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3 – GEOGRAFIA DEI FLUSSI MIGRATORI

L’ IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

3 – GEOGRAFIA DEI FLUSSI MIGRATORI

3.1 – Premessa

Nei paesi dell’UE si contano in media più di cinque stranieri ogni cento abitanti, mentre sul territorio della nostra penisola sono presenti meno di tre cittadini di origine non italiana ogni cento residenti. Il territorio dell’UE accoglie in complesso un po’ meno di 20 milioni di persone di altra nazionalità, formando il secondo «polo migratorio» mondiale dopo gli Stati Uniti. In effetti, se si scorporano dal totale le migrazioni interne all’Unione, l’incidenza degli stranieri nell’insieme comunitario si riduce ad appena il 3,5%, cioè a circa 13 milioni di persone su 380. Altri vasti spazi dal popolamento più rado e più recente, come il Canada e l’Australia, ospitano, in termini relativi, molti più stranieri rispetto alla stessa Europa dei Quindici o agli Stati Uniti: in Australia, ad esempio, oltre un quinto della popolazione è formato da immigrati.

In Italia, su quasi 58 milioni di residenti, la popolazione straniera ammonta a circa un milione e mezzo, secondo il Ministero dell’Interno, 1.464.000 secondo le più recenti stime dell’Istat e 1.686.000 in base alle valutazioni della Caritas (le quali tengono conto anche dei minori e dei permessi di soggiorno non ancora registrati nel corso del 2001). Queste cifre non comprendono i profughi e gli immigrati cosiddetti «irregolari» o «clandestini», difficilmente censibili, che secondo fonti attendibili sarebbero valutabili a un quinto delle presenze ufficiali. Il tasso d’incidenza degli immigrati sulla popolazione italiana sarebbe, dunque, pari al 2,5% (2,9% per la stima più ampia). Questo valore può considerarsi «medio»: si colloca, infatti, in posizione intermedia, da una parte, rispetto a quei paesi in cui la presenza di cittadini stranieri è assai elevata, come il piccolissimo Lussemburgo (più di un abitante su tre è di origine straniera), l’Austria e la Germania (con circa il 9% di immigrati) o la circa 4 milioni) e la Gran Bretagna (con 2.200.000).

Sono molteplici le ragioni che intervengono a spiegare le differenze numeriche dei flussi di migranti nei vari paesi europei e a motivarne le origini e le modalità di concentrazione in particolari aree: chiamano in causa i precedenti legami coloniali o la posizione geografica, ma anche le dinamiche demografiche e i gradienti nello sviluppo. Così, ad esempio, la comunità più numerosa in Germania è quella di nazionalità turca

(comprendente anche cospicui gruppi di etnia curda), grazie anche ad accordi di reclutamento della mano d’opera stipulati con i governanti anatolici. In Francia, invece, sono i Maghrebini a essere maggioritari (dopo gli immigrati di origine portoghese), in quanto i territori nord-africani hanno mantenuto forti legami culturali, linguistici ed economici con la madrepatria, anche dopo l’indipendenza. Nel Regno Unito, infine, sono cospicuamente rappresentate le comunità originarie dei paesi del Commonwealth e nei Paesi Bassi dominano quelle di matrice asiatica un tempo soggette alla corona olandese.

Se quelli appena menzionati sono paesi che hanno alle spalle, con differenti modalità, almeno mezzo secolo di consistenti flussi d’immigrazione, sono gli Stati mediterranei dell’Unione che a partire dagli anni Ottanta del Novecento si affermano progressivamente come nuovi terminali e come luoghi di transito di correnti migratorie sempre più consistenti e composite. Queste correnti hanno fortemente modificato il quadro tradizionale delle dinamiche e delle traiettorie migratorie verso l’Europa, sia in termini quantitativi che in termini di partecipazione di nazionalità in precedenza poco o nulla importanti.

Le origini del flusso migratorio rivolto verso l’Italia risalgono a circa un trentennio or sono, quando il saldo migratorio ha invertito per la prima volta il suo storico segno negativo. Almeno per i primi anni, però, l’arrivo di stranieri veri e propri resta statisticamente «coperto» dal rientro di nutriti gruppi di nostri emigrati che hanno terminato il loro ciclo lavorativo all’estero (soprattutto in America Latina) o sono stati costretti al ritorno in patria dalla sfavorevole congiuntura sul mercato del lavoro europeo. Ancora alla fine degli anni Ottanta, i mutamenti nelle dinamiche dei flussi si presentavano rapidi e indecifrabili, mentre la presenza di immigrati sul territorio era frammentaria e appena percepibile.

Le analisi più recenti mostrano il delinearsi di tre maggiori componenti. S’individua, anzitutto una porzione crescente di stranieri che tende a stabilizzarsi, proponendo una dimensione sempre più stanziale e radicata nel territorio, in speciale modo in alcune regioni del Nord. Poi, in particolare per gli immigrati provenienti da paesi più vicini, come quelli del Nord-Africa e dell’Europa dell’Est, si segnala una mobilità di breve durata o di tipo stagionale. Infine, appare cospicua e sempre meno congiunturale la

corrente dei profughi e dei clandestini che approdano in Italia - soprattutto sulle coste meridionali - per chiedere asilo o transitare verso altre mete europee.

Sia pure con consistenze minori rispetto ad altri paesi dell’UE, anche per l’Italia le prime comunità straniere non europee sono state alimentate da ex-colonie (Etiopia-Eritrea e Somalia). Si trattava soprattutto di donne, addette al lavoro domestico, giunte spesso in Italia al seguito del rimpatrio delle famiglie italiane. Le storiche relazioni e la prossimità geografica fra la Sicilia e la Tunisia sono invece da porsi all’origine della presenza di pescatori tunisini nell’isola. E’ a partire dalla seconda metà degli anni Settanta che si registrano i primi flussi di immigrati marocchini, i quali, impegnati generalmente nel commercio ambulante, prendono a soggiornare in Italia per alcuni mesi l’anno, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno e in alcune stazioni turistiche del Centro-Nord.

Negli anni Ottanta il fenomeno assume contorni assai diversi, tanto per la natura dei flussi che per la loro entità. Accanto al progressivo incremento di cittadini provenienti dal Nord-Africa (Marocco, Tunisia, Algeria e, in misura minore, Egitto), si registra l’arrivo di comunità originarie dell’Africa centro-occidentale (Senegal, Nigeria, Costa d’Avorio, Burkina Faso), del Sud America (in primo luogo Perù), del Sub-continente indiano (Sri-Lanka, India, Pakistan) e dell’Asia orientale (Cina e Filippine). Nel decennio successivo, con lo smantellamento del muro di Berlino e gli stravolgimenti politici che interessano i paesi dell’Europa centro-orientale e i Balcani, i flussi si accrescono di nuove componenti. Il dato più vistoso è rappresentato dal massiccio esodo albanese verso l’Italia, accompagnato dai cospicui ingressi di cittadini provenienti tanto dall’ex-Jugoslavia martoriata dalle guerre (Macedoni, Croati, Sloveni e, soprattutto, Bosniaci), quanto da diversi paesi dell’Est, in testa quelli candidati ad entrare in seno all’UE (Romania e Polonia): una migrazione quest’ultima facilitata in parte dal rilascio di visti d’ingresso di breve durata.

Attualmente sono oltre 180 le nazionalità presenti in Italia; di queste, però, solo una trentina supera la soglia di 10.000 individui. La spinta all’emigrazione riguarda in misura meno rilevante di quanto sarebbe dato attendersi i paesi più poveri del pianeta: va ribadito, infatti, che una quota consistente di stranieri soggiornanti nella penisola non proviene dai paesi in via di sviluppo o dai paesi della cosiddetta «economia in transizione» dell’Est europeo. Secondo le stime Caritas, su 1.686.000 presenze

straniere, circa il 10% sarebbe da ascriversi ai paesi dell’UE (184.000) e oltre il 3% al Nord America (61.000), senza contare le quote originarie di altri paesi industrializzati. Alla fine del 2000 al primo posto si pongono gli stranieri provenienti dal continente europeo (676.000), seguiti da quelli giunti dall’Africa (469.000), dall’Asia (337.000) e dalle Americhe (200.000). Il contingente di presenze nord-africane, a lungo prevalente, è stato sovrastato a partire dagli anni Novanta da quello originato dall’Europa dell’Est: grazie all’exploit degli arrivi albanesi e all’accentuarsi della presenza rumena, gli individui provenienti dell’Est rappresentano ora più di un quarto del totale degli immigrati sul nostro territorio. A questi flussi che muovono dai bacini migratori del Sud mediterraneo, dell’Est europeo e dei Balcani, incentivati innegabilmente anche dalla prossimità geografica, si sono progressivamente affiancate altre correnti generate da spazi molto più distanti. Infatti, il terzo maggiore polo di provenienza è oggi divenuto l’Asia orientale, dal momento che gli immigrati in arrivo da quella vasta regione (in particolare da Cina e Filippine) costituiscono ormai più del 10% degli stranieri presenti nella penisola.

La comunità più numerosa resta, comunque, quella marocchina: forte di 160.000 persone, si è raddoppiata nel corso dell’ultimo decennio, radicandosi e diffondendosi capillarmente sul territorio. In seguito all’esodo massiccio suscitato dal collasso politico ed economico del loro paese, gli Albanesi, che contavano appena 2.000 soggiornanti nel 1990, nel giro di pochissimi anni, e più precisamente dal 1996, sono saliti al secondo posto con circa 250.000 presenze. Assai distanziati seguono i Rumeni (con 109.000 unità), i Filippini (85.000) e i Cinesi (90.000), il cui numero, però, si è triplicato in solo dieci anni. Un discorso diverso meriterebbero gli Statunitensi, la cui presenza è di lunga data, per gran parte legata all’attività svolta presso le basi militari Nato: se ne contano circa 48.000. Nella posizioni di testa tra i paesi di origine vanno poi aggiunte la Tunisia, i cui flussi appaiono in via di contenimento, e la Jugoslavia: da ciascuna di queste aree provengono circa 40.000 individui.

Nell’estrema varietà delle provenienze continentali si riscontrano ancora sette paesi che superano le 30.000 presenze: Senegal e Egitto per l’Africa, Germania e Polonia per l’Europa, Sri Lanka e India per l’Asia e, infine, il Perù per l’America Latina. Oltre i 10.000 componenti si annovera, infine, un’altra quindicina di comunità: da quelle originarie della Svizzera e di alcuni membri dell’UE (come Francia, Regno Unito e

Spagna) a quelle dei paesi Africani (Nigeria, Ghana, Algeria), dagli immigrati del sub continente indiano (Bangladesh e Pakistan) e della diaspora ex Jugoslavia (Macedonia, Croazia, Bosnia-Erzgovina) ai cittadini provenienti dalla Russia, dal Brasile e dai Caraibi.

Il trend di crescita del periodo più recente è stato nell’insieme prossimo al 10% annuo. Sotto tale media sono rimaste alcune comunità, principalmente quelle originarie del continente africano insieme a quella filippina, che sembrano aver attenuato le spinte iniziali. Altri bacini di reclutamento, soprattutto quelli meno floridi del l’Europa orientale ancora in piena transizione economica e politica, il Vicino Oriente (Iraq e Turchia, con la preminenza di Curdi), l’India e la Cina, continuano ad alimentare gli arrivi a ritmi un po’ più alti, mostrando una maggiore propensione - spesso di natura del tutto congiunturale - alla scelta migratoria verso l’Italia.

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