• Non ci sono risultati.

LA FOTOGRAFIA COME FONTE PER LA STORIA DELL'ARTE

Dalla teoretica agli archivi

La fotografa d'arte contemporanea non è un aspetto ancora del tutto trattato dagli specialisti del medium. La gran parte degli studi in quest'ambito30 si riferisce ai rapporti tra fotografa e arte nel XIX secolo. Da un certo punto di vista è l'arte stessa degli anni Sessanta ad allontanare l'attenzione da questo genere fotografco. L'utilizzo della fotografa come medium tra gli altri nella pratica dell'arte da un lato, l'attestazione di una fotografa d'autore, come abbiamo già notato, dall'altro, hanno fatto sì che gli storici si siano concentrati sull'uso della fotografa come mero strumento, lasciando nell'ombra il valore documentario che essa aveva nel circuito artistico.

Tra i possibili usi da parte degli artisti della fotografa alla fne degli anni Sessanta, il critico e storico della fotografa statunitense Christopher Phillips annovera diverse voci che potremmo racchiudere in due grandi categorie: componente delle opere d'arte; veicolo delle opere31. La prima di queste due categorie ha ottenuto una grande attenzione, come si è visto. La seconda è sempre stata interpretata nell'ottica della storia dell'arte.

Per quanto riguarda la prima di queste due categorie, le rifessioni che gravitano attorno all'introduzione della fotografa come medium artistico si basano spesso sulla sua capacità di attestare l'esistenza di operazioni efmere. Non v'è dubbio, infatti, che uno degli aspetti più rilevanti dell'arte del periodo sia la dematerializzazione32 dell'opera. In quest'ottica, la fotografa viene considerata dagli storici quale strumento di visibilità delle nuove forme espressive dell'arte. Si prenda ad esempio quanto scrive, a pochi anni di distanza dalla mostra Combattimento per un'immagine (1973), Daniela Palazzoli, una delle più note critiche e curatrici di mostre al limite tra fotografa e arte. Nell'interpretare il contributo della

30 Per una bibliografa di riferimento si vedano ad esempio Guerci-Cassanelli 1999 e Marisa Dalai Emiliani, Storia dell'arte

e riproduzione fotografca. Una riflessione in più tempi, in Guerci-Minervini-Valtorta 2003, pp. 159-161.

31 Entrando nelle specifche voci, tra quelle che possono interessare maggiormente il nostro studio, oltre alla fotografa come documento di eventi (performance e simili), ovvero come memoria visiva di opere temporanee, vengono elencate: fotografe come componenti dei lavori artistici; fotografa come mezzo per la mise-en-scène della Body Art; fotografa come traccia storica della memoria personale; fotografa come rifessione sui modelli pittorici. Va aggiunta a questa lista la documentazione dell'ambiente artistico che include le immagini delle opere, degli artisti, degli allestimenti, degli spazi espositivi, delle vernici, degli operatori del settore, ovvero proprio la documentazione fotografca da cui prende le mosse la nostra tesi (cfr. Soldaini 1995, pp. 9-10).

32 Si fa riferimento all'articolo Te Materialization of Art di John Chandler e Lucy Lippard apparso sulla rivista “Art International”, v. 12, n. 2, febbraio 1968, pp. 31-36, oggi in Alberro-Stimson 1999, pp. 46-51.

fotografa alla produzione delle opere d'arte, l'autrice aferma:

nella società tecnologica e industrializzata [...] la fotografa sostituisce il linguaggio per parole divenendo il linguaggio per immagini. Gli artisti, quindi, che usano la fotografa come mezzo espressivo riprendono le tecniche già note per diferenziare le loro opere dalle altre immagini che ormai hanno completamente invaso il panorama visivo dell'uomo. (Palazzoli 1977, p. 46-47)33

Non è nostro compito analizzare gli usi della fotografa nelle tesi e nelle pratiche degli artisti34, aspetti che ci porterebbero troppo lontano dai nostri obiettivi. Per questo ci atteniamo all'avviso dello storico dell'arte inglese John Roberts che, riferendosi all'arte concettuale, aferma che per comprendere il ruolo inconscio della fotografa in tale ambito si deve far attenzione a non dare troppo credito alla posizione “teoretica dominante”35.

Per quanto non si vogliano ricercare ruoli inconsci della fotografa del periodo o indagarne i rapporti con le teorie dominanti, è bene abbozzare un discorso sul valore dell'integrazione del dispositivo fotografco nell'arte. Lo faremo attraverso gli scritti di Giuliano Sergio, che negli ultimi anni ha concentrato i suoi sforzi nell'analizzare l'uso della fotografa nell'Arte povera.

Nei suoi primi scritti lo studioso sottolinea come al “rifuto della tradizione del reportage” da parte dei Poveristi corrisponda “l'assunzione di uno stile documentario (oggettività, incisione, frontalità) o amatoriale” (Sergio 1995, p. 10). Sergio rileva dunque come la neutralità – vera o presunta – del medium, la sua trasparenza, sia la qualità ricercata dai promotori del movimento.

Il concetto di neutralità della fotografa pare necessario alla promozione della fgura del critico-acritico, per riprendere una celebre formula di Germano Celant36. “Il critico - aferma lo stesso Celant - controlla gli strumenti informazionali e li fa agire in corrispondenza dialettica con il lavoro in arte, senza sovrapporvisi o mediare, in maniera deformante, il discorso artistico” (1970, p. 29). Il fne ultimo è gestire il “potere non sull'arte, ma sugli strumenti di documentazione” (p. 30). Scopo del critico-acritico è, parafrasando le conclusioni di Celant, di raccogliere dati e documenti al fne di mantenere integra l'autonomia dell'arte.

Dalla nostra prospettiva, si può rilevare in Celant l'intenzione di arginare il valore sociale e culturale della fotografa del periodo. Come se egli intravedesse il rischio di una perdita di valore artistico in quelle opere che della fotografa facevano un grande uso. L'operazione intellettuale di Celant è

33 Il saggio prosegue con esempi di opere tra cui Duane Michals, Te True Indentity Of Man del 1971. Nel corso del volume l'autrice riprenderà alcuni movimenti artistici (Pop Art, Iperrealismo, Arte concettuale, ecc.) descrivendo l'apporto dato ad essi dalla fotografa.

34 Per il valore che assume la fotografa come strumento per gli artisti della seconda metà degli anni Sessanta, cfr. Palazzoli 1977 e Buchloh 2000; in ambito italiano rimandiamo a Sergio 2006 e Pola 2011.

35 “in opening up conceptual art to the unconscious place of photography it is necessary to keep in mind that the dominant theoretical voice of conceptual art was also, in a sense, not to be 'trusted'” (Roberts 1997, p. 10).

interpretabile allora come un'operazione di resistenza verso una possibile assimilazione dell'arte nel più ampio dominio della fotografa e dei media; assimilazione perfettamente simmetrica rispetto a quanto descritto nell'introdurre il binomio arte-fotografa.

Quanto proposto da Celant si inscrive nella più ampia consapevolezza, da parte del critico, del canale distributivo dell'arte italiana della seconda metà degli anni Sessanta. Canale che, pur non raggiungendo un pubblico esteso, si costruisce in coscienza della potenza dell'informazione di massa (cfr. Celant 1970). Le fotografe sono considerate, per riprendere il flosofo Vilem Flusser, come “volantini muti, i quali vengono distribuiti tramite riproduzione, e precisamente attraverso canali massifcatori del gigantesco apparato distributivo programmato” (2006, p. 73); e il fotografo quando opera per il programma, consapevolmente o meno, vi aderisce, cercando di produrre immagini pubblicabili (cfr. p. 71).

La specifcità del campo che stiamo analizzando, quello della fotografa d'arte, è che esiste una gran mole di immagini che non entra nel canale distributivo dell'arte. Questo per diverse ragioni. In primo luogo il canale di distribuzione specifco del circuito artistico non ha una gran capacità di digerire e difondere immagini, per il semplice motivo che le pubblicazioni relative all'arte contemporanea restano un ambito di nicchia rispetto alle tirature dei media più comuni (quotidiani e rotocalchi). In secondo luogo, i critici e gli artisti evitano di dare troppa autonomia ai fotograf, relegandoli al ruolo di operatori che producono documenti il più possibile neutri – lo abbiamo sottolineato in precedenza –, tanto da cercare di controllarne l'atto produttivo37 e limitare la circolazione dei loro scatti. Di fatto, solo una minima parte delle fotografe prodotte viene scelta dai critici e dagli artisti e diviene l'immagine ufciale delle opere, se non l'opera stessa quando assume force iconique (cfr. Sergio 2012, p. 135). Infne, proprio in quegli anni l'apparato dell'arte vive una fase di evoluzione, come abbiamo visto – nel primo capitolo - ad esempio con i cataloghi di alcune mostre della fne del decennio. Sebbene i fotograf stessi apportino un contributo decisivo allo svolgersi di tale evoluzione, l'instabilità nelle prassi d'uso e di difusione delle loro immagini fa sì che queste ultime non sempre vengano considerate e sfruttate dall'apparato stesso38. I fotograf realizzano comunque, a dispetto della modica quantità di immagini che l'apparato distributivo utilizza, numerosi scatti che potremmo considerare sperimentali e che non ottengono visibilità.

37 Riferendosi agli artisti della fne degli anni Sessanta, Ugo Mulas ricorda una certa reticenza alla collaborazione: “avrei dovuto fare proprio quello che il pittore voleva, avrei dovuto essere uno strumento nella sua mano e tu sai che questi pittori impongono il loro punto di vista perché 'la fotografa è la loro opera' […] e poi scelgono, di tutto il lavoro che fai, quella foto che a loro interessa e il resto deve essere eliminato” (Quintavalle 1973, p. 36).

38 Signifcativo è il caso del reportage di Ugo Mulas sulla mostra Vitalità del negativo del 1970, di cui al tempo non viene fatto uso (se non per le immagini scelte per il catalogo della mostra) e che solo recentemente ha ottenuto maggiore visibilità (cfr. Sergio 2011).

La nostra ricerca prende le mosse dalla convinzione che sia necessario analizzare proprio questo tipo di documentazione fotografca, cioè a dire quella che rimane fuori dal canale, quella meno visibile se non invisibile. Ai margini dell'apparato ufciale, il fotografo ha la facoltà di liberare i suoi interessi producendo delle immagini "altre" rispetto a quelle gestite dal canale di difusione dell'arte.

I principali fotograf che operano in questo settore sono portatori di una qualità dell'atto che ha delle radici storiche nel decennio Cinquanta e va valutata alla luce dell'evoluzione della fotografa documentaria e delle rifessioni sul linguaggio fotografco (aspetti che analizzeremo nella seconda parte di questo lavoro). Inoltre, questi fotograf che sono professionisti, operano già con la conoscenza del più ampio canale dell'informazione di massa e sono inseriti nel più ristretto canale dell'arte.

Tuttavia non è solo per questo canale che i fotograf producono le fotografe d'arte e non operano sempre in ragione della “teoretica dominante” ma della loro cultura, esperienza e professionalità.

Vi è dunque un punto di vista fotografco di questa vicenda, rintracciabile in quei grandi collettori di immagini che gli artisti e i critici del periodo non hanno utilizzato: gli archivi fotografci. Negli archivi 'nascosti' dei fotograf d'arte, si può uscire dalla “teoretica dominante” proposta da critici come Celant. La gran parte delle fotografe scattate in quel periodo, presenti negli archivi dei fotograf, sono inedite e raccontano un punto di vista spesso estraneo all'uso che se ne fa nell'editoria d'arte. Questo uso estraneo è al centro della nostra tesi. É nella distanza tra la scelta dei documenti “ufciali” e la modalità di operare dei fotograf d'arte che si può analizzare il già citato “luogo di contaminazione” e rimettere in questione il rapporto tra fotografa e arte contemporanea.

A dieci anni dalla prima analisi della funzione dei documenti nell'arte, Giuliano Sergio inserirà, tra coloro che promuovevano le rifessioni teoriche dell'avanguardia (critici, galleristi, collezionisti), anche i fotograf (cfr. Sergio 2006, p. 65). Successivamente giungerà, con chiaro riferimento alle rifessioni di Mulas e alla sua duplice attività di fotografo d'arte e artista che analizza il linguaggio fotografco, alle seguenti conclusioni:

il reportage, la fotografia documentaria e amatoriale, le foto scientifiche e di moda diventano stili della rappresentazione non più legati ai soggetti abituali, facendo di un’immagine un rinvio che non è solo al suo referente ma alla tradizione del linguaggio fotografico. Le ricerche nate per la documentazione delle operazioni effimere contribuiscono all’affermarsi di una fotografia contemporanea che sviluppa un legame privilegiato con la storia e la memoria. È questo spessore dell’immagine, questo déjà vu, che gioca con il tempo e la storia dei generi e che interpella i limiti dell’esperienza visiva dello spettatore, il legame trascendentale tra l’immagine e il linguaggio. (Sergio 2011a, p. 95)

Ha ragione l'autore quando vede nelle ricerche nate per la documentazione uno spazio in cui si contribuisce allo sviluppo della fotografa contemporanea. Ha ugualmente ragione nel sollevare la questione dello spessore dell'immagine fotografca. Pare invece in fallo quando defnisce trascendentale

il legame tra immagine e linguaggio39. Dimostreremo nei prossimi capitoli come l'evoluzione del linguaggio fotografco goda di una certa accelerazione negli anni Sessanta tale da mettere in luce il valore di medium dello strumento, capace di stare in continuo contatto tra diversi settori come il reportage e l'arte. Tuttavia, come ribadiremo in più occasioni, questo continuo contatto non dà vita a fgure - come ad esempio Mulas40 - per così dire schizoidi, un giorno documentatori e il giorno dopo artisti; ma piuttosto a delle personalità che operano in un ambito ben specifco, in un luogo terzo che abbiamo defnito di “contaminazione” e che vede intrecciarsi e trasformarsi i valori della fotografa e dell'arte. Spiegava Jean Marie Schaefer nel 1987, introducendo la problematicità del rapporto della fotografa con le altre arti: “accanto a immagini che sono opera di fotograf i quali si considerano creatori di valori estetici, vi troviamo fotografe di reportage, fotografe scientifche, ritratti appartenenti ad album di famiglia, immagini documentarie, ecc.” (2006, p. 141). Quando a produrre insieme tutti questi generi d'immagine sono i fotograf professionisti è necessario defnire una terza dimensione di analisi, che non è solo quella della storia della fotografa e non è solo storia dell'arte. Questa terza dimensione va ricercata negli archivi fotografci.

Dalla teoria al metodo

Più volte nel primo capitolo ci si è riferiti ad alcuni testi di Rosalind Krauss, presa da molti autori come faro concettuale per orientarsi nel variegato oceano del dominio arte-immagine.

Uno degli assunti da cui partono i ragionamenti della Krauss è la rifessione attorno al concetto di indice. Anche per l'autrice americana la fotografa è, prima di tutto, il risultato di una trasformazione fsica, innescata dalla luce, di una superfcie sensibile. Grazie a questa trasformazione, tra fotografa e oggetto rappresentato si instaura una relazione indicale41.

La defnizione di indice è ripresa dalla semiotica di Charles Sanders Peirce, il quale concepì una categoria di segni, gli indici, che si defnisce in relazione alla connessione fsica che questi instaurano con l'oggetto42. Per questa tipologia segnica, la fotografa rappresenta un ottimo esempio in quanto indice del referente reale il cui funzionamento è paragonabile a quello di un'impronta sulla sabbia indicante, come traccia, il passaggio di qualcuno. È celebre in questo senso la trasposizione di Roland Barthes di

39 La tradizione francese strutturalista e post-strutturalista, le Scienze dell'Informazione e della Comunicazione e, a partire dagli anni Novanta, la Mediologia di Régis Debray svilupperanno, ciascuno nella propria sfera disciplinare, una rifessione approfondita sui rapporti tra immagine fotografca e linguaggio.

40 Ugo Mulas è forse l'unico dei fotograf d'arte a cui viene riconosciuta la capacità di lavorare nel dominio della fotografa d'arte con la consapevolezza dell'artista, o di cui comunque si mette in relazione l'attività di documentazione d'arte con le operazioni artistiche (cfr. Trini 1998).

41 “Every photograph is the result of a physical imprint transferred by light refections onto a sensitive surface. Te photograph is thus a type of icon, or visual likeness, which bears an indexical relationship to its object” ( Krauss 1977, p. 75).

tale concetto: “Il nome del noema della Fotografa sarà quindi: 'È stato'” (1980, p. 78)43.

Su questa traccia numerosi saggi hanno utilizzato l'idea di connessione fsica tra fotografa e realtà. Susan Sontag, per analizzare il mondo dell'immagine, parte da simili premesse:

Queste immagini riescono a usurpare la realtà perché, prima di tutto, una fotografia non è soltanto un'immagine (come lo è un quadro), un'interpretazione del reale; è anche impronta, una cosa riprodotta direttamente dal reale, come l'orma di un piede o una maschera mortuaria. (1992, p. 132)

La connessione col referente, che si instaura nel momento di funzionamento meccanico del dispositivo, da alcuni defnito automatico (cfr. ad esempio Costa 2008), si basa sulla considerazione della natura tecnica della fotografa.

Proprio a partire dalle sue specifcità tecniche e, dunque, dalle modalità di creazione delle fotografe, la letteratura specializzata ha cercato di defnire la fotografa consacrando i propri sforzi quasi esclusivamente allo studio di quella parte dell'atto creativo che, come abbiamo visto, la pone in rapporto con la realtà (referente).

Ritornando al fondamentale contributo della Krauss nel gettare un ponte tra la fotografa e l'arte, va citata la traduzione italiana della raccolta di saggi Storia e teoria della fotografa, edita in Italia nel 1996. La teoria della Krauss ci permette di introdurre alcune rifessioni sulla ricezione delle immagini.

In questa raccolta viene riproposto, in una diversa versione (cfr. Krauss 1996, pp. 67-85), il fondamentale parallelo tra la fotografa e il ready-made duchampiano, già introdotto dall'autrice nel 197744. In scritti successivi l'autrice associa a ready-made e fotografa diversi signifcati. Per esempio, essi

assumono una valenza estetica in grado di indebolire un intero mondo di tecnica e di tradizioni associato sia all'arte, sia alla fotografa45. A partire dal ready-made il valore della tecnica viene dunque meno. Ciò che si insinua con il ready-made è anche un altro aspetto: la presenza di uno sguardo dall'esterno - una prevalenza percettiva – nella progettazione delle opere.

In questo senso, nel saggio del 2004 “Specifc Objects”, Krauss apre ulteriori e interessanti paralleli, tra cui quello relativo alla fotografa concettuale46 e all'installazione artistica degli anni Sessanta. In tale

43 Barthes defnisce chiaramente cosa sia il referente fotografco: “Chiamo ‘referente fotografco’, non già la cosa

facoltativamente reale a cui rimanda un'immagine o un segno, bensì la cosa necessariamente reale che è stata posta dinanzi

all'obiettivo, senza cui non vi sarebbe fotografa alcuna” (1980, p. 77).

44 “For as we will see, it is Duchamp who frst establishes the connection between the index (as a type of sign) and the photograph” (1977, p. 71).

45 “Tat this act alone is aesthetic means that an entire world of artistic technique and tradition drops away, not only the skill required to make the older forms of 'works nominated to play this role' - painting, say, or sculpture - but also the technical skills of exposure, developing, and printing requisite to photography itself” (1999, p. 293).

46 Una defnizione, quella della fotografa concettuale, che getta un ponte tra i fotograf americani cosiddetti New

Topographics e la fotografa Oggettiva tedesca della scuola di Düsseldorf, intrecciandola con gli assunti dell'arte concettuale

(cfr. Rorimer 2001, in part. § Photography: Restructuring the Pictorial, pp. 113-153). Più concretamente, in ambito italiano tale defnizione è riferibile a una più ampia “rifessione sui mutamenti del paesaggio” avvenuta partire dagli anni Settanta (cfr. Valtorta 2008, pp. 188-205).

parallelo l'autrice spiega che l'installazione trasforma lo spazio della galleria, che a sua volta è essenziale per l'opera allestita, così come la fotografa concettuale include lo spazio come contesto in cui vengono prodotte le immagini47. In breve: lo spazio è determinante sia all'una sia all'altra pratica.

A voler prendere alla lettera queste parole si potrebbe cedere alla tentazione di far fgurare fotografa e arte dalla metà degli anni Sessanta in poi come sottotitoli del più ampio capitolo del concetto di installazione, di trasformazione e di interpretazione dello spazio. Una lettura afascinante, attraverso cui poter leggere opere e fotografe alla luce di una rifessione sullo spazio, inteso in senso ampio (dalla galleria al territorio, dallo spazio mentale al corpo) che travalica l'uso del medium e impone rifessioni di carattere sociologico.

La fotografa assume per l'arte un ruolo fondamentale come strumento di base della registrazione della percezione visiva e dunque per la progettazione delle opere. L'arte rifette sulla fruizione dello spazio espositivo, dove gli oggetti vengono messi in scena, vale a dire, organizzati in funzione dell'occhio. La fruizione di queste opere, lo abbiamo accennato parlando di Germano Celant, non passa più esclusivamente dall'incontro con le opere stesse, ma avviene anche grazie ai documenti, fotografci o meno, pubblicati nell'ambito dell'editoria artistica.

Tuttavia anche questo esempio non fa che rinforzare il vecchio e ai nostri occhi sterile binomio arte-fotografa, rimandando a confronti inscritti nel circuito artistico e a analisi critiche tipiche di quel contesto. La chiave di lettura della Krauss risulta quindi fuorviante per gli assunti della nostra tesi

Documenti correlati