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Francesco Soppelsa

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costruttiva mediterranea e la tradizione della casa ibizenca influenzarono anche Sert che nel 1966 realizzò in Ibiza il complesso residenziale in Punta Martinet, vero esempio di connubio tra tradizione e avanguardia. Però l’architetto catalano che maggiormente partecipò, attraverso le sue opere, al dibattito sull’architettura vernacolare fu José Antonio Coderch. Autore di numerose case unifamiliari, Coderch sottolineava che egli non costruiva architetture, bensì case. Questo atteggiamento schivo e reazionario lo tenne lontano dalle ribalte architettoniche ma non sminuì la sua caratura culturale; infatti fu amico degli artisti più importanti del suo tempo come Picasso e Giò Ponti, fu membro fondatore del Gruppo R e partecipò al Team 10. Della sua produzione ricordiamo la casa Ugalde del 1951, caratterizzata da una pianta organica che anticipa le deformazioni dell’architettura decostruttivista, la seconda ha il profilo scalonato, tipico delle sue architetture. La ricerca di Coderch era incentrata sullo sfalsamento in pianta delle unità costitutive generando un open space frammentato in più parti. La frammentazione determina prospettive diagonali che allungano la visuale e rendono lo spazio più ampio. Altra caratteristica dell’architettura di Coderch è il profilo scalettato della facciata che frammenta la volumetria esterna ed articola il prospetto.

Al giorno d’oggi l’architettura domestica catalana intraprende altri percorsi, oltre alla tradizione costruttiva delle ville bianche vi è una ricerca incentrata sui materiali e sul valore formale ed espressivo dell’involucro. Un esempio paradigmatico è la casa Rurale a Girona del 2006, dello studio di architettura RCR3. In questo progetto si sintetizzano le nuove ispirazioni formali

architettoniche derivate dall’attuale mondo artistico. In questo caso gli autori attingono a piene mani dall’opera di Donal Judd e dalla ricerca su di nuovi materiali: l’acciaio corten fa da contrappunto materico, volumetrico e cromatico rispetto all’intorno naturale.

Riferimenti teorici

Barcellona è stata sede di due esposizioni universali. La prima, del 1888, fece conoscere al mondo il modernismo catalano attraverso le opere di Domenech i Muntaner e di Fontseré. A quell’epoca Gaudì ancora non aveva costruito i suoi capolavori. La seconda esposizione del 1929 non ebbe la freschezza architettonica della prima. L’architetto Enric Catà i Catà costruì

Nella pagina precedente: José Luis Sert. Casa patio a Cambridge,1958. José Antonio Coderch. Casa Uriach, 1961.

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una monumentale opera in stile eclettico proprio in prossimità del padiglione della Germania, progettato da Mies. L’intorno era talmente storicizzato e manierizzato che la forte innovazione linguistica e tecnologica del padiglione tedesco era ancor più evidente. Il padiglione di Mies ebbe un forte influsso sull’architettura mondiale e soprattutto sull’architettura catalana che da li riuscì a recepire i punti fondamentali dell’opera miesiana. Al giorno d’oggi possiamo dire che l’architettura catalana è un misto stridente tra una vernacolare mediterraneità ed un forte impulso d’innovazione tecnologica che associano ai caratteri formali delle tradizionali ville bianche grandi aperture vetrate. La domesticità e l’introspezione protettiva (rispetto alla luce abbagliante ed al sole) della casa mediterranea viene aperta dalle grandi finestre che integrano visualmente il paesaggio nell’interno domestico. La riduzione miesiana aveva totalmente annullato i referenti dell’intimità tanto che lo stesso Philip Johnson disse che in una casa di vetro non puoi ballare da solo poiché i passanti dall’esterno ti possono vedere. In Catalogna, invece, la casa di vetro miesiana si fonde alle pareti bianche e cerca di fondere la proiezione esterna sul paesaggio e l’intimità familiare. I riferimenti culturali dell’architettura catalana sono molteplici: la didattica progettuale attinge costantemente dai nuovi risvolti teorici ed alle sue applicazioni. Non a caso la trasparenza fenomenica relazionata da Colin Rowe4 diventa base

di studio importante per la didattica catalana. Tra i professori all’avanguardia nella ricerca di questi nuovi modelli d’insegnamento troviamo Riccardo Guasch professore della UPC e direttore didattico della scuola di design Elisava. Partendo dall’esperienza teorica di Rowe sulla villa a Garches di Le Corbusier il metodo didattico di Guasch utilizza un grafico di linee, alcune più sottili (che rappresentano il profilo dei solai) ed alcune più spesse (che rappresentano la proiezione delle pareti verticali) e su questa base viene sviluppato lo studio di un modello architettonico. I risultati sono estremamente interessanti e sembrano riprendere l’esperienza architettonica che i Five Architects svilupparono negli anni Sessanta e Settanta.

L’esperienza progettuale

Quando 10 anni fa arrivai in Spagna avevo solo un piccolo bagaglio di esperienze lavorative. Ricordo che, nei colloqui tenuti presso i vari studi ai quali mi proposi, la domanda più frequente era: si, il curriculum va bene, però che hai costruito?

Studio RCR.

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Dopo un breve momento di silenzio potevo solo mostrare le poche ristrutturazioni che avevo realizzato o qualche intervento di restauro, tra l’altro non ancora realizzato. Ebbi la fortuna di entrare nello studio di Octavio Mestre, il quale intuì le mie potenzialità e decise di puntare su di me. Il tempo gli diede ragione. Personalmente devo moltissimo ad Octavio. La mia forte base didattica ha trovato in lui un giusto referente che mi ha permesso di realizzare ciò che con molta probabilità, se non fossi andato via da Napoli, sarebbe rimasto solo nelle intenzioni progettuali. Nella formazione di un architetto la didattica è molto importante, però non quanto la realizzazione delle sue opere. Vivere il rumore delle scavatrici, dei trapani e delle radiali determina una consapevolezza che non può darti la lettura di un libro. Consapevolezza che cresce proporzionalmente alla polvere che mangi in cantiere. Una delle differenze tra l’architettura come puro progetto e l’architettura costruita è che non hai tempo per decidere. Ogni problema si deve risolvere al momento, il cantiere non aspetta il tuo pensiero. Il cantiere è il tuo pensiero. Normalmente si ha un tempo ridottissimo per operare le giuste decisioni. Decisioni che sono fondamentali per la vita dell’opera in corso, perché se saranno sbagliate genereranno un errore perenne, fino alla fine della vita dell’opera stessa.L’opera realizzata è un oggetto non perfetto che però funziona. La casa è un oggetto che devi vivere, devi farlo tuo, lo devi riempire dei tuoi quadri, dei tuoi mobili, della tua vita. Con il tempo ho appreso che l’architettura è una cosa pratica e semplice lontana da elucubrazioni mentali. In architettura una piccola linea può diventare un’emozione immensa quando l’opera stessa viene realizzata. L’opera finita è un amplificatore dei valori architettonici e può trasmettere molto più che mille disegni. Il valore della luce si apprende in cantiere, ogni volta che torni sul luogo vedi come la luce dà differente vita ai tuoi muri, vedi come disegna le differenti forme dei volumi costruiti. Essere architetti mediterranei è una fortuna immensa, la luce brucia i muri, il bianco luccica negli occhi, ogni inclinazione del muro dà un’ombra differente. Dimenticando i tagli a novanta gradi del movimento moderno, le piccole inclinazioni aiutano

Octavio Mestre Arquitectos,

Casa a Goyrans, Toulouse, 2002/3.

Octavio Mestre Arquitectos,

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la casa mediterranea ad avere una maggiore forza espressiva. Il valore della luce è il valore della tua realizzazione. Il colore bianco delle ville è ciò che permette l’esaltazione del valore della luce. Molte delle mie architetture sono esperimenti di luce. Nel caso della casa a Goyrans la frammentazione tripartita della pianta (zona servizio, zona giorno, terrazza esterna con piscina) aiuta a creare volumi separati da poter deformare per rendere più espressiva la pianta e decostruirne la volumetria. La casa di Andraxt è l’espressione del mega segno dato dalle imponenti persiane di legno. La casa di Pineda è la deformazione di un oggetto che guarda verso il panorama. La casa di Tamariu è un oggetto posto su una base di acciaio corten. La casa a Coma-Ruga è una striscia di Moebius appoggiata sul paesaggio.

Casa a Coma-Ruga,Tarragona, 2004/6

Questa casa è stata il mio primo incarico in Spagna, ed è anche la casa a cui sono più legato, la casa dove ho materializzato le mie aspirazioni progettuali.Questa casa appare come un oggetto della sua essenza volumetrica e si fa percepire come un oggetto estraniante, reso evidente da un fuori scala dimensionale. Frank Lloyd Wright, Venturi, Le Corbusier conoscevano bene questa regola, difatti giocavano sulla scala dimensionale delle case che costruivano. La Robie House, la Wanna House, o la Ville Savoye sono oggetti che presentano spesso salti di scala. Visitando queste architetture si ha la sensazione che gli autori si siano sbagliati nella realizzazione, i tetti sono troppo bassi, i parapetti sono scarsi in altezza. Eppure queste case hanno grande forza espressiva, i loro salti di scala le fanno diventare appunto oggetto di se stesse, rafforzando così la loro presenza oggettuale. La casa a Coma-Ruga utilizza le stesse regole dimensionali, sembra una casa fuori scala inserita in un paesaggio naturale. L’intenzione visiva ispiratrice era quella di far ritorcere una linea su se stessa girando intorno ad un asse verticale. Moebius ci venne in aiuto: prendendo una striscia di carta, se le diamo una torsione a 180º e congiungiamo i due estremi non avremo soluzione di continuità

Octavio Mestre/Francesco Soppelsa Arquitectos, Casa a Pineda de Mar, 2004/7.

Octavio Mestre Arquitectos, Casa a Tamariu, 2005/8.

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tra le due facce della striscia, se facciamo scorrere il nostro dito sul nastro generato notiamo che giriamo all’infinito trovandoci ora all’interno, ora all’esterno di essa.

Interno e esterno trovano continuità nella contraddizione formale intuita da Moebius.

Ben van Berkel, nella sua Moebius House, già aveva provato a trasferire in ambito architettonico questa contraddizione formale tentando di far congiungere due esse ed incastrandole tra di loro, in questo caso, invece, la figura moebiana è resa evidente dalla linea bianca generata dalla continuità visiva tra i solai e le pareti verticali. La pianta triangolare della casa viene determinata dalla geometria del terreno, mentre l’inclinazione della facciata principale permette una vista panoramica verso il mare che si trova poco lontano. La casa è sollevata dal suolo, non ha contatto con esso, ed il piccolo salto di quota al piano terra divide visualmente la zona del salone/cucina dalla camera da letto padronale giustificando così la gerarchia degli spazi, rendendo il salone più alto.

Il diaframma verso l’esterno doveva essere determinato da persiane scorrevoli poste in linea con il bordo esterno del portico. Problemi di budget non resero possibile questo intervento. Poco male, adesso si può sempre apprezzare il portico nella sua massima profondità. La luce entrandovi taglia diagonalmente i muri bianchi e lo spessore del portico si dissolve tra la trasparenza dei vetri ed il riflesso dell’ambiente circostante.

1 Per ulteriori deluci-

dazioni sull’evoluzione del patio nell’architet- tura contemporánea leggasi: A. CAPITEL,

La arquitectura del pa-

tio, Gustavi Gili, Barce-

lona 2005. I. ABALOS,

La buena vida, Gustavi

Gili, Barcelona 2000.

2 B. RUDOFSKY, Ar- chitecture without ar-

chitects, Doubleday &

Company, Inc. Garden City, New York 1964.

3 El croquis nº 138. 4 C. ROWE, Traspa- renza letterale e fe-

nomenica in The ma- thematics of Idel Villa and Other Essays, MIT

edition, Cambridge y Londres 1976, ed. ita- liana.

Nella pagina accanto: Octavio Mestre/Francesco Soppelsa arquitectos. Casa a Coma-Ruga, 2004\6.

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La realtà oggi è molto complessa. Informe e sfuggente, i piani di comprensione si intrecciano e si fanno ombra. Se pure esiste. Altro non è [forse] che proiezione della conoscenze di chi l’attraversa.

Per conoscerla occorre, io credo, fare un vero e proprio esercizio di presenza. Mettersi di fronte ad essa per decifrarne la voce. Anche quella dolente che proviene dai roghi o dai crolli. E stare lì con pazienza e disciplina cercando di fare arrivare lo sguardo negli anfratti. Negli interstizi. Al retro delle cose. Come dice Elitis «uno sguardo a misura del mio cuore».

Il dorso delle cose è più vero dell’immagine frontale. Dove c’è inganno. Qualunque forma prenda. Anche quella suadente di una bellezza imposta.

Esercizio di presenza, nel cuore di un “qui” martoriato.Toponimo di ogni luogo bisognoso di “cura”. Col quale è sempre possibile ricercare un rapporto. Racconti di una terra attraversata, alla ricerca della bellezza vituperata.

È morto anche il mare […]

Andiamo avanti agitati, ingombri di scorie di immagini vuote, con le domande aperte. Il paesaggio di mare scorre a lungo inutile.

Il pensiero è stanco ed è questo il momento: la coda dell’occhio trattiene per un secondo di troppo l’immagine laterale.

È il segnale, come quando uno soltanto riconosce in una macchia d’inchiostro o nella nuvola spumosa o nell’ombra compatta l’inequivocabile sagoma di una creatura vivente e si sorprende che nessun altro lo veda.

La macchina si arresta.

In un’aria immobile che risale agli inizi lontani, l’accumulo di immagini svapora e il cemento affiora dalle capsule dei cisti senza aromi, come avanguardia di un futuro perso.

È solo un muro di cemento, il colore della polvere e della sabbia, che corre basso, quasi a pelo di sabbia, come la cucitura di una ferita, e corre dritto verso il mare.

Muro che separa due opposti scenari, da un lato il taglio dell’acqua nella sabbia, dall’altro un’ombra scura che si modella sulla duna.

Muro che separa e basta.

Come fanno a volte le parole degli uomini.