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Il Cantico dei Cantici: matrici semitiche e tradizioni mediterranee

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Academic year: 2021

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(1)

Corso di Laurea Magistrale in FISA, Filologia e Storia dell’Antichità

Da decidere

Relatore:

Chiar.mo Prof.

Alessandro Grilli

Controrelatrice:

Chiar.ma Prof. ssa

Maria Domitilla Campanile

Candidato:

Anna Chiara Corradino

Matricola 573899

(2)

Sommario

1 Il Cantico dei Cantici, datazione, tradizione moderna e

contenu-to 2

1.1 Le principali edizioni moderne . . . 4

1.1.1 La datazione . . . 5

1.1.2 Il contenuto e la forma . . . 7

1.2 Garbini, la svolta contenutistico-formale . . . 10

1.2.1 Il Cantico e Teocrito . . . 13

1.3 Il Cantico e i culti orientali . . . 18

1.3.1 Egiziani . . . 20

1.3.2 Inanna e Dummuzi, Ishtar e Tammuz . . . 22

1.3.3 Considerazioni generali . . . 27

1.4 Il Cantico e la tradizione adonia . . . 30

1.4.1 Frazer vs Detienne, paradigmi a confronto . . . 32

1.4.2 «Is Canticles an Adonis Litany?» . . . 34

1.5 Acronimi e Abbreviazioni . . . 41

(3)

Capitolo 1

Il Cantico dei Cantici, datazione,

tradizione moderna e contenuto

Un lavoro che voglia prendere in esame la fortuna di un testo enigmatico quale il Cantico dei Cantici non può non porsi primariamente delle domande precise riguardanti la nascita, la produzione e la datazione del testo stesso. Bisogna tut-tavia chiarire che il Cantico, similmente ad altre opere della tradizione biblica, presenta delle difficoltà di datazione e inquadramento oggettive; non essendo in-fatti possibile ricostruire un “originale conservato” e, di conseguenza, il possibile background da cui il testo ha preso le sue mosse iniziali, le indagini che sono state condotte in merito sono prettamente linguistiche e critico-letterarie, confrontando loci paralleli simili nelle altre opere bibliche ed extra-bibliche. Bisogna comun-que osservare la mancanza di consenso unanime su una datazione precisa, come vedremo nel prossimo sottocapitolo, l’arco di tempo delle datazioni proposte dai più brillanti nomi della letteratura ebraica, variano dal X al I secolo a.C. Per questo motivo ho deciso di dedicare la prima parte di questo capitolo alla rico-struzione delle principali opinioni della critica moderna sul Cantico. Passerò in rassegna dunque le opinioni più autorevoli e più recenti in merito, premettendo una preferenza nell’intera costruzione della tesi per le opinioni di Giovanni Gar-bini. L’audace ricostruzione testuale e contenutistica del testo di Garbini mette infatti in evidenza alcuni punti chiave del contenuto del Cantico che permettono di analizzare la fortuna successiva dello stesso e i suoi evidenti collegamenti con

(4)

l’ambiente ellenistico teocriteo; ciò chiaramente è interessante anche per le rilet-ture successive del Cantico che inconsciamente lo riconnettono con un’orizzonte erotico. Il merito di Garbini è stato infatti quello di riportare alla luce le con-notazioni erotiche sopite sotto secoli di esegesi interpretativa del testo, rendendo molto più facile la comprensione di un contenuto che per molto tempo è apparso oscuro.

Aggiungo che le opinioni di Garbini da cui il lavoro ha preso le mosse saranno analizzate non in maniera a-critica, ma chiarendo alcuni elementi che possono risultare eccessivi, ferma restando l’altissima qualità del lavoro dello studioso. Ciò che è risultato molto interessante è soprattutto il collegamento esplicito del Cantico con l’epigramma ellenistico in generale e in particolare con la produzione teocritea; l’ipotesi, non avanzata da Garbini, ma che trova la sua più precisa analisi e giustificazione nella trattazione dello studioso, nasce soprattutto da una rilettura del Cantico in ‘direzione erotica’. Los studioso ha infatti cercato di rileggere il testo ri-erotizzandolo e deossidandolo dalla patina di ruggine che il tempo e soprattutto l’esegesi biblica avevano imposto.

La seconda parte del capitolo sarà dedicata all’analisi del contenuto del Can-tico e dei possibili ipertesti o architesti.1

Vi sono infatti alcuni elementi che sono stati collegati a culti pre-olimpici, ma soprattutto pre-giudaici, la cui eco è evidentemente rintracciabile nel contenuto e soprattutto in alcune espressioni specifiche del Cantico. In particolare risulta evidente una fortissima connessione con i culti legati alla figura di Adone, i cui riti e culti presentano delle evidenti somiglianze con alcune espressioni presenti nel testo. Darò spazio dunque all’analisi degli studiosi che hanno ricollegato il testo con alcuni culti legati alle figure di Inanna, Ishtar, Afrodite–insieme ai loro paredri mortali– avanzando una possibile ipotesi di collegamento tra il Cantico e

1Riprendo il concetto di ipertestualità e di architestualità da Gérard Genette. Cito entrambe

le modalità transtestuali perché la critica non è concorde ancora nello stabilire le relazioni tra il Cantico e le produzioni amorose e cultuali orientali. Fornisco dunque qui la definizione delle due tipologie di trasmissione: per “ipertesto” si intende testo che è in rapporto di sovradeter-minanzione rispetto a un altro che ne fornisce al modello senza che si tratti di una citazione esplicita; per “architestualità” invece si intende un insieme di categorie letterarie tarscendenti cui appartiene ogni singolo testo, ma la relazione tra i testi è muta, al limite si può rintracciare una pura dipendenza tassonomica. Genette 1982.

(5)

un Canto nuziale per Adone e Afrodite.

1.1

Le principali edizioni moderne

Elencare tutte le edizioni che il Cantico ha avuto e anche subìto nel tempo sareb-be lavoro non pertinente nel caso di una ricerca come questa che non pretende di analizzare la la storia del testo per una possibile ricostruzione testuale, bensì solo la sua ricezione lato sensu, anche perché l’esegesi “storico-critica” del Cantico nasce, per quanto noi possiamo analizzare, col cantico stesso. Nell’Abot di Rabbi Natam c’è scritto che proprio grazie all’interpretazione del testo del Cantico si è potuta ammettere la annessione del testo nel novero dei testi sacri.2 Il concetto di interpretazione, che va inteso in maniera più estesa rispetto alla moderna erme-neutica, rende comunque evidente una problematica seria del testo del Cantico, i.e. la sua modificazione conscia sin dai tempi più antichi. Il testo che è giunto oggi a noi è infatti un testo corrotto non in senso materiale, ma contenutistico, e questo proprio mediante la ricostruzione e l’interpretazione testuale consustanzia-le alla nascita del testo stesso. Come già accennato però è comunque necessario tenere in considerazione le edizioni più moderne in modo da avere un’idea sulla possibile datazione e sulla lingua utilizzata nel testo.

La restrizione di campo alle sole edizioni che si concentrano sugli aspetti me-ramente ecdotici, stilistici e storici, è necessaria per capire in linea generale la possibile datazione del testo e il suo aspetto esterno. È riservato invece al prossi-mo capitolo uno studio più esteso, per quanto non esauriente, della prima esegesi cristiana e di quella ebraica antica e soprattutto medioevale.

I principali editori di cui terrò conto per quanto riguarda le scelte editoriali e di datazione sono Graetz (1871), Gebhardt (1931), Gordis (1954 e poi insieme a Lamenti 1974), Segal (1962), Pope (1983), Ceronetti (1992) e Garbini (1992), esulandone quando sarà necessario.3

2

Cit. in Garbini 1992, p. 17.

3Il presente lavoro, non avendo la pretesa di vagliare tutta la bibliografia sul Cantico in

quanto lavoro di fortuna di uno specifico motivo non si arroga il diritto di poter fornire una bibliografia esauriente sul testo. Rimando comunque a Pope 1964, p. 234-288 per una biblio-grafia completa che racchiude tutti i testi divisi per secolo e alfabeticamente sul Cantico. Da

(6)

1.1.1

La datazione

La datazione del Cantico è forse uno dei temi più dibattuti e più spinosi riguardo al testo. L’opera infatti è stata datata in un arco di tempo che abbraccia un pe-riodo compreso tra il X e il I secolo a.C. Al di là comunque delle datazioni precise avanzate dai singoli studiosi eminenti, che passeremo velocemente in rassegna, ci interessa notare che la critica è nettamente spaccata in due tra una parte di studiosi che data il testo pre-esilio del popolo giudaico e che generalmente accetta la paternità salomonica del testo, Segal, Murphy e Pope, e un’altra fetta di stu-diosi, a mio parere la più autorevole, che lo data post-esilio per alcune evidenze linguistiche e contenutistiche di cui Graetz, seguito da Garbini, è il più tenace sostenitore. Seguendo l’ipotesi di Tur-Sinai4, Segal data il Cantico all’epoca di Salomone sostenendo che elementi come le tende di Kedar, i cavalli del Faraone (forse per una visita amichevole presso la corte del Re), e la felicità pervasiva dell’intero testo non può che essere un prodotto di un abitante della città di Ge-rusalemme; pur dunque non accettando la paternità salomonica del testo, che è chiaramente espediente letterario, ne sostiene il terreno culturale.5

Della parte di critica che lega il Cantico a un ambito di produzione pre-esilico, e non necessariamente salomonico, con i culti mesopotamici di fertilità (e con i contatti che questi stessi ebbero con l’ambiente culturale siro-palestinese). Tra questi il più autorevole è Wittekindt che data il Cantico al VII sec. a.C. sotto il regno di Manasse (ψ642 a.C.).6

integrare con la bibliografia fornita in Garbini 1992 e Ceronetti 1992 nella versione riveduta del 1996.

4

Tur-Sinai 1948-55, vol. II, p. 356.

5

Segal 1962, pp. 481-2. Segal è seguito anche da Gillis 1965 che tra l’altro aveva studiato in Gillis 1962 le possibili connessioni tra il Cantico con l’arte antico-egiziana, Gerleman formula la teoria di «umanesimo salomonico» (p. 76) in base alla quale riconnettere il testo del Cantico a un florido e vagheggiato universo salomonico. Per quanto riguarda tra l’altro le connessioni tra il Cantico e la poesia, non solo l’arte egiziana, e in particolare la poesia amorosa egiziana, si veda anche l’articolo di Fox 1983 che evidenzia alcune corrispondenze tra componimenti egiziani del XIII-XII secolo a.C. e il Cantico. Come vedremo, queste corrispondenze apparentemente schiaccianti devono far parte di un tipo di componimenti ben definito e raggruppabile tutto in uno stesso genere letterario.

6

Si veda anche Schmökel 1956 che, pur ammettendo la connessione con i culti mesopota-mici, data la stesura effettiva del Cantico in periodo post-esilio, ma postula l’esistenza di un Ur-Hoheslied che sarebbe passato attraverso un lungo processo di revisione prima di entrare nel Canone ebraico, p. 124. Bisogna dire che la tendenza della critica mi sembra accettare

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Un primo spostamento cronologico lo troviamo in Bewer7 che data il testo

post-esilio, nel III sec. a.C., insieme ad Eissfeldt,8ma ne ammette gli elementi linguistici pre-esilio, così seguito anche da Murphy9. Il più eminente e lucido

so-stenitore della datazione tarda del Cantico è Graetz.10 L’edizione di Graetz, per quanto molto datata, risulta ancora oggi punto imprescindibile per uno studio del Cantico. In cinquanta dense pagine Graetz esamina gli aspetti linguistici salienti, suddividendo il capitolo in sottogruppi di espressioni aramaismi ed ebraismi, ele-menti persiani, greci, parallelismi con i poeti Greci –di cui parleremo tra poco–, ammettendo una datazione molto tarda del testo, 230-218 a.C. insieme a Grae-tz sempre per evidenti elementi linguistici Ginsberg, grandissimo e insuperato ebraista, sostiene che nella sua forma attuale il Cantico non può che essere fatto risalire al III sec. a.C.11

Garbini, seguendo l’intuizione di Graetz e portandola ancora oltre, rianalizza il testo nella sua interezza sia a livello linguistico sia contenutistico e propone una datazione ancora più tarda e precisa, il 69 e il 67 a.C. La presenza infatti di nu-merosi grecismi12 e di alcune locuzioni dell’ebraico mishnico (che quindi costringe il testo quantomeno post 200 a.C.) portano Garbini a modificare e postdatare ulteriormente il testo.13 Inoltre Garbini avanza due giustificazioni contenutisti-che, volte ad arrivare a quella data così precisa14 In primo luogo l’allusione al

racconto di Susanna che Catastini ha dimostrato composta nel periodo di lotte tra sadducei e farisei in funzione anti-sadducea permette di avanzare la data di

l’esistenza di un Cantico dalla facies molto diversa da quella che ci è giunta. Lamenta Garbini stesso però che questa tendenza ha denaturato molto il significato del testo, impoverendo e appiattendo le interpretazioni dei critici sin dai tempi più antichi.

7

Bewer 1924, p. 343.

8

Eissfeldt 1965, ulteriore spostamento è quello di Albright 1963 che avanzava l’ipotesi del IV secolo a.C.

9 Murphy 1968, p. 506. 10 Graetz 1871, pp. 40-91, 11 Ginsberg 1959, p. 3.

12L’esempio di grecismo più noto è quello del calco fonetico appiryon da φορ-ε῀ιον et similia,

cit. in Garbini 1982.

13

Garbini 1992, p. 293.

14Questa datazione era stata già proposta in un suo articolo per poi essere perfezionata nella

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composizione post 80 a.C.; in secondo luogo il riferimento alle nozze, tragicamente conclusesi nel 69 a.C. con la morte della sposa, di Cleopatra Selene. Tuttavia que-st’ultimo elemento della datazione è meno convincente di altri; preferisco dunque accettare la, seppur più vaga, proposta del primo articolo di Garbini che alludeva genericamente al I sec. a.C. Risulta infatti interessante per la presente analisi una possibile postposizione o comunque sovrapposizione cronologica con il floruit teocriteo che, oltre Garbini, molti studiosi hanno spesse volte sottolineato senza azzardare conclusioni più nette.

1.1.2

Il contenuto e la forma

Esattamente come per la datazione, il contenuto del Cantico resta oscuro a noi moderni, così come lo era anche nei tempi più antichi. La grande quantità di esegesi che il testo porta dietro con sé è la prova di un contenuto controverso che necessitasse di giustificazioni profonde per poter entrare a far parte del canone dei testi biblici antichi. Rabbi Aqiba fu il primo, a quanto si sa, a battersi per l’inclusione del Cantico nel canone biblico durante il presunto concilio di Jamnia (95 d.C. ) difendendone entusiasticamente la dignità.15 Romanzata o no che sia la

storia, rimangono comunque numerose le testimonianze del controverso consenso sul testo, fino all’effettiva stabilizzazione testuale, da cui l’edizione normativa canonica, che cancellò le precedenti versioni, di Ben Asher nel X sec. In Avot D’Rabbi Nathan, un’opera minore dell’haggaddah, generalmente stampata con il Talmud anche se probabilmente più tarda, il cui contenuto è una esposizione omiletica del Pirkei Avot (o Capitolo dei Padri), troviamo scritto che il Cantico non era stato accettato nel canone finché non giunsero «gli uomini della grande Sinagoga» e lo interpretarono;16Garbini problematizza in merito l’impossibilità di

capire la la sfumatura di significato del verbo “interpretare” in quanto le evidenze archeologiche certificano la circolazione di diverse versioni del testo, il frammento Qumran SQ617per esempio presenta una facies molto distante dal testo asheriano

15

Cfr. Mishnah, Yadayim 3,5 cit. in Garbini 1992, p. 17.

16Avot D’Rabbi Nathan, 1. 17Baillet

(9)

che certifica rimaneggiamenti e riletture del Cantico già in epoca antica.

È molto probabile dunque che il testo del Cantico, come è giunto a noi oggi, sia stato spesse volte rimaneggiato e adattato alla sensibilità rabbinica prima, ma anche cristiana poi, in modo da appiattire le controversie che di mano, in mano sorgevano sul testo stesso. Sempre in merito, risulta molto interessante un aspetto formale-contenutistico che ha spesse volte confuso l’interpretazione del testo. Prima infatti di passare a ciò che c’è scritto, se si può parlare di qualco-sa di simile, bisognerebbe capire che tipo di testo sia e quale fosse il suo scopo. Premettendo l’impossibilità di dare una risposta certa a queste domande, è in-teressante notare che alcuni codici, il Codex Sinaiticus e il Codex Alexandrinus, presentano note marginali a sottolineare il cambiamento delle dramatis personae del testo; si aggiunge a questo anche una diversa scansione del testo (in cinque parti per esempio nella Traduzione Etiopica rispetto alle otto canonicamente ac-cettate), l’ammissione di un diverso numero di personaggi, Rabbi Ibn Ezra ne identifica tre, rispetto all’apparente primo acchito di due e via dicendo. Parlare di un contenuto o di una forma del testo sembra dunque impossibile e lavoro non di stretta competenza di uno studio sulla fortuna dello stesso. A livello forma-le tuttavia ciò che risulta evidente, che il testo sia classificato come un alterco ameboico da Garbini, come idillio lirico da Moulton18 o ancora come un mimo da

Gebhardt19 così come nei codici erano identificate dei personaggi che si parlavano testimonia come il testo sia a tutti gli effetti un testo drammatico il cui contenuto deve essere letto alla luce del botta e risposta tra i presunti personaggi. Sostiene infatti Pope, proprio parlando dell’integrità del Cantico, che la drammaticità del testo totalmente accettata lascia comunque la libertà di dividere il testo in tanti atti quanti sembra necessario alla sensibilità dei singoli editori.20 Prima

comun-18

Moulton 1930, p. viii.

19

Gebhardt 1931, p. 17. La teoria di Gebhardt è molto interessante; egli sostiene infatti che, per quanto il testo sia drammatico a livello formale, non sia uno «Schauspiel» ma un «Hörspiel» (ibidem), giustificando in questa maniera la mancanza di contenuti narrativi che evidenzino il passaggio tra un personaggio e un altro e di passaggi drammatici netto che invece avvicinerebbero il testo a un piccolo componimento teatrale.

20

Pope 1964, p. 40. Un curioso aneddoto in merito è una parafrasi poetica in Mit-telhochdeutsch risalente al XV sec. che divide il testo in quarantaquattro parti (cfr. ibidem).

(10)

que di passare alla “questione teocritea” mi preme schematicamente riassumere il contenuto generale del cantico come viene letto oggi e come è stato letto dopo la fissazione canonica della tradizione ebraica e cristiana. Nella versione CEI della Bibbia il Cantico e nelle principali edizioni critiche si presenta diviso in otto par-ti, utilizzo il termine “parti” perché sono state adottate varie nomenclature per la nominazione delle singole suddivisioni (poemi, cantici, scene) a seconda della scelta editoriale e dei significati attribuiti allo stesso testo. L’edizione italiana a cura di Ceronetti, quella subito precedente a Garbini, divide il poema così: 1. Prologo 1,1-4; 2. Primo poema 1,5-2,7; 3. Secondo poema 2,8-3,5; 4. Terzo poema 3,6-5,1; 5. Quarto poema 5,2-6,3; 6. Quinto poema 6,4-8,4;

7. Prima appendice (chiamato anche epilogo) 8,5-7; 8. Appendice finale 8,8-14.

Per quanto riguarda il contenuto del testo come si legge oggi si presenta come un dialogo tra due persone, uno sposo e una sposa che si inseguono; la sposa alterna invocazioni allo sposo con dialoghi con il coro delle donne di Gerusalemme (potremmo dire alla maniera bacchilidea). La prima parte successiva al prologo –seguo la divisione che ho appena fornito– si tratta di un’invocazione da parte della donna e e dalla descrizione delle bellezze della sposa, troviamo inoltre la descrizione del talamo e il risveglio della primavera; nella seconda la sposa si sveglia e non trova lo sposo di fianco a lei e corre a cercarlo (forse un sogno), nella terza parte troviamo la descrizione del carro di Salomone; nella quarta parte troviamo una lunga digressione sulla bellezza della sposa; la quinta è simile alla terza, con l’immissione di un’excursus sessuale tra i due (questo un sogno) e un nuovo inseguimento dello sposo; nella sesta e nella settima il coro delle figlie di Gerusalemme dialogano con la sposa e ne elogiano la bellezza; l’ottava e ultima scena insieme con la presunta appendice è un breve dialogo tra sposo e sposa e l’immissione della figura della sorella della sposa.

(11)

1.2

Garbini, la svolta contenutistico-formale

La grande intuizione di Garbini è stata quella di problematizzare la sconnessione contenutistica delle singole parti del Cantico, sostenendo che la coerenza conte-nutistica mancasse a causa della modificazione cosciente del testo da parte dei rabbini che, con lo scopo di inserirlo nel canone ebraico, senza incorrere in im-barazzanti significati non conciliabili con i dettami della Tanakh, ne avrebbero compromesso il contenuto reale. Anche nel breve riassunto del contenuto del para-grafo precedente sarà stata evidente la disorganicità tra le singole parti del testo; è come se non si potesse effettivamente parlare di un solo testo, ma sembrerebbe l’unione meccanica di più testi. C’è comunque da dire che, ciò che appare para-dossale, il testo in realtà letto senza cercare di spezzarlo in singoli nuclei tematici sembra avere una sua coerenza interna. Ciò che gli studiosi si sono variamente chiesti è se questa coerenza sia effettiva o posteriore, e se di conseguenza il testo fosse nato con uno scopo preciso, già cultuale, prima dell’entrata nel canone. Se infatti, come abbiamo già accennato, il testo era cantato anche nelle taverne, si-gnifica che la sua natura, prima che spirituale, goliardica, avrebbe potuto minare alla santità e alla spiritualità delle scritture in toto. Il meccanismo che Garbini evidenzia è una lenta de-erotizzazione del testo a opera dei rabbini, in quel mec-canismo di “interpretazione”, che altro non è stato se non una effettiva rilettura e riscrittura del testo. Il testo, scevrato dalle componenti più scabrose sarebbe stato poi inserito nel canone. Tra l’altro per quanto epurato da tali elementi, il Cantico ha sempre creato problemi e necessità di interpretazioni allegoriche che ne giustificassero i movimenti. A una lettura infatti esterna all’esegesi cristiana, il testo appare come una canto nuziale a voci alternate.

Ciò che mette in evidenza Garbini è però proprio l’incoerenza che alcune parti hanno con altre e cerca di ricostruire con poche modificazioni un testo che abbia un significato più consono a un cantico amoroso. Garbini parte infatti dall’as-sunto che il Cantico sia stato grandemente influenzato dalla poesia ellenistica, e in particolare teocritea, sostenendo, con numerose prove evidenti, la presenza di alcuni motivi tipici della poesia amorosa ellenistica. Il testo sarebbe dunque nato come “stornello” amoroso da cantare nei simposi, e poi sarebbe stato accolto nel

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canone ecclesiastico, previa totale revisione da parte dei rabbini. C’è da dire che l’opinione di Garbini sulla nascita profana del testo non è totalmente convincen-te. Come infatti vedremo nei prossimi sottocapitoli, sebbene gli elementi teocritei siano ben evidenti nel testo, il retaggio culturale a cui sembra possibile e sensato legarlo è la culla dei riti matrimoniali orientali che spesse volte è stata tirata in ballo, sebbene senza essere mai approfondita seriamente. D’altro canto lo stesso Teocrito, in idilli come le Siracusane o le Incantatrici, rielabora del materiale tra-dizionale e cultuale presente nella religione greca e greco-orientale che discendeva però direttamente da culti ampiamente praticati fino al tempo di Teocrito stesso (si pensi appunto ai giardini di Adone).

Tornando però a Garbini, sarà interessante vedere il modo di procedere del-l’ebraista che, primo fra tutti, ha restituito un significato sicuramente molto più coerente al testo. Purtroppo avendo nozioni di ebraico molto ridotte non posso che riportare alcune osservazioni dell’autore stesso, che sono però funzionali per la comprensione dei legami del testo con la tradizione precedente e successiva.

La più evidente modificazione del testo che Garbini definisce “sconcertante”21 è a proposito della forma ebraica ddyk, mentre la vocalizzazione masoretica e la versione siriaca intendono «i tuoi amori» quelle ebraica e latina intendono «le tue mammelle». La seconda traduzione è possibile leggendo a invece di o la prima vocale della parola non crea problemi la traduzione; tuttavia sostiene Garbini che gli uomini non hanno mammelle e non vi è dubbio che la lettura esatta sia per quella dell’ebraico appoggiato dal siriaco. Poco più avanti in 7,13 una donna promette di dare ddym all’amato, il cui erotismo evidente della scena viene co-munque attenuato dalla concessione delle sole mammelle, alludendo, senza citare esplicitamente. Si veda lo schema successivo:

LXX: φιλησ ΄ατω με ᾿απ `ο φιλημ ΄ατων στ ΄οματος α ᾿υτο῀υ ῞οτι ᾿αγαθο`ι μαστο΄ι σου ῾υπ `ερ ο῏ινον.

Vulg.: osculetur me osculo oris sui quia meliora sunt ubera tua vino. WLC translitterata:22 nashaq n˘eshiyqah peh dowd towb yayin.

21

Garbini 1992, p. 173.

(13)

Questo meccanismo di de-erotizzazione che Garbini evidenzia in questo passo, similmente a molti altri nel testo (si veda in merito l’Appendice I in cui è riportata la versione di Garbini, quella della Bibbia CEI e quella dei LXX, per capire le differenze testuali), portano lo studioso a teorizzare una totale rilettura del testo. Garbini divide il Cantico in XXIV sottocapitoli, secondo il seguente schema: 1. Proemio (I, 2-4)

2. Una fanciulla smaliziata (I,5-6) 3. Il pastore introvabile (I,7-8) 4. Vezzi femminili (1,9-11) 5. Una notte d’amore (I,12-14) 6. Nel bosco (I,15-17)

7. La rosa dei campi (2,1-3) 8. Inizio di un amore (2,4-7) 9. Primavera (2,8-17)

10. Sogno notturno - I (3,1-5) 11. Ecco gli sposi (3,6-11)

12. L’incontro (4,1a+6,4+5a+4,1b-7) 13. La prima notte (4,8-5,1) 14. Sogno notturno - II (5,2-8) 15. La bellezza dell’amato (5,9-16) 16. Rievocazione (6,1-3) 17. La sposa rapita (6,8-12) 18. Epitalamio (7,1-11) 19. La promessa (7,12-14) 20. Sospiri (8,1.4) 21. La teofania (8,5-7) 22. La sorella piccola (8,8-10) 23. La vigna di Salomone (8,11-12) 24. L’incontro finale (8,13-14)

Garbini divide l’intero testo in tanti singoli epigrammi, sostenendone una quasi totale autonomia. Come vedremo nel prossimo paragrafo, la divisione di Garbini permette di vedere numerose corrispondenze col testo teocriteo, per quanto una

(14)

così netta divisione tra un passaggio e un altro sembri superflua. Il Cantico infatti è un testo che, per quanto enigmatico, in realtà si presenta come molto organico, con una fitta rete di rimandi e richiami interni che, anche a un lettore ingenuo, appaiono evidenti.

La fondamentale divisione sul piano narrativo è quella di individuare tre per-sonaggi femminili, una fanciulla, una sposa e una meretrice (più il quarto della sorella della parte finale, che però spesse volte è stata considerata un’appendice) e di ricondurre l’intera vicenda ri-erotizzata e ricalata nel suo contesto amoroso preciso alla vicenda mitica di Amore e Psiche, ma prima di parlare di questo, sarà il caso di analizzare alcuni punti fondamentali del Cantico e alcune conclusioni interne.

1.2.1

Il Cantico e Teocrito

Ciò che è più interessante nello studio di Garbini è appunto l’avvicinamento del Cantico al sentire teocriteo, che gli permette di post-datare di molto la data di composizione dell’opera. Si è già sottolineato come un giudizio acritico sul lavoro di Garbini sia insensato, ma altrettanto insensato è tralasciare le evidenti somiglianze che per primo Graetz e più estesamente Garbini stesso riconoscono tra il Cantico e il sentire ellenistico. Non è luogo questo per fare una carrellata di tutti i passi in comune tra un testo e un altro, ma si preferisce fornire un rapido schema riassuntivo dei paralleli e alcuni esempi salienti.

Cantico Teocrito Id.

1:6a 10.26-7 1:6b 1.45-54 1:7-8 1.80-5 1:9-10 18.30 1:15-7 7.133-6 2:1-3 5.92-5 2:8-17 3.1; 9.16; 1.47-9; 5.112-3; 7.141-3 3:6-11 15.84-6 4:1-7 5.84; 91; 100-1; 145-6

(15)

Cantico Teocrito Id.

4:11 7.82; 20.27

6:8-7:11 18 passsim; 1.29

8:5-7 2.133-4

In realtà Garbini nel suo libro non analizza solo testimonianze teocritee, ma in generale alessandrine, tuttavia dedica a Teocrito lo spazio maggiore, arrivan-do a concludere che lo scrittore del Cantico sia un imitatore tararrivan-do-ellenistico di Teocrito stesso. Bisogna ancora ammettere che le conclusioni di Garbini sono molto forti e, anche in mancanza di mezzi per poter effettivamente dare un giu-dizio netto e definitivo, forse un po’ azzardate. Ciò non toglie che alcuni passi sembrano proprio essere molto vicini, quantomeno alla sensibilità dei dettati e dei contenuti teocritei, un esempio comparativo (cito dalla Bibbia dei LXX per comodità “visiva” nel vedere i due passi più da vicino):

Βομβ ΄υκα χαρ΄ιεσσα, Σ ΄υραν καλ ΄εοντ΄ι τυ π ΄αντες, ᾿ισχν `αν αλι ΄῾ οκαυστον, ᾿εγ `ω δ `ε μ ΄ονος μελ΄ιχλωρον. (Theocr. Id. 10.26-7). μ `η βλ ΄εψητ ΄ε με οτι῞ ᾿εγ ΄ω ε᾿ιμι μεμελαν-ωμ ΄ενη ῞οτι παρ ΄εβλεψ ΄εν με ο ῞῾ ηλιος υ῾ιο`ι μητρ ΄ος μου ᾿εμαχ ΄εσαντο ᾿εν ᾿εμο΄ι ῎εθεντ ΄ο με φυλ ΄ακισσαν ᾿εν ᾿αμπελ ῀ωσιν ᾿αμπελ ῀ωνα ᾿εμ `ον ο ᾿υκ ᾿εφ ΄υλαξα (Ct. 1:6 LXX).

Interessante comunque notare che Garbini stesso non tenga in considerazione un importante componimento ellenistico, soprattutto avendo lui stesso ammesso il collegamento del cantico con i culti orientali di Tammuz, quale quello attribuito23

a Bione di Smirne sul lamento di Afrodite per la morte di Adone. Il testo è una mescidanza tra un mimo alla maniera teocritea e una “narrazione diegetica” callimachea. Il testo ci è giunto in numerose copie rinascimentali. Lo stemma codicum ricostruito da Gallavotti24 postula un subarchetipo comune perduto da

cui derivano i due manoscritti principali del testo (il Vat. gr. 1824 e il Par. 2832), entrambi del XIV secolo ed entrambi scritti a Tessalonica sotto la supervisione di Demetrio Triclinio.25 Senza dilungarsi troppo sul testo di Bione e sulla sua

23Attribuzione proposta da Camerarius nel 1530 e oggi largamente accettata; prima il testo

circolava nella silloge teocritea sotto il nome di Mosco. Reed 1997 p. 15.

24

Gallavotti 1946.

25

Reed 1997, p. 71 contesta lo stemma di Gallavotti, sostenendo che il manoscritto parigino presenta delle discordanze con il vaticano tale da postulare due testi diversi di partenza.

(16)

tradizione ci interessa notare come sia dal punto di vista contenutistico sia formale il Cantico e l’Epitafio di Adone abbiano numerosi punti in comune. Per quanto riguarda lo specifico del culto di Adone si veda il § 1.4, qui sarà sufficiente suggerire come esternamente i due testi abbiano delle evidenti assonanze.

Una premessa necessaria sul contenuto del testo di Bione è che la critica ri-conosce una comunanza con il racconto dell’idillio 15 di Teocrito (sui giardini di Adone). Bisogna inoltre sottolineare che la stessa pratica del culto di Adone in toto è stata spesse volte messa in discussione soprattutto per le discordanti testi-monianze; si passa da Bione e Teocrito il cui gusto ellenistico e smaccatamente greco fanno apparire il culto di Adone come parte del tessuto socio-cultuale gre-co, a testimonianze come quelle di Luciano che nel De dea Syra ne sostengono apertamente l’estraneità (Adone a Byblos sarebbe infatti un nome greco dato a un culto radicato nell’ambiente orientale).

Considerato ciò il merito di Garbini di aver stabilito un ponte con la poesia alessandrina di Teocrito ci permette di fare alcune considerazioni anche su (ps-)Bione e di avvicinarci al testo del Cantico, considerando la stretta connessione anche tra Teocrito e Bione stessi. Lo spazio dedicato da Teocrito alle nozze tra Adone e Afrodite nell’idillio 15 è relativamente esiguo, l’autore si dilunga sulla descrizione delle due donne che si recano a vedere le celebrazioni della festa, mentre la descrizione del culto occupa 65 vv. dell’intero componimento (su 149 vv. totali) nei quali una Γυν ΄η ᾿Αοιδ ΄ος descrive gli amori della dea con il mortale. La cantante descrive brevemente l’innamoramento tra i due e accenna al rituale delle nozze della coppia, nella seconda parte invece introduce la successiva morte del giovane che, unico tra gli dei, giunge all’Acheronte. Bione riprende dunque da dove ha lasciato Teocrito ed elabora un lungo lamento funebre sul corpo di Adone (ancora non è chiaro quali siano le connessioni con gli effettivi lamenti popolari recitati nel momento della morte del giovane, fatto sta che siamo chiaramente di fronte a una performance rituale immaginaria).26

Una prima somiglianza tra i due testi è a livello formale. Sono entrambi “dialoghi”, ci sono cioè dei discorsi diretti che fanno parte integrante del testo.

26Cfr. Alexiou D’altro canto abbiamo visto come lo stesso problema si ponga anche nei

(17)

Certamente il Cantico rispetto all’epitafio si presenta come un alterco amoroso, sarà tuttavia da notare che la voce dominante è quella femminile; l’amato inter-viene solo due volte nel testo e per elogiare la bellezza della sua amata. A livello formale ovviamente ci troviamo di fronte a due testi molto diversi, anzi opposti uno infatti è un epitalamio o comunque un canto di nozze, l’altro invece un canto di morte (d’altro canto bisogna comunque sottolineare che amore e morte sono collegati anche alla fine del cantico27 e in generale nella sensibilità greca stessa

nella quale Eros e Thanatos sono fratelli). Ed è a livello di contenuto e a livello testuale che troviamo le maggiori consonanze, vediamo a esempio lo scambio di baci: ῎ εγρεο τυτθ `ον ῎Αδωνι, τ `ο δ’α ῏υ π ΄υματ ΄ον με φ΄ιλησον, τοσσο ῀υτ ΄ον με φ΄ιλησον, ῞οσον ζ ΄ωῃ τ `ο φ΄ιλημα, ῎αχρις ᾿αποψ ΄υχῃς ᾿ες ᾿εμ `ον στ ΄ομα κε᾿ις ᾿εμ `ον ῟ηπαρ πνε ῀υμα τε `ον ῾ρε ΄υσῃ, τ `ο δ ΄ε σευ γλυκ `υ φ΄ιλτρον αμ ΄ελξω,᾿ ᾿εκ δ `ε π΄ιω τ `ον ερωτα,῎ φ΄ιλημα δ `ε το ῀υτο φυλ ΄αξω ῾ως α ᾿υτ `ον τ `ον Αδωνιν, ᾿επε`ι σ ΄υ῎ με δ ΄υσμορε φε ΄υγεις

(Bion. Ep. Ad. 45-50)

φιλησ ΄ατω με ᾿απ `ο φιλημ ΄ατων στ ΄οματος α ᾿υτο ῀υ ῞οτι ᾿αγαθο`ι μαστο΄ι σου ῾υπ `ερ ο῏ινον. (LXX Ct. 1:2)

Questi stessi due versi fanno chiaramente da eco ai baci dell’Idillio 15 di Teo-crito che non pungono (Theoc. Id. 15.130: «ο ᾿υ κεντε῀ι τ `ο φ΄ιλαμ᾿‌, ῎ετι ο῾ι περ`ι χε΄ιλεα πυρρ ΄α./ ν ῀υν μ `αν Κ ΄υπρις ῎εχοισα τ `ον α ᾿υτ ῀ας χαιρ ΄ετω ῎ανδρα.») ma nel caso specifico sono ancora più vicini, è infatti la donna che ricerca i dolci baci dello sposo da una parte e di Adone dall’altra, baci da una parte forieri dell’anima morta (l’ultimo respiro) dall’altra invece di amore sponsale.

Sempre a livello contenutistico si possono notare sia la descrizione del letto nu-ziale e del letto dove Afrodite riporrà Adone, sia ancora la descrizione metaforica della bellezza dell’amato:

ο ᾿υκ ᾿αγαθ `α στιβ ΄ας ᾿εστιν ’Αδ ΄ωνιδι φυλλ `ας ᾿ερ ΄ημα./λ ΄εκτρον ῎εχοι Κυθ ΄ερεια τ `ο σ `ον κα`ι νεκρ `ος ῎Αδωνις.

(Bion. Ep. Ad. 69-70)

᾿ιδο `υ ε῏ι καλ ΄ος ῾ο ᾿αδελφιδ ΄ος μου κα΄ι γε ῾ ωρα῀ιος πρ `ος κλ΄ινη ημ ῀῾ ων σ ΄υσκιος δο-κο`ι ο῎ικων ῾ημ ῀ων κ ΄εδροι φατν ΄ωματα ῾ημ ῀ων κυπ ΄αρισσοι. (LXX Ct. 1:16-7)

Il paragone che possiamo instaurare tra i due passi è chiaramente contrastivo. Nel primo caso infatti Adone giace in un letto di foglie in quanto ovviamente

27Cfr. Ct. 8:6 «perché forte come la morte è l’amore, tenace come il regno dei morti è la

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caduto nei boschi, nel caso del Cantico la funzione del letto bucolico assurge a paradigma di giaciglio accogliente. Bisogna comunque notare che al v. 69 dell’epitafio “ο ᾿υκ” è emendazione di Ahrens, contro “ ῎εστ” ’ riportato dai codici a unanimità. Il senso con la negazione è chiaramente più evidente e semplice e non si vogliono qui proporre correzioni, tuttavia si può far notare che anche con la frase affermativa, proprio perché è specificato dopo che Afrodite dovrebbe lasciare il letto ad Adone che «τ `ο σ `ον κα`ι νεκρ `ος» non compromette di certo il significato; va bene che Adone abbia un letto di foglie, ma che abbia Adone, che ora che è cadavere, il letto,28 nel quale dormiva ed esercitava (« ᾿εμ ΄οχθει» v. 73)

il sacro sonno con la dea (su cui torneremo più avanti nei §§ seguenti) .

Un altro paragone che si può instaurare tra i due passi è relativo ai para-goni naturalistici con cui viene associato l’amato. Si ricordi in primis che nella versione del mito più comune Adone è figlio di Mirra e ne rappresenta la pianta (nell’epitafio infatti a lui morente si associa la morte del profumo che viene so-stituito invano dagli unguenti dei profumi di Siria vv. 77-9). Soprattutto però ciò che colpisce di più è il paragone tra l’amato e la rosa, in questo caso però sarà necessario procedere passo, passo, in quanto il greco non ci aiuta. In Ct. 2:1 l’amato si presenta dicendo: « ᾿εγ `ω ῎ανθος το῀υ πεδ΄ιου κρ΄ινον τ ῀ων κοιλ ΄αδων», tuttavia in questo caso « ῎ανθος», tradotto anche nella vulgata con il corrispettivo “flos” in ebraico corrisponde a “chabatstseleth” che, come traduce bene Garbini e tutte le Bibbie moderne significa “rosa”. A un lettore attento dell’epitafio di Adone il paragone tra il fiore della rosa e il giovane non risulterà nuovo al v. 66 leggiamo infatti «α῟ιμα ῾ρ ΄οδον τ΄ικτει» che a sua volta richiama il metaforico v. 11 «κα`ι τ `ο ῾ρ ΄οδον φε ΄υγει τ ῀ω χε΄ιλεος». Questo paragone sarebbe isolato (anche se co-munque risulta strano che un uomo si paragoni a una rosa) se non si aggiungesse che pochi versi prima l’amata definisce così il suo diletto « ᾿απ ΄οδεσμος τ῀ης στακτ῀ης ᾿αδελφιδ ΄ος μου ᾿εμο΄ι ᾿αν `α μ ΄εσον τ ῀ων μαστ ῀ων μου α ᾿υλισθ ΄ησεται», un «sacchetto di mirra» (“στακτ ΄η, ῾η,” è l’olio che deriva dalla mirra), pianta che, quantomeno nel

28Tra l’altro la scelta del termine “στιβ ΄ας, ΄αδος, ῾η” per il letto invece dei più comuni “κλ΄ινη,

η” o “ ε ᾿υν ΄η, ῾η” è interessante in quanto generalmente utilizzato proprio per il “letto di foglie” cfr. a esempio Theoc. 5.31-4: «μ `η σπε῀υδ᾿‌: ο ᾿υ γ ΄αρ τοι πυρ`ι θ ΄αλπεαι. ῞αδιον ᾀσῇ/τε῀ιδ᾿‌ ῾υπ `ο τ `αν κ ΄οτινον κα`ι τ ῎αλσεα τα ῀υτα καθ΄ιξας./ψυχρ `ον ῞υδωρ τουτε῀ι καταλε΄ιβεται: ωδε πεφ ΄υκει/πο΄ια χ ῾῟ α στιβ `ας ῞αδε, κα`ι ᾿ακρ΄ιδες ῟ωδε λαλε ῀υντι» In contrapposizione a “ λ ΄εκτρον” che a quell’altezza significa “letto nuziale-talamo”. Adone passa nel letto nuziale permanentemente solo da morto.

(19)

sentire greco, è associata automaticamente ad Adone.29

Ancora una volta non è questa la sede per dare una risoluzione o un collega-mento certo di contenuti di testi molto eterogenei tra di loro, ma solo di suggerire delle somiglianze per rileggere anche il contenuto del Cantico e assimilare due testi come quello di Bione e quello biblico notando a livello contenutistico una connessione di comune sentore. È chiaro infatti che il Cantico non parli di Ado-ne, come però è altrettanto evidente che abbia dei punti di consonanza innegabili sia con la descriptio communis della relazione tra il mortale e la dea, sia nella effettiva elaborazione testuale. Nel Cantico esattamente come nell’Epitafio di Bione la figura maschile si riduce a macchia secondaria; precedono in entrambi i componimenti le affermazioni, i sentimenti e la visione di insieme della sposa da una parte, e di Afrodite dall’altra. La bellezza dell’uomo inoltre è descritta in maniera statuaria e filtrata dal desiderio femminile, contrariamente alla bellezza femminile esaltata con grande enfasi nel Cantico sia dalle poche, ma paganiniane, frasi dell’amato, sia dall’affermazione del coro delle donne di Gerusalemme (che tra l’altro fanno da controcanto simbolico alle donne che dialogano con Afrodite nell’epitafio di Bione) la donna è esaltata come divinità.

1.3

Il

Cantico e i culti orientali

Le conclusioni a cui giunge Garbini per quanto riguarda il Cantico però non sono a mio parere sufficienti per spiegare alcuni elementi fondamentali del contenuto ultimo. Ci sono alcune domande fondamentali da porsi. In primo luogo se ef-fettivamente lo scrittore del Cantico sia un imitatore di Teocrito non si vede la motivazione dell’inserimento del testo nel canone della Bibbia ebraica; o meglio non si capisce perché i rabbini avrebbero scelto un testo che dopo tanti anni appare ancora scomodo, se questo componimento di base non avesse uno scopo sacrale ab origine. Bisogna infatti chiarire due elementi. Il primo è che in Teo-crito troviamo molto spesso la descrizione di alcune pratiche cultuali, magiche, religiose che al tempo di Teocrito stesso era largamente praticate; un esempio

29Si aggiunga inoltre che nella rivisitazione di Garbini il fiore che viene indicato in Ct. 2:1 è

(20)

sicuramente ben noto è quello della descrizione delle già citate feste dei giardini di Adone descritte nell’Idillio delle Siracusane. Se dunque il poeta del Cantico ha effettivamente voluto riprendere in maniera poetica un componimento che, per la testimonianza di Aqiba come già visto, era diffuso anche nelle taverne, non è escluso che esistesse un rituale analogo ai giardini di Adone che, praticato negli strati più bassi della società e magari residuo di un più antico e ancora lento a morire paganesimo, fosse stato adattato, quasi sincretisticamente, a una realtà ebraica che stava lentamente prendendo piede.

Ciò che infatti è evidente all’interno del testo è, a una lettura primaria, una effettiva allure orientale (la scelta dei profumi, delle immagini, delle piante etc.) che ricordano da vicino altre pratiche cultuali che sono state largamente praticate per una fetta di tempo molto lunga. Anche su questo le opinioni degli studiosi sono molto discordanti: c’è chi, come J. Cheryl Exum, nega totalmente l’ascen-denza orientale del Cantico e riconnette tutto a un “comune sentire” amoroso, e chi, forse troppo entusiasticamente, come Meek e Fox, parlano di evidenti ascen-denze orientali, formulando teorie complicate sulle possibili vie di connessione tra un passo e un altro. Senza formulare ipotesi drastiche sulla possibile coalescenza di motivi e temi di religioni molto più antiche del testo in questione, bisogna comunque tener presente ciò che è effettivamente scritto nel testo. I paralleli portati avanti da uno o l’altro studioso sono molto convincenti e bisogna certa-mente notare che l’autore del Cantico debba aver avuto a che fare con le pratiche cultuali del vicino oriente o tramite il filtro del greco, o tramite una conoscenza diretta. Si è spesse volte negata la possibile ascendenza e collegamento tra la dea Ishtar, la dea Inanna e Afrodite, quando però nella realtà dei fatti è molto più facile postulare un’influenza reciproca, data la vicinanza geografica dei posti di diffusione delle pratiche rituali legate a queste dee, che un sentire comune. L’essenzialismo religioso ha infatti portato a dividere fin troppo nettamente delle equivalenze contenutistiche evidenti, dire che Ishtar non è Inanna è come negare che il Dio dei protestanti, dei luterani e degli ortodossi non è quello dei cristiani (ciò che tra l’altro avviene grandemente), seppur storicamente l’origine sia stata la stessa. Dire dunque che Ishtar, Inanna, Afrodite e la sposa del Cantico hanno dei tratti in comune non vuole sovrapporre religioni molto diverse le une dalle

(21)

altre, ma far notare come ci siano degli elementi comuni che, a livello letterario, sono evidenti. D’altro canto proprio questo assunto ci permetterà di rianalizzare la figura, o meglio, alcuni aspetti delle figure di Adone e Afrodite all’interno della religione greca.

Nei prossimi sotto capitoli saranno analizzati alcuni elementi che avvicinano il Cantico a delle composizioni che potremmo genericamente definire orientali e che hanno moltissimi punti in comune con il testo analizzato. Come si vedrà le posizioni non saranno a-critiche ma volte a dimostrare alcune alcune somiglianze molto nette per rivalutare un testo così complicato come quello del Cantico.

1.3.1

Egiziani

Verso il 1300 a.C. con l’inizio della XIX dinastia, compaiono le prime liriche d’a-more egiziane nell’ambiente della scuola. Scrive Donadoni che i maestri del tem-po deploravano che i loro scolari cantassero in brigate allegre e accompagnandosi con strumenti siriaci e in modulazioni nuove alla severità della vecchia tradizione. «Per la prima volta si parla d’amore ... È questa la novità rivoluzionaria».30 I maestri egiziaini istruivano a modulare il flauto e a usare la kinnor (l’equivalente della lira) “alla siriaca” mentre «Tu stai a sedere davanti alla ragazza, e sei unto d’unguenti. La tua ghirlanda di iscetpenu è al tuo collo».31 Sostiene Garbini,

in un articolo sul legame tra il Cantico e i culti orientali, che proprio in questa poesia, quasi goliardica egiziana, si trovano le principali consonanze con il testo biblico.32 Le consonanze con il Cantico e la poesia amorosa egiziana sono molte effettivamente, sebbene a mio parere non le più schiaccianti. Michael V. Fox e Franz Dornseiff Greifswald hanno analizzato approfonditamente le consonanze tra i papiri amorosi, in particolare il papiro Chester Beatty I,33 un alterco, composto

però successivamente, tra uno sposo e una sposa che si inseguono e dichiarano il loro amore, e il Cantico. Un esempio:

30 Donadoni 1967, pp. 204-5. 31Ivi, p. 177. 32 Garbini 1997, pp. 54-5. 33 Edito da Gardiner 1931.

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Con la sua voce / il mio amato turba il mio cuore / e fa che di me s’impadronisca la malattia [...] Ecco, il mio cuore si rifiuta / di pensare a lui / anche quando mi prende l’amore di lui [...]Spera il mio cuore / di contemplare la sua bellezza / quando starò seduta nella sua casa / non so come condurmi davanti a lui: / passerò tranquillamente vicino a lui?

Non potranno non essere notate delle certe consonanze con il Cantico a livello contenutistico. Del poco che rimane della poesia egizia, il Cantico può essere assimilato in alcune sue parti agli Was.fs, componimenti encomiastici che, per quanto, sostiene bene Fox,34 si tratti di generici e comuni tropi che esaltano le doti fisiche delle ragazze.35 Ritengo comunque di accettare l’opinione di Dornseiff

Greifswald36 il quale sostiene che, esattamente come le somiglianze tra la poesia di Saffo e il suddetto papiro I Chester Beatty sono evidenti, il collegamento tra questi testi può essere legato solo a un effettivo comune sentore che accomuna appunto i poeti amorosi.37 Non mi sembra infatti di intravedere in nessuno dei

passi riportati da Fox una evidente consonanza né di sentire né soprattutto di scopo. La poesia amorosa egiziana, proprio come citavamo all’inizio, non è una poesia sacra, né ha a che fare con una descrizione sacralizzante della figura degli sposi, si potrebbe parlare di poesia “molto umana”; anche se gli stessi poeti egiziani conoscevano la produzione siriaca, come accennavamo all’inizio del sotto-capitolo, e per questo potrebbe sembrare evidente qualche residuo contenutistico anche con il Cantico per i motivi che tra poco vedremo, è evidente che lo scopo dei componimenti sia ben diverso e non assimilabile a un testo come quello biblico. Garbini che invece ne sostiene una maggiore consonanza pernia sulla assunzione che in realtà il Cantico sarebbe un mero componimento amoroso con un scopo di fondo platonico, tuttavia questa osservazione, come già evidenziato nel capitoletto su Teocrito, può avere ragion d’essere solo se l’autore abbia deciso di imitare nei modi una poesia che già di per sé ha uno scopo cultuale/sacro e per questo scelta come parte del canone biblico.

34

Fox 1983, p. 223 vd anche la dissertazione di White 1978.

35Si veda anche in merito l’articolo di Soulen 36

Dornseiff-Greiswald 1963.

37

D’altro canto lo stesso Stephan 1923 ha notato numerose consonanze tra il Cantico e la poesia amorosa palestinese scritta in arabo contemporanea.

(23)

1.3.2

Inanna e Dummuzi, Ishtar e Tammuz

Prima di poter parlare più estesamente delle relazioni tra il Cantico e alcuni culti orientali quali quelli di Inanna/Ishtar, mi preme fare un breve cenno a una pratica rituale molto diffusa nella religione pre-ellenica e i cui residui rituali si sono per-petuati nella religione greca stessa. Si tratta del cosiddetto “matrimonio sacro”, pratica largamente diffusa in tutte le religioni mesopotamiche, il cui contributo storico più significativo è stato apportato da Samuel Noah Kramer (ψ1990), uno dei più grandi specialisti dei mondi sumero e assiro, nonché professore di Assi-riologia presso l’università della Pennsylvania.38 Quello che in Grecia è appunto lo hieros gamos dovrebbe infatti derivare39 direttamente dalla lontana pratica

sumera e diffusa in tutta la Mesopotamia. Tale pratica rituale consisteva nell’u-nione del re con la divinità femminile per preservare la fertilità della popolazione e della terra.40

I Sumeri consideravano l’universo come l’opera delle divinità diretta da quat-tro divinità creatrici: il Cielo (Anki), la Terra (Ki), l’Atmosfera (Enlil) e gli elementi dell’acqua (Enki). In questo ordine gerarchico l’uomo è stato creato per la sussistenza delle stesse divinità (così come piante e animali) tale per cui l’uo-mo stesso deve garantire la propria propagine e fecondità per coltivare le divinità. Inanna è dunque stata legata al desiderio di propagazione, dea dell’amore il cui culto si trova nella città principale sumera, Uruk. Dummuzi stesso pare essere stato un re antidiluviano di Uruk ed essersi inserito nel culto del matrimonio sacro in un secondo momento. Una testimonianza del periodo di Enmerkar di Uruk, soggetto del componimento e re due generazioni prima di Dummuzi, riporta:

Che Enmerkar abbassi la testa davanti a me, si umilii davanti a me! Quando avrà abbassato, veramente abbassato la testa davanti a me, allora vedrete come le cose si rigireranno per lui e per me:

Lui dimorerà con Inanna prima di ripartire (?)

Mentre io, io mi coricherò con lei nel mio palazzo risplendente di Aratta

38Il suo nome è strettamente legato alla prima decifrazione delle tavolette cuneiformi di cui

lui stesso racconta la avvincente storia in Kramer 1986.

39

Kramer 1989b, p. 10.

40In realtà anche sullo scopo dello hieros gamos la critica non è concorde, Kramer concludeva

che la festa era per la fertilità, tuttavia non è escluso (o forse parte integrante del rito) che la pratica servisse da legittimazione divina del potere del re.

(24)

Lui, egli si adagerà accanto a lei su una semplice letto coniugale, Mentre io mi adagerò con lei nel dolce riposo di un letto prezioso! Lui non contemplerà Inanna se non in sogno,

Mentre io parlerò con lei, la tutta bianca, ai suoi piedi.41

E la storia di Dummuzi e Inanna è ancora più complicata, le testimonianze riportate da Kramer e in maniera più estesa nel libro recentemente edito da Ox-ford University Press e scritto a quattro mani sulla letteratura sumera descrivono una vicenda travagliata degli amori tra il mortale e la dea.42 Diversamente da

quello che vedremo poi per Afrodite e Adone, Inanna non vuole sposare il pastore Dummuzi, ma preferisce inizialmente il contadino Enkimdu. È invece il fratello Utu-Shamash Sole che cerca di convincere la sorella a sposare Dummuzi, di fronte ai suoi risoluti rifiuti:

7-10 I am a woman and I won’t do that, I won’t! I am a star..., and I won’t! I won’t be the wife of a shepherd!’

11-19 Her brother, the warrior youth Utu, said to holy Inana: ‘My sister, let the shepherd marry you! Maiden Inana, why are you unwilling? His butter is good, his milk is good—all the work of the shepherd’s hands is splendid. Inana, let Dumuzid marry you. You who wear jewellery, who wear suba stones, why are you unwilling? He will eat his good butter with you. Protector of the king, why are you unwilling? [...]

40-54 [Dummuzi] ‘In what is the farmer superior to me, the farmer to me, the farmer to me? Enkimdu, the man of the dykes and canals—in what is that farmer superior to me? Let him give me his black garment, and I will give the farmer my black ewe for it. Let him give me his white garment, and I will give the farmer my white ewe for it. Let him pour me his best beer, and I will pour the farmer my yellow milk for it. Let him pour me his fine beer, and I will pour the farmer my soured (?) milk for it. Let him pour me his brewed beer, and I will pour the farmer my whipped milk for it. Let him pour me his beer shandy, and I will pour the farmer my . . . milk for it.43

Questa storia sostanzialmente meno romantica delle vicende tra Inanna e Dummuzi rispecchia anche un altro lungo passo, edito da Kramer, la discesa di Inanna negli Inferi. Inanna è infatti anche signora del “mondo di sopra” quan-do decide di impossessarsi anche del regno degli inferi, la cui signora è sua sorela Ereskigala. Inanna allora scende con una scusa nel mondo di sotto per poterlo conquistare, ma per una serie di sventure, non solo non riesce a impossessarsene,

41

Kramer 1989b, p. 54, La traduzione è mia.

42Black. 43

(25)

ma si trova di fronte alla grande difficoltà di risalita. È solo infatti grazie allo scambio con Dummuzi che potrà finalmente ritornare di sopra e in vita.44

Parallelamente a questa versione del mito coesistono alcuni testi nei quali tuttavia è Inanna stessa a professare il suo amore per Dummuzi e a chiedere il permesso al padre per poter sposare il nobilissimo mortale.45 Ancora in un altro

componimento troviamo Inanna intenta a ingannare la madre per poter passare il tempo con Dummuzi.46

Purtroppo la grande frammentarietà dei testi non ha reso possibile definire con chiarezza una effettiva storia mitologica completa che giustifichi quelle che appaiono essere contraddizioni. Ciò che invece è interessante notare è come in alcuni componimenti rituali per il sacred marriage tra i re Sumeri e la sacerdotessa di Inanna, che ne impersona la divinità, ci siano dei richiami molto evidenti al testo del Cantico. Questi molto più evidenti dell’apparente terreno comune con la poesia amorosa egiziana. In particolare sono stati decifrati due testi sostanziosi e lunghi sul matrimonio sacro, il primo è legato al regno di Šu-Suen (cca. 2500 a.C.) e il secondo al regno di Išme-Dagan; in entrambi i componimenti i re impersonano Dummuzi.47

1-4 Man of my heart, my beloved man, your allure is a sweet thing, as sweet as honey. Lad of my heart, my beloved man, your allure is a sweet thing, as sweet as honey.

5-8 You have captivated me (?), of my own free will I shall come to you. Man, let me flee with you—into the bedroom. You have captivated me (?); of my own free will I shall come to you. Lad, let me flee with you—into the bedroom.

9-14 Man, let me do the sweetest things to you. My precious sweet, let me bring you honey. In the bedchamber dripping with honey let us enjoy over and over your

44

Kramer 1989b, pp. 120ss; Kramer 1963, pp. 511-4; Black et al. 2004, pp. 65-77.

45

Kramer 1963, pp. 497-9.

46Ivi, pp. 499-501: «4. I have come to our mother’s gate. 5. I, in joy I walk, 6. I have come

to Ningal’s gate, 7. I, in joy I walk. 8. To my mother he will say the word, 9. He will sprinkle cypress oil on the ground, 10. To my mother Ningal he will say the word, 11. He will sprinkle cypress oil on the ground, 12. He whose dwelling is fragrant, 13. Whose word brings deep joy. 14. My lord is seemly for(?) the holy lap, 15. Amaušumgalanna, the son-in-law of Sin, 16. The lord Dumuzi is seemly for(?) the holy lap. 17. Amaušumgalanna 18. My lord, sweet is your increase, 19. Tasty your plants(and) herbs in the plain 20. Amaušumgalanna, sweet is your increase, 21. Tasty your plants (and) herbs in the plain. 22. It is a sagarra. A tigi-song of Inanna».

47Per quanto riguarda gli altri testi che pertengono al rituale del matrimonio sacro, ma che

non hanno punti in comune con il Cantico si vedano sia Kramer 1989b, passim sia Kramer 1963, pp. 490ss.

(26)

allure, the sweet thing. Lad, let me do the sweetest things to you. My precious sweet, let me bring you honey.

15-21 Man, you have become attracted to me. Speak to my mother and I will give myself to you; speak to my father and he will make a gift of me. I know where to give physical pleasure to your body—sleep, man, in our house till morning. I know how to bring heart’s delight to your heart—sleep, lad, in our house till morning.

22-3 Since you have fallen in love with me, lad, if only you would do your sweet thing to me.

24-7 My lord and god, my lord and guardian angel, my Šu-Suen who cheers Enlil’s heart, if only you would handle your sweet place, ifonly you would grasp your place that is sweet as honey.

28-9 Put your hand there for me like the cover (?) on a measuring cup. Spread (?) your hand there for me like the cover (?) on a cup of wood shavings.

30 A balbale of Inana.48

Nel testo appena citato si possono notare sia delle somiglianze strutturali sia contenutistiche con il Cantico, pur ribadendo che non si vuole instaurare una linea diretta tra questo genere di culti e lo scopo ultimo del Cantico. In primo luogo l’invocazione della donna che impersona la dea Inanna, che chiama il suo amato e ne richiede le dolcezze; dolcezze che nel Cantico sono più dolci del vino (Ct. 1:2), mentre qui del miele (per quanto il miele giochi un ruolo fondamentale anche nel componimento biblico, cfr. Ct. 4:11 e 5:1). Anche il ruolo così attivo della figura femminile è caratteristico dei componimenti ‘ierogamici’, ciò che appare una contraddizione e un elemento di imbarazzo nel Cantico è ampiamente giustificato da questa pratica cultuale. Non sfuggirà inoltre anche il riferimento al giaciglio e alle pratiche sessuali sottintese nella camera da letto/sgabuzzino (cfr. Ct. 1:4; 1:16-17), come definito da Garbini, sono anche qui citate esplicitamente.

Le stesso rituale del matrimonio sacro lo ritroviamo ovviamente all’interno delle pratiche cultuali Sumero-Accadiche, Ishtar, nome effettivamente semitico, la cui forma Astarte è attestate nella letteratura Cananita e nella Bibbia, che insieme a Tammuz sono appunto la controparte semitica di Inanna e Dummuzi.49 Il testo

più famoso che accomuna le due mitologie è la discesa negli inferi, già citato nel caso di Inanna. Il testo è in accadico e ci è tramandato da due testimoni, uno

48

Black et al. 2004, p. 88.

49

Kramer 1963, p. 489. Si ricordi che proprio lo studio dei culti sumeri è iniziato grazie al ritrovamento delle tavole sumero-accadiche a opera di François Lenormant intorno al 1873.

(27)

edito per la prima volta da Talbot,50 e l’altro da Ebeling.51 Nel testo di Kramer

curato da Jean Bottero troviamo anche un abbozzo di confronto tra i due testi52 da quale si evince che le varianti sono poco significative. Il testo è databile cca. 1600 a.C., durante l’era paleo-babilonese. Il testo non è una diretta traduzione della discesa di Inanna sia a livello quantitativo (quattrocento i versi del testo sumero contro centrotrenta di quello accadico), sia a livello contenutistico, in quanto sono evidenti alcune differenze sostanziali nell’andamento della vicenda. La prima parte (vv. 1-75) la discesa agli inferi di Ishtar, lo spoglio dai gioielli e la reazione della sorella quando sono tête-à-tête, per quanto molto meno dettagliata nella descrizione, è esternamente molto simile. La prima differenza si avverte invece dai vv. 75 in poi, nei quali, con un rapido cambio di scena dagli Inferi alla terra il narratore prima, e il dio Pappsukal poi, lamentano la repentina scomparsa della fecondità degli animali e degli uomini da quando Ishtar è discesa nel mondo di sotto – si ricordi che Ishtar è dea della fecondità e dell’amore. Per questo motivo Ea fa intervenire l’Invertito, una divinità mediana tra vita e morte, che costringe Ereskigala a liberare la sorella. Dopo questo breve excursus la storia ritorna simile a quella di Inanna, la sorella Ereskigala chiede Tammuz in cambio di Ishtar, la sorella, qui Balilli e non Gestinanna, tenta di salvare il fratello con nulli risultati, e infine si fa accenno, differentemente dalla discesa di Inanna, a una periodica risalita di Tammuz (vv. 136-9). La vicenda risulta dunque avvicinarsi alla ciclicità della primavera (la terra che muore quando la dea dell’amore non c’è e che torna in vita, in primavera, quando Ishtar e Tammuz sono riuniti sulla terra) e a quello che, come vedremo più avanti, sarà definito myth of the dying god. Questo ponte ci permette di attraversare il ponte verso il mito che interessa analizzare qui, quello di Adone.

Il collegamento tra i due culti inoltre ci permette di fare un altro passo in avanti anche in direzione biblica. Il culto di Tammuz infatti è citato più volte nella Bibbia. Il passo più famoso è sicuramente quello che troviamo in Ezechiele 8:14: «κα`ι ε᾿ισ ΄ηγαγ ΄εν με ᾿επ`ι τ `α πρ ΄οθυρα τ῀ης π ΄υλης ο῎ικου κυρ΄ιου τ῀ης βλεπο ΄υσης 50 Talbot 1865, p. 179. 51 Ebeling 1919, n. 62. 52 Kramer 1989a, pp. 318-25.

(28)

πρ `ος βορρ ῀αν κα`ι ᾿ιδο `υ ᾿εκε῀ι γυνα῀ικες καθ ΄ημεναι θρηνο ῀υσαι τ `ον Θαμμουζ». Le donne infatti sono intente a “θρηνο῀υσαι” Tammuz. Tale pratica viene tuttavia defini-ta nel paragrafo subito successivo un “ ᾿επιτ ΄ηδευμα” che in greco significa molto semplicemente “costume” ma che il latino della Vulgata traduce con abominatio-nes, rispettando il testo ebraico più pedissequamente, nel quale troviamo appunto “tow’ebah” (azione disgustosa). Al di là comunque del giudizio di merito, eviden-temente negativo in quanto residuo dell’abominevole paganesimo, ci colpirà la presenza di un culto come quello di Tammuz proprio nella Bibbia (d’altro canto abbiamo già citato come Aqiba lamentava la profanazione del Cantico che veniva cantato all’interno delle taverne).

1.3.3

Considerazioni generali

In merito a questo, per quanto molto criticato in seguito, Theophile James Meek in alcuni entusiastici articoli presentava un collegamento, a suo parere, schiac-ciante tra il Cantico e il culto di Adad Rimmon.53 Evidenziando infatti come il

Cantico fosse parte integrante della liturgia della Tanakh e di come la Pasqua stessa sia evidentemente il residuo dei culti di Tammuz avanza alcune ipotesi in-teressanti. Premetto comunque che parlare di sovrapposizione perfetta è impos-sibile così come citare un sincretismo così netto tra le due religioni sia altrettanto azzardato. Mi sembra infatti più interessante, più che concentrarsi sulle effetti-ve ascendenze, ragionare sulla somiglianza di motivi in modo da approfondire la comprensione di alcuni culti, spesso molto lontani tra loro. La teoria avanzata da Meek si basa soprattutto sulla lettura del termine che viene genericamente tra-dotto come "mio amato/amore dell’anima mia", in ebraico dowd, con un nome proprio “Dod” come uno dei nomi con il quale era chiamato Adad, la ‘controparte’ palestinese di Tammuz.54 Allo stesso modo la Sulamita non altro sarebbe se non una errata lettura di Shala, la consorte di Adad. Bisogna infatti che ricordare che “Sulamita” è hapax del Cantico e ha creato non poche difficoltà interpretative agli esegeti che, alla fine, hanno deciso di interpretarlo come un nome proprio.

53

Meek 1922; Meek 1924a e Meek 1924b.

54

(29)

Anche William Foxwell Albright molti anni dopo ha ripreso lo studio di Meek e proposto per il termine Sulamita la possibilità di esser letto come un epiteto di Ishtar/Inanna, riprendendo da Tallqvist gli epiteti accadici di Inanna come “sha melutltasha qablum”55, ossia “colei che danza è la battaglia”. La vicinanza fonetica e una successiva misinterpretazione dell’epiteto avrebbero creato il nome, ormai interpretato come nome proprio, Sulamita.

La proposta teoria di Meek fu subito accolta da numerose critiche di chi so-prattutto riteneva di vedere nel Cantico un semplice alterco amoroso, solo succes-sivamente inserito nel canone biblico. Saldamente sostenitori della impossibilità di connessione del Cantico col matrimonio sacro sono soprattutto i commenta-tori moderni.56 Mi sembra tuttavia eccessiva anche la posizione smaccatamente

anti-orientale dei commentatori che impoveriscono il contenuto del Cantico, ren-dendolo un mero componimento amoroso. La domanda che infatti si poneva Meek rimane ancora insoluta, i.e. se il testo è entrato a far parte della Bibbia significa che uno sfondo religioso doveva pur esserci, o comunque essere sentito come tale. Nissinen in un articolo di recente pubblicazione57 riprende la questione e, pur non risolvendola, propone degli interrogativi interessanti, cercando di colmare la terra grigia tra le due opinioni bianche e nere di sostenitori e oppositori della connessione tra hieros gamos e Cantico.

Se da una parte la critica più sensata è quella della mancanza di evidenze storiche, archeologiche, testuali et similia, non solo della discendenza del Cantico dai culti ierogamici sumero-assiri-accadici, ma anche l’effettiva attestazione degli stessi culti nella zona palestinese/cananea, è anche vero che il Cantico presenta dei punti comuni con i componimenti che, abbiamo già visto, spingono a pensare che una connessione tra essi debba essere giustificata. Alcune ricerche di Hans-Peter Müller e di Othmar Keel (in quest’ultimo caso ricerche archeologiche in Palestina, Egitto, Siria e Mesopotamia) di fine anni ’70.58 hanno cercato di

55

Tallqvist 1938, p. 209.

56

Murphy 1968; Longman III 2001, pp. 44-9 e Zakovitch 2004, pp. 36-7 per esempio.

57

Nissinen 2006.

58A seguito tra l’altro della rinnovata affermazione da parte di Pope della necessità di legare

(30)

prendere in maniera più diluita i collegamenti tra i testi.59 Entrambi gli studiosi

trattano il Cantico come una raccolta di poesie amorose, ma che deve la sua struttura a testi mitologici e cultuali di quella zona di provenienza.

Bisogna inoltre notare che negli ultimi decenni la stessa interpretazione dello hieros gamos, anche grazie allo studio dei residui di tale pratica in ambiente greco, hanno permesso di rivalutare, rispetto alle interpretazioni di Kramer, alcuni aspetti del matrimonio sacro che lo avvicinano in qualche maniera ancora di più al Cantico.

Jerrold S. Cooper, per esempio, vede il Sacro Matrimonio come un simbolo della relazione intima tra il mondo divino e quello umano, con il re che svolge un ruolo cruciale come punto di contatto tra i due mondi60Beate Pongratz-Leisten lo

comprende come fonte di comunicazione tra le divinità e gli umani, dove il re viene presentato come un partner della dea, attraverso di loro nell’ordine cosmico, così da estendere la benedizione divina data a lui all’intero paese.61 Pirjo Lapinkivi, sulla scia della teoria di Simo Parpola, considera le nozze sumeriche in un contesto culturale molto ampio, incluse le fonti accadiche, il Cantico dei Cantici e in seguito materiale ebraico, cristiano e gnostico per dimostrare che il matrimonio sacro è anche un’unione spirituale dell’anima umana con l’iniziato di Dio.62

Ciò che comunque emerge dagli studi più recenti sul matrimonio sacro, e so-prattutto relativo ai testi dei culti di Dummzi/Inanna e correlate divinità, è la mancata comprensione a pieno degli scopi compositivo e performativo dei testi di partenza; ciò dunque non permette se non delle ricostruzioni parziali dei colle-gamenti strettamente cultuali tra il Cantico e la produzione cultuale precedente orientale. Mi sembra dunque ragionevole trarre una prima conclusione, in accor-do con quella di Nissinen, che fino a che non si dia conto dell’effettiva funzione di questi rituali, non si possano che stabilire dei collegamenti meramente esterni tra i testi, assimilabili a un comune, ma generico, sentore. Questo comune sentore, tuttavia, risulta per la presente ricerca più che sufficiente, in quanto si propone di

59 Müller 1976; Keel 1984. 60 Cooper 1963. 61 Pongratz-Leisten 2008. 62 Parpola 1993; Lapinkivi 2004.

(31)

analizzare tematiche e soprattutto dinamiche simili che possano spiegare meglio, a mo’ di strumenti esterni, alcuni meccanismi non strettamente pertinenti. D’altro canto in questa stessa direzione si muove Garbini che nell’articolo sulla presen-za dei culti orientali all’interno del Cantico63 sottolinea come un componimento come questo non è dissimile ai componimenti che nel mondo siro-palestinese ve-nivano recitati ai banchetti, anche funebri, la cui forma ebraica marzeah. viene tradotta con θ΄ιασος, come succede a esempio in Ger. 16:5:

KJV Translitterata: ’amar Y˘ehovah bow’ bayith marzeach yalak caphad nuwd ’acaph shalowm ’am n˘e’um Y˘ehovah checed racham.

LXX: τ ΄αδε λ ΄εγει κ ΄υριος μ `η ε᾿ισ ΄ελθῃς ε᾿ις θ΄ιασον α ᾿υτ ῀ων κα`ι μ `η πορευθῇς το ῀υ κ ΄οψασθαι κα`ι μ `η πενθ ΄ησῃς α ᾿υτο ΄υς ῞οτι ᾿αφ ΄εστακα τ `ην ε᾿ιρ ΄ηνην μου ᾿απ `ο το ῀υ λαο ῀υ το ΄υτου.

Come vedremo nel prossimo sotto-capitolo, il Cantico può essere un utile specolo per l’approfondimento di alcune tematiche presenti nel mito di Adone che spesse volte sono state fraintese dagli studiosi o comunque sovrainterpretate.

1.4

Il

Cantico e la tradizione adonia

Lo scopo di quest’ultimo sottocapitolo è, come preannunciato, utilizzare il mito di Adone come un buono specolo per la rilettura del Cantico e viceversa, di alcuni motivi del Cantico che possono essere utili per comprendere e avvalorare teorie di un mito tanto dibattuto quale quello adonio. Il mito di Adone è passato attraverso numerose riletture contenutistiche. È infatti un mito da alcuni punti i vista oscuro e che ha alimentato per anni l’antropologia, la storia delle religioni, la letteratura etc. Le fonti del mito sono infatti molte ed eterogenee, ma soprattutto presentano degli elementi caratteristici che ancora oggi non ne permettono una completa comprensione.

La storia, o le storie, del mito di Adone iniziano tutte in Oriente, per quanto i riadattamenti successivi –che sono quelli che hanno avuto maggiore fortuna in seguito– ne hanno parzialmente modificato la semantica. Non è qui il caso di

63

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