali: gli attori di- plomatisi per primi all’accademia, dopo i primi anni di apprendistato, si ritrovarono a fare i conti con la guerra, un contesto socio-politico che limitò fortemente le loro possibilità professionali. Quando la guerra finì, la nuova e più fresca generazione di attori riuscì rapidamente a scalzarli, essendo più affine, sul piano estetico e generazionale, a quel clima di rinascita e ristrutturazione che fu tipico del Secondo Dopoguerra. Ma sul piano anagrafico, gli studenti iscritti a partire dal 1940, erano anche tutti “figli del regime”, non tanto in senso ideologico, ma prettamente formativo: i nati nel ’22, come Gassmann e Squarzina, crebbero interamente all’interno della scuola progettata dal Fascismo che, al di là delle connotazioni di merito/demerito, produsse inevitabilmente una certa omogeneità e favorì un sentimento di coesione generazionale; tale percorso comune, favorì, a suo modo, un grado di af- fratellamento tra le aule di Piazza della Croce Rossa, che ingenerò, forse, un certo clima virtuoso tra gli allievi. Infine, un ulteriore fattore che poté contribuire alla fortunata “covata” degli anni del con- flitto, si può probabilmente individuare nella loro stessa determinazione, nella passione e nella forza di volontà che li caratterizzò a voler proseguire per quella strada con assoluta convinzione e rigore. Sicuramente, ciò fu una sorta di reazione determinata dai sacrifici da loro affrontati in tempo di guerra, al clima di disfatta che era incombente nell’aria; tuttavia, non bisogna dimenticare nemmeno le “spinte motivazionali” date da alcune sicurezze materiali, rappresentate dalla borsa di studio e dalla possibilità – avveratasi in più di un caso – che l’Accademia aiutasse a schivare la chiamata alle armi. Furono tutti elementi presenti che contribuirono a segnare un primo spostamento d’asse in favore delle classi attoriche, dando avvio ad una tendenza che raggiungerà il suo apice a cavallo degli anni ’50.

Per quel che riguarda la vita scolastica, sia il corpo docenti che la suddivisione delle materie subirono alcuni rimpasti e modifiche; stando all’annuario, ad esempio, Silvio d’Amico cedette mo- mentaneamente la cattedra di Storia del Teatro nel ’39-’40 e nel’42-’43 a Luigi Ronga361, salvo poi

361 Cfr. S. De Luca, , cit.; tale sostituzione fu dovuta, probabilmente, nel primo caso alle incombenze generate dalla Compagnia

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riprenderla l’anno successivo e mantenerla fino al 1947, quando la cederà definitivamente nelle mani di Achille Fiocco, ex-allievo alla “Duse”. Come si è detto, stabile il nucleo dei docenti di Storia di recitazione, ad eccezione di una temporanea aggiunta di Edy Picello, incaricata di tenere una quarta classe nel 1941-’42, per un sovraffollamento di iscritti – espediente attuato anche nel 1947-’48 con Alba Maria Setaccioli. Viotti rimase ininterrottamente in carica fino al 1950, mentre il collega Mar- chi, intorno a metà anni ’40 subì qualche temporanea sostituzione; nel 1944, al suo posto si trovò Orazio Costa, nel suo primo incarico ufficiale di insegnamento, poi sostituito da Valerio Mariani fino al ’49-’50, quando rientrò Marchi. Ancora più movimentata fu la storia della cattedra di Ginnastica ritmica e danza, che dopo un biennio affidato a Raja Garosci (’36-’38), venne rimpiazzata da Anna Berger, poi da Avia De Luca, ciascuna per la durata soltanto di un anno, e infine da Rosa Mazzucchelli dal ’41 al ’43. La stabilità, ritornò a partire dal 1944, con il rientro della Garosci, che tenne poi l’in- segnamento per un ventennio, andando a costituire un punto di riferimento nella storia dell’Istituto. A partire dal 1941-’42, venne poi creato l’insegnamento di Educazione della voce, inizialmente affi- dato a Giuseppe Bellussi, e poi, dall’anno successivo, a Isabella De Grandis Mannucci. Infine, dal 1945-’46, la scuola di Regia venne affidata ad Orazio Costa, attuando così quel piano originario di d’Amico che vedeva l’insegnamento affidato ad un giovane italiano formatosi alle scuole dei maestri stranieri. I cambiamenti d’insegnanti, seppur di materie considerate minori, portarono con loro bene- fici e svantaggi: dalla diversità di approccio e di metodo, elemento comunque arricchente, alla man- canza di un percorso continuativo nei tre anni. Questa instabilità dette sicuramente preoccupazioni e continue incombenze al Direttore, impegnato, nei primi anni ’40, ad una ulteriore trattativa per il miglioramento della sede. Venne infatti proposto, tra il 1941 ed il 1942, di trasferire il “domicilio” dell’Accademia nella Città degli Studi Universitari, dove «si potrebbe costituire il Teatro che molti auspicano ad uso di studenti, professori e famiglie, con un pubblico speciale, di abbonati i quali gio- verebbero di assicurarne l’esistenza»362. A tale proposta, d’Amico provò a controbattere presentando un progetto per la costruzione di un nuovo e moderno teatro nel terreno attiguo allo stabile di Piazza della Croce Rossa, piano curato dallo stesso Marchi. Per sopperire alla spesa, d’Amico preventivò l’accensione di un mutuo ventennale, che sarebbe potuto rimanere prevalentemente all’interno delle normali spese di gestione dell’Accademia. Il progetto, nel suo complesso, avrebbe potuto così offrire alla Capitale «oltre che il centro delle esercitazioni dei nostri giovani – una stabile di prosa, quella che Roma invoca da mezzo secolo, e che finalmente avrebbe una degna attuazione»363. Nello stesso anno scolastico, si avviò la tormentata vicenda del lascito Piccolomini, il conte che lasciò la sua

362 , s.d., p. 3, ACS, MPI, Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. IV (1946- 1950), b. 78.

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cospicua eredità alla gestione dell’Accademia per la creazione di una fondazione per il Riposo degli Artisti Drammatici – affaire che impegnò d’Amico per molti anni, attirandogli anche ire ed attacchi da più parti. L’instabilità della situazione che regnava in quegli anni è ben leggibile da un verbale dell’adunanza della Commissione Artistica dell’Accademia del 26 luglio 1942; nella relazione inviata al Ministro, si apprende infatti che d’Amico aveva espresso il desiderio di lasciare la Direzione dell’Accademia, mantenendo soltanto la presidenza – ed ecco che allora si motiva di una luce ulteriore quel temporaneo affidamento della cattedra di Storia del Teatro a Luigi Ronga. Tra i possibili sostituti individuati dalla Commissione, si fece il nome di Mario Ferrigni, «salva la riserva di accertarne l’età»364. Negli allegati al documento, appurata l’età dello stesso, 65 anni, si fecero poi i nomi di Tomaso Monicelli, sprovvisto però di tessera, e di Ermanno Contini, su cui però De Pirro si era mo- strato dubbioso. Ma il documento fornisce anche preziose indicazioni sulle materie scolastiche. Venne ad esempio approvata l’abolizione del corso di Canto in favore dell’estensione a sei ore del corso di Educazione alla voce; l’insegnamento, inaugurato l’anno precedente da Bellussi, aveva avuto un carattere prettamente “medico” – Bellussi era laringologo – ed, evidentemente, seppur importante, non si era inserito a pieno nel piano didattico; fu così che, grazie al suggerimento del Prof. Baglioni, maestro di Bellussi, si ricorse ad un cambio d’insegnante in favore della signorina Mannucci, porta- trice di un programma maggiormente organico che convinse la Commissione ad assegnarle quelle sei ore settimanali che la docente riteneva il minimo indispensabile per dedicarvisi. In merito al comparto “recitazione”, come accennato, venne sospesa la quarta classe della Picello, insegnante «modesta», e venne caldeggiata Wanda Fabro, su proposta di De Pirro, come possibile sostituta della Capodaglio, forse prossima a lasciare Roma per insegnare presso una nuova scuola da istituirsi a Firenze. Infatti, a quanto emerge dal verbale, il Ministero della Cultura Popolare era in procinto di varare un piano che prevedeva l’istituzione «in più città, accanto all’Accademia di Roma, [di, n.d.a.] scuole private di recitazione, poste sotto l’alta vigilanza della Presidenza dell’Accademia»365. Probabilmente dun- que, è all’interno di tale progetto che la Capodaglio prevedeva un trasferimento nel capoluogo to- scano, più che alla Scuola di Melani del Guf; ma ancor più significativo è l’allegato cinque, dove si legge:

L’idea di De Pirro, che come ho detto vuol collocare i nostri migliori diplomati nel nuovo insegnamento, sarebbe di affidare al diplomato e più che trentenne dott. Orazio Co- sta, la direzione della istituenda scuola di recitazione di Milano. Io invece terrei moltissimo ad avere Costa all’Accademia, come maestro di regia.

364 , p. 1, ibid.

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Ma la cattedra di regia non è vacante. Da 4 anni vi abbiamo confermato anno per

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