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2.1 Le fonti fino al 1935

L’attuale sito dove sorge villa Muggia è individuato nelle fonti storiche fin dalla prima metà del Seicento. Il Catasto Nelli, prezioso strumento di indagine, fu impiantato nel 1637, venne aggiornato per tutto il Settecento ed i Catasti successivi, compreso quel- lo Napoleonico (1809-1830) e Gregoriano Pontificio (1817-1835), fanno vi riferimento con appositi rimandi.

Nei registri del Catasto Nelli si legge che sorgevano già nel XVII secolo tre edifici che divennero di proprietà della famiglia Pighini, due nel 1694 mentre il terzo nel 1721.

Tale informazione è confermata dalla Pian- ta esatta della città di Imola e degli undici borghi che la circondano redatta dall’Abate Antonio Ferri nel 1705. Nella pianta viene indicato il podere Belpoggio con un solo edificio con la dicitura Palazzotto dei con- ti Pighini, ed è interessante notare come risulti molto distante dal centro storico di Imola, ancora ben definito all’interno delle mura medievali.

Nei registri, su uno dei due terreni che entrarono in possesso della famiglia Pighini nel 1694, esisteva un edificio indicato dal Nelli come Casetta il quale però aveva confini del tutto differenti rispetto alla fabbrica oggetto della ricerca; nell’altro terreno invece, è segnata una Casa a colombara, sullo stesso sito dell’attuale villa Muggia.

Questo dato trova conferma in altri documenti successivi redatti durante il Settecento, come ad esempio la Donatio cum primogenitura, fatta dal conte Filippo Pighini al nipo- te Tiberio e redatta dal notaio imolese Clemente Morini nel 1718 nel quale si parla di un terreno chiamato La Colombara e sul quale sorgeva un palazzo non meglio specificato.

I registri in allegato al Catasto Gregoriano riportano l’atto di compravendita avvenu- to nel 1798 dai conti Pighini alla famiglia Dal Pozzo. I nobili Dal Pozzo acquistarono il podere Belpoggio oltre a diverse altre proprietà da Tomaso Pighini, dopo che la famiglia, dopo un periodo di prestigio, era caduta in decadenza e si stava spogliando di numerosi beni. Il toponimo con cui è in- dicato il terreno viene utlizzato anche per indicare la strada che corre a sud della pro- prietà e tale è rimasto fino ad oggi.

Esistono altri documenti, collocati tra la compravendita del 1798 ed il Catasto Pon- tificio (1817-1835) che confermano la proprietà del terreno da parte dei Dal Pozzo e dell’esistenza su di esso di una costruzione di una certa importanza. Tra questi vi è l’in- ventario dei beni di proprietà dei Dal Pozzo in cui il notaio imolese Francesco Petronio Zardi nel 1825 descrisse l’edificio in questione riportando che la struttura verteva già in uno stato di minacciosa rovina, il che lascia ipotizzare che la fabbrica avesse già una storia piuttosto lunga alle spalle.

Nel 1835 viene documentato il passaggio di numerose proprietà da Luigi ad Andrea Dal Pozzo. Sul terreno Belpoggio viene indicato un edificio su due livelli: una casa co-

Fig. 34. Pianta esatta della città di Imola e degli undici borghi che la circondano, Abate Antonio Ferri, 1705.

Fig. 35. Catasto Gregoriano Pontificio, 1817-35, cartella 547, fogli VI e X.

lonica al pianterreno ed una casa di villeggiatura al piano superiore. Assieme ad esso vengono specificati gli usi degli altri terreni a prato.

Nel 1882 viene documentata la Compra Vendita da parete dei conti Ginnasi Pog- giolini di un possedimento invocabile Bel Poggio ubicato nella frazione di San Barto- lomeo e Cassiano nella Croce Coperta, Co- mune di Imola, di qualità arativa, arbusata e vitata con casa colonica, casino padronale, una Chiesina ed altri servizi. Questa fonte è particolarmente interessante poichè per la prima volta viene citata la presenza della cappella attualmente presente nei pressi di villa Muggia, potendola datare con cer- tezza come una costruzione della seconda metà del XIX secolo. Inoltre viene descritta

in maniera approfondita la qualità degli spazi aperti, mettendo in evidenza la presenza di alberature e la piantagione a vite che sarà costante fino ai giorni nostri.

Nel 1910 viene documentato il passaggio di proprietà tra Raffaele e Annibale Ginnasi Poggiolini nel quale viene descritta sul terreno Bel Poggio una casa di villeggiatura di 3 piani e 16 vani.

È di fondamentale importanza sapere che il padre Raffaele agli inizi del Novecento aveva incaricato l’ingegnere ed architetto Remigio Mirri di un progetto di restauro del- la villa Belpoggio che non fu mai realizzato, ma di cui rimangono i disegni. Si prevede- va l’addizione di due testate al nucleo pre- esistente e il rifacimento di tutti i prospetti in stile eclettico; l’unica pianta a noi giunta è quella del piano terra che mostra il suo utilizzo come intero livello di servizio, pro- seguendo la logica che fino ad allora aveva scisso il piano terra da quello nobile supe- riore.

Benché solo una trentina d’anni separi- no questo progetto da quello di Bottoni è impressionante il radicale cambiamento di orizzonti culturali e di concezione della residenza che l’architetto milanese appor- terà, rendendo inconfrontabili le due pro- poste.

Remigio Mirri per redarre il suo proget- to realizza inoltre una pianta di rilievo del piano nobile del casino padronale che sarà probabilmente utilizzata anche da Bottoni poichè non esistono rilievi o schizzi realiz- zati da lui o da suoi contemporanei sull’ar- chitettura preesistente. In questo rilievo

Fig. 36. Catasto Gregoriano Pontificio, Compravendita di un immobile rustico, registro fabbricati, partita 2305, 1882.

Fig. 37. Progetto di restauro per la VIlla Belpoggio, pian- ta, prospetto laterale e frontale. Remigio Mirri, 1907.

viene rappresentato un edificio compatto con una grande scala strombata sul fronte principale che permette l’accesso diretto ad un grande salone. Questo è caratteriz- zato da quattro colonne binate ad altrettante semicolonne e la grande scala a tena- glia centrale che divideva la zona pubblica da quella privata. Questa pianta è la prima documentazione che attesti in dettaglio le caratteristiche della distribuzione interna dell’edificio, fino a tale momento infatti si avevano solamente notizie generali relative al numero di piani e di vani.

Non è possibile datare con certezza la realizzazione di queste parti ma è certo che ci debba essere stato più di un momento in cui la fabbrica abbia subito dei rimaneg- giamenti per giungere allo stato di casa padronale. Un primo cambiamento avviene sotto la proprietà dei conti Pighini all’inizio del Settecento, in cui il fabbricato passa dalla denominazione di casa a colombara a palazzotto . é ipotizzabile inoltre che anche la famiglia dei nobili Dal Pozzo abbia effettuato dei lavori poichè, poco dopo il loro acquisto, il bene viene descritto in minacciosa rovina ma, quando nel 1835 avviene il passaggio di proprietà da Luigi ad Andrea Dal Pozzo, viene descritta una casa colonica al pianterreno ed una casa di villeggiatura al piano superiore. Le forme documentate da Mirri e i resti attuali posso far pensare ad un intervento di gusto barocco in accordo con il periodo storico. Lo stesso Bottoni nel proprio progetto parlerà di vecchio corpo di fabbrica barocco in riferimento alla parte di villa preesistente.

Confrontando il rilievo con il progetto di Remigio Mirri è molto strano notare come egli decida di ribaltare i percorsi; in legenda alla sua pianta viene descritto come ingresso principale quello posto sul lato ovest mentre sul lato est non rimane traccia della scala strombata, ma viene prevista la costruzione di altre due scale legate ad un fronte ric- chissimo, che mal si sposa con l’idea di fronte secondario. Il collegamento tra il piano terra e nobile poteva avvenire attraverso due corpi scala (13 e 14 in legenda) posti vicino all’accesso principale ed è possibile giudicarli preesistenti, o perlomeno nelle stesse posizioni, data la loro ubicazione nelle due ali di servizio del casino precedente.

Un’ ultima fonte importantissima per poter compiere una sintesi dell’evoluzione sto- rica prima dell’intervento di Piero Bottoni è rappresentata da alcune fotografie del casino preesistente, scattate forse dallo stesso Bottoni prima del cantiere. Confron- tando tali fotografie con il rilievo di Mirri e leggendo i segni lasciati sulla fabbrica, è possibile formulare delle ipotesi in merito alle diverse fasi costruttive dell’edificio an- tico.

L’edificio si sviluppava su 3 livelli: al piano terra prendevano posto i servizi come cu- cine, rimessa, deposito, camere del perso- nale, e dalle foto è possibile evincere che si trattasse di uno spazio voltato e piuttosto basso.

Il piano nobile dell’edificio era raggiungi- bile dalla scala di fattura barocca realizzata in muratura e dalla forma strombata, collo- cato sul fronte principale, che permetteva l’accesso diretto al salone. Questo grande

Fig. 38. Rilievo del piano primo del casino di caccia attribui- to a Remigio Mirri.

spazio di rappresentanza era coperto da volte in arellato e gesso dipinte dagli arti- sti Antonio Villa ed Alessandro Della Nave, sorrette da otto colonne in laterizio e stuc- co. Sul salone si aprivano due vani ed un corridoio centrale sul quale si affacciavano due locali per parte ed sul retro trovava posto un’ala di servizio; dallo stesso salone partivano due rampe di scale a tenaglia, anch’esse dalle forme barocche, che con- ducevano al secondo piano con altri quat- tro ambienti privati.

Esternamente, a piano terra, delle due grandi aperture visibili ai lati della scala di

accesso, una risulta tamponata; al piano nobile, oltre alla porta centinata di accesso, vi erano altre quattro finestre, due ancora libere mentre quelle più prossime all’ingres- so sono murate. È molto probabile che queste furono tamponate nel momento della realizzazione delle volte in arelle, che prevedeva l’addossamento al muro di facciata di due semi-colonne a sostegno della copertura. Contestualmente alla manipolazio- ne del salone di ingresso si ipotizza che risalga anche la sopraelevazione dell’edificio, realizzata proprio perché le volte necessitavano di altezze maggiori. Il portale centi- nato rappresenta un’incognita: considerando l’altezza di gronda iniziale, tale accesso risulta essere sproporzionato rispetto all’intera facciata, il che lascia ipotizzare che si tratti di un rimaneggiamento successivo. Di conseguenza si possono formulare due distinte ipotesi: o precedentemente vi era un’apertura più modesta al culmine di una scala preesistente - sostituita poi dalla più maestosa scala strombata - oppure, vi era una semplice finestra e l’ingresso era collocato in quello che divenne il retro del casi- no padronale, dove pare si aprisse, come intuibile dalle foto dell’inizio del secolo, una grande porta-finestra.

Fig. 40. Prospetto sul retro ante1936.

Fig. 41. Elaborazione grafica del fronte principale e del retro in cui sono evidenziate tutte le aperture individuabili antecedenti al progetto di Piero Bottoni e l’ipotetica quota originaria del tetto.

2.2 Il progetto di Piero Bottoni e Mario Pucci (1936-38)

Nel 1935 i Muggia, ricca famiglia di origine ebrea residente a Bologna, acquistano dai conti Ginnasi Poggiolini il casino di villeg- giatura in via Bel Poggio oltre ad altri poderi collocati più a sud, diventando così pro- prietari di circa sessanta ettari di terreno. Nell’atto di compravendita è possibile leg- gere: “Il Sig.Cte. Annibale Ginnasi - Poggiolini vende al Sig. Umberto Muggia che compra: una tenuta denominata “BELPOGGIO” situa- ta nel Comune di Imola – Parrocchia Croce Coperta – con sovrapposti fabbricati coloni- ci, rusticali e casino di villeggiatura, compo- sta da poderi “SGALLARA”, “SGALLARAZZA”, “BEL POGGIO”, “MACALLE’” oltre la VIGNA BELPOGGIO e VILLA PADRONALE BELPOGGIO, [...] Belpoggio civ.N.278 e 279. – Casino di Villeggiatura (ora in stato di deterioramento e in cattive condizioni statiche), piani 3, vani 16, [...]”.

Umberto Muggia, patriarca della famiglia, si era arricchito commerciando ed impor- tando carburanti, oli combustibili e coloniali e, come d’uso per le ricche famiglie bolo- gnesi dell’epoca desiderose di trascorrere i periodi estivi di villeggiatura lontani dalla città, acquistò il Podere Belpoggio assieme agli altri sopracitati al fine di impiantarvi una azienda agricola e costruirvi una villa estiva per sé e la propria numerosa fami- glia. Inizialmente il desiderio del proprietario era quello di demolire la preesistente struttura del podere al fine di sostituirla integralmente con un edificio moderno che costituisse un esempio di spicco della neonata architettura razionalista italiana. Al fine di realizzare il suo intento si rivolse all’architetto milanese Piero Bottoni, uno dei prota- gonisti più all’avanguardia nonostante la giovane età, che all’epoca collaborava con il modenese Mario Pucci,anch’egli interprete di spicco del Movimento Moderno italiano. Per la realizzazione della villa Bottoni si avvalse della collaborazione di Pucci mentre per la sistemazione del podere e la progettazione degli altri edifici operò da solo. 2.2.1 Il Podere Belpoggio e la sistemazione degli edifici annessi a villa Muggia

‹‹Quando l’architetto Bottoni fu chiamato a studiare il problema della sistemazione di tutto il complesso della proprietà, egli dovette risolvere in realtà il problema di un piccolo piano regolatore.››1

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Giò Ponti

133 PONTI, G., Una intelligente trasformazione e l’ampliamento d’una antica villa a Imola, in «Domus»

n.153, sett. 1940, XVIII, p. 78.

Fig. 43. Progetto generale di Piero Bottoni per il podere Belpoggio.

Fig. 42. Ricostruzione dell’estensione delle tenute acqui- state dai Muggia in relazione al podere Belpoggio.

Bottoni fu chiamato a progettare non solo la celebre villa ma anche un sistema di edi- fici a lei annessi che furono costruiti per primi e che ospitavano gli spazi necessari per il funzionamento dell’azienda agricola. Affrontò il ridisegno del podere come se si trattasse di una sorta di piccola sistemazione urbanistica: per tutti gli edifici studiò accuratamente la collocazione migliore all’interno del terreno e la forma architettonica più idonea, in modo tale da rispettare la privacy dei diversi utenti e allo stesso tempo ottimizzare la funzionalità delle strutture destinate alla produzione.

Dalla strada comunale Via Belpoggio - tutt’ora esistente e con lo stesso toponimo - si accedeva al podere da un cancello ad esedra, rimarcato da una pensilina, la cui forma era atta a creare una zona di sosta rispetto alla strada e a distribuire i differenti accessi e percorsi. Un viale più piccolo e ghiaiato conduceva direttamente alla villa passando per il centro della tenuta, mentre un viale più largo, alberato da platani e coperto da un manto erboso, costeggiava la proprietà per giungere all’abitazione del giardiniere con la stalla e la serra. Infine, un estremo della pensilina ad esedra si fondeva con il primo edificio del complesso, la casa del custode, in una soluzione che ricorda molto il Padi- glione dell’ésprit Nouveau di Le Corbusier poichè vi passa attraverso una bucatura un tiglio. Questa piccola struttura, oggi mutata ma ancora chiaramente riconoscibile, pre- sentava una parte aggettante retta da due esili pilotis ed una finestra a nastro al primo piano che guardava verso il cancello di ingresso alla villa, quasi a voler rimarcare l’atto di controllo da parte di chi la occupava.

Nei pressi dell’abitazione del custode, tra la macchia boschiva del parco padronale e la parte coltivata a viti, prese posto il comples- so granaio-tinaia-cantina da considerarsi un piccolo gioiello del razionalismo ed una sorta di trampolino di prova per la risiste- mazione del casino settecentesco. Al piano terra trovavano posto la tinaia, il granaio e il deposito per le sementi speciali, a quali si accedeva per mezzo di un ampio porticato. Un corpo scala portava all’interrato dove si trovava la cantina per le botti di vino finito, mentre un secondo corpo scala conduceva al piano rialzato con un ulteriore deposito ed uno spazio scoperto a terrazza per l’es- siccazione delle sementi.

L’abitazione del giardiniere ospita i locali di parte del personale di servizio della villa e ingloba una serra preesistente che diviene il nucleo della nuova costruzione. Attorno ad essa si snodano la cucina, la lavanderia, l’autorimessa, la stalla e la rimessa degli attrezzi. Questi ambienti chiudono su tre lati una corte pavimentata porticata su di un lato e aperta a nord sulla campagna, in opposizione all’abitudine rurale di porre il porticato verso meridione. Questa scelta potrebbe essere dovuta semplicemente ad evitare lo sguardo sulla vita privata della villa padronale, consentendo allo stesso tempo di avere un spazio privato all’aperto

Fig. 44. Casa del custode e cancello ad esedra a cantiere ultimato.

Fig. 45. Edificio granaio-tinaia-cantina a cantiere ultimato.

per il personale.

Al piano primo si trovano, da un lato le camere private del contadino con un locale per la conserva ed un servizio igienico, dall’altro le camere dell’autista e degli ospiti con un secondo servizio igienico.

Tutti e tre gli edifici annessi progettati da Bottoni sono, come villa Muggia, prevalente- mente in laterizio, con alcuni elementi in cemento armato, come la pensilina e i pilotis. Nonostante un metodo costruttivo assolutamente tradizionale, le forme che riesce a pensare per i servizi sono estremamente moderne, se non contemporanee. In questi episodi architettonici, maggiormente che nella villa stessa, Bottoni rende ancora più evidente il gioco tra tradizione e modernità scegliendo di non intonacare tutto ma palesando la struttura in muratura.

Bottoni oltre alla villa settecentesca trova una seconda preesistenza, una piccola cap- pella risalente alla metà dell’Ottocento che secondo uno schema distributivo tipico delle ville romagnole era in posizione adiacente e avanzata rispetto all’edificio padro- nale.

Tutto il progetto di Bottoni tiene conto di un vastissimo parco alberato che, come te- stimoniano le fotografie e i video dell’epoca, doveva essere secolare. Bottoni conserva tutto ciò che trova del sistema naturale, da progetto aggiunge solo il viale alberato di platani di accesso alla casa del giardiniere ed un campo da tennis sul limite ovest. Per il resto ridisegna i percorsi a terra nel parco integrandoli con un laghetto preesistente, che insieme alla chiesina, lasciano pensare ad un trattamento del parco di tipo roman- tico, in opposizione alle forme moderne dell’architettura.

2.2.2 Da casino padronale a villa Muggia

‹‹I nostri antichi distruggevano bellamente le cose precedenti e le sostituivano con le proprie, con una gagliarda (ma disastrosa) insensibilità, e i nostri ottocenteschi nonni per armonizzare qualche frammento vero antico lo affogavano nel falso di vasti rifaci- menti ambientali. Noi ricostituiamo l’antico, lo isoliamo, lo accostiamo cautelosamen- te alle nostre cose nuove.››2

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Giò Ponti Quando nel 1935 la famiglia Muggia entrò in possesso del podere, il casino padrona- le verteva già in uno stato di rudere. Come già affermato, l’intenzione dei Muggia era quella di demolire la struttura esistente per sostituirla con una costruzione perfet- tamente in linea con le emergenti spinte moderniste e che soddisfacesse appieno le nuove esigenze e stili di vita che si anda- vano affermando.

Furono i due progettisti Bottoni e Pucci che dimostrarono una sensibilità inusuale riconoscendo un particolare valore storico e artistico ad una porzione dell’edificio pre- esistente, riuscendo a persuadere Umberto Muggia della possibilità di integrare la par-

234 PONTI, G., op. cit., p. 65.

Fig. 47. La manipolazione dello spazio all’interno del salone barocco.

Fig. 48. Foto d’epoca che testimoniano la presenza delle volte a piano terra e la loro demolizione.

te antica nella nuova, senza che venisse meno il carattere moderno della costruzione. Premessa imprescindibile per i progettisti fu quindi quella della selezione e conse- guente manipolazione delle preesistenza per renderla un unicum con l’addizione mo- derna. La scelta ricadde sulla parte più nobile e ancora in buono stato, il salone baroc- co affrescato, che con la scala centrale, forma un corpo a “T”.

I lavori iniziarono alla fine del 1936, innanzi tutto demolendo la parte retrostante del casino settecentesco, rinforzando poi le fondazioni della porzione conservata con un basamento in calcestruzzo non armato e realizzando gli scavi per le fondazioni del nuovo edificio; questa fase si protrasse per quasi un anno.

Per quanto conservato, il salone su pesantemente rimaneggiato: l’impalcato del primo pino fu demolito completamente per ottenere uno spazio di rappresentanza a tripla