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FRANCESCO SAJA

Il Marocco è un paese a cli-ma prettamente cli-marittimo con temperature ohe solo eccezional-mente superano i 4*0 gradì cen-tigradi. Sulle coste aperte al-l'Atlantico la temperatura me-dia massima che cade nel mese di agosto non supera i 25 gradi, mentre quella media minima del mese di gennaio oscilla intorno ai 10 gradi. Ma spingendosi al-l'interno l'andamento della tem-peratura muta, l'escursione diur-na e annuale si amplifica, si passa dalla media massima dell'agosto di 28 (con mas-simi eccezionali di 45°) per scenderà a 7-8 di media nel gen-naio nelle località di bassa alti-tudine (600-700). Ss invece si esamina la temperatura per gli altopiani e per le zone montuose l'andamento varia ancora e oltre i 1000 m. la temperatura media dell'agosto supera i 22 gradi, ma quella invernale (gennaio) scen-de a zero e spesso fino a 4-5 gradi sotto zero.

Le precipitazioni variano no-tevolmente dalla costa all'inter-no poiché esse in genere soall'inter-no

portate dai venti di mare; si hanno due regioni di maggiori precipitazioni, una confinante col mare e l'altra degli altipiani posti a ridosso delle catene mon-tuose. In genere però le preci-pitazioni sono sufficienti per la coltura dei cereali in puasi tutto il Marocco. Fanno eccezione la depressione tra l'Algeria e la valle del Moulouya che forma la steppa o mare d'alfa e una zona intorno a Marrakech ohe si pro-lunga fino a Ohichaouna dove le precipitazioni oscillano da un minimo di 200 a un massimo di 300 mm. annui. Salgono le precipitazioni da 300 a 400 mm. nella regione di Mogader, raggiungono 400-600 in quella di Casablanca, ¡Ra;bat, Fez, per superare gli 800 mm. ad ovest di Taza sino ai confini con il Marocco spagnolo.

Le precipitazioni hanno impor-tanza decisiva per l'agricoltura poiché ove esse siano inferiori ai 300 mm. la coltura dei cereali non è possibile e diviene proble-matica quella dell'ulivo e del fico. Ciò avviene perchè in genere alle

scarse precipitazioni si accompa-gnano caratteristiche pedologiche del terreno che lo rendono scar-samente adatto alla coltivazione. -Naturalmente le regioni a più elevato regime di precipitazioni sono anche le più coltivate.

La struttura della proprietà nel Marocco è assai complessa poi-ché accanto a quella dei priva-ti europei, ohe occupa un mi-lione di ettari di superficie, vi è quella del demanio francese, che interessa tutte le foreste oltre ad altri terreni. Vi è poi la proprie-tà degli arabi, il cui diritto am-mette diverse forme, innanzi tut-to quella della Corona o Makzen, costituita dagli immobili di inte-resse pubblico (strade, fiumi, mo-schee, ecc.), poi da terreni morti e da quelli produttivi pervenuti alla Corona per qualsiasi titolo compreso la confisca. La proprie-tà degli arabi può essere collet-tiva o personale, la prima è indi-visibile ed inalienabile ed appar-tiene alla tribù o al duaver, la seconda trasferibile proviene dalla messa a coltura di terre morte e da trasferimenti.

Quantunque esista un catasto, non vi sono dati statistici sulla proprietà degli arabi, perchè so-lo quella degli europei è imma-tricolata. La ragione va ricerca-ta nella volonricerca-tarietà del caricerca-tasto adottata in Marocco, la quale ammette che solo chi lo vuole può essere iscritto nel libro fon-diario o catasto. Dall'altra par-te però solo ohi è iscritto nel li-bro fondiario può dimostrare ra-pidamente la legittimità del suo titolo di proprietà. Gli europei, avvertita l'importanza dell'iscri-zione sul libro fondiario, hanno provveduto all'immatricolazione dei loro beni immobili, mentre gli arabi non ancora preparati all'utilità dell'iscrizione dei loro beni a catasto non hanno prov-veduto nella generalità dei casi all'immatricolazione.

La mancata catastazione della maggiore parte dei terreni priva lo Stato di un valido strumento per la tassazione del reddito fon-diario per cui le imposte ven-gono tuttora commisurate non al reddito, ma alla produzione, sot-to forma di una percentuale del prodotto.

Nel grande spazio marocchino vive una scarsa popolazione che è quasi interamente indigena; su 8.600 mila abitanti, pari a 17 per chilometro quadrato, solo 325 mila sono europei, dei quali 28 mila spagnoli, 14 mila italiani e poi inglesi, svizzeri, america-ni, ecc.

La popolazione rurale è di 6.800 mila di cui solo 45 mila sono europei, ciò significa che gli in-digeni per l'80 % circa sono

de-diti all'agricoltura, mentre gli europei preferiscono dedicarsi alle attività industriali, commer-ciali, ecc. Lo scarso numero di imprenditori europei (4710) po-trebbe indurre a ritenere che l'economia agricola sia essenzial-mente nelle mani degli indigeni. Ma non è così poiché, anche se in scarso numero, gli europei occupano circa il 25 % della su-perficie coltivata, pari a circa un milione di ettari di terra.

I diversi mezzi tecnici di cui fanno uso gli europei nella col-tivazione della terra consente di individuare due distinte econo-mie agricole: una quella degii arabi che trova nell'allevamento del bestiame il fondamento prin-cipale della sua attività, l'altra quella degli europei poggia es-senzialmente sulla coltivazione di colture irrigue o asciutte di elevato reddito.

L'allevamento del bestiame, pra-ticato principalmente dagli ara-bi, conta oltre 20 milioni di ani-mali. Innanzi tutto vengono gli ovini allevati per la lana e se-condariamente per la carne. La pecora marocchina produce ab-bondante e ottima lana che si presta per la tessitura industriale e quella artigiana dei tappeti. L'allevamento della pecora nella maggior parte dei casi è noma-de, durante i mesi estivi esso si sposta verso i monti, scende al piano nelle altre stagioni.

L'allevamento dei bovini, che conta oltre due milioni di capi, è praticato principalmente per la produzione della carne; solo nelle prossimità dei centri urbani vie-ne allevata la vacca per la pro-duzione del latte. I bovini alle-vati sono di razza locale, di pic-cola o media taglia, rusticissimi, che si accontentano di uno scar-so e talora poverissimo pascolo.

Sono in corso prove di adat-tamento di animali di maggiore mole e precocità, destinati alla produzione della carne e del latte.

Non si può dimenticare l'alle-vamento del cammello e soprat-tutto dell'asino che è il vero, forse unico, compagno delle fa-tiche del contadino arabo.

L'allevamento del bestiame co-stituisce per il contadino arabo la fonte principale delle sue en-trate. La coltivazione della terra procaccia gli indispensabili ali-menti quotidiani; il .bestiame, con l'eccedenza sui 'bisogni di carne, lana, ecc., «he vengono venduti, dà la possibilità all'arabo di po-ter acquistare i pochi manufatti di cui abbisogna.

La pregh"era: una delle cinque che il fedele deve rivolgere ogni giorno a Maometto

L'alta percentuale della popo-lazione rurale potrebbe lasciar credere che le notevoli risorse agricole del paese siano in gran parte sfruttate, ma non è così, poiché oltre il 90 % della super-ficie non è messa a coltura. Vero che molte terre sono natural-mente sterili, ma le possibilità di estendere la coltivazione e mi-gliorare la produzione della su-perficie coltivata, sono ingenti.

Attualmente solo quattro lioni di ettari di terra su 50 mi-lioni che misura il Marocco sono coltivati, la restante parte non è sfruttata oppure si utilizzano i prodotti spontanei con il pascolo, la raccolta dell'alfa, della legna, ecc.; e parte poi sono per la loro natura pedologica o per la scar-sa piovosità inadatti alla colti-vazione.

La superficie coltivata per ol-tre il 90 % è destinata all'orzo, grano, mais, ecc., la restante par-te alle leguminose da granella, alle piante oleaginose e alle col-ture arboree da frutto.

La coltivazione dei cereali fat-ta dagli arabi si estende su oltre tre milioni di ettari di terreno, con produzione di circa 17 mi-lioni di quintali e una resa di cinque quintali ad ettaro. La medesima coltivazione praticata dagli europei su 300 mila et-tari circa dà una produzione di oltre tre milioni di quintali di cereali con un rendimento uni-tario di oltre dieci quintali per ettaro. Le leguminose da granel-la, quali il pisello nano, la fava, il cece, il fagiolo ecc., sono col-tivate su oltre 300 mila ettari di cui circa la metà dagli arabi e

l'altra metà dagli europei: esse danno una produzione comples-siva di 730 mila quintali di pro-dotto secco, ma gli arabi riesco-no a mala pena ad ottenere quattro quintali di granella per ettaro, mentre gli europei nelle stesse condizioni ne ottengono nove.

Maggiori differenze si notano nella produzione unitaria di se-mi oleosi, ove gli europei rag-giungono i dieci quintali ad et-taro mentre gli arabi non supe-rano i tre e mezzo.

Per completare il quadro della economia agricola si dovrebbe ricordare la coltivazione del fico, del mandorlo e di altre minori colture, ma non si possono ta-cere i prodotti spontanei del suolo. In primo luogo il

sughe-ro ricavato dalla quercia che oc-cupa oltre 300 mila ettari con una produzione che si avvicina ai due-centomila quintali annui e poi l'alfa. Questa si estende su una superficie continua di 2.200.000 ettari e forma il cosidetto « mer d'alfa » che dai confini orientali dell'Algeria si estende alla valle del Moulouya. La produzione è lungi dal rappresentare le possi-bilità produttive, poiché la raccol-ta dell'alfa viene eserciraccol-taraccol-ta solo su circa un quarto della superficie con una produzione che si cal-cola in 300 mila quintali annui.

L'economia agricola araba al-l'infuori di sporadiche altre ma-nifestazioni, quali la coltivazione dell'ulivo e della palma da dat-tero, sì esaurisce nel breve qua-dro cui si è fatto cenno. Non così quella degli agricoltori euro-pei, per i quali l'economia agri-cola raggiunge nella coltivazio-ne delle piante arboree da frutto e degli ortaggi di pregio le più elevate manifestazioni.

Lo sforzo compiuto dagli euro-pei, malgrado che essi abbiano in conduzione solo 4710 imprese agricole con circa un milione di ettari di terra, è ingente per la perfezione tecnica raggiunta nel-la coltivazione e nei risultati eco-nomici. E' dovuta esclusivamente alla loro iniziativa la cospicua produzione orticola (pomodori, zucchini, carciofi, ecc.) di pregio ottenuta durante i mesi inver-nali e che in larga misura viene

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esportata sui mercati europei. Ma più ancora che i pingui orti di Fez, Rabat, Casablanca, ecc. meravigliano gli splendidi agru-meti di Sidi Slimane (la Califor-nia del Marocco), di Kenitra, di Meknes ecc. che coprono ormai 20 mila ettari di terreno irriguo con oltre quattro milioni di pian-te. La produzione agrumicola del Marocco ha superato il milione di quintali ed è ormai conosciuta sui maggiori mercati europei, poiché il 70% circa degli aranci è destinato all'esportazione.

Malgrado il mirabile esempio fornito dagli agricoltori europei, gli arabi si ostinano nei loro tra-dizionali e consuetudinari meto-di meto-di sfruttamento della terra causando un profondo dualismo nell'economia agricola del paese. Da una parte i pochi agricoltori europei (40 mila circa) con una economia dinamica, ricca, che fa ricorso a ingenti mezzi tecnici di produzione, sotto forma di con-cimi e di macohine per la lavo-razione del suolo e la raccolta dei prodotti. Dall'altra parte la prevalente massa dei contadini arabi che non conoscono l'uso di concimi e meno ancora delle macohine e fanno ricorso al bue, spesso all'asino, per l'aratura della terra eseguita con l'arcaico aratro a chiodo di legno. I tra-sporti sono eseguiti quasi esclu-sivamente con l'asino che è il vero compagno del contadino arabo. L'Africa dei cammelli esi-ste solo nei film, in tutto il Ma-rocco si contano 150 mila cam-melli per la maggior parte ap-partenenti ai nomadi, contro poco meno di un milione di asi-ni, ossia almeno uno per ogni famiglia contadina.

La prevalente economia agri-cola araba in confronto di quella degli europei è causa di non poche preoccupazioni, poiché tutti gii sforzi compiuti dall'autorità per migliorarla hanno finora ot-tenuto scarsi e sconfortanti ri-sultati. E' da prevedere perciò che se la popolazione urbana do-vesse aumentare con il ritmo de-gli ultimi anni la produzione agricola, in alcuni settori già de-ficiente, più non basterebbe a soddisfare i bisogni del protetto-rato, se nuove forze contadine non saranno prontamente affluite

a mettere a coltura nuove terre. L'immigrazione di europei s'im-pone oltre ohe per il migliora-mento dell'attuale agricoltura per la valorizzazione di terre an-cora incolte. Il vasto program-ma impostato dall'autorità per

Boschi di mimosa - Raccolta della corteccia conc ante (la corteccia! è ricca di tannino)

l'utilizzazione dell'acqua a scopo irriguo, consentirà la messa a coltura di alcune centinaia di mi-gliaia di ettari la cui intensiva coltivazione ben difficilmente po-trà essere realizzata dall'impre-parato contadino arabo.

Sono già iniziati i lavori di sbarramento sull'Oued el Sid (affluente in sinistra del Rbia) il cui invaso dovrebbe accumulare un miliardo di metri cubi di acqua sufficiente ai bisogni di circa 80 mila ettari.

Un'altra opera progettata è quella di Mechra Homadi sul Moulouya Ohe dovrebbe dare l'acqua per l'irrigazione di oltre 30 mila ettari di terreno.

E' previsto un maggiore invaso di acqua mediante l'innalzamento della diga d'Imfout ohe dovreb-be dare l'acqua per irrigare 120 mila ettari di superficie. Altri lavori di regolazione delle acque fluenti di notevole importanza sono previsti dal piano di valoriz-zazione agricola del Marocco.

Obbiettive condizioni economi-che agrarie fanno ritenere economi-che

l'immigrazione di italiani nel Marocco possa riuscire di note-vole utilità per il protettorato e

per noi. L'immigrazione però non può avvenire su iniziativa dei singoli, è indispensabile l'inter-vento dell'autorità perchè diffi-cilmente il contadino emigrato da solo riuscirebbe a risolvere le notevoli difficoltà ohe incontre-rebbe nella fase iniziale. Bisogna escludere ohe gli emigrati pos-sano trovare a condizioni soddi-sfacenti lavoro come operai o salariati di campagna. Solo co-me imprenditori agricoli e più specialmente come coltivatori di-retti troveranno la via per assi-curarsi soddisfacenti condizioni economiche. La posizione di im-prenditore agricolo, raramente può essere raggiunta con l'affit-to dei terreni, solo l'acquisl'affit-to può risolvere il problema. Ma l'acqui-sto di terreni da parte di conta-dini emigrati nella maggior par-te dei casi assolutamenpar-te sfor-niti di mezzi finanziari è impos-sibile. Solo l'intervento del no-stro governo potrà, dopo accordi con l'autorità francese, risolvere proficuamente la questione. La scarsità di mezzi finanziari del nostro paese un ostacolo note-vole per intraprendere un pro-gramma di vasta portata, tutta-via non dovrebbe essere difficile

iniziare l'opera anche con poohi mezzi.

Quando poi l'autorità maroc-china avrà potuto convincersi che l'immigrazione dei nostri contadini sarà utile a noi, ma più ancora al protettorato, può darsi che si decida ad aprire le porte alla nostra immigrazione facili-tandola e diminuendone l'attuale elevato costo.

O.L.V.À.

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Qualcuno disse : « Basilea or-mai sostituisce Lipsia ». Ma non tutti, neanche in Svizerà, han-no certezza che tale conquista, se :pure in qualche maniera possa corrispondere ad una attuale constatazione, debba considerarsi definitiva.

La concorrenza degli altri paesi, che circondano le valli e le zone lacuali dell'insieme mon-tuoso del centro Europa, da cui scendono e per cui risalgono cor-renti d'idee e di affari, se non preoccupa eccessivamente, inte-ressa certamente e fa riflettere dirigenti, operatori e produttori dei vari Cantoni della Confede-razione; specialmente di quelli che sì trovano — come Basilea — alla confluenza di mercati e nel transito del traffico fra l'Est e l'Ovest, il Nord e il Sud.

Si parla, con maggior o minor convinzione e a volta anche con qualche scetticismo, in certi am-bienti, dì contrastati progetti di navigazione interna tra Rodano e Meno, tra Reno e Danubio; si vagheggia, con qualche speran-za, non scevra di dubbi dì carat-tere tecnico ed economico, il trac-ciato di un callaie transelvetico, discusso e studiato quale con-giungimento dei laghi di Gine-vra, Neuchatel e Bienne; si po-lemizza sulla possibilità di colle-gare la rete fluviale e la navi-gazione lacuale al Po per rag-giungere l'Adriatico e forse an-che il Golfo di Genova...

Ma intanto vi sono momenti e congiunture in cui nei consessi cantonali e nelle popolazioni val-ligiane e cittadine si diffonde e dilaga un senso di incertezza per quel che può accadere ai limiti della linea che segna fra il Bal-tico e il Mar Nero la trincea del-le egemonìe e deldel-le influenze in-ternazionali.

Allora la prudenza e lo spirito di solidale ammirevole indipen-denza, che ha consolidato nell'in-dissolubile unione la Nazione tri-lingue, suggeriscono e provocano l'accumularsi delle riserve e dei vettovagliamenti per assicurare — in ogni caso — i materiali alle industrie e il fabbisogno per la esistenza.

E non è questo il solo pericolo all'economia del mercato svìzze-ro: la concorrenza alle stesse fondamentali basi della sua pro-duzione specializzata potrebbe ra-pidamente determinarsi nei paesi cui la collegano le attuali e le

progettate vìe di comunicazione, facendo di esse le porte aperte al-l'invasione di prodotti similari e di transito a quelle correnti com-merciali che alimentano il suo traffico.

Allora l'affermazione del suo primato potrebbe essere avver-sato e qualche oscillazione po-trebbe avvenire nel rapporto Ba-silea-Lipsia.

Vi è un sintomo che non deve essere sopravalutato ma neppure sottaciuto: il coefficiente di atti-vità industriale che nel secondo e terzo trimestre del 1947 era di 141 è sceso a 107 nei corrispon-denti trimestri del 1949; l'indice dell'occupazione operaia, che nel 1948 aveva raggiunto un massimo di 137 in confronto al 100 com-parativo del 1938, è sceso nel 1949 a 123.

Intanto il rallentamento del commercio per le barriere elevate dai vari stati contro gli articoli di lusso e le svalutazioni mone-tarie, contrastano l'espansione delle esportazioni, gìuocando in senso sfavorevole nella bilancia commerciale e una sensìbile di-minuzione nel movimento della navigazione sul Reno, ristagna il movimento di transito.

Ma queste contingenze, che le speranze di tutti vorrebbero ri-tenere momentanee, non incidono per ora in modo da costituire al-cun fenomeno di rilassamento e tanto meno di arresto nelle ini-ziative della produzione svizzera che nella Mostra di Basilea ha

avuto nelle settimane decorse un successo rilevantissimo.

La « Mustermesse » è la

rasse-gna completa dell'industria na-zionale svizzera. Si è iniziata nel 1917 con 831 espositori ed una superficie di 6000 metri quadrati; quest'anno copriva circa 100.000 metri quadrati in cui erano espo-sti ì prodotti di 2200 case.

Queste sono cifre che debbono completarsi con l'indicazione di una affluenza di 650.000 visita-tori, in gran parte interessati per acquisti e trattative, piuttosto che per curiosità di giudicare sulla fantasìa ed eleganza della presen

-tazione dei prodotti.

La Fiera di Basilea è sobria, mercantile, pratica, senza ecces-sivi sfoggi reclamistici o di allet-tamento visivo, è una messa a punto della produzione, un cam-pionario di invenzioni e di appli-cazioni, una guida al progresso della tecnica. Visitandola occorre acuire l'attenzione piuttosto che sbizzarrire la fantasia.

Se volete appagare l'occhio non avete che da girovagare per le vie della città: nelle vetrine dei negozi riscontrerete quella attrat-tiva che in altre Mostre trovate nell'interno dei recìnti.

Basilea, come molti altri cen-tri della Svizzera, nell'armonia della sua suggestiva architettura in cui il romanico si accoppia al gotico in forme di maliose asso-nanze, quali si riscontrano nella ricostruzione della sua magnifica Cattedrale, è una permanente mostra di vetrine delle quali non si sa se più ammirare la praticità funzionale o il richiamo pubbli-citario aristocratico e discreto o la fine e caratteristica composi-zione.

Porto sul Heno a Basilea

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