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Franco Fontana: la magia del colore

Nel documento L'Albero della vita (pagine 119-131)

2. Excursus contemporaneo: l’albero e le sue rappresentazion

2.5 Franco Fontana: la magia del colore

«Solo quello che fotografi esiste. Non quello che vedi. Finché non lo fotografi non esiste.

Un paesaggio esiste solo quando l’hai fotografato.

Se no sarebbe disperso in uno spazio infinito, in un orizzonte senza significato»258. Nato a Modena nel 1933, città di residenza, Fontana è da sempre interessato al colore nella fotografia, protagonista assoluto dei suoi scenari. Lo stile è immediato per la caratteristica dei colori forti, vivi, vibranti per mezzo di linee e piani sovrapposti e ricchi di luminosità. Paesaggi irreali, definiti metafisici, dove si possono ammirare immense distese costituite da colori contrastanti come il verde erba o il giallo dei fiori. Il colore trasmette un messaggio, dove ogni particolare della foto, urbano o rurale, è irradiato dalla luce.

La fotografia a colori risale ai decenni successivi della nascita della fotografia in bianco e nero, anche se l’affermazione della colorazione come pratica autonoma avvenne solo a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, prima negli Stati Uniti e poi in Italia con molte riluttanze, percepita inizialmente per scopi amatoriali fino a raggiungere gradualmente il mercato di massa, grazie al suo utilizzo nei settori dell’editoria, moda e pubblicità.

In quegli anni negli Stati Uniti divampò la “tavolozza fotografica” sulle pareti delle gallerie newyorkesi conferendo pari dignità artistica sia alle tradizionali fotografie in bianco e nero sia al colore andando controcorrente rispetto ai classici scatti amatoriali e le istantanee di famiglia, situazione che coinvolse anche Fontana attraverso le inquadrature che stringono il campo fino al punto ideale dove linee ondulate di prati collinari o linee spezzate di scorci urbani si incontrano per creare visioni surreali, davanti alle quali molto spesso il visitatore resta meravigliato.

Tali vedute si riscontrano nella serie Paesaggi Immaginari, scegliendo alcuni scatti dove è visibile la figura dell’albero spesso al centro, protagonista della scena, spezzando la continuità delle linee ondulate dei prati avvolti nella luce: Basilicata, 1978 (fig.93), Basilicata, 1978 (fig.94), Basilicata, 1986 (fig.95), Basilicata 1986 (fig.96), Puglia, 1987 (fig.97), South Dakota, 1990 (fig.98), Inverno, Emilia, 1990 (fig.99), Marocco, 1992 (fig.100), Marocco, 1992 (fig.101), Basilicata, 1995 (fig.102), Basilicata, 1995 (fig.103), Andalusia, 1995 (fig.104).

258 Definizione di Franco Fontana citata in Roberto Rossi (a cura di), Franco Fontana. Grandi autori. Fotografia

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Fontana in queste fotografie sfrutta i limiti dell’ottica fotografica che negli obbiettivi a focale lunga genera una distorsione e un appiattimento della prospettiva, creando l’effetto bidimensionale di un paesaggio astratto abbellito da cromie pop.

Sostiene l’autore «la fotografia non deve riprodurre il visibile, ma rendere visibile l’invisibile».

La sua è una rinuncia alla rappresentazione del reale perché l’utilizzo del colore e della luce sono rivelazioni interiori, aspetti che puntano ai valori legati alla componente metafisica de chirichiana grazie a questo senso di estraneazione del sentire e vedere umano.

L’uomo non è il protagonista in queste fotografie che lasciano spazio a vedute paesaggistiche simili a quinte teatrali259.

Fontana inizia la sua carriera nel 1961 esponendo alla 3° Biennale Internazionale del Colore di Vienna pubblicando la prima rivista Popular Photography; seguono le personali a Torino nel ’65 per la Società Fotografica Subalpina e a Modena nel ’68 per la Galleria della Sala della Cultura. Il periodo successivo segna una svolta nel suo percorso artistico esponendo nella città natale e in altre sedi come il Centro Culturale Pirelli, la Galleria Diaframma di Milano, Palazzo dei Diamanti e il Centro Attività Visite di Ferrara.

Pubblica il primo libro nel ’70, Modena una città, con testo di Paolo Preti e procede con successive esposizioni internazionali come la personale viennese Die Materie die wir nicht sehen presso la Galleria Die Brucke e la vendita di alcune fotografie per il MOMA Museum of Modern Art di New York assieme ad altre personali a Londra, Monaco, Colonia, Amsterdam, Berlino, trampolini di lancio verso la notorietà.

Sarà consacrato maestro del colore esponendo nel ‘76 al Palazzo della Pilotta di Parma. Pubblica nel ‘78 il libro Skyline, con testo di Helmut Gernsheim, volume considerato un punto di riferimento per la fotografia a colori grazie al carattere innovativo e dirompente dell’artista. Nel 1979 Fontana visita gli Stati Uniti dedicandosi al tema del paesaggio urbano; da qui la serie fotografica Paesaggi urbani dove si avvale di colori accesi per costruire l’immagine appiattendo i volumi a facciate attraverso l’utilizzo di schemi geometrici giustapposti. La singolarità delle vedute è rappresentata dall’alternanza ritmica di superfici disomogenee. Paesaggi urbani in origine “spogli”, progressivamente si popolano di presenze umane, inizialmente solo ombre e poi figure in carne ed ossa. Restando connessi al tema dell’albero si riportano Primavera, giardino estense (fig.89), Estate, giardino estense (fig.90), Autunno, giardino estense (fig.91), Inverno, giardino estense (fig.92), scatti fotografici dello stesso

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soggetto in stagioni e anni diversi, dando una idea dello scorrere del tempo e del’impatto delle metamorfosi stagionali sulla natura.

Il suo lavoro sarà in continua evoluzione, cercando sempre nuovi stimoli e stringendo importanti collaborazioni con le aziende della Ferrari, Volvo Italia, Volkswagen, Ferrovie dello Stato, Versace e Lavazza, firmandone le campagne pubblicitarie e parallelamente organizzando workshop, corsi professionali e conferenze in Italia e all’estero260.

Vedute dalle quali emerge un paesaggio prevalentemente italiano, l’albero in forma singola o molteplice spunta tendenzialmente al centro della composizione tra campi dai colori accesi e contrastanti dandoci l’idea di un quadro astratto. È possibile ricercare un’assonanza con una visione pittorica quanto poetica ma è bene non lasciarsi ingannare perché l’inquadratura è assolutamente razionalizzata.

La scelta dell’albero forse come punto di fuga in cui linee e forme armoniose producono un senso di straniamento nello spettatore. Fontana coglie scorci di paesaggi che, per l’autenticità di visione, ingannano l’occhio attraendolo per l’irruenza dei colori tanto accesi quanto contrastanti. Ogni fotografia è indipendente e libera dalla traccia umana. Una natura che sprigiona luci e colori, incontaminata ed esuberante. Una natura intoccabile perché troppo pura come una vergine che non vuole essere violata. Esiste qualcosa di inquietante in queste vedute così perfette se le si accosta a un’epoca che per i suoi scempi umani, come l’inquinamento del suolo e la deforestazione, è così degradante. L’angosciante consapevolezza di vivere in una natura che in origine proteggeva e sosteneva l’uomo, e che oggi chiede all’uomo di essere salvata.

«Per me la fotografia non è né un mestiere né una professione, ma è la realtà della mia vita, dopo gli affetti della famiglia e dell’amicizia. È quella scelta che mi dona la qualità della vita, perché la vivo con entusiasmo e creatività, esprimendomi per quello che penso, testimoniando come pretesto quello che vedo e che sono perché non è sufficiente guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere e capire con il pensiero per credere in quello che si vede. Fotografare è un atto di conoscenza: è possedere. Quello che si fotografa non sono immagini ma è una riproduzione di noi stessi, così come quando fotografo un paesaggio è il paesaggio che entra in me e si fa “l’autoritratto” per esistere al meglio autentificandosi perché esiste solamente quello che si fotografa. Il fotografo si dissolve nelle sue fotografie e diventa lui stesso la fotografia, e si annulla sempre davanti al soggetto che fotografa. La fotografia è ciò che facciamo di essa, e quello che fotografiamo non è quello che vediamo ma quello che siamo perché si scopre al mondo solamente quello che ci portiamo dentro, ma abbiamo

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bisogno del mondo per scoprirlo e testimoniarlo come vorremmo che fosse. Esiste nel fotografo quell’istinto che precede l’intuizione creativa per esprimere la sua fecondità e donare tutto se stesso in quel momento. Anche in fotografia l’attimo che illumina e concepisce quello che vede è come un colpo di fulmine. La creatività non illustra, non imita, ma interpreta diventando la ricerca della verità ideale. Che cos’è la creatività? Come prima impressione la determinerei una presenza dell’intelligenza, una nota distintiva della personalità fatta di invenzione, emozione, fantasia, versatilità, agilità, un pensiero avventuroso che fa a pezzi le regole, aperto a nuove esperienze, che cerca sempre nuove risposte interpretando il mondo che ci circonda che è fatto di persone, di paesaggi, di orizzonti, di cieli, di colore e di tante altre variopinte situazioni, testimoniando e interpretando in modo sconvolgente e differente da quel quotidiano ripetitivo che si conosce, assumendosi la responsabilità dei risultati perché la fotografia creativa non deve riprodurre ma interpretare rendendo visibile l’invisibile. Citando Otto Steiner: la creazione fotografica assoluta nel suo aspetto più libero rinuncia a ogni riproduzione della realtà. E perché il colore? Bisogna far capire che la creatività con l’aiuto del colore anche in fotografia non è sinonimo di creazione arbitraria, ma di un movimento che genera vita e non sofferenza con valenza positiva per tutti. Il colore è anche sensazione fisiologica, interpretazione psicologica emozionale, modo e mezzo di conoscenza ed è per questo fondamentale soprattutto nella fotografia. Come diceva Klee: il colore è il luogo dove l’universo e la mente si incontrano. La forma è la chiave dell’esistenza, cerco di esprimerla in fotografia testimoniandola nello spazio in correlazione con le cose coinvolte in esso, che non è ciò che contiene la cosa ma ciò che emerge in relazione della cosa, che può essere un paesaggio, una persona, un albero, un’automobile, un ambiente, ecc. E tutto ciò che ci circonda può venire ripreso per essere testimoniato con significato. Non si può conoscere l’essenza delle cose se si crede solamente che un fiore sia solo un fiore, che una nuvola sia solo una nuvola, che il mare sia solo il mare, un albero solo un albero o un paesaggio solo un paesaggio: vorrebbe dire che la conoscenza si limita alla superficie senza conoscenza, senza capire la loro esistenza, nel loro contenuto, limitando la loro verità e identità. Le fonti dell’arte sono l’entusiasmo e l’ispirazione, in una parola la vitalità e una parte importante è l’immaginazione; quello che non immaginano amputano la parte creativa del pensiero, perché è più facile ragionare razionalmente che immaginare e creare, ma è solo immaginando che si può fare il giro del mondo in un giorno invece che in ottanta giorni. Quelli ancorati al ragionamento sentono le vertigini davanti al cambiamento,

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eppure bisogna cambiare sempre per rimanere quello che si è così come fa e insegna la natura»261.

Fontana inizia gli scatti per la serie Paesaggi immaginari nel 2000 dando importanza sia alla componente reale che surreale, attraverso l’esaltazione del colore per mezzo della tecnologia digitale.

«Il colore per me rappresenta la vita, il pensiero, il cuore, la gioia. Non è un fatto arbitrario, il bianco e nero è arbitrario come fatto creativo. Noi siamo abituati a vedere a colori. Il bianco nero parte già avvantaggiato, interpreta. La mia prima testimonianza è stata a colori. Quarant’anni di colore. Ma quarant’anni fa c’era il rigoroso bianco e nero. Io ho scelto la fotografia a colori, e il colore va interpretato. Il bianco e nero parte già interpretato. Il colore, dato che lo si vede, va reinterpretato. È molto più difficile fare il colore che il bianco e nero. Non si cerca mai la realtà per quella che è, ma si cerca di reinventarla in un modo più ideale. I colori esistono, io li interpreto. […] Tu hai una forma e devi interpretare questa forma, esprimere un significato. Conosci l’essenza delle cose, non puoi mica pensare che un albero sia solo un albero, una nuvola solo una nuvola, una montagna solo una montagna. Vuol dire che vedi così in maniera epidermica, vuol dire che la conoscenza si limita alla superficie senza conoscenza, senza capire nella loro esistenza cosa sono le cose. Limitando il contenuto, la loro umanità e la loro identità. Così il paesaggio diventa un archetipo di ciò che significa. Non è una cartolina che vaga nel buio e nel vuoto infinito. Il paesaggio è l’autoritratto che si fa attraverso di me. Per parlare dell’albero bisogna diventare l’albero»262

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261 Definizione di Franco Fontana citata in D. Curti, Franco Fontana. Full color, op. cit., p.16. 262

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(fig.89) F. Fontana, Primavera, giardino estense, 1980 (fig.90) F. Fontana, Estate, giardino estense, 1961

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(fig.93) F. Fontana, Basilicata, 1978

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(fig.95) F. Fontana, Basilicata, 1986

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(fig.97) F. Fontana, Puglia, 1987

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(fig.99) F. Fontana, Inverno, Emilia, 1990

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(fig.101) F. Fontana, Marocco, 1992

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(fig.103) F. Fontana, Basilicata, 1995

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