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MATERIALI E METOD

FULL MAYO PCR CALPRO

RCU1 9 3 12 1.17 248 2 1 3 0,66 143 RCU2 7 3 10 0.2 139 1 1 2 0,4 15 RCU3 6 3 9 1.72 271 2 2 4 1,47 154 RCU4 4 2 6 0.5 314 0 0 0 0,11 15 RCU5 6 3 9 0.4 225 3 2 5 0,39 500 RCU6 6 3 9 0.2 263 4 3 7 0,9 500 RCU7 7 3 10 4.6 500 2 2 4 0,99 164 RCU8 9 3 12 0.3 500 9 2 11 0,2 220 RCU9 5 3 8 0,53 323 4 2 6 0,3 227 RCU10 3 2 5 0.2 83 0 2 2 0.1 15 RCU11 6 3 9 1.94 437 3 2 5 2,19 170 RCU12 5 2 7 0,6 91 2 0 2 0,5 91 RCU13 5 2 7 0,37 15 5 2 7 0.3 15

Perdita di risposta durante la fase di mantenimento

Nella fase di mantenimento abbiamo osservato la perdita di risposta in due pazienti con RCU, entrambi anti-TNFα failure candidati ad intervento di proctocolectomia. L’ottimizzazione della terapia alla Settimana 14 e 30 in 2

pazienti (1RCU e 1 MC) con iniziale perdita ha consentito il recupero della risposta clinica.

Health-Related Quality Of Life

Nei pazienti con MC e RCU abbiamo osservato un miglioramento della qualità di vita raggiungendo la significatività statistica alla Settimana 6 (p=0.003); alla Settimana 14(p=0.01); alla settimana 22 (p=0.04)e valori di IBDq normale (≥170) nel 50% del totale dei pazienti alla Settimana 6, nel 45.8% alla Settimana 14, nel 55.5% alla Settimana 22.

Profilo di sicurezza

Quattro pazienti hanno sviluppato reazioni avverse. Un paziente ha manifestato una reazione correlata all’infusione (infusion related reaction-IRR) caratterizzata da vomito, tachicardia sudorazione profusa che ha condotto alla sospensione del trattamento per decisione del paziente; un paziente ha riferito parestesie agli arti superiori alla settimana 2; due pazienti hanno presentato infezioni delle vie respiratorie alla settimana 14 (1RCU E 1 MC) che hanno richiesto terapia antibiotica mirata, ma senza interruzione del trattamento.

DISCUSSIONE

Il nostro studio ha evidenziato nei pazienti con RCU alla settimana 6 un tasso di risposta e remissione clinica simili a quelli osservati nel GEMINI I (45% vs 47.1% e 15% vs 16.1% rispettivamente). Nei pazienti con MC alla Settimana 6 è stata, invece, osservata una percentuale di risposta clinica (70%) simile a quella registrata nello studio multicentrico tedesco (66%) [69], ma significativamente superiore rispetto a quella ottenuta nel GEMINI II (31.4%), dove non è stata osservata alcuna differenza statisticamente significativa tra i pazienti trattati con VDZ e il gruppo trattato con placebo (31.4% versus 25.7%, p=0.23); Anche nello studio GEMINI III [63], nei pazienti con MC anti-TNF failure, la risposta al VDZ è stata superiore al placebo alla Settimana 10 ma non alla Settimana 6 [63]. Pertanto nella MC è stata ipotizzata la necessità di tempi più lunghi per ottenere l’efficacia terapeutica. Secondo alcuni autori questa latenza potrebbe essere correlata al fatto che la MC è una malattia transmurale, a differenza della RCU caratterizzata invece, da una flogosi degli strati superficiali dove si concentra il bersaglio molecolare del VDZ, cioè la subunità α4β7 delle integrine [75]. Un'altra ipotesi che spiegherebbe l’iniziale latenza necessaria per ottenere un effetto significativo sull’infiammazione intestinale potrebbe essere legata al meccanismo d'azione del farmaco. VDZ, inibendo i processi di adesione endoteliale e migrazione, blocca l’infiltrazione dei tessuti intestinali da parte di linfociti di recente attivazione, ma potrebbe non interferire con le funzioni dei linfociti attivati in precedenza e già migrati nei tessuti intestinali infiammati prima dell’inizio del trattamento con VDZ. Se da un lato questo meccanismo motiverebbe il crescente e graduale guadagno di risposta, dall'altro potrebbe garantire un’efficacia duratura nel tempo come confermato dalle analisi preliminari del GEMINI LTS. [57-58]. Il tasso di risposta e remissione clinica osservata in fase di induzione nella nostra popolazione, che può essere definita “refrattaria” per via della durata media di malattia (11,4 anni) e della pregressa esposizione agli anti-TNFα (70% dei pazienti), conferma il beneficio del VDZ nei pazienti anti-TNFα-failure. Risultati simili sono stati ottenuti in studi di real life: nello studio retrospettivo multicentrico del Massachusetts General Hospital, che ha valutato la risposta alla terapia alla fine dell'induzione in una popolazione di pazienti “refrattari” [71], nell'esperienza

israeliana [72] nonchè nelle coorti europee [73;74]. Nello studio GEMINI I-II i pazienti con fallimento terapeutico ai farmaci anti-TNFα sono stati inclusi in misura non superiore al 50% contro il 70% della nostra casistica. Le sottoanalisi del GEMINI I-II-III mostrano che l’efficacia di VDZ è lievemente superiore nei pazienti naive rispetto ai pazienti anti-TNFα –failure [3-4]. I dati relativi all'efficacia a lungo termine, provenienti dal GEMINI LTS mettono, invece, in evidenza come il mantenimento della risposta è indipendente dalla pregressa esposizione all'anti- TNFα [57-58].

Un aumento della PCR, cosi’ come un aumento della calprotectina fecale al baseline, non sembrano costituire delle variabili in grado di predire la risposta alla terapia alla Settimana 6 e 14, in accordo con quanto osservato in alcuni studi di real life [71;73] nel GEMINI II [4].

La concomitante terapia con corticosteroidi sistemici durante l’induzione, presente nel 53.3% dei nostri pazienti, non sembra influenzare la risposta clinica alla settimana 14 analogamente a quanto osservato nello studio multicentrico del Nord America [71], nella coorte tedesca [73]. Anche in un’analisi post-hoc degli studi GEMINI non sono state riscontrate differenze significative in termini di efficacia nei pazienti con RCU in monoterapia e in quelli in terapia combinata con corticosterodi e/o immunomodulatori. Le analisi esplorative degli studi GEMINI II-III che hanno invece valutato gli effetti della terapia concomitante con corticosteroidi e immunomodulatori sull'induzione della remissione nei pazienti con MC hanno messo in evidenza un’ efficacia superiore della terapia associata a corticosteroidi rispetto al solo VDZ o alla terapia concomitante con immunomodulatori [76].

I risultati endoscopici ottenuti nella nostra piccola casistica di pazienti con RCU a 22 settimane dall’inizio del trattamento sono promettenti, pur con i limiti legati al breve periodo di follow up e a una parziale esplorazione endoscopica. Sono, comunque, in linea con i risultati ottenuti negli studi GEMINI I II III e con quelli preliminari dello studio GEMINI LTS [3-4-63;77]. Gli autori hanno riscontrato che nel follow up i pazienti con MC mantenevano la guarigione mucosale nel 29% (7/24)mentre i pazienti con RCU nel 50% (17/34).

Il nostro studio ha incluso la valutazione di una paziente con ileostomia transitoria. In accordo con i chirurghi è stato deciso di intraprendere una “rescue therapy”, allo scopo di ottenere una guarigione mucosale e rendere cosi’ possibile la ricanalizzazione. Alla Settimana 22 è stata osservata stabilità del quadro clinico ed endoscopico rispetto al baseline. Pertanto è stata decisa la sospensione del trattamento. In letturatura sono riportati pochi studi su questa categoria di pazienti. Nella coorte americana del Massachusetts General Hospital è stata valutata la risposta alla terapia con VDZ in 14 pazienti portatori di stomia e 9 con ileo-pouch anastomosi. Entrambe le categorie dei pazienti hanno presentato una risposta clinicamente significativa alla Settimana 14 [71].

Tra gli obiettivi principali del nostro studio vi è stata la valutazione della HRQoL. L’andamento cronico-recidivante delle MICI ha un impatto significativo sulla vita del paziente e dei suoi familiari. Gli effetti della malattia incidono negativamente sul benessere dell'individuo, coinvolgendo vari aspetti tra cui quello psico-emotivo e sociale-lavorativo, compromettendo drasticamente la qualità di vita.

Nei nostri pazienti dalla Settimana 0 alla Settimana 6-14-22 abbiamo osservato un miglioramento statisticamente significativo della qualità di vita in tutte le sottoscale del questionario IBDQ relative a sintomi intestinali, funzionalità sistemica, funzionalità emotiva e funzionalità sociale, sia nei pazienti con MC che con RCU. Tale miglioramento correla con la buona risposta alla terapia. Anche le analisi esplorative del GEMINI I [3] hanno dimostrato miglioramenti significativi associati a VDZ; i miglioramenti sono risultati significativamente superiori rispetto al gruppo placebo alla Settimana 6 e alla Settimana 52 nei punteggi della scala analogica visiva EQ-5D ed EQ-5D VAS, in tutte le sottoscale del questionario IBDQ. Nel GEMINI-II [4] questi risultati sono stati osservati alla Settimana 52, ma non alla Settimana 6.

La bassa incidenza e la tipologia di eventi avversi osservati nella nostra piccola casistica risulta essere in linea con i dati di letteratura. Nel nostro studio, infatti si sono verificati solo 4 eventi avversi tra cui un caso di IRR. Negli studi controllati GEMINI I e II il 4% dei pazienti trattati con VDZ e il 3% dei pazienti trattati con placebo ha manifestato un’IRR. La maggior parte delle IRR ha avuto un'intensità lieve o moderata e meno dell'1% ha portato all'interruzione del trattamento. Negli

studi controllati GEMINI I-II, il tasso di infezioni è stato di 0,85 per anno-paziente nei soggetti trattati con VDZ e di 0,70 per anno-paziente nei soggetti trattati con placebo. Analogamente a quanto emerge dalla nostra breve esperienza, le infezioni insorte durante i trials clinici, consistevano principalmente in rinofaringite, infezione delle prime vie respiratorie, sinusite e infezioni delle vie urinarie. La maggior parte dei pazienti ha proseguito la terapia con VDZ dopo la risoluzione dell'infezione. Il tasso di infezioni gravi è stato di 0,07 per anno-paziente nei soggetti trattati con VDZ e di 0,06 per anno-paziente nei soggetti trattati con placebo. Non è stato osservato un significativo incremento del tasso di infezioni gravi nel tempo. Anche negli studi di real life è stato riscontrato un elevato profilo di sicurezza [71-74]. Un’analisi preliminare dello GEMINI LTS ha confermato il tasso di eventi avversi già documentato, mettendo però in evidenza un’incidenza superiore nello sviluppo di nuove formazioni ascessuali nei pazienti con MC trattati con VDZ (2%) [81]. Nella nostra casistica abbiamo riscontrato un solo caso di progressione di malattia perianale in assenza di ascessi, che ha condotto all’interruzione del trattamento.

Il VDZ, inoltre, ha presentato un buon profilo di tollerabilità e sicurezza anche nella nostra casistica di pazienti con età superiore ai 65 anni (7 pazienti) confermando il possibile utilizzo di tale farmaco in questa categoria di pazienti.

Inoltre abbiamo avuto modo di valutare la sicurezza del VDZ in un paziente con RCU associato a CSP già sottoposto a trapianto di fegato in terapia immunosoppressiva con pregressa reazione avversa all’Infliximab, che ha raggiunto la settimana 14 in assenza di effetti collaterali. Ad oggi in letteratura sono stati riportati solo alcuni case reports sull’utilizzo del VDZ nei pazienti con MICI e CSP: il caso di una paziente con diagnosi di RCU e recente esordio di CSP [78] ed uno relativo ad un paziente con RCU già sottoposto a trapianto di fegato [79]. In entrambi i casi sono stati registrati effetti positivi: sulla risoluzione dei sintomi da colestasi nella paziente con RCU e neodiagnosi di CSP e sul profilo di sicurezza nel paziente trapiantato.

Il possibile effetto positivo di VDZ in pazienti con CSP, secondo alcuni autori, sarebbe legato alla patogenesi della patologia epatica stessa che può essere correlata all’attivazione delle cellule T intestinali che esprimono i recettori α4β7 e che vengono reclutati a livello dell’albero biliare contribuendo ad innescare e mantenere la flogosi cronica a tale livello [80].

La selettività intestinale che caratterizza il VDZ, se da un lato garantisce un’estrema maneggevolezza del farmaco, dall’altra presenta delle limitazioni nella gestione di quei pazienti con MICI che presentano manifestazioni extra-intestinali, in particolar modo articolari e dermatologiche, nei quali risulta spesso indicato un trattamento con anti-TNFα . Nel programma GEMINI non sono stati riportati dati sugli effetti del VDZ sulle manifestazioni extra-intestinali. Le esperienze di di real life sono ancora limitate. In un recente lavoro di Varkas et al [81] sono descritti cinque casi di pazienti con MICI trattati con VDZ e con concomitante riesacerbazione della spondiloartrite. Una situazione analoga è stata osservata in una paziente del nostro studio per cui è stato necessario associare alla terapia con VDZ un immunomodulatore. Risultati differenti emergono dall’esperienza italiana di Orlando A. et al. [82]. Questi autori hanno evidenziato, infatti, come nella loro casistica, una fetta dei pazienti (6/53) con spondiloartrite attiva in terapia con VDZ, ha presentato un beneficio clinico e sul versante intestinale e su quello articolare. Sebbene l’ipotesi che il VDZ possa indurre una riacutizzazione delle artropatie associate alle MICI o in alcuni casi favorirne l’esordio, abbia un razionale, occorre tenere comunque in considerazione un possibile utilizzo del farmaco anche nel trattamento delle patologie extra-intestinali che si associano alle MICI. Un ipotetico beneficio del VDZ in tal senso, potrebbe essere spiegato dalla presenza della sub unità α4β7 dimostrata anche a livello delle articolazioni [83] e dalla recente evidenza di un’aumentata espressione di molecole di adesione (MadCAM1) a livello dell’endotelio dei piccoli vasi del midollo osseo nei pazienti con spondiloartrite assiale [84]. Queste evidenze dovranno essere supportate da ulteriori studi su coorti più ampie e da un periodo di osservazione di maggior durata. Dall’ osservazione a lungo termine dei pazienti in terapia con VDZ emergeranno anche dati relativi alla gestione di quei pazienti che perdono la risposta durante la fase di mantenimento. Nel nostro studio è stata osservata un’iniziale perdita di risposta in due pazienti, per i quali è stato deciso di intensificare la frequenza delle somministrazioni (300 mg ogni 4 settimane).

L’ottimizzazione della terapia, mediante la riduzione dell’intervallo tra una somministrazione e l’altra, può rappresentare una valida strategia per recuperare la risposta come evidenziato dagli studi GEMINI. Negli studi GEMINI I-II, infatti, i pazienti che non avevano presentato una risposta alla Settimana 6 sono rimasti nello studio e hanno ricevuto VDZ ogni quattro settimane. Un aumento della

risposta clinica è stato osservato alla Settimana 10 e alla Settimana 14 in un numero maggiore di pazienti trattati con VDZ rispetto ai pazienti trattati con placebo. I due schemi posologici, VDZ 300 mg ogni 4 o ogni 8 settimane, comportano una completa saturazione dei recettori-targets in quasi tutti i pazienti (95%). Esiste comunque un’associazione tra una maggiore concentrazione di farmaco e una maggiore efficacia clinica, suggerendo che le concentrazioni di farmaco richieste per raggiungere livelli terapeutici sono maggiori di quelle necessarie per ottenere la saturazione dei recettori targets nel sangue periferico[3- 4]. Anche i dati sull'efficacia a lungo termine confermano che l'ottimizzazione della terapia rappresenta una valida strategia terapeutica nei pazienti che perdono la risposta nella fase di mantenimento [57-58].

Dagli studi GEMINI emerge che VDZ è associato ad una scarsa immunogenicità, la formazione di anticorpi, talvolta associata alla perdita di risposta, nei trials si è verificata solo nel 3.7-4.1% dei pazienti. Nel nostro studio non stati dosati i livelli di farmaco e gli anticorpi anti-VDZ in quanto non disponibili Kit dedicati presso il nostro laboratorio.

CONCLUSIONI

VDZ nei nostri pazienti si è dimostrato un farmaco sicuro e ben tollerato con buona risposta clinica confermandosi una valida opzione terapeutica in pazienti con MICI attiva non responsivi alla terapie convenzionali e/o agli anti-TNFα. Saranno, comunque, necessari studi su coorti più ampie, allo scopo di identificare fattori clinici e biochimici predittivi di risposta al VDZ e definire in tal modo una terapia patient-tailored. Un periodo di osservazione più lungo, inoltre, permetterà di valutare l’efficacia a lungo termine e l’eventuale comparsa di complicanze correlate alla terapie.

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