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FOTOGRAFIA D'ARTE NEGLI ANNI SESSANTA

Dalla teoria all'editoria

Sinora è stato delineato un percorso storico che ha permesso di defnire come, a partire dal 1947 sino alla fne del successivo decennio, si siano gettate le basi per l'evoluzione di due aspetti fondamentali per la fotografa italiana: il professionismo e la costruzione di un linguaggio fotografco maturo.

In questo capitolo si procederà all'analisi di alcune vicende e fgure di particolare interesse in ambito fotografco, che ci suggeriranno dei fltri di interpretazione della fotografa degli anni Sessanta.

Rispetto agli ambiti specifcati nei capitoli precedenti – il fotoamatorialismo e l'editoria dell'informazione – restringeremo il nostro campo di indagine all'editoria fotografca. In quest'ambito, come vedremo, verranno sviluppate le potenzialità narrative della fotografa che abbiamo individuato quale strumento di crescita della fotografa italiana. Uno dei soggetti più interessanti su questo versante è la fotografa d'arte.

La storiografa di settore ha dato pochissimo rilievo alla fotografa d'arte, non considerandola per il valore che, a nostro avviso, merita. Alcune pubblicazioni sostanzialmente trascurate dalla storia della fotografa dimostreranno come proprio i fotograf che hanno frequentato il circuito artistico hanno avuto la possibilità di operare in un terreno praticamente vergine per la fotografa, permettendosi quanto non era possibile in ambiti già codifcati come la fotografa amatoriale, il fotoreportage o la fotografa pubblicitaria.

Fotografia come oggetto teorico

Per introdurre i temi che afronteremo nelle prossime pagine vale la pena di passare in rassegna alcuni aspetti legati all'evoluzione della fotografa italiana, allargando i margini del contesto in cui veniva prodotta.

A sostegno dei ragionamenti che ci proponiamo di svolgere, risulta imprescindibile il concetto di “fotografa come oggetto teorico” introdotto dalla storica e critica d'arte contemporanea Rosalind Krauss. In un saggio dal titolo Reinventare il medium (cfr. Krauss 1999), l'autrice americana tratta della ridefnizione della fotografa come oggetto teorico in sé, e non più considerato come medium sottoposto o dipendente dalle altre arti o attività commerciali e culturali.

La rifessione della Krauss per il nostro discorso parte dall'analisi del celebre testo di Benjamin del 1936, in cui si legge: “L'opera d'arte riprodotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzione di un'opera predisposta alla riproducibilità” (2000, p. 27). A partire da questo assunto Krauss introduce il concetto di reinvenzione del medium132. Da qui ne deriverà, nel procedere delle tesi della Krauss, che siamo oggi in un epoca post-mediale. Il passaggio che a noi maggiormente interessa è tuttavia anteriore, nel dipanarsi delle rifessioni dell'autrice dove spiega come l'apoteosi della fotografa si identifca con il momento in cui si può determinare il suo successo commerciale, accademico, museologico133, e, aggiungiamo noi artistico, per dovere di tesi e col supporto della stessa autrice134. Questo momento coincide con l'eclissarsi della sua nozione di medium e favore dell'acquisizione di un nuovo statuto che l'autrice defnisce di oggetto teorico. L'oggetto teorico è tale grazie alla natura eterogenea: “theoretical because heterogeneous object”(p. 295).

L'eterogeneità di cui parla la Krauss si deve intendere come una sempre potenziale relazione, commistione, tra immagine e testo135. Altrimenti detto, nella visione della Krauss, la fotografa è originariamente eterogenea in quanto sempre e comunque legata in maniera più o meno dipendente alla parola scritta.

È proprio grazie questa sua peculiare caratteristica che la fotografa si integra e interagisce con l'informazione, la storia, l'economia, e con ogni aspetto della cultura imperniato sul rapporto testo-immagine, includendo anche l'arte. La fotografa diviene oggetto teorico quando ci si ferma a sperimentare e attestare questa sua etereogenità.

Aspetti commerciali, accademici e istituzionali della fotografia italiana

La fotografa in Italia inizia ad acquisire lo statuto di “oggetto teorico” negli anni Sessanta. Ci sembra che una delle ragioni plausibili per spiegare questo fenomeno sia la sovrabbondanza dell'immagine fotografca nei diversi aspetti della cultura del tempo. Non è allora un caso se essa entra in gioco anche

132“the reinvention in question does not imply the restoration of any of those earlier forms of support that the "age of mechanical reproduction" had rendered thoroughly dysfunctional through their own assimilation to the commodity form. Rather, it concerns the idea of a medium as such, a medium as a set of conventions derived from (but not identical with) the material conditions of a given technical support, conventions out of which to develop a form of expressiveness that can be both projective and mnemonic”, Krauss 1999, p. 296

133“Photography's apotheosis as a medium – which is to say its commercial, academic, and museological success – comes just at the moment of its capacity to eclipse the very notion of a medium and to emerge as a theoretical because heterogeneous object”, Krauss 1999, p. 295.

134“Te triumphal convergence of art and photography that began in the late 1960s is contemporary with the sudden explosion in the market for photography "itself." But, ironically, the institutions of art –museums, collectors, historians, critics – turned their attention to the specifcally photographic medium at the very moment that photography entered artistic practice as a theoretical object, which is to say, as a tool for deconstructing that practice”, Krauss 1999 pp. 293-294.

come possibile dispositivo integrato nelle pratiche artistiche, come vedremo successivamente (non più umile ancella136, per riprendere Baudelaire, né termine di confronto come implicitamente voleva la fotografa artistica).

Di fatto si può tracciare un percorso verso l'“apoteosi della fotografa” in un arco temporale che va dalla metà degli anni Sessanta agli inizi dei Novanta. Infatti i primi veri successi nei settori commerciale, accademico e museologico arrivano in Italia solo in questo decennio.

Cominciando con un esempio concreto, nel 1967 apre la prima galleria fotografca italiana ed europea a Milano - Il Diaframma. La galleria, fondata e gestita da Lanfranco Colombo, è diretta emanazione delle attività della rivista “Popular Photography Italiana”, che dal 1966 lo stesso Colombo aveva in parte acquistato e già dirigeva137. Pur avendo una natura commerciale, Il Diaframma, che proseguirà la sua attività fno al 1992, avvia un'attività più dedicata alla promozione culturale della fotografa e dei fotograf, che alla vendita, forse anche perché si trova a doversi confrontare con un ambiente non ancora pronto al mercato del collezionismo. A seguito delle attività di Colombo e di alcune mostre fotografche torinesi, nei primi anni Settanta si riscontra tra Milano e Torino una prima apertura al mercato del collezionismo fotografco (cfr. Russo 2010, p. 253). È pur vero che solo con gli anni Novanta si può iniziare a parlare di un mercato della fotografa138; è addirittura del 2011 l'apertura di una fera commerciale dedicata alla vendita delle fotografe d'autore a Milano139, la “Milan Image Art Fair” di Milano. Nei decenni precedenti è esistito un sistema europeo articolato in fere fotografche, nato tuttavia per la promozione commerciale di prodotti fotografci a cui eventualmente venivano afancate sezione culturali di promozione della fotografa d'autore. Un esempio italiano è il SICOF - Salone Internazionale Cine Foto Ottica (e Audiovisivi), organizzato a partire dal 1969 da Roberto Pinna Berchet per la parte merceologica e da Lanfranco Colombo per la sezione culturale, composta da mostre, presentazioni e dibattiti140.

136Vale la pena di ricordare la nota citazione di Baudelaire: “Se si consente che la fotografa supplisca l'arte in alcune delle sue funzioni, in breve essa l'avrà soppiantata o completamente corrotta, in virtù della naturale alleanza che troverà nell'idiozia della massa. Occorre dunque che essa torni al suo vero compito, che è quello di essere l'ancella delle scienze e delle arti, ma ancella piena di umiltà, come la stampa e la stenografa, le quali non hanno né creato né sostituito la letteratura”, Baudelaire 1992, p. 221.

137Per le vicende di Colombo e Popular Photography cfr. Seravalle 2006. La galleria proporrà come mostra di inaugurazione le sperimentazioni cromatiche di Paolo Monti, fotografo, l'abbiamo visto, che rappresenta un ponte tra la tradizione fotoamatoriale e il professionismo.

138Cfr. COSTA 1998, pp. 119-124.

139Non mancano in anni precedenti sezioni delle fere d'arte dedicate alla fotografa, ad esempio Arte Fiera di Verona, in cui, nel 2007 il collezionista Fabio Castelli (promotore anche della recente fera milanese) si sente in dovere di pubblicare un vademecum per il collezionista di fotografa, con tanto di descrizione delle tecniche fotografche, dal titolo Le stanze

della fotografa.

140La prima edizione 12-19 ottobre 1969, presso la Fondazione Bernocchi di Milano. Nella sede della Triennale le edizioni del 1970 e 1971. Nel 1972 la fera è organizzata a Bari e l'anno successivo torna a Milano ma in Fiera. Il SICOF nasce come emulazione della già afermata Photokina, “Fiera mondiale della fotografa” che si teneva annualmente in Germania, a Colonia.

Questo solo per quanto riguarda la fotografa come possibile strumento commerciale in senso collezionistico, dando per scontato il suo ingresso nelle prassi pubblicitarie e negli altri settori in cui l'immagine fotografca ha da settantanni assunto un ruolo di primo piano.

Passando all'ambito accademico, già tra il 1964 e il 1966, il già citato Paolo Monti tiene un corso di fotografa presso la Società Umanitaria di Milano (oggi Istituto Bauer141) e dal 1970 al 1974 insegna al primo corso universitario di fotografa istituito presso la Facoltà di Lettere e Filosofa dell’Università di Bologna. Nel corso dei decenni la situazione è notevolmente migliorata e l'insegnamento, dalla metà degli anni Novanta, è inserito in diverse università142. Tuttavia l'insegnamento di Storia e tecnica della fotografa è tuttora in fase di defnizione avendo ad oggi l'Università italiana assegnato un numero limitato di cattedre di Storia e tecnica della fotografa. Non è un caso se nel 2008 sia stato organizzato un convegno dal titolo La cultura fotografca nell’Università italiana: situazione, problemi e prospettive, presso il Museo di Fotografa Contemporanea di Cinisello Balsamo143, in cui vengono ribadite le arretratezze italiane in questo settore.

Per quando riguarda l'istituzionalizzazione144 e la musealizzazione della fotografa in Italia, esistono numerose raccolte pubbliche di fotografa (cfr. Serena 1999). Sebbene sia del 1979 il convegno svoltosi a Modena per la defnizione dello statuto della fotografa in ambito Statale dal titolo La fotografa come

bene culturale, tuttavia è solo del 1999 la legislazione che attribuisce alla fotografa lo statuto di Bene

culturale, ossia soggetto-oggetto sottoposto a disposizioni di tutela, conservazione e valorizzazione145. Nel 1992 un convegno nazionale svolto a Prato raccoglie le principali esperienze italiane e dà vita ad un lungo momento di dibattito sulle strategie da attuare per incrementare le attività di fotografche in ambito nazionale (cfr. Lusini 1996). Nel corso dei successivi venti anni gli incontri si ripetono (cfr. ad esempio Serena 1999 e Goti-Lusini 2004) e, nel 2006, si istituisce anche una associazione – la Società Italiana per Studio della Fotografa - allo scopo di promuovere le ricerche, le conoscenze e gli studi sulla storia, la critica, gli aspetti teorici e le pratiche della fotografa, in cui sono coinvolti gli studiosi e gli

operatori degli archivi e delle fototeche146. Impegni e sforzi che proseguono tuttora con risultati di

141L'Istituto Bauer vanta una tradizione nell'insegnamento della fotografa a partire dal 1954 su iniziativa di Michele Provinciali. Tra i nomi che possiamo riscontrare in questa ricerca, e che insegneranno alla scuola milanese troviamo Antonio Arcari, Albe Steiner, Emilio Frisia, Giancarlo Illiprandi, Ugo Mulas.

142Si veda a questo proposito Lusini 2007.

143Per un resoconto dei punti trattati nel convegno si veda la sezione “Convegni e seminari” del sito http://www.sisf.eu. 144In ambito Istituzionale alla fotografa veniva riconosciuto già nel 1895 un ruolo chiave nella riproduzione del patrimonio

artistico tramite il Laboratorio fotografco dell'Ufcio tecnico dei monumenti di Roma, futuro Gabinetto Fotografco Nazionale, dal 1975 strumento per la documentazione fotografca del Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) e prima raccolta di fotografa storica dello Stato.

145Per una cronistoria sull'argomento, cfr. http://www.artericerca.com/Fotografa/La%20fotografa%20come%20Bene %20culturale.html.

scarso rilievo a livello istituzionale. Ancor oggi esiste un solo museo dedicato alla fotografa contemporanea – il Museo di Fotografa Contemporanea di Cinisello Balsamo (MI) attivo dal 2000 - e un solo museo di fotografa storica, sebbene gestito da una Fondazione147 – il Museo Nazionale Alinari della Fotografa di Firenze, attivo dal 1985. Non esiste un vero museo pubblico di storia della fotografa italiana. Esiste però un'attenzione alla produzione e veicolazione di mostre fotografche da parte di enti pubblici e privati148 a partire dagli anni Ottanta, che nasce nel solco di un rinnovato interesse storico e culturale che ha radici nel più ampio contesto europeo149 e che possiamo dobbiamo far risalire alla fne degli anni Settanta, come accenneremo in un successivo paragrafo.

Per concludere, il vero passaggio della fotografa italiana alla sua maturità, grazie al quale sia possibile parlare di un ambito commerciale, accademico, museologico si deve far risalire almeno agli anni Novanta. Eppure grazie ad alcuni indizi rintracciabili a metà degli anni Sessanta possiamo intravedere l'esistenza di un percorso di maturazione durato almeno trent'anni.

1967. Primi passi verso la fotografia come oggetto teorico

Per ricondurci al discorso iniziato prendendo spunto dai testi della Krauss, un passo necessario è cercare di capire da quanto tempo si possa parlare in Italia dell'emersione della fotografa come “oggetto teorico”, ossia da quando si indaghi la fotografa a livello teorico come elemento di analisi in sé.

I testi italiani a cui normalmente si fa riferimento, sono sostanzialmente due. Il primo in ordine cronologico è il libro del 1973 La fotografa di Ugo Mulas, in cui viene pubblicata la nota sequenza delle

Verifche, storicamente accettata come rifessione sullo statuto della fotografa. Il secondo è il saggio di

Franco Vaccari Fotografa e inconscio tecnologico, edito nel 1979 dalla casa editrice fondata da Luigi Ghirri, Punto e Virgola. Due strumenti essenziali, questi, per capire l'efettivo distacco della fotografa dai modelli che si erano strutturati negli anni Cinquanta e dai dibattiti a cui abbiamo accennato nella prima parte della ricerca. Tuttavia riteniamo che le rifessioni di Mulas e Vaccari si reggano su un dibattito nato e sviluppatosi in larga parte nel decennio precedente le due pubblicazioni. Il termine cronologico da cui vorremo partire è il biennio 1967-68.

Nel primo capitolo abbiamo introdotto il dibattito sui temi legati alla fotografa amatoriale che, come si è detto, entra in crisi all'inizio degli anni Sessanta comportando un cambio di rotta dell'editoria

147La Fondazione “Fratelli Alinari. Fondazione per la storia della Fotografa” è stata istituita nel 1998, come prosecuzione delle attività della ditta privata dei Fratelli Alinari.

148Si pensi solo a due esempi: la sintesi storica di un secolo di fotografa curata da Cesare Colombo per il Museo Alinari nel 1985; la mostra dello stesso anno presentata al Castello di Rivoli (che abbiamo visto nel primo capitolo ospitare nel 1993 una mostra di grande interesse per il nostro tema), al secondo anno di attività, con le fotografa di Bernd & Hilla Becher, tra i principali fotograf contemporanei di paesaggio europei.

specialistica ad essa afliata. Alcune delle riviste specializzate, perlopiù edite a Milano, chiuderanno i battenti o cambieranno totalmente rotta dopo la metà degli anni Sessanta. Per fare alcuni esempi, la rivista "Fotografa", edita a Milano e diretta da Ezio Croci come strumento ufciale del “Circolo Fotografco Milanese”, apre nel 1948 per chiudere nel 1967. Lo stesso anno chiude “Ferrania”, punto di riferimento del dibattito fotoamatoriale per oltre un ventennio. Nel 1966 “Popular Photography” cambia direzione e veste grafca. Allo stesso modo, “Il Progresso fotografco”, rivista tra le più longeve (nata nel 1894 su iniziativa di Rodolfo Namias), abbandonerà il suo taglio tradizionale per ridefnirsi come periodico di approfondimento sui linguaggi e le sperimentazioni fotografche. L'omonima casa editrice, Progresso Fotografco, darà vita a riviste indirizzate al nuovo pubblico dei fotoamatori, non più portatori dei valori del fotoamatore evoluto, ma fgli della massifcazione dello strumento. Simbolico in questo senso è il titolo della nuova testa “Tutti fotograf”150.

Il biennio 1967-1968 vede anche la pubblicazione del catalogo della mostra La famiglia italiana in 100

anni di fotografa (Centro Informazioni Ferrania, Milano 1968) e la prima monografa storica dedicata a

un fotografo italiano, Un fotografo fn de siècle. Il conte Giuseppe Primoli (Einaudi, Torino 1968) di Lamberto Vitali.

Altri progetti editoriali, che analizzeremo nel corso del capitolo, nascono proprio nel 1967. Per quanto non si possa tracciare un seguito di consenso e di dibattito, o una diretta linea di sviluppo delle idee promosse nei volumi che vedremo, essi segnano una svolta nella considerazione della fotografa in Italia, e una prima fase di crescita del discorso storico-critico intorno alla fotografa151. Gli anni 1967-1968 rappresentano un primo momento di analisi da cui possiamo iniziare a parlare di fotografa come oggetto teorico.

Cento anni di Fotografia

La prima pubblicazione che intende chiaramente prendere in esame la fotografa nella sua complessità è il fascicolo del periodico I problemi di Ulisse, dal titolo improprio152 Cento anni di Fotografa, pubblicato da Sansoni nel 1967.

Maria Luisa Astaldi, nell'introduzione al repertorio di saggi, ne chiarisce gli obiettivi:

L'invenzione, lo sviluppo e la diffusione della fotografia hanno fatto sorgere una nuova problematica, ormai ampiamente dibattuta nella pubblicistica contemporanea. Prima di tutto la questione estetica: qual'è il rapporto tra riproduzione fotografica e produzione artistica? (Astaldi 1967, p. 5).

150Per una panoramica delle riviste di fotografa e dell’editoria specialistica, cfr. AFT 2003; Colombo 2006; Colombo 2008. 151Cfr. Russo 2010, in part. cap. V, Dalla fotografa italiana alla storia della fotografa italiana, pp. 185-234.

152La fotografa nasce ufcialmente nel 1839, data che a conti fatti impone uno scarto di 128 anni con la pubblicazione del volume.

Questa raccolta di saggi s'imposta sul tema arte-fotografa e diviene illuminante del rapporto tra i rappresentanti della cultura in generale e la fotografa. Gli articoli pubblicati impostano diverse problematiche inerenti alla fotografa in rapporto con vari aspetti sociali e culturali, aprendo rifessioni fno a quell'epoca inesplorate. I numerosi interventi variano dai rapporti con l'arte alle diverse interlocuzioni con altre discipline come la psicologia, la sociologia, il giornalismo, il diritto, per concludersi con un catastrofsta articolo dal titolo La civiltà dell'immagine153 della voce controversa del giornalista e scrittore Paolo Monelli (1894 - 1984). Citiamo per primo questo articolo, come il solo esempio negativo della raccolta, perché rispecchia un atteggiamento tradizionalistico e ottuso della cultura italiana nei confronti della fotografa154.

L'autore prende coscienza della pervasività della fotografa nella società e nella cultura, che si era manifestata nella sua vivida invadenza a partire dagli anni Cinquanta e che da alcuni anni iniziava ad essere oggetto di analisi e valutazioni, e si pone tutto in difesa della parola scritta e contro l'invasione dell'immagine (fotografca, cinematografca e televisiva). Monelli, uomo di lettere, scrive specifcatamente dei “sistemi di comunicazione sociale o mass media come si dice oggi” (p. 181) e, di fronte a “questa gigantesca produzione di immagini a getto continuo” (p. 188), difende la matrice letteraria della nostra cultura.

Gli attacchi sono diretti contro i congegni che producono le immagini, paragonati a robot, contro l'operatore “poco più di un agente inerte, stupefatto per primo dei risultati che ottiene”, oppure ruotano attorno al confronto con “le mirabili visioni suscitate in noi dalla parola scritta che ci fanno appassionatamente partecipi di una realtà umanizzata”. Conclude il Monelli: “non c'è genio di regista o bravura di operatore che sappia evocarle” (p. 183).

E ancora, il vero scontro è con chi propone una promozione culturale e didattica attraverso le immagini: “Nè […] vedo motivo di compiacimento in questa strana pedagogia che tende a ricreare condizioni intellettuali più o meno simili a quelle di trentacinque secoli fa, anteriori al ritrovato della scrittura se non addirittura alla creazione di un linguaggio logico e cosciente” (Monelli 1967, p. 188).

Un attacco diretto a chi crede ciecamente in quella che più volte negli articoli di questo volume sarà defnita “cultura delle immagini”. Una cultura, una società, in cui l'immagine avrebbe titolo per

153Buona parte degli articoli fanno riferimento a questa defnizione – Civiltà dell'immagine – che anche è il titolo dell'Almanacco letterario Bompiani del 1963. L'Almanacco raccoglie un gran numero di immagini di diverse tipologie, dalla grafca ai fumetti, dalla fotografa al design e, con il contributo dei saggi di diversi autori tra cui Umberto Eco,

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