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IL GATTO E LA LUNA

Nel documento Il poeta «ubriaco d’universo»: (pagine 124-127)

5. Altri poeti 1 Corazzini

5.1.3 IL GATTO E LA LUNA

Scritta qualche mese dopo La ballata del fiume e delle stelle, per la precisione il 28 ottobre 1904, Il gatto e la luna continua l’esplorazione del cielo notturno e del cosmo.

Luna nel cielo, lume su la porta. Questa notte morirono le stelle, le nuvole hanno fatto da barelle, CORAZZINI S., op. cit., p. 130.

lampeggiarono i ceri della scorta. Vagò, di cimitero in cimitero, solo, con le pupille avide, rose, ardenti per continuo tormento,

il gatto enorme, il gatto enorme e nero, come se in lui la notte atra si fosse, materiata per incantamento.

Or va, torna col vento, ma se il vento spegne il lume ad un tratto, nella via rimangono due stelle in cui la pia luna in sua dolce meraviglia è assorta. 15

Al contrario della Leggenda delle stelle, qui la morte che apre la lirica non è quella del sole, ma delle stelle. Tale astricidio ricorda la Conquête des Étoiles di Marinetti, pubblicata nel 1902, che inneggiava alla distruzione delle stelle, in modo simile al celebre motto «uccidiamo il chiaro di Luna!» comparso nel 1909 in uno dei manifesti del futurismo.

Astrocidio e selenicidio paiono divenire d’obbligo, per segnare la prima rivoluzione culturale del Novecento. 16

Ma più che una ribellione, quella di Corazzini pare una proiezione di parte di sé stesso nella natura: il pensiero ossessivo della morte sfugge al controllo e non può far a meno di riaffiorare a vari livelli della lirica, prima con la morte effettiva delle stelle, poi con termini come «barelle», «cimitero», ed infine con lo spegnersi del lume. In Soliloqui di

un pazzo (che uscirà l’anno successivo nella raccolta Le aureole), Corazzini utilizza una

variante simile degli stessi versi, riproponendo il legame astri-morte:

Egli pensò che il cuor tremi alle soglie dell’anima così, come le stelle treman la notte, alle divine porte fin che la pietosa alba le coglie. “Hai visto tu passare le barelle,

o pazzo insonne, con le stelle morte?” 17

Ivi, p. 295.

15

BOITANI P., Il grande racconto delle stelle, p. 391.

16

CORAZZINI, op. cit., p. 152.

Il gatto e la luna si esplica attraverso una continua opposizione tra luce e oscurità: la

prima è rappresentata da «luna», «lume», dal «lampeggiar» dei ceri, dalle «pupille ardenti» e dalle «due stelle», mentre la seconda dalla morte delle stelle, dalle «nuvole», dal «gatto nero» come una «notte atra» e dallo «spegnersi» del lume.

Come si è visto nelle due liriche del poeta crepuscolare analizzate precedentemente, il buio e la notte portano con sé un alone magico, fatato (si veda il verso 10 «per incantamento»), connotato perciò da uno sguardo infantile. Questo, però, non si traduce nella meraviglia pascoliana od ungarettiana volta verso l’esterno, verso la bellezza della creazione, ma piuttosto l’autore ripiega su sé stesso e sulla propria interiorità, velando il tutto di una rassegnata malinconia.

La poesia non ha un vero conflitto, si svolge creando una tensione lineare, senza alcun picco o conclusione, perché non ne ha bisogno: ciò che vuole trasmettere è piuttosto una tenerezza che, come è tipico, Corazzini delega tutta all’ultimo verso.

Poco più di dieci anni più tardi, nel 1919, W. B. Yeats, scrisse una poesia dallo stesso titolo: The cat and the moon, forse ispirata proprio da questi versi di Corazzini (infatti l’amore del poeta inglese per la letteratura italiana è risaputo e testimoniato dalla biblioteca lasciata in eredità alla figlia Anne). Pur stravolgendone completamente toni e messaggi, non si può fare a meno di vedere nel «Black Minnaloushe […]/[that] creeps […]/ From moonlit place to place» il «gatto enorme e nero» di Corazzini che «vagò, di cimitero in cimitero».

5.1.4 DOPO

In Dopo, contenuta nel Piccolo libro inutile, Corazzini, proseguendo le linee poetiche fino ad allora sperimentate, giunge a cantare l’identificazione massima tra stelle e morte.

Il passo degli umani è simile a un cadere di foglie... Oh! primavere di giardini lontani! Santità delle sere che non hanno domani: congiungiamo le mani per le nostre preghiere.

Chiudi tutte le porte. Noi veglieremo fino all'alba originale, fino che un'immortale stella segni il cammino, novizi, oltre la Morte! 18

La poesia si regge tutta sull’opposizione tra la caducità umana, con cui si apre il primo verso, e la speranza di una vita «oltre la morte», che chiude il componimento. Non vi è nessuna ulteriore riflessione sul tema, Corazzini si limita a ripetere un fatto e una speranza che sono all’origine stessa del pensiero umano. Nel farlo, però, crea delle immagini bellissime e struggenti, come il paragone tra la vita umana e il «cadere delle foglie», un verso che echeggia la celebre Soldati di Ungaretti (forse in qualche misura debitrice di Dopo). La forza di Corazzini risiede proprio in questa sua capacità di rinnovare i tópoi narrativi attraverso l’ingenuità di uno sguardo puro e malinconico. Ecco che in tale contesto le stelle tornano a ricoprire il ruolo usuale di paragone di fronte alla transitorietà umana, proprio come in Leopardi e Pascoli; Corazzini però, sulla scia del romanticismo francese, riesce ad individuare una soluzione al conflitto, identificandola con la religione, la quale permette di pacificare ogni contrasto attraverso la promessa dell’immortalità dell’anima.

Le stelle, a questo punto, assumono il ruolo di guida sacra, di intermediarie tra l’uomo e Dio, ed il loro atteggiamento materno conferisce alla poesia una dolcezza malinconica tutta esplicata nell’opposizione «novizi»-«immortale».

Nel documento Il poeta «ubriaco d’universo»: (pagine 124-127)