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Come abbiamo evidenziato nel punto 3.4, la pesca esercitata in modo da produrre forti prelievi sulle popolazioni naturali e senza il rispetto delle esigenze biologiche delle specie rappresenta un serio problema per la conservazione dell’ittiofauna; essa è la terza causa di minaccia per i pesci d’acqua dolce indigeni nei fiumi e nei laghi italiani, dopo l’alterazione degli habitat e l’inquinamento delle acque. Da alcuni decenni è poi indi-rettamente causa di ulteriori danni biologici perché, in conseguenza del-l’alto numero di pescatori sportivi che esercitano l’attività (oltre 2 milioni nel nostro paese), ha determinato la necessità di effettuare ripopolamenti; questi, gestiti quasi sempre in maniera superficiale dalle amministrazioni

pubbliche competenti in materia e dalle associazioni di pescatori, hanno prodotto in moltissimi casi consistenti alterazioni nelle comunità ittiche indigene.

È però possibile individuare delle forme di gestione della pesca che rendano compatibile questa attività con la conservazione della biodi-versità, sia a livello di popolazioni che di comunità ittiche. Per quanto riguarda l’attività professionale, alcuni sistemi di pesca tradizionale (Fig. 47) risultano sicuramente più compatibili rispetto a metodi e strumenti utilizzati negli ultimi decenni, come ad esempio le reti pelagiche di nylon; per la pesca dilettantistica alcune tecniche, come ad esempio la pesca “no-kill” praticata nei confronti dei Salmonidi, risultano sicuramente più “sportive” e rispettose dell’ittiofauna nei confronti di altre.

Per una gestione razionale della pesca sono necessari in primo luogo programmi di utilizzazione della risorsa ittica che stabiliscano preventi-vamente tempi, modi e quantità dei prelievi, e che prevedano strategie di conservazione delle popolazioni oggetto di pesca nei singoli sistemi idrografici. Uno strumento di pianificazione delle attività alieutiche sono le Carte ittiche, che alcune province italiane hanno promosso e adottato a partire dai primi anni ’80; la prima è stata la Provincia di Trento (Vittori ed., 1983), che ha messo in pratica una precisa disposizione della propria

Figura 47 - Alcuni sistemi di pesca tradizionale, come la pesca mediante piccoli martavelli con rete di cotone, risultano sicuramente più compatibili con le esigenze della conservazione rispetto a metodi e strumenti utilizzati negli ultimi decenni.

legge provinciale sulla pesca (L. n° 60/1978). Laddove sono state utiliz-zate con serietà, le carte ittiche hanno prodotto risultati positivi sia per i pescatori che per l’ittiofauna. Nel grafico della figura 48 sono riportate le varie fasi di realizzazione di una carta ittica; bisogna considerare che si tratta di uno strumento perfettibile e aggiornabile nel tempo, median-te un monitoraggio che preveda la ripetizione dei rilievi sul campo e la rielaborazione dei dati. Un’esposizione dettagliata dei metodi e dei diversi livelli ai quali può essere realizzata una carta ittica è contenuta in un documento dell’Associazione Italiana Ittiologi delle Acque Dolci (AIIAD, 1993). Se realizzata a un buon livello di approfondimento, una carta ittica si può configurare come uno strumento di più ampia portata per la gestione del territorio perché, oltre al primario obiettivo di con-siderare i popolamenti ittici, prende in esame anche aspetti idrologici, la qualità delle acque e gli elementi di disturbo antropico. Se tutte le province d’Italia si dotassero di un simile strumento di gestione,

l’im-Figura 48 - Grafico funzionale per la realizzazione di una Carta ittica, strumento di pianificazione della pesca professionale e sportiva nelle acque dolci; se realizzata a un buon livello di approfon-dimento, si può configurare come uno strumento di gestione del territorio. (da Mearelli ed., 1988, modificato)

patto dell’attività alieutica sull’ittiofauna si ridurrebbe certamente; anche i pescatori, sia quelli che praticano l’attività in forma professionale che quelli “sportivi”, potrebbero trarre vantaggi, soprattutto nella prospettiva di mantenimento a lungo termine della risorsa naturale oggetto dei loro interessi. La realizzazione e il periodico aggiornamento delle carte ittiche nelle varie province italiane, rappresenterebbero infine delle concrete possibilità di occupazione per giovani laureati in discipline biologiche e ambientali interessati a svolgere lavori sul campo.

Uno dei problemi più importanti da affrontare per la conservazione delle popolazioni oggetto di pesca è quello dei ripopolamenti. È necessario chiarire subito in quali circostanze hanno senso i ripopolamenti, e qual’è la metodica più idonea. Nella maggior parte dei casi i ripopolamenti che vengono oggi effettuati dalle amministrazioni provinciali e dalle associa-zioni di pescatori sono secondo noi un inutile spreco di denaro, e servo-no solo ad accontentare formalmente le richieste dei pescatori (o meglio di quella parte di essi meno informata e attenta verso una seria gestione della pesca). Pensiamo che non abbiano senso, per esempio, i ripopola-menti di specie che si riproducono naturalmente nei nostri corsi d’acqua e che presentano elevata fecondità e buoni potenziali di crescita in termi-ni di dinamica di popolazione; tra queste ci sono ad esempio il Luccio, il Temolo, il Barbo, il Cavedano e l’Alborella. La soluzione migliore per mantenere la giusta consistenza demografica delle popolazioni di questi pesci è a nostro avviso la seguente: tutelare i tratti dei corsi d’acqua e delle rive dei bacini lacustri dove sono ubicate le più importanti aree di frega, anche con opportuni divieti di pesca, e consentire quindi un ripo-polamento naturale delle altre parti degli ambienti acquatici dove viene esercitata l’attività alieutica. Laddove la riproduzione naturale non può avere luogo o risultasse insufficiente, magari in conseguenza di alterazio-ni morfologiche dell’habitat come le artificializzazioalterazio-ni degli alvei o gli sbarramenti dei corsi d’acqua, la pratica del ripopolamento è giustificata; questo intervento di gestione va però condotto con criteri scientifici, per evitare o comunque limitare i rischi per le popolazioni naturali che si vogliono incrementare e per le intere comunità biotiche di cui sono parte. Il materiale da utilizzare nei ripopolamenti deve secondo noi pro-venire esclusivamente da appositi Centri ittiogenici, che possono essere realizzati a livello regionale o interprovinciale (Fig. 49). I riproduttori devono poi provenire dalla stessa popolazione oggetto dell’intervento, per garantire la tutela delle sue peculiarità morfologiche e genetiche (Fig. 50); per questo fine i riproduttori vanno preventivamente selezionati su base tassonomica.

Altro elemento necessario per una gestione razionale della pesca è un quadro normativo adeguato alle esigenze ed alla situazione; si rimanda al successivo punto 6.5 per una discussione sull’argomento.

Figura 49 - Alcune fasi della riprodu-zione artificiale di un Ciprinide in un Centro ittiogenico (quello della pro-vincia di Perugia, sito sul lago Trasi-meno).

a) Fecondazione arti-ficiale tramite spremi-tura dei riproduttori e successivo mescola-mento manuale dei gameti.

b) Incubazione delle uova fecondate nelle “bottiglie di Zug”, appositi contenito-ri dove è assicurata la circolazione del-l’acqua. a) b)