• Non ci sono risultati.

2 – LE MISURE DI CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE IRREGOLARE

L’ IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

2 – LE MISURE DI CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE IRREGOLARE

L’analisi delle operazioni da effettuare contro i trafficanti di uomini e delle organizzazioni criminali che sfruttano l’immigrazione clandestina prevede la possibilità di governare le migrazioni, operando con intelligenza e umanità su scala nazionale e continentale, incanalandole in due direzioni ben distinte. La prima riguarda la casa ed il lavoro per trasformare l’immigrazione regolare in una risorsa positiva per l’economia dello Stato che la subisce, governando e regolando i flussi secondo le reali possibilità di accoglienza che il Paese ricevente è in grado di offrire. La seconda riguarda la “tratta degli schiavi” dei tempi moderni, cioè la necessità di combattere con mezzi adeguati, anche drastici se necessario, l’immigrazione irregolare, cioè clandestina, sapendo che si tratta pur sempre di un male da prevenire e da sanare e che in gioco ci sono le vite di esseri umani. La politica italiana di contrasto all’immigrazione clandestina e l’efficacia dell’azione del governo Berlusconi e dei governi precedenti, è resa evidente dai risultati (riportati nelle tabelle sottostanti) fino ad ora raggiunti. Gli strumenti adottati per raggiungere questi risultati sono relativi ad una diversa impostazione della legge sull’immigrazione, che si basa su quattro principi fondamentali che sono il collegamento di un lavoro certo al permesso di soggiorno, l’effettività del sistema delle espulsioni, il maggior rigore nei confronti dei trafficanti di uomini e le nuove disposizioni per evitare la strumentalizzazione dell’asilo. I risultati di questa politica hanno portato ad una riduzione del 46,6% dei clandestini sbarcati in Italia dal 2000 (erano 26817) al 2003 (14331). Grande importanza hanno gli accordi bilaterali, cioè una serie di accordi bilaterali con i Paesi a più alta concentrazione di emigrazione verso l’Italia consente di controllare alla fonte i flussi migratori. L’Italia dispone di una fitta rete di 28 accordi bilaterali di riammissione. Negli ultimi due anni sono stati firmati accordi con cinque Paesi (Sri Lanka, Malta, Cipro, Moldavia ed ex Jugoslavia) che sono strategici per il controllo dell’immigrazione clandestina che proviene dal mediterraneo, dall’est europeo e dal sub continente asiatico. Sono inoltre in corso negoziati con altri 17 Paesi. Con la Libia è stata avviata una mirata azione di collaborazione che proprio nel settembre 2004 si è concretizzata con accordi Politici-militari e commerciali. E’ stato predisposto e sarà attuato a breve, un progetto per il Pattugliamento militare

congiunto e la gestione dei flussi migratori nel mediterraneo centro - mentale che prevede la costituzione a Malta e a Cipro di centri ad hoc per il coordinamento e la gestione di unità navali e di centri di trattenimento per i clandestini intercettati, nonché il rimpatrio clandestini verso i Paesi di origine. A ciò si aggiungono gli ottimi risultati ottenuti grazie alla collaborazione delle forze di polizia di Italia, Francia, Germania e gran Bretagna con le omologhe autorità di Siria e Libano che hanno condotto anche di recente allo smantellamento di importanti reti di criminali dedite al traffico di clandestini presenti in quell’area. La migliorata collaborazione con le forze di polizia di Albania e Slovenia ha portato all’azzeramento degli arrivi attraverso il canale di Otranto e alla drastica riduzione della pressione clandestina alle frontiere del nord-est. Inoltre, per contrastare il transito massiccio di clandestini provenienti dal sub continente indiano, in particolare dallo Sri Lanka, che utilizzavano il canale di Suez per raggiungere il Mediterraneo, il Ministero dell’interno ha svolto una costante pressione sull’Egitto che ha consentito di contenere negli ultimi mesi i flussi provenienti dal canale. A tal fine, da parte italiana, sono stati messi a disposizione personale di polizia e mezzi per effettuare i rimpatri direttamente dall’Egitto verso i Paesi di provenienza dei clandestini intercettati. Il ruolo dell’Italia nella determinazione della politica europea di contrasto all’immigrazione clandestina è importante, infatti a seguito di una decisa iniziativa del Governo italiano, il vertice di Salonicco del giugno 2003 ha sancito definitivamente il principio che l’immigrazione clandestina è un problema europeo, da affrontare con strumenti e risorse comunitarie, e che l’onere della gestione delle frontiere esterne non può ricadere esclusivamente sui Paesi di confine dell’Unione europea. La definizione delle linee politiche europee, con l’Italia ed il presidente Berlusconi in posizione di protagonisti di primo piano, prevede, ‘aumento degli aiuti allo sviluppo per creare occupazione nei luoghi di origine e di transito dei migranti, sono previsti 50 milioni di euro nei Paesi terzi di origine e di transito dell’immigrazione clandestina da destinare a progetti di aiuto allo sviluppo locale ed inoltre prevede la concessione di flussi regolari e di altri sostegni ai Paesi di partenza in cambio di accordi sul controllo congiunto delle frontiere e sul rimpatrio dei clandestini. L’Europa - come richiesto dall’Italia e secondo uno schema già contenuto nella nostra legislazione - sottoporrà a valutazione il comportamento dei Paesi terzi nel contrasto all’immigrazione clandestina. Il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a riferire annualmente sui

risultati di questa verifica e a formulare :le proposte o le raccomandazioni ritenute opportune. Su richiesta formulata dall’Italia - insieme a Regno Unito, Spagna, Grecia e Portogallo - il vertice di Salonicco ha dato mandato alla Commissione di esaminare gli aspetti relativi alla creazione di un apposito Strumento finanziario comunitario destinato a sostenere i rimpatri. L’Italia, inoltre, sta fortemente sollecitando la conclusione degli accordi comunitari di riammissione i cui negoziati procedono con lentezza. Terzo punto è la gestione integrata del controllo delle frontiere marittime, terrestri ed aeree, nei Paesi aderenti all’accordo di Schengen che secondo lo schema previsto nello studio di fattibilità italiano sulla polizia europea di frontiera, sono stati portati a termine 17 progetti operativi per rafforzare la collaborazione nel controllo delle frontiere. Grande importanza in tutti questi progetti ha avuto l’Esercito con il pattugliamento delle coste, i controlli agli ingressi doganali, lungo le linee di confine internazionale ed anche sviluppando una politica anti immigrazione clandestina direttamente in Albania. Sono in fase di realizzazione nuove iniziative operative quali la creazione di :centri specializzati per le frontiere terrestri, marittime ed aeree e l’istituzione di una rete di funzionari di collegamento sull’immigrazione nei Paesi terzi. Queste iniziative saranno realizzate sotto il coordinamento di una Unità comune composta dai capi delle frontiere, in attesa che venga esaminata la creazione di una nuova struttura operativa (Agenzia). E’ stata avviata la realizzazione di, una banca dati sui visti (VIS) che consentirà lo scambio di informazioni tra gli stati membri sui visti rilasciati o rifiutati, allo scopo di migliorare le verifiche di sicurezza per l’ingresso nell’Unione. A’ seguito delle sollecitazioni del Governo italiano, il vertice di Salonicco ha aperto prospettive .finanziarie per l’immigrazione e le frontiere. Nel 2004-2006 saranno disponibili 140 milioni di curo. Il quarto punto è la lotta senza quartiere alle organizzazioni criminali che lucrano in maniera spietata sul traffico degli esseri umani e dei clandestini. La specifica attenzione sul problema del contrasto dell’immigrazione via mare è ascrivibile ad una iniziativa italiana. Come richiesto dall’Italia, la Commissione europea sta realizzando un apposito studio di fattibilità dal quale dovranno scaturire ulteriori specifiche iniziative di carattere operativo e giuridico per il controllo del mare ed in particolare delle acque del mediterraneo. Intanto è al varo un progetto italiano di pattugliamento congiunto per il contrasto dell’immigrazione clandestina nel mediterraneo centro orientale. Per quanto

riguarda gli obiettivi riguardanti sicurezza e contrasto dell’irregolarità e clandestinità sono:

- Rafforzamento ulteriore dell’apparato di controllo volto a prevenire l’immigrazione irregolare;

- Adeguamento dei mezzi di supporto tecnico per i presidi di frontiera, con l’acquisizione di infrastrutture e tecnologie avanzate finalizzate al controllo delle frontiere esterne maggiormente esposte, nonché potenziamento della dotazione di apparecchiature informatiche e di automezzi; adozione del sistema AFIS per la rilevazione delle impronte digitali, anche tramite postazioni mobili;

- Riorganizzazione delle squadre mobili e ristrutturazione degli Uffici. stranieri delle questure prevedendo la separazione delle seziono amministrative. da quelle investigative;

-Rafforzamento dell’attività coordinata tra i Ministeri degli Affari Esteri e dell’Interno Particolarmente nel controllo della documentazione e dei visti presso la rete diplomatico-consolare. Rafforzare il dialogo interistituzionale tra i vari ministeri competenti, al fine di confrontare dati ed elementi conoscitivi del fenomeno e per raggiungere una maggiore efficienza nella lotta a tale forma di criminalità;

- Instaurare un monitoraggio dei fenomeni di criminalità riconducibili alla immigrazione latu sensu illegale., con la prospettiva della stabilità della rilevazione dei dati;

- Garantire agli stranieri l’esercizio dei diritti riconosciuti ai condannati e detenuti, anche durante la custodia in carcere e comunque nella fase di esecuzione della pena. (superamento delle barriere linguistiche con l’utilizzo dei mediatori culturali nelle strutture carcerarie, che vengano a coadiuvare anche il difensore);

-Assicurare la possibilità di accesso alle misure alternative, rafforzando le strutture sociosanitarie di supporto e coinvolgendo ai diversi livelli le organizzazioni che, regolarmente autorizzate ai sensi del T.U. sull’immigrazione si occupano di immigrati.

2.1 – Le ammissioni

Non è possibile, in questa sede, ricostruire se non in estrema sintesi (e citando solo i principali momenti) le tappe della continua ridefinizione del quadro normativo italiano in materia di immigrazione: alla legge Martelli (legge n. 39/1990) sono seguiti i decreti Conso (1993), la sentenza n. 35/1994 della Corte costituzionale (che dichiarò l’illegittimità della principale figura di reato prevista dall’art. 7-bis della legge n. 39/1990), i decreti Dini (1995, reiterati numerose volte e mai convertiti in legge), fino alla legge Napolitano - Turco (il Testo unico approvato con dPR n. 286/1998), che introdusse per la prima volta una disciplina organica della materia dell’immigrazione nei suoi diversi profili. Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 105/2001 in tema di accompagnamento coattivo alla frontiera, fu emanato il decreto-legge n. 51/2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002; pochi mesi dopo è stata invece varata la legge Bossi - Fini (n. 189/2002), contenente una serie di rilevanti modifiche al testo unico del 1998. Il resto è storia più recente: con le sentenze n. 222 e 223 del 2004, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di norme di centrale importanza nell’ambito del sotto-sistema preordinato all’allontanamento dello straniero irregolare; e, infine, il decreto-legge n. 24112004, convertito nella legge n. 271/2004, oltre a modificare le norme penali (sostanziali e processuali) e le procedure su ricorsi e convalide in materia di espulsione, ha trasferito la competenza su queste ultime dal giudice togato al giudice di pace. Una scelta del legislatore, questa, caratterizzata da rilevanti e complesse implicazioni di varia natura (costituzionale, ordinamentale, processuale) che, in questa sede, non possono essere approfondite.

Il testo normativo fondamentale in tema di immigrazione e condizione giuridica dello straniero è il D. L.vo 25 luglio 1998, n. 28671, nel quale sono contenute le norme di cui alla legge 6 marzo 1998, n. 40 (c.d. legge Napolitano-Turco) e le modifiche introdotte successivamente, tra le quali rivestono particolare importanza la legge 30 luglio 2002 n. 189 (cd. legge Bossi-Fini) e la recente legge 12 novembre 2004, n. 271 (pubblicata nella G.U. del 13 novembre 2004), che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241.

La normativa dettata dal T.U. riguarda i soli stranieri extracomunitari, in quanto l’art. 1 prevede che essa si applichi “ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e agli apolidi, di seguito indicati come stranieri”.

Molte norme importanti sono contenute altresì nel regolamento di attuazione72. Le linee-guida della normativa sull’immigrazione delineata dal T.U. sono ispirate ad una logica binaria comune a molte legislazioni europee.

Da una parte, la disciplina degli ingressi è incentrata sul meccanismo delle quote: l’art. 3, comma 4, T.U. prevede che il presidente del Consiglio dei Ministri con proprio provvedimento (cd. “decreto flussi”) definisca annualmente, sulla base di vari criteri, le quote massime di stranieri da immettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato e per lavoro autonomo; la quantificazione delle quote viene effettuata tenendo conto dei ricongiungimenti familiari e degli altri ingressi regolari. Nei confronti dei migranti regolari, la legge Napolitano-Turco ha previsto una serie di misure di sostegno finalizzate a favorirne l’integrazione sociale e lavorativa: vanno ricordati al riguardo la compiuta disciplina del permesso di soggiorno, l’introduzione della carta di soggiorno, la tutela dei minori e il ricongiungimento familiare; l’estensione dell’assistenza sanitaria anche agli stranieri irregolari73, le disposizioni in materia di studio74; le disposizioni in materia di alloggio e assistenza sociale75; la previsione di strumenti più o meno efficaci ma nuovi e significativi nella lotta alla discriminazione76.

D’altra parte, la condizione del migrante entrato illegalmente in Italia (cd. clandestino) o entrato legalmente, ma soggiornante in assenza di un valido titolo (ad es: per scadenza del permesso di soggiorno, non rinnovato: cd. irregolare) è imperniata su una serie di norme - amministrative e penali - preordinate all’allontanamento (respingimento, espulsione), norme di impronta fortemente repressiva.

L’ingresso dello straniero extracomunitario in Italia avviene con le modalità e condizioni previste dall’art. 4 T.U: occorrono il passaporto o un documento equipollente e il visto di ingresso; l’entrata nel territorio può avvenire, salvi i casi di forza maggiore, soltanto attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti. Il visto di ingresso è

72 D.P.R. n. 394/1999, recentemente modificato in profondità dal D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, pubblicato nella G.U. n. 33 del 10 febbraio 2005 - Suppl. Ordinario n. 17.

73 art. 35 T.U.

74 art. 38 T.U.

rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o di stabile residenza dello straniero. L’ingresso nel territorio dello Stato può essere consentito con visti per soggiorni di breve durata (fino a 90 giorni) e per soggiorni di lunga durata che permettono la concessione di un permesso di soggiorno in Italia per i motivi menzionati nel visto. Regole speciali valgono per l’ingresso dei minori stranieri: al di fuori di fini familiari, turistici, di studio e di cura, e se non sono accompagnati da almeno un genitore o parente entro il quarto grado, l’ingresso è consentito solo quando vi sia anche un vaglio della Commissione per le adozioni internazionali.

Con il visto di ingresso le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane rilasciano allo straniero una comunicazione scritta che illustra i suoi diritti e doveri in relazione all’ingresso e al soggiorno in Italia77.

L’ingresso è consentito allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e anche per il ritorno nel Paese di provenienza.

I criteri di determinazione dei mezzi di sussistenza, in relazione ai vari tipi di visto d’ingresso, sono stabiliti nel Decreto ministeriale 1.3.2000, emanato in attuazione di quanto previsto dall’art. 4, comma 3, del TU.

Nell’originaria formulazione del TU 286 per i soli ingressi dei lavoratori stranieri era prevista un’eccezione alla regola della necessità di dimostrare il possesso anche dei mezzi per il rientro nel Paese di appartenenza; a seguito della riforma attuata dalla legge 189 del 2002 tale eccezione viene meno in quanto all’atto della sottoscrizione del contratto di soggiorno (art. 5 bis) il datore di lavoro deve dimostrare (oltre alla disponibilità di un alloggio) l’impegno al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore, essendo questa una delle condizioni imprescindibili per il rilascio del permesso di soggiorno.

In generale, la disciplina dei requisiti di ingresso rende notevolmente difficoltoso l’ingresso legale per i migranti, come è facilmente intuibile se si pone mente alla situazione concreta che, nella maggior parte dei casi, sta a fondamento della decisione di migrare.

La legge prevede molteplici motivi di esclusione del rilascio del visto, quali la mancanza dei requisiti richiesti per lo specifico tipo di visto, l’essere considerati minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato italiano o di uno dei paesi dell’area Schengen, l’essere stati espulsi78 o il dovere essere espulsi, l’essere segnalati come inammissibili da uno dei Paesi dell’area Schengen per gravi motivi di ordine pubblico, sicurezza nazionale e tutela delle relazioni internazionali. Infine, è preclusiva al rilascio del visto d’ingresso la condanna penale (anche a seguito di patteggiamento) per uno dei i reati di per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ex articolo 380 co. i e 2 c.p.p., ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il reclutamento di persone da destinare alla prostituzione, o di minori per destinare ad attività illecite (art. 4.3). La norma sembrerebbe introdurre un criterio automatico, operante per tutti tipi di visto, con esclusione di valutazioni circa la gravità del reato e della condotta del soggetto.

Le disposizioni preclusive collegate alle condanne - introdotte con la riforma del 2002 - riguardano quelle intervenute successivamente alla riforma stessa, in applicazione del principio di non retroattività della legge, ex art. 11 disp. preliminari al codice civile79 80.

L’art. 4, comma 2 stabilisce che in deroga alla legge n. 241/1990, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico il diniego non deve essere motivato, salvo quando riguarda le domande di visto presentate ai sensi degli articoli 22, 24, 26, 27, 28, 29, 36 e 39 T.U.

L’ingresso nel territorio dello Stato per motivi di lavoro è consentito soltanto nell’ambito dei decreti flussi programmati annualmente; nel caso del lavoro dipendente è ammesso solo previo rilascio dell’autorizzazione al lavoro e stipula del contratto di lavoro (condizionato al solo effettivo rilascio dell’autorizzazione al lavoro), mentre nel caso del lavoro autonomo l’ingresso è consentito, sempre nell’ambito delle quote programmate, dimostrando di potere avviare una attività lavorativa autonoma.

78 La preclusione vale, ovviamente, prima del decorso del termine di legge o nel caso non sia intervenuta l'autorizzazione ministeriale al rientro, di cui all'art. 13, comma 13, TU 286.

79 In questo senso si è espresso anche il Ministero dell'interno nella circolare telegrafica del 9.9.2003.

80 In ogni caso, l'automatismo difficilmente. potrà operare laddove vengano in rilievo diritti fondamentali della persona, quali il diritto all'unità familiare (artt. 29 e 30 Cost.; art. 8 Convenzione europea dei diritti dell'uomo), il diritto del minore ad essere protetto (art. 28.3 TU; Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratif. con legge 176/91), il diritto alla salute (art. 32 Cost.), il diritto a non subire trattamenti disumani o degradanti (art. 3 Cedu), il diritto ad una protezione umanitaria (art. 19.1 TU) ed il

Il visto è rilasciato dalle autorità consolari nel paese di provenienza dello straniero (art. 22.6 e art. 26); successivamente entro otto giorni lavorativi dall’ingresso in Italia lo straniero deve richiedere il permesso di soggiorno, che verrà rilasciato a seguito di stipula del contratto di soggiorno previsto dall’art. 5 bis.

La durata del permesso di soggiorno è pari a quella del contratto di soggiorno e anche in caso di lavoro a tempo indeterminato non potrà comunque mai superare i due anni di validità.

Tutta la procedura relativa al rilascio del permesso di soggiorno ed alla stipula del contratto di soggiorno è attribuita allo sportello unico dell’immigrazione, istituito presso la prefettura - ufficio territoriale del Governo (art. 22.1)81.

Va ricordato che la condanna con provvedimento irrevocabile per alcuni reati relativi al commercio di prodotti contraffatti comporta le revoca del permesso di soggiorno e l’immediata espulsione (art. 26, co. 7 bis). Anche in questo caso dovrebbe valere il principio di non retroattività della legge (ex art. 11 preleggi al c.c.) per le condanne o per fatti antecedenti la riforma del 2002.

Lo straniero entrato regolarmente in Italia può soggiornarvi se munito di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno. Possono soggiornare nel territorio dello Stato anche gli stranieri entrati regolarmente che siano in possesso di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all’Unione Europea.

Il permesso di soggiorno - la cui disciplina è precisata nel regolamento di attuazione (D.P.R. 394/99) - deve essere richiesto al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso nel territorio dello Stato ed è rilasciato per le attività previste dal visto d’ingresso o dalle disposizioni vigenti (art. 5.2). I permessi brevi82 hanno speciali modalità di rilascio disciplinate dal regolamento di attuazione.

81 Il descritto sistema dei visti per lavoro è stato assai criticato in quanto subordina l'ingresso legale all'incontro, a distanza, tra domanda ed offerta di lavoro e dunque all'attivazione della procedura di richiesta di autorizzazione al lavoro.

Il visto di ingresso per motivi di lavoro autonomo deve riguardare attività non riservate dalla legge ai cittadini italiani o comunitari. Lo straniero deve dimostrare di disporre di risorse adeguate per l'esercizio dell'attività che intende intraprendere in Italia, di idonea sistemazione alloggiativi e di un reddito annuo lecito superiore al minimo previsto per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (art. 26.3).

82 Per motivi di turismo, in gruppi o dai paesi in esenzione di visto turistico; per minori partecipanti a progetti di accoglienza a carattere umanitario; per motivi di cura, di attesa di emigrazione in altro Stato e

Documenti correlati