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GERME, LEGGE COSMICA DEL 930. La legge dunque della celerità e

Nel documento GALATEO: DELLA SOCIETÀ PRI- (pagine 30-58)

quella dell’accumulazione de’ beni di-mostrano la maniera onde la divina sa-pienza trae ad esecuzione nel mondo l’altra legge generalissima del minimo mezzo e le speciali che da questa devano. Ma ora se noi vogliamo altresì ri-cercare come Iddio ottenga l’accennata celerità, e l’accennato accumulamento, ci si presenta un’altra legge, che già ab-biamo chiamata del germe. Ed essa for-merà l’argomento del presente capitolo.

931. Per legge del germe io intendo

«quel decreto del Creatore pel quale egli ordinò che i beni fossero prima nel loro minimo stato, stato d’involuzione e di potenza, e che poi si evolgessero e distinguessero per un movimento loro proprio».

932. E così concepita, vedesi questa legge essere una conseguenza legittima del principio da noi posto che «Iddio volea cavare dalle creature tutto il bene ch’esse stesse, secondo loro nature, po-tevan dare senza porre altra causa, che sarebbe stata superflua, ogni qual volta la causa era già posta in esse medesi-me» (<nn.> 511-513).

933. Del qual principio poi deducemmo la necessità delle cause seconde (<nn.>

514-521); perocché quel principio le suppone, altro non dicendo se non di

«lasciare che la cause seconde facciano tutto ciò che posson fare»: ciò che esprime la parsimonia del divino inter-vento; e però oltre l’esistenza delle cau-se cau-seconde, anche la libertà e l’occasio-ne ad esse prestata di fare tutto il bel’occasio-ne a cui fossero atte.

934. La legge del germe adunque non aggiunge che la dichiarazione del modo col quale Iddio cava il più di bene che sia possibile dalle cause seconde, ed el-la ha tre parti:

Prima parte della legge del germe, che Iddio ponesse gli esseri nel loro stato d’involuzione.

Filone (480) è di parere che Iddio po-nesse a principio i germi fecondati delle piante e degli animali (eccetto l’uomo,

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che lo formò immediatamente), e che quelli poi si sviluppassero in piante ed in animali, come il Genesi sembra farci chiaramente intendere (481); al che ri-sponde l’opinione comune, che la sta-gione in cui fu creato il mondo, o alme-no in cui cominciaroalme-no a muoversi i germi, fosse la primavera (482).

E secondo la stessa economia, Iddio a principio collocò i semi, o, come dice Sant’ Agostino, le ragioni seminali di tutte affatto le cose; acciocché dal loro stato più involuto ed occulto, da se stes-se svolgendosi, si rendesstes-sero cagioni del proprio ingrandimento e perfeziona-mento.

935. Seconda parte della legge del ger-me, che i primi germi svolgendosi pro-ducessero altri germi, e così all’infinito.

Lo sviluppo che si fa per via di semi o di germi continuamente nuovi, è il più celere d’ogni altro, avvenendo egli per modo di moltiplicazione continua; giac-ché ogni germe produce, ed ogni pro-dotto produce egli stesso di nuovo. Ai matematici è manifesto con che meravi-gliosa rapidità cresca in tal modo la somma de’ prodotti, e si faccia in breve maggiore d’ogni calcolo.

E a questa legge si deve attribuire l’esu-berante ricchezza della natura nella pro-duzione de’ vegetabili e degli animali:

nell’ordine morale poi ha luogo una si-mile celerità di produzioni.

936. Terza parte della legge del germe, che i primi germi fossero nel minor nu-mero possibile all’intento.

E quanto pochi dovessero riuscire ne-cessarj al cominciamento si vede da questo, che essi sono appunto così co-stituiti come detto è, da produrre o met-tere in essere germi, simili a sé, onde un solo germe al cominciamento per ogni specie di cose egli pare che dovesse ba-stare, ed egli è probabile che Iddio ab-bia osservato nella creazione tal parsi-monia (483). E della legge del germe basti aver noi questo poco toccato.

(Teod., nn.930-936)

Perché le operazioni della somma e del-la moltiplica sono fondamentali?

Risposta. Perché l’aritmetica è inventata per gli usi comuni, e dev’essere perciò accomodata alla natura. Ora nella natura le cose crescono e calano nelle due ra-gioni aritmetica e geometrica. Il perché della ragione aritmetica o dell’addizio-ne è chiaro, trovandosi dell’addizio-nell’aggiungersi cosa a cosa. Il perché della ragione geo-metrica si trova nella legge del germe che domina tutta la natura, sviluppando-si le cose in ragione geometrica. (Riv.

rosm, Anno I - N.5, 1 gen. 1907, p.213, Filosofia delle Matematiche: pensieri [inedito])

GERME ANIMALE 457. Dal qual concetto dell’animale si vede, che la leg-ge della minima azione regola sì la com-posizione dell’animale, che le sue opera-zioni. Poiché tutto ciò che è l’animale, e che da lui si opera alla propria vita, con-servazione e riproduzione, sorte da una sola causa semplicissima qual è quella dell’attività senziente, a cui un’infinita sapienza diede varia occasione di opera-re in sì mirabili modi, come son quelli che nell’individuo animale s’osservano, unicamente coll’adunare insieme a prin-cipio degli atomi corporei da risultarne i germi fecondi. Dati poi questi primi ag-gregati d’atomi, che chiamiam germi, variati forse in tutte le guise possibili, e posti in relazione con altri atomi esterni anch’essi opportunamente disposti, la so-la attività sensitiva fa tutto il resto: e co-stituisce l’animale, e lo nutre, e lo svilup-pa, e lo riproduce: costituisce tutte le in-numerabili forme degli animali, ch’io credo, come dicevo, dover essere altret-tante, quanti aver vi possono opportuni aggregati a costituire una macchina vi-vente. [...]. (Teod., n.457)

460. La sensitività corporea, noi diceva-mo, è unica nel suo concetto, l’istinto non è che l’attività che ella esercita sul corpo sentito e sensifero. Ma l’operare

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della sensitività e dell’istinto non varia, non prende un’altra direzione e modo di operare, se non per la composizione di-versa degli atomi sentiti e sensiferi. Con-vien dunque per ispiegare l’animale sup-porre, come già data, un’organizzazione primitiva, che non ha la sua causa <nel-la> sensitività, cioè conviene supporre un germe organizzato in un dato modo, nel quale la sensitività pel suo istinto agi-sca; convien supporre di più la varietà di questi germi, che spieghi la varietà sì grande delle diverse generazioni d’ani-mali prodotti dalla forza plastica dell’i-stinto: quindi il bisogno di ricorrere ad un’intelligenza, che in vece di dispergere gli atomi negli spazj infiniti li raccozzò in modo che riuscissero ordinati in varj gruppi, i quali fossero altrettanti germi animali, varj, ma ciascuno perfetto, cioè con tal sapienza composto e congegnato, che desse occasione all’azione del sensi-tivo istinto, di svilupparne il corpo per-fetto d’un animale, un picciol tutto con membra ordinate, dove la vita, l’eccita-mento, l’individualità del sentimento si conservasse e riproducesse in perpetuo circolo, concorrendo a ciò appunto tutte le parti sviluppate colla maggior conve-nienza in fra loro, e attitudine di produrre quel solo effetto che è un complesso di effetti armonici, un unico sentimento in cui si rifondono sentimenti innumerevo-li, che l’animale costituiscono. (Teod., n.460) v. GENERARE, GENERAZIO-NE: 2. g. umana (Antrop. sopran., vol.I, lib.III, cap.VIII, art.IV, § 3, pp.443-444)

GESÙ CRISTO De’ ministri del domi-nio divino sopra gli uomini. 608. - Iddio esercitò il suo dominio sopra gli uomini non solo immediatamente, ma ben anco servendosi, a ministri suoi, delle sue creature intelligenti.

609. - Dalle divine Scritture noi racco-gliamo ch’egli si fece a tal fine rappre-sentare talora da angeli, talora da uomi-ni santi.

610. - Per mezzo di questi suoi ministri, comunicò la sua legge positiva agli uo-mini, ed operò prodigi di varia maniera affine di riscuotere la servitù a lui dovu-ta dagli uomini, e da lui gelosamente pretesa. [...]

Del dominio del Cristo. 611. - Il mag-giore di questi ministri, il più eccellente di tutti è il Cristo.

612. - Ma il Cristo non è solamente mi-nistro di Dio. Egli è dunque necessario vedere, quali sieno le altre proprietà e attribuzioni del Cristo rispetto alla si-gnoria divina.

613. - Queste sono sei: egli è 1º Signore supremo (Dio); 2º servo di Dio; 3º uo-mo signore degli altri uomini; 4º mini-stro di Dio alla salute del mondo; 5º giudice del mondo; e 6º capo della Chiesa; e noi di ciascuna daremo un cenno. [...]

Il Cristo è per sé Signore supremo. 614.

- Il Cristo non solo è uomo; ma anco Dio. Come Dio, egli ha per sé stesso il dominio divino inalienabile.

615. - Or poi, ella è una prerogativa del-la divinità l’esser luce: deldel-la quale un raggio è quello che rende l’uomo natu-ralmente intelligente. [...]. (Filos. Dir., vol.II, nn.608-615)

Il Cristo è anche servo di Dio. 617. -Come uomo poi, il Cristo è servo di Dio.

618. - Ma il Cristo, secondo uomo, non è solo il servo di Dio, come tutte l’altre creature; egli è servo di Dio per eccel-lenza. Laonde nelle sante Scritture si legge, che Iddio si formò questo servo perfetto fino dall’alvo materno.

619. - Di più, il Cristo non è solo il servo più eccellente; ma egli è l’unico servo fe-dele, essendo gli altri uomini tutti preva-ricatori, resi inutili, secondo l’espressione della Scrittura, cioè inetti a prestare a Dio il servigio, gran fine della creazione.

620. - Quindi nel solo Cristo, Iddio ha conseguito il fine pel quale egli creò l’universo, la piena servitù dalla sua creatura.

GERME ANIMALE 356

621. - Nel Cristo poi la ottenne soprab-bondantemente, non solo perché Cristo, secondo uomo, prestò a Dio tutta la ser-vitù che l’umana natura sublimata potea prestargli; ma perché il Cristo, essendo insieme Dio, le sue operazioni sono teandriche, ond’hanno un prezzo infini-to: vengono ad offerire servitù d’infini-to prezzo; poiché egli è Iddio, che serve a Dio. [...]

Il Cristo è anche signore d’una signoria ricevuta sopra gli uomini. 622. - Il Cri-sto come uomo è dunque l’unico servi-tore fedele a Dio infra gli uomini: la ri-verenza e la servitù all’Essere Supremo fu in lui compiuta.

623. - Abbiamo veduto, che la fedele servitù a Dio cade a tutto profitto di chi la presta, il cui essere rimane perfezio-nato, elevato: l’opposto di quel che fa l’infedeltà nel divino servizio, la quale ricade a danno del solo servo infedele ed iniquo, il cui essere si riman guasto e depravato.

624. - Il servo infedele adunque diventa inferiore, e il servo fedele diventa supe-riore. E come tutto il genere umano scadde nella fedeltà eccetto il Cristo, così il Cristo divenne superiore a tutto il genere umano.

625. - Di conseguente, Iddio diede al suo Cristo come uomo (su cui erasi ri-posato il divino spirito con tutti i doni), anche in merito della sua santità, la si-gnoria di tutta l’umana famiglia infede-le: egli potea quindi, secondo il Diritto, metterla a sgabello de’ suoi piedi, giudi-carla, condannarla a rigore. [...]

Il Cristo è anche ministro di Dio alla salute del mondo. 626. - Ma poiché il Cristo di Dio ebbe a sua disposizione l’umana famiglia, egli non usò del suo dominio per condannarla, com’ella pur meritava; ma due nobili affetti lo con-dussero nell’uso del dominio ricevuto:

1º quello di adoperare questo dominio a prestare a Dio di nuovo il maggior ser-vigio possibile, adempiendone nella più perfetta guisa la volontà; 2º e quello di

volgerlo a redimere dalla pena gli uomi-ni stessi amati da lui quai fratelli per l’uguaglianza della natura umana, co-municando loro della sua santità e divi-nità.

627. - I quali due affetti sublimi andava-no di perfetto accordo fra loro. Poiché, essendo naturale a Cristo come uomo l’affetto verso i fratelli suoi, e il deside-rio della beneficenza, era pure volontà di Dio che lo secondasse: conciossiaché era volontà di Dio, che il dominio degli uomini dato al fedele suo servitore fos-se condotto a tutta soddisfazione di esso lui, onde Isaia abbia a dire che VOLUN

-TAS DOMINI IN MANU EJUS DIRIGETUR. -Quindi l’opera della redenzione fu vo-lontaria da parte del Cristo.

628. - Ma ella fu anco esecuzione del comando ricevuto da Dio. Conciossia-ché Iddio voleva, che il Cristo redimes-se gli uomini suoi fratelli, perché così esigeva l’amore naturale del Cristo. E di più, Iddio stesso amava gli uomini co-me creature sue, e volea che coco-me il fi-ne dell’universo era ottenuto fi-nella per-fetta servitù del suo Cristo, così per l’o-pera di Cristo s’ottenesse anche negli altri uomini per natura fratelli a Cristo.

Il Cristo d’altra parte amava ancor più la volontà di Dio, che non gli uomini suoi fratelli, e perfettamente la conosce-va: onde soprammodo si compiacque di eseguire il disegno fatto da Dio fino dalla costituzione del mondo. - Quindi l’opera della redenzione fu l’esecuzione della volontà di Dio. [...]

Il Cristo è anche giudice del mondo, e capo della Chiesa. 629. - Ora, come Cristo avea già ottenuto per la sua emi-nente santità il dominio assoluto sugli uomini rei, e l’autorità di giudicarli; co-sì, avendo patito per essi, soddisfatta la giustizia, ricomperatili col sangue, di-vennero per nuovo titolo di redenzione sua proprietà, e poté loro comunicare que’ doni, e que’ gradi di santità che a lui fosse bene piaciuto. Ma egli anco in questo volea uniformarsi all’eterno

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segno di Dio, il quale era d’altra parte così ordinato che dovesse ridondare nel-la massima gloria ed esaltazione del Cristo redentore; sicché la volontà natu-rale di questo, già glorioso, non avrebbe potuto rinvenire un altro disegno più a sé stessa conforme; avverandosi così da ogni lato, che «la volontà di Dio sareb-be stata diretta nelle mani del suo Cri-sto», come Isaia con tanta sublimità avea predetto.

630. - Rimanendo poi gli uomini, pe’

quali il Cristo patì, divisi in due parti, di cui l’una non perviene a ricevere in sé il beneficio della sua redenzione, e l’altra vi perviene; la potestà di Cristo redento-re rispetto a’ primi si manifesta princi-palmente nel giudizio, ch’egli porterà di essi alla fine; rispetto poi ai secondi, a cui il merito della sua passione viene comunicato, ella si manifesta nell’uffi-zio, ch’egli esercita, di loro capo; for-mando d’essi una società seco strettissi-ma, a cui è imposto il nome di Chiesa;

della quale società dobbiamo dire alcu-na cosa sponendo il Diritto goveralcu-nativo e comunale della società teocratica.

631. - Coi soli reprobi adunque il Cristo esercita il diritto di mero dominio; là dove co’ membri della sua Chiesa egli, come uomo, esercita più tosto i diritti di governatore, di sozio e di benefattore.

(Filos. Dir., vol.II, nn.617-631) v. AB-BANDONO: 3. Cristo abbandonato dal Padre; ACCUMULAMENTO DEI BE-NI, LEGGE DEL: 2. a. massimo in Cri-sto; BELLEZZA: 8. b. cosmica subietti-va prima soprannaturale: il Verbo in-carnato; BENEFICENZA: 3. b. in Cri-sto; CARITÀ: 5. c. in CriCri-sto; CHIESA DI GESÙ CRISTO; COMPASSIONE;

CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO; CORPO: 11. c. eucaristico di Cri-sto; 12. c. mistico di CriCri-sto; 13. c. di Cristo nel sepolcro; CREAZIONE: 4. il fine concreto della c. si realizza solo in Gesù Cristo; CUORE: 5. c. di Gesù;

DILEZIONE: 2. d. personale di Gesù Cristo e divina nei discepoli;

EMINEN-TE, EMINENZA: 6. e. specifica di Ge-sù Cristo; ENIGMA: 2. e...di GeGe-sù Cri-sto; FIGLIO DI DIO: 2. Gesù Cristo f.

di Dio e f. dell’uomo; GIUDIZIO DIVI-NO PARTICOLARE E UNIVERSALE ULTRATERRENO; GLORIA: 2. g...

della Chiesa di Gesù Cristo; GRAZIA:

8. g. di Adamo e di Cristo...; IMITA-ZIONE: 2. i. di Cristo; INCARNAZIO-NE DEL VERBO DI DIO; INOGGET-TIVAZIONE: 6. i. in Cristo; IO: 8. i. di-vino e umano di Cristo; LIBERTÀ: 24.

l. meritoria di Cristo; MERITO: 3. m.

di Cristo; PERSONA: 6. p. di Cristo;

PREDESTINAZIONE: 2. p. di Cristo;

PREGHIERA: 6...p. di Cristo...; RE-DENZIONE; RISURREZIONE: 1. r. di Gesù Cristo; 2. quattro maniere di r. se-condo le Sacre Scritture rispondenti le diverse maniere di partecipazione al-la vita di Cristo del cristiano...; SA-CRAMENTO: 5. l’umanità di Cristo s.

massimo; SACRIFICIO: 4. s. di Cristo;

5. s. eucaristico; SUPERIORITÀ: 1...s.

di Cristo e dei beati; UNIONE IPO-STATICA IN CRISTO; VITA: 10. v. di Cristo e dei discepoli...

GIANSENISMO: v. PELAGIANESI-MO.

GINNASTICA (Logica): v. ERISTI-CA; (esercizio fisico): v. DIVERTI-MENTI PUBBLICI.

GIOCO, GIUOCO Somm.: 1. g. del-l’animale e del fanciullo; 2. g. d’azzar-do; 3. g. pubblici.

1. g. dell’animale e del fanciullo 150. Ma quanta pazienza e quanto sen-no sen-non esige tutto ciò nell’educatore!

Esige, che l’adulto s’inchini a quelle co-se che per lui non hanno più interesco-se, ma che pur ne ripiglieranno un nuovo, e grandissimo, s’egli avrà cuore e mente.

GESÙ CRISTO 358

Questa è la dote che manca nella mag-gior parte degli educatori, onde di mal animo s’inducono ad accompagnarsi al-le operazioni e esperienze fanciulal-lesche;

ed anzi sturbano spesso il fanciullo in-nocente nel suo lavoro di un placido os-servare e sperimentare (perché a osser-vare e sperimentare si riducono vera-mente tutti i giocarelli e movimenti fan-ciulleschi, e il gusto che il fanciullo ne prende): essi non ne intendono la sa-pienza; e vorrebbero occupare il bambi-no in altre operazioni proprie di sé adul-ti, nelle quali essi trovassero pur piacere ed importanza. Al qual proposito molte volte io ho considerato e domandato meco stesso, perché il divino Maestro non abbia mai nulla ripreso dei bambi-ni, e anzi, per così dir, tutto lodato, quando alla severità de’ savi umani sembra pure quella prima età piena di leggerezza, e vuota di serie occupazio-ni. Non pare, che tale la giudicasse Ge-sù Cristo. Anzi egli sembra che questi vedesse nelle esercitazioni fanciullesche tutt’altro che un perditempo, un far nul-la; ma più tosto un’attività grandissima del loro intendimento, avido, aspirante a conoscere, ad abbracciarsi col vero, un’avidità, per la quale «l’anima sem-plicetta che sa nulla» e che pur è fatta per sapere, buttasi con impeto sul mon-do sensibile, per rapirne ovechessia co-gnizioni e notizie, incessantemente os-servando, e in mille maniere esperimen-tando questi e quegli oggetti, quanti pe’

sensi gli si presentano. Convien dunque con una somma pazienza farsi compa-gno al fanciullo in questo gravissimo e continuo studio dell’innocente sua età; e aiutarlo in esso regolandolo. (Princ. su-pr. Metod., n.150)

280. All’attività sconnessa del fanciullo appartengono quei giochi, dove avvi gran movimento e una successione d’impressioni sconnesse, ma sempre nuove

L’inclinazione ad esercitarsi in tutti i possibili movimenti si spiega anco

co-gl’istinti animali. Il movimento è piace-vole e salubre all’animale, e i movimenti ch’egli fa, non sono certo diretti da alcun principio di ragione che in lui non si tro-va, ma ciascuno ha la sua ragione e de-terminazione nelle leggi dell’animalità.

A que’ movimenti, che sembrano fatti a caso e unicamente per diletto, noi attri-buiamo il nome di giochi, gli conside-riamo in un aspetto burlevole, quasi ten-dano a far ridere. Tuttavia per l’animale non sono già scherzi più quelli, che il prender cibo: tutto ciò che si riferisce al sentimento del riso, è a lui straniero. Ma il disordine capriccioso di que’ gesti e moti ha per noi quel turpicolo improv-viso, che cagiona il riso. Vi ha il turpi-colo in que’ movimenti raffrontati a mo-vimenti ordinati della ragione, e vi ha l’improvviso ed inaspettato per la loro continua novità e apparente stranezza.

281. Quello che è singolare, si è che il fanciullo trova ben presto qualche cosa di bernesco ne’ propri giochi: egli ve lo trova di mano in mano che si sviluppa in lui la ragione; e divien per lui una nuova cagione di diletto. Ride di ciò che fa egli stesso, e che vede fare agli altri fanciulli: tuttavia egli non ride pro-priamente di sé stesso, perocché mai di sé non si ride. È il segnale ch’egli rico-nosce della frivolità, della sconcezza nei suoi atti; e di questo segnale dee ca-var profitto l’istitutore: egli dee coltiva-re e perfezionacoltiva-re la conoscenza, che il fanciullo si forma da sé, del poco accor-do che passa fra i suoi trastulli e la sua

281. Quello che è singolare, si è che il fanciullo trova ben presto qualche cosa di bernesco ne’ propri giochi: egli ve lo trova di mano in mano che si sviluppa in lui la ragione; e divien per lui una nuova cagione di diletto. Ride di ciò che fa egli stesso, e che vede fare agli altri fanciulli: tuttavia egli non ride pro-priamente di sé stesso, perocché mai di sé non si ride. È il segnale ch’egli rico-nosce della frivolità, della sconcezza nei suoi atti; e di questo segnale dee ca-var profitto l’istitutore: egli dee coltiva-re e perfezionacoltiva-re la conoscenza, che il fanciullo si forma da sé, del poco accor-do che passa fra i suoi trastulli e la sua

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