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teratura, 2012, pp XXVIII 300 (Libri, carte, immagini, 5) Gran parte di ciò che sappiamo sul predicatore domenicano Domenico d

Giovanni, nato nel 1403 nella piccola frazione di Corella, in Mugello, è desunto dalla nota obituaria del Necrologio del monastero fiorentino di Santa Maria No- vella dove passò a miglior vita il 27 ottobre 1483: qua divenne priore nel 1436 e, due anni più tardi, Provinciale della Provincia Romana proprio nel momento in cui la città stava per accogliere nuovamente papa Eugenio IV, diventando se- de degli importanti lavori conciliari. Nel 1453 ottenne pure il titolo di Vicario generale dell’Ordine. Si conquistò la benevolenza e la stima non solo dei con- fratelli, ma anche dei concittadini, se è vero che sin dal 1428 fu lettore di Sacra Scrittura presso lo Studio; nel biennio 1469-1470 vi insegnò anche teologia, in contemporanea alle letture pubbliche della Commedia dantesca commissionategli dal Comune. Dotato di solida dottrina, conquistò presto il plauso generale gra- zie alle sue spiccate capacità oratorie: « Maxime [...] floruit eloquentia et dicendi ornatu ac sepenumero coram Eugenio pontifice, qui tum Florentie morabatur, ac reliquis curie proceribus, ornatissime et laudatissime peroravit » (dal Necrologio n. 711, riproposto da Amato, Introduz., pp.X-XI).

Le opere uscite dal suo calamo, pervenute sino a noi, sono gli Hymni in strofi saffiche, dedicati a san Vincenzo di Valenza e a santa Caterina da Siena, il

poema esametrico De origine urbis Florentiae, scritto nel corso degli anni Settanta, di modesta diffusione e, appunto, il più fortunato Theotocon, poema mariano in quattro libri di distici elegiaci (per complessivi 3.972 versi), introdotto da un Ar- gumentum in strofi saffiche con la dedica a Piero de’ Medici (56 versi), la cui composizione è ragionevolmente collocata tra il 1464-14651. Di quest’ultimo è

qua data finalmente la prima edizione critica, considerato che sino ad oggi di- sponevamo di due stampe settecentesche: quella parziale, concernente solo i li- bri terzo e quarto, a cura di Giovanni Lami (Firenze 1742), il quale prese a fon- damento il solo codice Laurenziano, Pluteo XVI 25 (L1), e quella integrale di Giovan Battista Contarini (Venezia 1768) basata in sostanza su un unico mano- scritto, il Laurenziano, Ashburnham 1703 (L4).

Amato, dunque, propone per la prima volta e con grande rigore metodolo- gico la pubblicazione scientifica di questo testo, basandosi su una solidissima re- censio di tutti i testimoni manoscritti pervenuti: diciassette in tutto di cui tredici databili alla seconda metà del XV secolo, perciò coevi o di poco posteriori alla stesura del poema che, sin dal titolo grecizzante (theotokos, letteralmente “parto divino”, è l’attributo dato a Maria nel Concilio di Efeso in quanto madre del fi- glio di Dio), rivela l’ambizioso progetto di scrittura che animava il Corella: il primo libro tratta De vita et obitu dive Marie, seguendo fedelmente le fonti evan- geliche; il secondo De immortalitate et gloria Regine Celi descrive con toni solenni il trionfo della Vergine in cielo, tributando un sentito omaggio a Dante, di cui a fine traduce alla lettera la supplica di san Bernardo alla Madonna (ParadisoXXXIII,

1-39 = Theotocon II 1031-1082); il terzo inaugura la descrizione del devoto pel- legrinaggio condotto per le chiese, consacrate alla Vergine, ubicate nel territorio compreso tra Roma e l’antica Tuscia, ossia De templis romanis et ethruscis Regine Celi dedicatis; il quarto, a suggello, conclude questo itinerario spirituale, che dalla metà del Settecento ha destato l’attenzione soprattutto degli storici dell’arte, of- frendo un’articolata e vivace rassegna stracittadina De basilicis florentinis eidem dive Genitrici consecratis, fitta di riferimenti alla teologia domenicana, nella fattispecie alle riflessioni contenute nelle opere di Antonino Pierozzi.

L’impegno speso da Amato ai fini di una corretta e solida constitutio textus è racchiuso negli ampi ed indispensabili Prolegomena, che occupano oltre la metà dell’intero volume (pp. 1-158). Alla puntuale ed asettica descrizione dei dicias- sette testimoni (pp. 1-30), estremamente accurata anche sul versante codicologi- co e paleografico, segue il tentativo della loro classificazione secondo criteri maasiani, aggiornati facendo tesoro degli ausili delle duttili risorse ecdotiche di continiana memoria (pp. 31-78). Non è questo il caso di una tradizione ricon- ducibile ad uno stemma codicum, in base al quale sia possibile operare scelte te- stuali in modo meccanico: Amato, infatti, dopo aver eliminato tre codici per certo descripti, deve prendere atto, lezioni alla mano, che è possibile definire quattro raggruppamenti genetici, all’interno dei quali le relazioni di dipendenza talvolta lasciano adito a soluzioni diverse. L’individuazione, comunque certa, di interventi autografi, di varianti e di correzioni d’autore, apre il varco ad un’ope- razione, assai delicata, nella quale lo studioso si cimenta raggiungendo risultati

1. Nella nota obituaria cit. le circostanze che portarono l’autore alla stesura del- l’opera, erano così richiamate alla memoria: « Et cum is homo esset qui otii inimicis- simus esset, ad pietatem conversus librum ‘Theotocos’ in beate Virginis laudem me- trice scripsit » (p.XI).

più che convincenti: l’accertamento di distinte fasi redazionali (pp. 79-148), tre nella fattispecie indicate con le prime lettere dell’alfabeto greco (a, b, g, a loro volta scandite da sottofasi, tre peraed altrettante per g), è la prova che ci tro- viamo davanti ad una tradizione che si è sviluppata in presenza di un autore co- stantemente impegnato a modificarla (i codici più vetusti sono di origine fioren- tina e, con molta probabilità, rivisti dal poeta domenicano). Ad esempio nella primigenia fasea, ancora molti erano gli errori metri causa, sanati poi dal Corella medesimo. Quasi per certo l’eliminazione del sibi, dell’ei e del suus in clausola, sono segni del labor limae che seguì alla prima stesura conclusasi nel 1465.

Il criterio di edizione che cautamente Amato adotta (pp. 149-154), tenuto conto di questo contesto di particolare complessità, fissando ing l’approdo ulti- mo dell’evoluzione redazionale, non può ignorare, come accennavo poco fa, che la fase g è a sua volta articolata in tre sottofasi, indicate con le sigleg1

,g2

,

g3

; dunque, ci aspetteremmo che proprio quest’ultima, documentata da un solo codice, il Laurenziano, Ashburnham App. 1867 (L5), fosse messa a testo. Ed in- vece, considerato cheg2

non è la sommatoria di più testimoni, bensì è il frutto della convergenza di tre loci testuali in cui vi è accordo tra L5 e il manoscritto Roma, Bibl. Corsiniana, 45.D.18 / Cors. 603 (C), la fragilità di questo ‘anello’ redazionale, da un lato, unita dall’altro alla constatazione di Amato, secondo cui « mettere a testo le varianti di un codice singolo [L5], per quanto assai probabil- mente d’autore, non pare scelta del tutto legittima », perché « in troppi testimo- ni portatori di varianti singolari le varianti risalenti all’autore si mescolano a va- rianti di tradizione » (p. 149), impongono di restituire il testo di g1

, tràdito da due Laurenziani: Ashburnham 1703 (L4), datato 1471, miscellaneo (il Theotocon è di mano del fiorentino Piero di Giovanni Compagni) e Pluteo XXXIII 40 (L2) di epoca pressoché coeva, copiato da un’unica mano in un’elegante corsiva umanistica fiorentina, la stessa del codice Corsiniano.

L’apparato si articola in due fasce: la A, destinata a raccogliere le varianti; la B gli errori di copia purché comuni a due o più testimoni. A pie’ d’apparato sono indicati sinteticamente autori ed opere che furono fonti d’ispirazione per l’autore: oltre, com’è naturale, alle Sacre Scritture e ai trattati tomistici e ad An- tonino Pierozzi, Corella riconosce espressamente il proprio debito poetico nei confronti di Sedulio, di Aratore, di Prospero, di Pietro da Riga, nonché Gio- venco, Ambrogio e Prudenzio. Echi danteschi e petrarcheschi affollano soprat- tutto il libro II; nel IV numerosi sono invece i richiami alle cronache e alle sto- rie di Firenze (Giovanni Villani, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini). Amato ha avuto inoltre cura nel riprodurre, a margine del testo, i notabilia cioè i titoletti che indicano l’argomento affrontato nei versi a fianco, non solo per agevolare la fruizione dell’opera da parte del moderno lettore, ma nel rispetto della tradizio- ne, visto che quasi tutti i codici quattrocenteschi recano traccia di essi, rispon- dendo verosimilmente alla volontà dell’autore.

Riportato alla luce da questa meritoria impresa filologica, il Theotocon viene finalmente così ad aggiungersi al quadro di testimonianze letterarie, molto ete- rogenee, caratterizzanti la straordinaria e feconda stagione dell’Umanesimo lirico e ‘cristiano’ che segnò la cultura della Firenze medicea.

F

RANCESCO

B

ETTARINI

, La comunità pratese di Ragusa (1414-1434).

Crisi economica e migrazioni collettive nel Tardo Medioevo, Fi-