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Le fonti fotografiche di epoca coloniale si legano molto spesso a forme di dominazione, difatti nonostante l’apparenza la fotografia è un veicolo molto potente per la trasmissione di ideologie. Proprio per questo motivo le fotografie risultano essere un potente strumento al servizio della propaganda, principalmente in epoca fascista ma comunque in continuità con la politica del regime liberale, di cui il regime fascista può essere letto come un momento di intensificazione delle inclinazioni già in atto.

La “cultura visuale” riveste un ruolo di spicco nella cultura occidentale ed essa fece da controparte al dominio coloniale ed all’idea che si creò di esso. La macchina fotografica che andava a rappresentale il simbolo dell’innovazione e della supremazia occidentale, permise una sorta di appropriazione visiva dei territori che si volevano colonizzare.

La fotografia vede la luce come tecnica riproduttiva proprio in concomitanza con l’inizio del periodo coloniale Africano. Questo fatto risulterà essere molto incisivo sulla costruzione e nella diffusione delle immagini riguardanti i territori coloniali ed i loro abitanti.

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Il mezzo fotografico diviene in questo modo quello privilegiato per l’accompagnamento dell’avanzata coloniale in terra straniera.28 Tramite questa nuova tecnologia nasceva la possibilità di dotare una rappresentazione più nitida e coinvolgente degli avvenimenti oltremare, basti pensare che fino a questo momento le terre lontane erano rappresentate da delle cartine geografiche o dai disegni.

La fotografia in questo periodo diviene quindi una “presa di possesso” del territorio coloniale. I ritratti donano una forma visuale a ciò che prima era sconosciuto, sono quindi molto suggestivi.

Il trasporto per questa nuova disciplina è molto forte, inoltre essa acquisisce la funzione di “dimostrazione del vero”: secondo le persone occidentali infatti attraverso la fotografia era possibile venire in contatto con una realtà veritiera. Con il mezzo fotografico infatti, nonostante la lontananza, poteva essere svelata una puntuale rappresentazione della realtà d’oltremare.

La fotografia svolse così un ruolo centrale nel periodo coloniale italiano e condizionò in maniera importante l’immaginario della terra africana e delle donne che la popolavano.29 Questo mezzo si prestava come una formula particolarmente funzionale, giacchè poteva raggiungere tutte le fasce della popolazione. La fotografia aveva infatti la capacità di far presa tra le persone più istruite ma anche tra gli strati con un livello di istruzione più basso. Va ricordato inoltre che questa seconda categoria andava a rappresentare nell’Italia dell’epoca una fetta molto numerosa di popolazione a causa del basso livello di scolarizzazione.

Questa situazione rese particolarmente adatto il materiale fotografico quale mezzo efficace per una diffusione capillare di informazioni. Il rimando che le foto forniscono è molto forte e permette al pubblico di avere la sensazione di partecipare attivamente allo sforzo coloniale.

Gli italiani non si fornirono di fotografi ufficiali e la diffusione delle immagini avvenne tramite il lavoro di fotografi sia di tipo amatoriale che professionale. Vi furono ben quattro ditte che si cimentarono in terre africane nella realizzazione di reportage fotografici: questi professionisti realizzano intorno ai settecento scatti, un numero molto minore in confronto alla produzione di altre nazioni, ma comunque bastevole per una notevole circolazione.

Basti sapere che a Mogadiscio esisteva addirittura la ditta professionale “Edizioni Artistiche Fotocine” specializzata in nudi femminili. Queste fotografie prodotte da veri e propri studi fotografici venivano distribuite prima delle partenze dei volontari con il preciso scopo di fungere da fattori di attrazione.

28Elisabetta Bini. «Fonti fotografiche e storia delle donne: la rappresentazione delle donne nere nelle

fotografie coloniali italiane». In: (2011). url: http://www.sissco.it/download/attivita/bini.rtf.

Figura 3.1: L. Naretti, Donna abissina portatrice d’acqua (cm 19, 5 × 24, 5), 1890.

Per quanto riguarda i reperti fotografici provenienti invece da fonti amatoriali, si può notare come essi lascino intravedere in maniera preponderante le sensazioni personali di chi li ha prodotti, infatti in queste immagini lo slancio verso l’aspetto esotico-erotico si nota maggiormente.

La violenza talvolta risulta ancora più esplicita, in queste “foto ricordo” i soldati si fanno ritrarre accanto a ragazze semi nude, magari mentre le toccano. Tramite queste immagini si aveva anche la possibilità di mostrare le meraviglie che offriva la terra africana una volta tornati a casa.

Questa realtà si costituì anche a causa del divieto di diffusione di foto erotiche che fino al 1861 prevedeva delle sanzioni per la distribuzione di materiale pornografico. Tale condizione, unita all’esistenza di una produzione amatoriale lascia presumere l’esistenza di tutto un sommerso ambito di divulgazione; si può inoltre ben immaginare che esistano tutt’oggi ampie collezioni private di questi scatti.

Questo genere di fotografia ha la capacità di rispecchiare e amplificare la rappresentazione che si voleva rendere del corpo femminile colonizzato.

La figura delle ragazze risulta essere in assoluto il soggetto maggiormente fotografato. Esse sono ritratte molto spesso nella loro nudità o in atteggiamenti succinti, il mito della “venere nera” difatti ricopre un posto d’eccezione nell’immaginario dell’epoca.30

Figura 3.2: L. Naretti, Nudo femminile (albumina, cm 16 × 21), 1887–1900.

La consuetudine di fotografare il corpo femminile in pose che lo ritraggono con le membra scoperte in realtà, nella maggior parte dei casi, risulta essere un’imposizione da parte di chi scatta la foto. Al contrario di come si vuol far credere, in molte zone la nudità non è affatto un usanza tipica dei costumi locali, soprattutto per quanto riguarda le aree a maggioranza musulmana, (Libia, Somalia e parte dell’Eritrea). Difatti molto spesso le donne si opponevano all’essere fotografate ed in molti casi acconsentirono ad essere ritratte solamente dietro una ricompensa.

Il rimando di queste fotografie è l’idea che esse lasciano a proposito della disponibilità delle donne africane, l’opinione che esse siano dei soggetti lascivi e disponibili per natura.

Le didascalie e le annotazioni che spesso si ritrovano a margine delle immagini, sono connotate dal razzismo e dal sessismo che sono prerogativa stessa di questa produzione fotografica, e sono una rappresentazione bene evidente dell’opinione che si aveva delle popolazioni colonizzate.

Anche la scelta della maniera nella quale sono rappresentati i soggetti, le pose ammiccati, lo sguardo invitante, la costruzione stessa del set fotografico, rappresentano rimandi dotati di connotati sessuali.31

Questo aspetto diviene una maniera per riprodurre visivamente il rapporto di potere, in alcuni scatti si può osservare come il corpo della donne di colore venga esposto come una sorta di bottino di guerra, in queste immagini l’uomo bianco figura vestito invece le

Figura 3.3: L. Naretti, Sifilicomio di Asmara (albumina, cm 28 × 20, 5), 1887–1900.

donne sono esposte nella loro nudità ed in pose invitanti.

Questo genere di fotografia, così presentata, rende una “falsa testimonianza” riguardo alla natura di queste donne, strettamente funzionale a creare una forma di attrazione, talvolta morbosa verso le terre africane ed a costruire consenso intorno all’impresa colonizzatrice.

Realtà ed immaginazione in questo genere di produzione fotografica vanno confonden- dosi, mescolando le fantasie dell’uomo occidentale e la realtà dell” ’altro”. Le fotografie coloniali erano molto ricercate e offrivano quindi un fiorente mercato che fu abilmente sfruttato dall’apparato propagandistico.

Il fotografo Robecchi-Bricchetti che scattò più di 2000 fotografie in un periodo temporale che possiamo collocare tra il 1888 e il 1903, durante le sue esplorazioni del Corno d’Africa, descrive così i suoi soggetti preferiti:

In quelle giovani somale si scorgeva un assieme di femminilità greca e romana commista al profilo snello ed asciutto ed alle calde e vellutate tonalità di colore proprie del sangue arabo. [. . . ] Ma nelle brune ed aggraziate figlie del sole, sbocciate, come fiori gentili in quelle serre dei tropici, si riscontra, ancora, una pastosità di forma, una pienezza di linee ed una vaga dolcezza di espressione che sferzano furiosamente il sangue con un fascino acuto, acre, selvaggio e inebriante come i profumi e gli aromi di quelle resinose boscaglie d’acacie. Se la loro bellezza, più che tale, è fine e piacente, gli occhi ne completano il

che sempre rivelano l’intelligenza e trasporti passionati [sic], mettono i brividi suscitando ignote e violente sensazioni. [. . . ] Le donne, se giovani, sono di una grazia armonica e statuaria. Dalla testa piccina e oblunga, alla curva molle, ampia e voluttuosa dei fianchi, dal petto tondeggiante, ritto che, turgido, erompe dalla veste che invano lo costringe.32

L’immagine 3.1 fu prodotta da Luigi Naretti ed è ben rappresentativa degli stereotipi diffusi, la ragazza è immortalata in un set fotografico, uno studio in cui l’ambientazione è appositamente ricreata con oggetti che rappresentano il tipico immaginario occidentale dell’Africa.

Figura 3.4: Foto privata: un soldato italiano tira fuori dalla sua capanna una giovane Oromo.

L’immagine rimanda all’arretratezza ritenuta tipica degli indigeni del posto, costretti alle fatiche della loro scarsa civilizzazione. La ragazza viene immortalata con i seni scoperti, così da stuzzicare la fantasia e fornire un rimando al fascino esotico ed alla sensualità.

La maggior parte di queste foto, a sfondo pornografico, se non erano riprodotte all’interno di uno studio, provenivano da case chiuse e lo scopo, oltre a quello attrattivo era anche di rinforzare il binomio Inferiorità/Alterità.

Altro aspetto da notare è la spersonalizzazione delle ragazze riprodotte nelle foto (cfr. Figura 3.3)): il loro nome non viene mai riportato, esse sono in sostanza dei “tipi” delle attrazioni del luogo.

Estremamente significativo è il fatto che «il regime distribuiva direttamente ai soldati in partenza per l’Etiopia varie fotografie di donne nere nude.»33

Questa ultima foto (Figura 3.4) proviene da una collezione privata e ripropone un immagine molto forte della realtà dell’epoca. A differenza delle altre immagini proposte, dove l’atteggiamento delle donne mette in mostra la loro presunta disponibilità tramite l’assunzione di pose lascive sensuali ed ammiccanti, in questo caso la ragazza, per altro giovanissima, trasmette un senso di disagio.

Questa fotografia, più che le bellezze di un terra sconosciuta, sembra riproporre una battuta di caccia, nella quale il soldato italiano mostra le preda che ha catturato.

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