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Fumetti e intellettuali: la posizione di Gianni Rodar

I FUMETTI: UN MONDO A COLORI TRA DUBBI E VANTAGG

III. 1.2.1 «Il Corriere dei Piccoli»

III.2.1. Fumetti e intellettuali: la posizione di Gianni Rodar

L’apparizione del fumetto in Italia venne accolta da parte dell’élite intellettuale con posizioni molto differenti. In sostanza, le fazioni si dividevano tra chi vedeva nelle strisce uno strumento privo di forza e chi, invece, era stato capace di coglierne gli aspetti più innovativi e di accoglierlo come nuovo mezzo con una propria autonomia. Posizione intermedia tra queste due facce della medaglia è quella di Gianni Rodari, grande pioniere della letteratura pe l’infanzia.

L’autore infatti assunse nei confronti delle strisce una posizione ambigua e mobile, che gli permise, senza mai schierarsi apertamente, di vedere il fumetto in maniera lucida, cogliendone le contraddizioni e il valore.

Sebbene infatti nel pensiero di Rodari rimanga fissa l’idea che il fumetto non può essere considerato come strumento di corruzione giovanile e che, soprattutto, non possa essere posto come alternativa al libro o come responsabile dell’abbandono della lettura da parte dei giovani, c’è nell’autore una certa diffidenza nei confronti delle vignette.

Ripercorrendo le tappe evolutive della considerazione del poeta di Omegna verso i fumetti, si può seguire un percorso lineare che va dagli anni Cinquanta fino alla pubblicazione della Grammatica della Fantasia: in questo periodo i giudizi si alternano

e si modificano, passando dall’iniziale entusiasmo all’indifferenza, dalla critica fino alla finale accettazione.

Nel 1952 Rodari fu il primo a vedere nel fumetto qualcosa di nuovo, capace di raccontare anche con le figure ciò che il libro raccontava con l’uso esclusivo delle parole. A questo periodo risale la polemica con Nilde Jotti, che accusava i fumetti americani di narrare storie orripilanti, capaci di allontanare i giovani dalla forma più alta e nobile del libro. Rodari, con l’occhio critico che lo caratterizzava, non manca di rispondere sostenendo che, se da un lato il giudizio negativo che la Jotti aveva sulle strisce potesse in parte essere considerato legittimo, era invece sbagliato sostenere che il fumetto fosse da demonizzare in toto, alludendo così all’impossibilità di creare fumetti diversi da quelli che arrivavano dall’altra parte del mondo. Rodari riconosce dunque alcuni meriti al fumetto, tuttavia nutre delle riserve sulla validità del mezzo. Questa posizione verrà estremizzata nel corso degli anni Sessanta, quando l’autore definisce le strisce “cascame culturale”. Nonostante questo però, egli non vede nel mezzo un potenziale pericolo per i libri, come invece temeva la parte intellettuale che si schierava completamente contro le “storielle a quadretti”. Basti pensare che nel 1965 lo scrittore scriveva che

personalmente non abbiamo mai imputato colpe eccessive al fumetto, che semmai consideriamo – quando costituisca una passione ossessiva ed esclusiva – un sintomo, non una causa, di povertà culturale e morale – una povertà che ha ben altre cause ed origini nella vita familiare, scolastica, sociale, ecc.

Senza condividere l’infatuazione pe un prodotto che ci sembra un cascame culturale, dove non è semplicemente la continuazione di un genere di satira e di umorismo che può avere la sua utilità, non condividiamo nemmeno le condanne moralistiche e aristocratiche. Per un lettore intelligente e critico, il fumetto sarà un semplice materiale di svago. Un ragazzo culturalmente aperto e ricco si stancherà presto di una lettura che gli offre solo l’interminabile ripetizione di vicende che

hanno scarso rapporto con gli interessi meno superficiali della sua personalità.25

Il fumetto in questi anni gode dunque di una velata indifferenza da parte dell’autore, il quale non teme le strisce semplicemente perché le considera un mezzo troppo povero perché possa costituire un reale pericolo. Potrebbe dunque stupire vedere, nel giro di pochi anni, un Rodari completamente diverso, che loda i fumetti e ne utilizza i personaggi, elevandoli a protagonisti delle proprie storie.

Negli anni Settanta il fumetto diventa per Rodari la prima scelta spontanea e non influenzata che il lettore compie. Nelle vignette egli identifica la fucina di immagini del futuro adulto e vi riconosce lo stimolo all’intelligenza del lettore, chiamato a completare con la propria capacità di comprensione i ‘salti’ tra un quadretto e l’altro. La lettura dei fumetti comporta secondo l’autore una compartecipazione di chi si pone di fronte alla pagina stampata e che è chiamato in causa come presenza attiva. Più che con il libro, il bambino che legge fumetti

deve, per prima cosa, individuare e riconoscere i personaggi nelle successive situazioni, mantenere salda la loro identità nelle diverse posizioni che assumono con espressioni mutevoli, presentandosi a volte in diverse colorazioni, di cui egli stesso interpreterà il significato: rosso, la rabbia, giallo, la paura… […]

A personaggi egli deve attribuire una voce. […] Contemporaneamente egli deve riconoscere e distinguere gli ambienti, interni ed esterni. […]

Un intervento attivo, anzi attivissimo, dell’immaginazione è richiesto per riempire i vuoti tra una vignetta e l’altra. […] Per un bambino di sei-sette anni mi sembra un lavoro sufficientemente impegnativo, ricco di operazioni logiche e fantastiche, indipendentemente dal valore e dai contenuti del fumetto, che qui non sono in discussione. La sua immaginazione non assiste passiva, ma è sollecitata a

prendere posizione, ad analizzare e sintetizzare, classificare e decidere.26

Certamente non possiamo evitare di notare che il cambiamento del pensiero di Rodari corre di pari passo con la crescente sensibilità verso il fumetto. Negli anni Settanta infatti le strisce avevano scavalcato le barriere culturali entrando a pieno titolo non solo nel pensiero comune, ma anche approdando al mondo universitario. Rodari, come spesso succede per quel che concerne la sua produzione, aveva anticipato i tempi. Già dagli anni Sessanta infatti il mondo dei fumetti aveva fatto la propria comparsa nelle opere rodariane, divenendo protagonista di alcuni scritti in prosa. Nelle Favole al telefono, ad esempio, troviamo la storia di un topolino che aveva abbandonato il proprio mondo, quello dei fumetti, per entrare nel mondo reale. La vicenda ruota attorno alla difficoltà del personaggio disegnato ad adeguarsi alla società e a farsi accettare dai suoi simili nel mondo reale. Tutto si conclude bene quando il topolino incontra ciò che di più diverso e di più simile a lui poteva esserci: un gatto di fantasia, anche lui appartenente alle strisce disegnate, e i due, così diametralmente opposti, finiscono per riconoscersi e per diventare amici. Il topo dei fumetti, oltre ad essere un magistrale invito al superamento delle diversità può essere vista anche come una precisazione: i due personaggi si capiscono perché provengono dallo stesso mondo e condividono il medesimo codice espressivo. Come sottolinea Ermanno Detti, il racconto rappresenta «l’idea del fumetto è un genere a sé, con un suo codice, con un suo linguaggio, con sue caratteristiche peculiari».27

26 G.RODARI, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Torino, Einaudi, 1973,

pp. 154–156.

27 E.DETTI,Rodari e I fumetti, in Se la fantasia cavalca con la ragion. Prolungamenti degli itinerari

Rodari fu un attento osservatore del mondo a colori che dall’America invase il panorama italiano, mostrandosi ancora una volta grande interprete dei cambiamenti e delle innovazioni del mondo della cultura, in quegli anni ancora così chiuso.