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Foundations for a European Legal System, Leiden-Boston, Brill, 2013, pp XVI 428.

L’edizione inglese del fortunato libro di Mario Ascheri segue dopo tredici anni quella italiana, che nel frattempo è stata assai letta non solo nella penisola. Lo specifico taglio dato all’opera originale, che la rende di difficile classificazio- ne, acquista maggior risalto nella versione inglese, dato che in tale lingua si ap- prezza ancora di più la capacità di sintesi dell’autore, che riesce a rendere conto di un periodo così importante della storia giuridica della penisola in poco più di 350 pagine. Si sarebbe dunque portati a ritenere il volume un manuale (e pro- babilmente sarà questo il suo uso), senonché l’ambizione dell’autore, dichiarata fin dal sottotitolo, è quella di fornire una chiave di lettura complessiva del pe- riodo, focalizzandosi sull’importanza che esso ebbe nella formazione del sistema legale dell’intera Europa. Del resto questa edizione si distingue anche per l’at- tenzione riservata ai paesi estranei al diritto comune, come paradigma di un’e- voluzione alternativa ma non per questo slegata da quella italiana. Filo condut- tore del discorso è dunque lo ius commune, dalle sue prime manifestazioni all’età del suo trionfo, inteso non tanto come sistema universalmente diffuso ma come linguaggio comune di una cultura giuridica.

Il volume si articola in tre ampie parti (a loro volta suddivise in undici capi- toli) che seguono un percorso cronologico, anche se in questo caso la scansione temporale si presta a un discorso metodologico più generale. Pur se il libro parla volutamente delle leggi, e di conseguenza del diritto quale era praticato nelle sue molteplici forme all’interno di una Italia certo non unitaria, un’attenzione costante è riservata all’insegnamento e alla teoria, di provenienza universitaria o

meno, che sostanziava l’attività degli Studia e sosteneva il progresso anche del diritto praticato. È ovvio perciò che un discorso sull’insegnamento del diritto abbia nella scansione cronologica delle partizioni naturali, centrate sui metodi di insegnamento e di dibattito utilizzati nell’università. D’altro canto è sul rapporto stesso fra legge e università che si può articolare l’intero processo di costruzione del- lo ius commune e la sua diffusione, come fa notare l’autore fin dall’introduzione.

Perciò il volume inizia da una parte dedicata all’XI secolo, momento quanto mai significativo per la rinascita del diritto romano, nella sua versione ovvia- mente medievale. Ascheri tuttavia spende alcune indispensabili pagine per pre- sentare l’eredità giustinianea, non così ovvia per un pubblico di lingua inglese, ma anche premessa irrinunciabile a un’analisi che si vuole dedicata a una ‘risco- perta’. Particolarmente significative da questo punto di vista le pagine dedicate alla presentazione non solo dei principi generali del Corpus, ma anche della sua diversa ricezione e fortuna. Sono d’altra parte gli strumenti indispensabili per la lettura di tutto il resto del libro: il Digesto (Vecchio, Infortiatum e Nuovo), i Tres Libri, sono parole che ovviamente ritorneranno molte volte nel corso della lettura.

Il primo capitolo si chiude poi con un ampio spazio dedicato a Irnerio e alla sua opera, che pur riportata alla sua giusta dimensione non si può tuttavia sotto- valutare per l’impatto dirompente che ebbe sull’insegnamento e sulla nascita stessa delle università. Semmai l’autore è attento a tracciare le coordinate di un mondo che in un certo senso era pronto a questa novità e dunque assai ricettivo verso l’opera di Irnerio.

Il discorso continua nel secondo capitolo di questa prima parte, che ha come scopo il presentare il multiforme XI secolo, la sua realtà giuridica e le novità durante esso maturate. L’autore mostra come il panorama italiano fosse decisa- mente mosso, e perlomeno articolato in un’area meridionale di più o meno ro- busta tradizione bizantina, e un’altra settentrionale nella quale il diritto predomi- nante era quello di ascendenza longobarda (presente pure nel Sud), anche se in- tegrato dalla legislazione carolingia e post-carolingia. Ma accanto a queste due realtà ‘territoriali’ vi era un altro settore in via di consolidamento ed era quello del diritto canonico, ancora abbastanza variegato, ma già percorso da tentativi di razionalizzazione. Di tutti questi differenti mondi vengono presentati poi i testi fondamentali e le compilazioni di maggior circolazione, in modo da mettere il lettore in condizione di valutare gli strumenti disponibili per i giuristi del tempo.

Nel terzo capitolo l’analisi si sposta al dettaglio del secolo in questione, con un’attenzione particolare per le fonti di produzione del diritto e la loro non sempre facile convivenza. Giustamente l’autore comincia col presentare la prati- ca notarile, spesso sottovalutata, non solo come strumento di trasmissione del di- ritto, ma anche in un certo senso come veicolo del suo consolidamento, come provano i numerosi formulari rimasti. Il secondo argomento è quello della con- suetudine e del suo rapporto con la legge (imperiale, ma poi anche particolare), tema certamente molto dibattuto, ma non di meno centrale nella ricostruzione del secolo in questione. A questo punto il discorso è maturo per la presentazio- ne del policentrismo giuridico, premessa essenziale per lo sviluppo del diritto urbano dei secoli successivi, ma in questo caso ancora vincolato alle differenti tradizioni e consuetudini, nonché alla differente applicazione delle norme impe- riali. Proprio questo punto introduce una riflessione sulla incipiente territorializ- zazione del diritto, superamento della personalità dello stesso in epoca altome-

dievale. È però una territorializzazione ancora embrionale, con importanti ecce- zioni e aspetti di marcato particolarismo, talvolta destinati a sopravvivere a lun- go, come nel caso del diritto feudale.

La seconda parte del volume riguarda il periodo più significativo per la co- struzione del sistema, vale a dire quei centocinquanta anni che videro la nascita degli insegnamenti universitari e le creazioni di primi abbozzi di diritti locali (quelli urbani, ma anche quello del regno meridionale), concepibili solo in rap- porto al sistema generale. Il secolo e mezzo che va dalle soglie del XII secolo alla metà del successivo è in effetti gravido di eventi, e non solo dal punto di vista giuridico, e vi sono perciò dedicate molte pagine, in uno sforzo di sintesi davvero notevole.

Il quarto capitolo (il primo della seconda parte) si sofferma così su due aspetti paralleli ma ben distinti della costruzione del sistema: da un lato la nascita delle università, essenziale per la riscoperta del diritto romano e per la creazione dunque di una base giuridica idealmente unitaria. Dall’altro la graduale costru- zione di un diritto canonico inteso come corpus, a partire dalla fondamentale opera di Graziano. I contatti fra i due sistemi ovviamente non furono infre- quenti, per esempio nelle stesse università, ma i percorsi furono sostanzialmente diversi. Per la rinascita del diritto romano infatti l’autore sottolinea ovviamente il ruolo pluralistico dei protagonisti, attivi non solo a Bologna, ma anche a par- tire dal Duecento in molte università della penisola, più o meno destinate al successo.

Ascheri riesce bene a delineare in poche pagine il metodo didattico della glossa e l’arricchirsi dunque dell’originario legato giustinianeo, con un apparato che se contraddiceva la volontà del legislatore stesso, ne permetteva però la rice- zione in un mondo radicalmente mutato. Sul fronte del diritto canonico invece il ruolo dei pontefici, molti dei quali legislatori e giuristi, fu naturalmente più determinante, con una marcata tendenza alla costruzione di un sistema comples- sivo e potenzialmente onnicomprensivo, ma soprattutto ben armonizzato al suo interno, stanti le macroscopiche diversità delle fonti di origine delle norme. An- che se il sistema dunque non era completo alla metà del secolo, l’impostazione generale era data e soprattutto era stato avviato il metodo di diffusione del dirit- to canonico tramite le stesse università.

Il quinto capitolo affronta uno dei temi centrali della specificità italiana del diritto ed insieme uno degli argomenti sul quale l’autore si è più a lungo ci- mentato. Il tema è infatti quello delle leggi territoriali e speciali, ma in esso la parte del leone la fanno gli statuti, urbani e rurali, argomento sul quale la bi- bliografia è quanto mai vasta e difficile da padroneggiare. Se c’era dunque qual- cuno che poteva sintetizzare tutta la ricchezza di sottotematiche degli statuti ita- liani, quello era certamente Mario Ascheri e il risultato non delude le aspettati- ve. Non ripercorreremo qui il discorso dell’autore perché ovviamente speciali- stico, ma sottolineeremo che particolare attenzione è riservata al momento for- mativo, alla circolazione di idee e modelli, ai rapporti fra città e campagna e non ultimo alle possibili similitudini con altre realtà europee. Ce ne è a suffi- cienza per farsi un’idea compiuta del luminoso momento statutario della storia italiana. Il capitolo tuttavia affronta anche altri due aspetti, in parte collegati a questo: da un lato la legislazione centrale del sud Italia, mettendo in risalto la capacità della monarchia di costruire un sistema alternativo e ricco di spunti per successivi approfondimenti; dall’altro la legislazione speciale di corpi non territo- riali, come le confraternite, le corporazioni, ma anche il diritto marittimo e

quello commerciale. Forse più che in altri casi in questo è significativo il contri- buto dato dalla penisola alla costruzione di un diritto europeo (insieme, ovvia- mente, ad altri attori).

Per concludere questa parte all’autore non mancava che un capitolo dedicato ai protagonisti di questo grande momento. In un certo senso è un utile sguardo su di una materia già accennata, ma da una diversa visuale. Tali protagonisti, in primo luogo i professori di diritto, sono visti attraverso la loro opera e dunque soprattutto attraverso i loro scritti. Davvero molto utili ai non specialisti sono dunque le pagine dedicate alle varie tipologie di scritto giuridico, dalla Glossa ordinaria, alle Questiones, alle Summe, ai Tractatus. Ma come è noto il diritto non si creava solo nelle aule universitarie, ma anche in quelle dei tribunali, ed è per- ciò che l’Ascheri si rivolge poi all’emergere del modello – universalmente diffu- so – del processo romano-canonico, che più di altri strumenti ha contribuito al consolidamento del diritto comune. Naturalmente, dato il tema del capitolo, il processo è visto attraverso i suoi protagonisti, giudici ed esperti di diritto, ma poi anche consultori esterni, e da ultimo i notai. Qualche nota è infine riservata – et pour cause – alla nota eccezione inglese al modello, che per il Medioevo è tuttavia meno assoluta di quanto possa sembrare a un primo sguardo.

L’ultima parte del libro, che consta di cinque capitoli assai più snelli, è dedi- cata come dicevamo al periodo immediatamente successivo, quello del trionfo e della universale diffusione del diritto comune (con le prime avvisaglie di crisi), cioè da metà del XIII secolo a tutto il XV. Significativamente il primo capitolo di questa parte (il settimo) è intitolato Perfecting and Consolidating the System, dato che il secondo Duecento e i primi decenni del Trecento furono davvero il mo- mento nel quale giunsero a compimento i processi sviluppatisi nel periodo pre- cedente, con il completamento del corpus canonico e il consolidamento della Glossa ordinaria. Si tratta di un’evoluzione che avvenne in più luoghi, in una sorta di sinergia più o meno prevista, ma il luogo principe furono indubbiamen- te le università, dove i metodi di insegnamento si cristallizzarono attorno a de- terminati testi e a determinate forme di commento; ciò diede origine a una “communis opinio” che doveva avere un significato decisivo per l’omogeneiz- zazione delle interpretazioni, prima che essa prendesse la forma del ‘bartolismo’, che possiamo in un certo senso accostare all’aristotelismo in filosofia, nel senso che le opinioni del grande giurista marchigiano, vere o presunte, col tempo avrebbero chiuso qualsiasi discussione.

I successivi sviluppi dottrinali e istituzionali sono presi in esame nel capitolo successivo, che pone l’accento sul ruolo dei docenti di diritto fuori dalle univer- sità, e cioè in Italia soprattutto nei comuni, dove le loro capacità di interpreta- zione ne facevano dei potenziali legislatori (e talvolta non solo potenziali). È del resto intuitivo che i nascenti stati comunali e poi signorili – e a maggior ragione la Chiesa – dovessero aver bisogno dell’apporto dei giuristi, anche se tale rela- zione non fu sempre lineare e ugualmente bene accetta. Inoltre proprio dai rap- porti con la Chiesa e con la sua peculiare normativa doveva nascere il concetto di ‘giurisdizionalismo’, termine questo ben conosciuto dai lettori non italiani per via del maggiore sviluppo che il concetto ebbe fuori dalla penisola. Sono solo alcuni degli aspetti che il rapporto fra giuristi e società civile ebbe, ma in realtà l’ampiezza della materia sulla quale l’esperto di diritto poteva essere chiamato a esprimersi è tale da sconsigliare anche solo un’enumerazione: dalla tassazione alla repressione dell’eresia, dalla liberazione dei servi alla lotta al dissenso politico.

Il nono capitolo opera un ritorno ai testi, cercando di evidenziare i rapporti fra la produzione universitaria e quella legislativa. Si tratta in un certo senso di un discorso già cominciato, che qui viene continuato nel suo sviluppo tardo- medievale. Da un lato infatti vi sono corpora ormai completi e suscettibili solo di qualche integrazione, dall’altro legislazioni che si fanno sempre più complicate e oggettivamente molto articolate. È il caso degli statuti, urbani come rurali, quando il centro in questione si trovi a essere soggetto (eventualità comune a partire dal Trecento). È evidente che la normativa di un centro soggetto non poteva che tenere in conto quella della dominante (o del signore, nel caso degli stati regionali). Tali livelli potevano del resto essere più di due e ciò ovviamente non doveva essere trascurato neppure da parte di coloro che insegnavano negli Studia. Ma l’autore spende anche qualche parola su alcuni stati che presentavano una situazione particolare, per la volontà normativa unificatrice dei loro signori. Si tratta dello Stato della Chiesa, della Patria del Friuli, del dominio sabaudo (poi Ducato), del Regno di Sardegna, senza dimenticare la particolare situazione dei regni meridionali, che potevano contare su veri e propri corpora normativi territoriali. Va sottolineato che una tale attenzione non è comune nelle esposi- zioni di storia giuridica italiana, che in genere privilegiano la regola e talvolta trascurano l’eccezione.

Anche nel capitolo successivo (il decimo) si riprende un argomento già ac- cennato per portarlo verso la sua logica conclusione, cronologica ma anche con- cettuale. Il capitolo è infatti dedicato alla giustizia tardo-medievale e alle sue istituzioni, viste nel loro effettivo funzionamento quotidiano, più che nella teo- ria. È probabile che tale argomento sia quello che negli ultimi anni ha maggior- mente attirato l’attenzione della storiografia e perciò non solo gli studi di cui te- nere conto sono innumerevoli, ma le sfaccettature del problema da prendere in considerazione sono altrettanto copiose. Anche in questo caso si ammira la capa- cità di sintesi dell’autore, che guida il lettore con mano sicura attraverso l’azione quotidiana dei giusdicenti rurali, di quelli urbani (alle prese con molteplici giuri- sdizioni, che in qualche caso producevano un acuto conflitto di competenze, come nel caso dei tribunali ecclesiastici, di quelli mercantili, di quelli signorili), di quelli delle corti centrali dello stato; viene anche accennata la particolare ec- cezione (qui come altrove) costituita da Venezia, come viene anche seguito il formarsi di una specifica giurisprudenza dei singoli tribunali (o perlomeno di quelli centrali). Ma un certo peso hanno anche i risvolti politici dell’uso della giustizia (di cui si è già accennato), come pure il differenziarsi delle procedure fra la sfera civile e quella criminale, con l’affermazione del processo inquisitorio. Su ognuno di questi aspetti, come è noto, si sarebbe potuto scrivere pagine e pagine, che avrebbero però travisato il senso complessivo del libro, ed è perciò assai utile che l’Ascheri abbia fornito un sunto così asciutto, per quanto completo.

Chiude il volume un capitolo dedicato alla fine del Medioevo, che viene vi- sta come un’occasione per tracciare un bilancio del percorso fin qui esposto dei diritti italiani. È in effetti un’epoca di transizione e di forti contrasti, alcuni dei quali sono già stati esposti nel corso del libro; di certo la nascita di una cultura nuova, che si rifaceva all’antico senza accettare mediazioni, fu un fatto gravido di conseguenze per un mondo che nelle università aveva trovato un proprio modo di coltivare l’antico attraverso una sua completa rielaborazione. L’opposi- zione fra umanisti e professori fu dunque spesso un contrasto fra giuristi e filolo- gi, senza tuttavia dimenticare gli studi giuridici di alcune figure chiave dell’uma-

nesimo. Ciò comunque preparava una certa marginalizzazione dell’insegnamento universitario del diritto nell’ambito della cultura di punta, più aggiornata e più in voga fra i principi. Ma, come è ovvio, di giuristi oltreché di professori si continuava ad aver bisogno e dunque la complessa costruzione dottrinale che comprendeva tanto il diritto civile quanto quello canonico fu non solo mante- nuta in uso, ma anche allargata a nuovi spazi, stimolando una riflessione in ogni caso non stagnante anche al di fuori della penisola. In questo senso, come im- portante legato alla civiltà europea, si comprende l’importanza del diritto svilup- pato e insegnato in Italia, che rimane dunque una cospicua eredità meritoria di studio ancora oggi.

Chiude il volume una guida ragionata e aggiornata alla bibliografia di storia giuridica, che è un ulteriore utile strumento per il lettore non specialista. La bi- bliografia generale è in effetti presente alla fine del libro, ma è intuitivo che orientarsi in essa non è agevole per colui che non si occupa di storia del diritto.

Il volume dunque si propone come uno strumento di lavoro assai pratico per poter affrontare ricerche più approfondite sui singoli argomenti, ma come abbiamo anticipato costituisce anche un suggerimento davvero appropriato per una lettura complessiva della storia del diritto italiano nel Medioevo.

GIANPAOLOG. SCHARF

I

NÉS

C

ALDERÓN

M

EDINA

, Cum Magnatibus Regni Mei. La nobleza y

la monarquía leonesas durante los reinados de Fernando II y Alfonso IX