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Frazer vs Detienne, paradigmi a confronto

1.4 Il Cantico e la tradizione adonia

1.4.1 Frazer vs Detienne, paradigmi a confronto

Parlare di Adone senza far cenno ai due paradigmi interpretativi principali e opposti sul senso del mito è impossibile. Quando si interpreta un mito così attestato e “misterioso” come quello di Adone non si può fare a meno che scegliere quale linea interpretativa scegliere. Il titoletto provocatorio Frazer vs Detienne è però volto a sottolineare questa grande differenza di impostazione contenutistica. James Frazer nella sua incredibile raccolta e analisi comparatistica, a oggi an- cora insuperata per la vastità di materiale analizzato, The Golden Bough, edito tre volte a mano, a mano sempre più espanso tra il 1890 e il 1915, ha avuto il merito di aprire il campo alla comparatistica nella storia delle religioni e dell’an- tropologia. Il merito di Frazer per quanto riguarda il mito di Adone è quello di aver diffuso ed espanso le ricerche di Manhardt su «myth of the dying god» (che

67D’altro canto la stretta connessione tra rituale e letteratura la ritroviamo sin dagli albori

della tradizione adonia; si veda a esempio il passo di Saffo 140a V, nostra prima attestazione del mito, nel quale: «κατθνα<΄ι>σκει, Κυθ ΄ερη’, ῎αβρος ῎Αδωνις· τ΄ι κε θε῀ιμεν;/καττ ΄υπτεσθε, κ ΄οραι, κα`ι κατερε΄ικεσθε κ΄ιθωνας.».

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Cfr. le ricostruzioni di Winkler 1990 e di Reed 1995.

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tra l’altro altro non è che il «myth of the dying God») identificato con le messi e con la ciclicità della vegetazione, che muore e risorge. Frazer basa chiaramente le sue interpretazioni sulle testimonianze prettamente orientali del mito. L’Adone greco infatti non risorge, ma rimane silente nella riattuazione rituale delle adonie, ma soprattutto non è un dio. Tuttavia proprio per questo “orientalo-centrismo” l’interpretazione di Frazer risulta interessante per il presente studio.

Prima tuttavia di passare a questo, un accenno all’interpretazione di Detien- ne può esserci utile, soprattutto perché le due versioni del mito si completano in una certa maniera. Detienne propone un paradigma esplicitamente antifraze- riano ma soprattutto antiagrario. Ne Les jardins d’Adonis. La mythologie des aromates en Grèce propone un Adone seduttore e opposto all’ambito culturale e cultuale demetriaco. Il ragionamento di Detienne procede per opposizioni binarie, Tesmoforie vs Adonie/Società vs Antisocietà/Fertilità vs Sterilità e infine (anzi all’inizio) Mirra vs Lattuga. Inoltre la posizione di Detienne che soffre comun- que di uno strutturalismo che manca però di una interpretazione approfondita, o comunque presunta tale, dei dati, soffre anche di alcune fallacie contenutistiche, una delle tante è quella della partecipazione alle Adonie di sole prostitute, quan- do in realtà, essendo un culto privato e casalingo, vi accedevano spontaneamente le donne della città di Atene.70 Il culto delle adonie diventa nelle sue mani la

celebrazione di una femminilità depravata ed extra-coniugale che è soprattutto infeconda. Adone seduttore dunque in un mondo come quello greco nel quale la stessa kalokagathia non è mai stata sinonimo di seduzione, ma soprattutto di fronte a una dea (la più bella di tutte) compagna men che meno di Ares (eviden- temente il vero uomo alpha della situazione) che verrebbe sedotta da un giovane spinto in una cassa quando neanche è nato (ma soprattutto pensando anche che l’antenata di Afrodite, Inanna, Dummuzi non lo voleva proprio!).

Prendo a prestito le parole di Ribichini che ritengo ancora molto valide e che successivamente ai lavori di ricognizione di Atallah e di elaborazione di Detienne rimettono in gioco quella prospettiva sostanzialmente più onnicomprensiva fraze-

70Per quanto riguarda la confutazione di questo specifico aspetto trattato da Detienne e in

particolare della netta opposizione tra le Tesmoforie e le Adonie si veda Winkler 1990 e in particolare le pp. 188-209.

riana nello spirito, ma filtrata da un occhio di riguardo per una metodologia più serrata:

Dire infatti che la vicenda di Adonis va interpretata anzitutto nell’ambito della mitologia classica [anche Reed è d’accordo con questo spirito], non significa ne- gare che nel mito greco di Adonis, o nel suo culto, vi siano forti componenti di tradizione fenicia, o rifiutare tout court l’origine orientale di questo personaggio, ma piuttosto riconoscere alla documentazione classica un carattere, per così di- re di “mitologia riflessa”, dove ogni elemento originario ha subìto probabilmente mutamenti e riadattamenti di varia natura.71

D’altro canto lo stesso mito di Adone è leggibile nella filiera simbolica della morte e risurrezione di Cristo, adattamento che sembra avvalorare la l’esistenza di Adone come myth of the dying god e di conseguenza l’interpretazione di Frazer. Ciò che ora dunque ci interessa capire è in primis come il mito di Adone si colleghi al Cantico, e dunque esplicitare i sottesi di tutto il discorso fatto finora, in secondo luogo come il Cantico a sua volta possa dare luce all’aspetto del mito di Adone che sembra essere predominante nella sua storia.

Il culto di Adone è dunque caratterizzato da due momenti principali (che ri- calcano i rituali di Dummuzi e di Tammuz): il momento del matrimonio sacro con la dea, seguito dalla morte e lamento sul corpo del giovane in auspicio del ritorno della primavera. Il mito di Adone invece è caratterizzato da alcuni ele- menti principali e marcati, la cui presenza ci interessa analizzare all’interno del testo biblico. Il primo è la presenza del dominante femminile rispetto alla figura maschile, muta e passiva in ogni sua rappresentazione.

1.4.2

«Is Canticles an Adonis Litany?»

«Is Canticles an Adonis Litany?»72 così Nathaniel Schmidt intitola un breve ar-

ticolo di dodici pagine per discutere le interconnessioni tra il mito di Adone e il Cantico; l’anno di pubblicazione di quest’articolo è il 1926, questi sono anni signi- ficativi, come si è potuto notare nei sottocapitoli precedenti, per la discussione delle relazioni tra il testo biblico e i possibili precedenti orientali. Soprattutto alle entusiastiche ricerche di Meek sul culto di Adad Rimmon e sulle fors’anche

71

Ribichini 1981, p. 17.

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troppo entusiastiche conclusioni, i critici moderni iniziano a interrogarsi sul signi- ficato del Cantico in relazione ai presunti avantesti. Dibattito che non si è ancora concluso, viste le ultime ri-aperture e proposte per mano di Martti Nissinen e che attende ancora una rilettura organica. Sempre in questo stesso articolo Schmidt fa questa osservazione

How many such features, of ultimately Babylonian or Amoritish origin [vd. supra], may have been added to the story of the martyrdom of Jesus, as his disciples remembered their master over the paschal table? And may not a great deal have been said and done at the spring festival in ancient Israel that has not been recorded in the purified ritual? It is natural that an effort should be made to find in Canticles the remains of an Adonis litany.73

Proprio lo sforzo che chiede Schmidt è quello che stiamo cercando di fare in queste pagine (in positivo e in negativo). Vero è che nella Bibbia cenni espliciti del culto di Adone non e ne sono, forse un riferimento ai giardini di Adone in Isa. 17:10-1 ma, se anche lo fosse, o è frutto di qualche culto sincretistico pre- sente al tempo, o comunque si potrebbe trattare di un generico rituale legato ai culti di fertilità. Il problema comunque non viene risolto da Schmidt che esat- tamente come i suoi predecessori e gli studiosi successivi del Cantico riprende in analisi i culti di Tammuz e Astarte/Ishtar e ricollegandoli in maniera molto ge- nerica a un presunto avantesto del testo biblico. Interessante inoltre che lo stesso Garbini in tutto il suo testo fa molti accenni alla sovrapposizione tra il culto di Astarte/Afrodite e il Cantico, mai sbilanciandosi in un’effettiva sovrapposizione in quanto il suo scopo finale è quello di dimostrare l’ascendenza ellenistica del testo, ma evidentemente alludendovi celatamente.

Abbiamo già infatti visto come tra il Cantico e i culti orientali, soprattutto quelli assiri e sumero-accadici si possano trovare molti punti in comune, d’altro canto il collegamento tra questi ultimi e il culto di Afrodite e Adone è stata più volte ribadita. Sarà dunque il caso di procedere per gradi e analizzare punto per punto quali siano gli aspetti nel Cantico che, seppur non esplicitamente, lo riconnettono con un orizzonte adonio.

Procedendo per gradi, abbiamo già notato e perciò non ci soffermeremo an- cora sui paralleli testuali tra il Cantico e l’epitaffio di Adone dello (ps-)Bione di

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Smirne, perciò ci soffermeremo solo sui contenuti effettivi. Si è già notato come ciò che colpisce di più nell’intero Cantico è la quasi onnipresente voce dell’ama- ta. Una presenza tra l’altro molto ingombrante, soprattutto per i commentatori biblici, che hanno subito letto la voce della donna come allegoria delle figlie di Gerusalemme o come la Chiesa o ancora come l’anima (cfr. capitolo 2). Il ruolo attivo della sposa inoltre non è neanche deducibile solo dalla presenza della sua voce, ma dalle stesse azioni che compie, è lei a inseguire l’amato, a descriverlo per prima, a desiderarne gli amplessi, e tutto ciò diversamente finanche dal ruolo di Inanna nei componimenti assiri, la cui regalità divina non si esercita comunque su Dummuzi, ma sempre per via indiretta (anche quando deve scegliere di man- dare Dummuzi nell’aldilà la dea opera per intermediari, non ha dunque potere sul ragazzo, che tra l’altro di tutta risposta chiede aiuto al Sole, per sfuggire al suo destino). Ciò invece non avviene nel mondo greco, nel quale Afrodite ha potere su Adone fin da quando nasce (viene infatti posto in una cassa e spedito nell’aldilà da Persefone), l’unico vicenda su cui la dea non ha poteri è sulla sua morte, e proprio relativamente a questo possiamo pensare Ct. 8:6: « ῾ως θ ΄ανατος ᾿αγ ΄απη σκληρ `ος». Questo verso è stato variamente interpretato, in ebraico, sot- tolinea Garbini –così come in greco–, morte e amore, rispettivamente maveth e ’ahabah, non hanno articolo e per questo motivo sono da leggere con la maiuscola. Sarebbero dunque due personificazioni Amore e Morte, amore che tra l’altro il greco traduce con ᾿αγ ΄απη, per rendere il fatto che Amore in ebraico è femminile (così infatti troviamo dilectio nella Vulgata). Tuttavia sottolinea lo studioso che proprio il termine ’Ahabah è amore erotico-sessuale e per questo da legare alla sua controparte greca, Eros (Eros e Thanatos sono appunto fratelli), ma nel caso specifico non si capisce il senso di una tale affermazione che sembra abbassare il tono festoso del componimento, potrebbe dunque essere un tacito riferimento all’impotenza di Amore/Afrodite di fronte alla morte?

Ritornando dove ci eravamo fermati, per quanto riguarda Ct. 2:1 sembra chiaro il riferimento alla poesia alessandrina, la sposa, scura di pelle perché bru- ciata dal sole, sembra far riferimento al motivo della ragazza dalla pelle color del miele. Un riferimento comunque strano, un possibile collegamento, avanzato già da Meek, è quello di vedere nella scurezza di pelle della donna il riferimento ad

Astarte, la cui carnagione scura è legata al luogo di provenienza (la Fenicia) anche perché poco più avanti, in Ct. 4:8, la sposa viene detta proveniente dal Libano (ex territorio fenicio inglobato prima nell’impero persiano da Alessandro Magno e poi nel I sec. a.C. nella provincia romana di Siria).74 Tuttavia non vi è certezza che la popolazione fosse scura (i libanesi moderni sono bianchi!), ma l’intento del passo è evidentemente erotico.75 Ed è proprio il collegamento con il Libano che ci interessa, luogo di nascita di Adone nella cui città principale si celebravano le adonie (appunto quelle di Byblos,76 insieme alle altrettanto famose di Atene e di Alessandria). Il Libano torna più volte all’interno del Cantico: il legno del baldacchino di Salomone proviene dal Libano Ct. 3:9, la sposa viene dal Libano, come accennato, in Ct. 4:8-9, e in quest’ultimo caso sono citati anche i monti Amana, Senir ed Hermon, i leopardi e i leoni che scrive Garbini «fanno piuttosto pensare a divinità femminili come Astarte e Cibele (ormai largamente sincretiz- zate con divinità greche al tempo dell’autore del Cantico): ci troviamo di fronte

74Bisogna comunque sottolineare che il culto di Astarte non era ristretto solo ai territori

di dominazione fenicia, ma si era grandemente espanso grandemente fino a inglobare tutta la zona nord-africana e siciliana. Di certo il culto di Astarte era diffuso sia a Sidone (Ishtar di Ninive probabilmente), ma si veda anche un’iscrizione cipriota frammentaria del V-IV sec. a.C. (Masson 1982) e a Tiro; per quest’ultima si veda in merito l’iscrizione CIS I, 4 che recita: «Alla signora Astarte che è all’interno della ŠRN (Sharon?) che mi appartiene, io Abdibastet» (Amadasi Guzzo 2001-2). Altre due interessanti iscrizioni rinvenute a Cartagine (KAI 81 del IV sec. a.C. e KAI 73 del II sec. a.C.) riportano un’Astarte legata a Tinnit del Libano (zona che abbiamo più volte citato) e un’Astarte legata alla figura di Pigmalione (nel pendente d’oro CIS I 6057), mentre in Grecia è più volte associata a Era (Uni a Pirgi) e Afrodite (Ribichini 2005). Tutto ciò testimonia la grande diffusione, ma soprattutto sovrapposizione della figura della divinità con altri culti, e ciò ci interessa per quella comunanza di sentire che anche nel Cantico ritroviamo.

75C’è da dire che è attestata l’esistenza di un’Afrodite Melaina a Corcira, colonia di Eritrea

che però si chiamava Melainis quindi è più probabile un collegamento con il nome della città fondatrice; di diversa opinione Pestalozza il quale sostiene che melaina è attributo delle potniai ther¯on come Gaia e Demetra, cfr. Pestalozza 1954, p. 30. E ancora più interessante notare che in Paus. 8.42.1-7 è narrata la storia di una Demetra Nera, rifugiatasi in una caverna per il ratto di Persefone da parte di Poseidone e nel farlo avrebbe fatto appassire tutta la vegetazione sulla terra e per questo sarebbe stata richiamata indietro dalle Moire spedite da Zeus. Sempre in Pausania (cit. in Pironti 2007, pp. 147-9) troviamo l’Afrodite melainis sia a Corinto sia in Arcadia, vicino Mantinea. Mentre a Mantinea l’epiteto è legato al nero della terra, quindi a una connotazione fisica del territorio, a Corinto (e anche a Mantinea) Pausania lo giustifica con il legame tra aphrodisia e la notte, gli amori notturni (Paus. 2.2.4), ma è evidente che sia una razionalizzazione a posteriori. Anche a Corinto troviamo un’Afrodite Skotia che accompagna i giovani skotioi nel rito iniziatico di passaggio dall’ombra della casa alla luce del mondo esterno. In nessuno di questi casi comunque c’è collegamento tra la nerezza della divinità e il suo aspetto fisico, come sembra invece essere evidente nel passo del Cantico in questione.

76Cfr. Luc. De Syr. Dea. 6-8, nelle quali Adone era associato a Osiride la cui pratica era

a una sorta di preghiera alla dea dell’amore, invocata prima dell’amplesso»77 e

aggiungerei a questa trafila di dee anche Afrodite, nonché ciò che risulta evidente, che quella descritta dallo sposo ha tutte le caratteristiche di una divinità femmi- nile dominante. Lo sposo infatti la descrive fisicamente (Ct. 4:1-16) utilizzando alcuni paragoni tipici delle divinità dell’amore, il melagrano (frutto di Afrodite e della fertilità), il miele e il latte (simboli della salute), il cipro, il nardo, l’alòe, tutti fiori legati alla sessualità e all’attrazione nonché strettamente connessi alla zona siro-palestinese, ma anche cipriota, dove le attestazioni più antiche pongono i primi passi di Afrodite.78

Specularmente alla descrizione della sposa bisogna anche far cenno agli at- tributi dello sposo. Abbiamo già visto nel paragrafo sull’epitaffio di Adone che anche nel Cantico appaiono gli attributi tipici della figura del paredro mortale, la mirra per esempio79, la rosa, ma è la descrizione fisica dell’amato concentrata

nel in Ct. 5:9-16 che risulta molto interessante ai fini del discorso, perciò il caso di riportare l’intero passo:

τ΄ι ᾿αδελφιδ ΄ος σου ᾿απ `ο ᾿αδελφιδο ῀υ ῾η καλ `η ᾿εν γυναιξ΄ιν τ΄ι ᾿αδελφιδ ΄ος σου ᾿απ `ο ᾿αδελφιδο ῀υ ῞ οτι ο ῞υτως ῞ωρκισας ῾ημ ῀ας ᾿ αδελφιδ ΄ος μου λευκ `ος κα`ι πυρρ ΄ος ᾿εκλελοχισμ ΄ενος ᾿απ `ο μυρι ΄αδων κεφαλ `η α ᾿υτο ῀υ χρυσ΄ιον κα`ι φαζ β ΄οστρυχοι α ᾿υτο ῀υ ᾿ελ ΄αται μ ΄ελανες ῾ως κ ΄οραξ ᾿ οφθαλμο`ι α ᾿υτο ῀υ ῾ως περιστερα`ι ᾿επ`ι πληρ ΄ωματα ῾υδ ΄ατων λελουσμ ΄εναι ᾿εν γ ΄αλακτι καθ ΄ημεναι ᾿επ`ι πληρ ΄ωματα ῾υδ ΄ατων σιαγ ΄ονες α ᾿υτο ῀υ ῾ως φι ΄αλαι το ῀υ ᾿αρ ΄ωματος φ ΄υουσαι μυρεψικ ΄α χε΄ιλη α ᾿υτο ῀υ κρ΄ινα στ ΄αζοντα σμ ΄υρναν πλ ΄ηρη 77 Garbini 1992, p. 226.

78Bisogna comunque sottolineare che le connessioni tra Astarte e Afrodite non sono del tutto

chiare, già Burkert 1977, p. 224, aveva problematizzato su base archeologica l’impossibilità di far discendere Afrodite da Astarte, per antichità del culto. A Pafo infatti sembra di poter identificare il culto di Afrodite già nel XII sec. a.C. Baurain e Destrooper-Georgiades 1995, pp. 596-631. Per quanto riguarda i precedenti del culto cipriota di Afrodite si veda lo studio di V. Karageorghis 1982, pp. 123-7 e 162-6; per quanto riguarda le connessioni tra Cipro e l’oriente, in particolare con la città di Ugarit (vd. J. Karageorghis 2005 pp. 28-30), sono rappresentate dal Cipriota Medio (1900-1600 a.C.), come testimoniato da alcune statuette evidentemente sincretistiche tra le due religioni (Ivi, pp. 69-70), da cui appunto sarebbe stato fondato nel intorno al 1250 a.C. l’antico e noto santuario di Pafo. Afrodite sarebbe dunque nata da un incrocio sincretistico tra divinità orientali diverse, così come in Consani 2014, p. 18, la cui analisi linguistico-geografico-storici pone in evidenza i tratti in comune tra le due zone che fino al 480 a.C. (Battaglia di Salamina) avevano convissuto pacificamente, attuando un ampio processo di integrazione e acculturazione.

79Cfr. Ct. 1:6; 3:6; 4:6 (in cui l’amato si ritira «πρ `ος τ `ο ῎ορος τ῀ης σμ ΄υρνης κα`ι πρ `ος τ `ον βουν `ον

το ῀υ Λιβ ΄ανου»; 5:1 nel quale l’amato raccoglie la mirra e 5:13 in cui le guance dell’amato stillano mirra.

χε῀ιρες α ᾿υτο ῀υ τορευτα`ι χρυσα῀ι πεπληρωμ ΄εναι θαρσις κοιλ΄ια α ᾿υτο ῀υ πυξ΄ιον ᾿ελεφ ΄αντινον ᾿επ`ι λ΄ιθου σαπφε΄ιρου κν ῀ημαι α ᾿υτο ῀υ στ ῀υλοι μαρμ ΄αρινοι τεθεμελιωμ ΄ενοι ᾿επ`ι β ΄ασεις χρυσ ῀ας ε῏ιδος α ᾿υτο ῀υ ῾ως Λ΄ιβανος ᾿εκλεκτ `ος ῾ως κ ΄εδροι φ ΄αρυγξ α ᾿υτο ῀υ γλυκασμο`ι κα`ι ῞ολος ᾿επιθυμ΄ια ο ῟υτος ᾿αδελφιδ ΄ος μου κα`ι ο ῟υτος πλησ΄ιον μου θυγατ ΄ερες Ιερουσαλημ.80

La descrizione fisica parte dall’alto scendendo lentamente verso il basso. Un primo elemento che è interessante notare è l’introduzione della sposa, prima anco- ra dell’inizio dell’iter descrittivo. In un breve scambio tra le figlie di Gerusalemme e la sposa è introdotta l’intera descrizione, le donne chiedono per che cosa lei, « ῾η καλ `η ᾿εν γυναιξ΄ιν», sta cercando e ha scelto proprio lui tra tutti i mortali. La sposa elenca gli attributi fisici del suo amato partendo dalla bianchezza del corpo (si ricordi che lei si è definita nera) che è associato al vermiglio, un rosso molto acceso che probabilmente è usato per connotare la colorazione rosea della pelle sotto la quale scorre il sangue (sebbene il termine “πυρρ ΄ος” indichi un rosso molto acceso, per la sua omoradicalità con “π῀υρ”, fuoco), ma lui è riconoscibile tra mille uomini mortali, per quanto colore della sua pelle sia molto comune. L’osserva- zione seguente, relativa alla capigliatura del giovane, è molto ambigua, la testa è infatti definita dorata mentre i capelli ricci sono neri come i corvi. La testa oro fa chiaramente pensare di primo acchito il biondo, ma la rettifica del nero dei ricci spinge a ripensare l’affermazione (prendendo per buona la descrizione in toto). L’accostamento dei due termini “χρυσ΄ιον, ου” e “κεφαλ ΄η, ῀ης,” si trova solo in autori tardi post-biblici, ma soprattutto cristiani, la cui eco al Cantico è chiara.81 Mi sembra evidente che il riferimento possa essere collegato alla brillan- tezza dei capelli che rilucono al sole, che tra l’altro giustificherebbe la scelta del termine “oro” al posto dell’aggettivo “dorato”, a meno che la sposa non lo intenda in maniera esplicitamente metaforica nel senso di “prezioso, bello”. I bei ricci neri sono comunque una connotazione comune degli efebi, greci in particolare, si pensi alle famose statue di Prassitele e Skopas nelle quali i giovani sono sempre carat- terizzati da una folta chioma di ricci, presumibilmente scuri (data la provenienza

80LXX Ct. 5:9-16.

81Così per esempio nelle omelie di Giovanni Crisostomo (Hom. 62.542.34) in Procopio (Proc.

geografica).82

Segue ai capelli la descrizione del volto, gli occhi paragonati alle colombe richiamano la descrizione della sposa di Ct. 1:15 e 4:1, i denti come il latte e le guance che richiamano chiaramente la bianchezza della pelle, già accennata sin dai primi versi. Tuttavia proprio riguardo al verso relativo alle guance Garbini propone un importante cambiamento. Come già avevamo accennato prima, la parola usata per guance è quella che sarebbe relativa a glutei, inoltre, come ha dimostrato Vattioni83, due papiri greci del III e del IV secolo, la Vetus Latina e la versione copta del Cantico presentano il verso 14b prima del verso 13;84 in

questa maniera ci si trova davanti a una difformità contenutistica perché il ventre verrebbe citato prima delle guance. Se tuttavia accettiamo la versione copta e la traduzione di Garbini che propone “glutei” al posto di “guance” eliminiamo il problema della discrepanza, dando una sfumatura marcatamente sessuale alle “labbra” che si trovano in mezzo tra i glutei e il ventre. Dare uno sguardo alla traduzione di Garbini può essere d’aiuto per capire quello che lui ha identificato come meccanismo di de-erotizzazione.

Il suo ventre è un disco d’avorio ombreggiato da zaffiri.

I suoi glutei sono come aiuole di balsamo dove crescono piante di aromi I suoi testicoli sono aromi stillanti di mirra che sazia

Il suo sesso è un astuccio d’oro riempito di gemme. Le sue gambe colonne di marmo poggiate su basi d’oro.

82Bisogna comunque sottolineare che esistono anche esemplari di “efebi biondi”, molto noto

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